Calvino e il mare dell’altro

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nella predilezione accordata a un certo tipo di generi narrativi e ad alcune «nazionalità» letterarie. Ecco come è spiegato da Calvino il cosmopolitismo della sua formazione: (...) allora leggevo una quantità di autori inglesi. E anche di russi, tradotti in entrambi i casi. Adesso leggo romanzi inglesi e americani in lingua originale. (...) Lessi libri che sono nei programmi scolastici e poi una quantità di autori stranieri tradotti. (...) Lo specialista legge nell’area che gli è propria mentre un lettore giovane legge racconti d’avventura, romanzi umoristici e romanzi gialli. In altre parole, legge i libri che veramente lo interessano e, prima della guerra, i libri che suscitavano il maggiore interesse non erano italiani. Così stanno le cose 7.

Le precisazioni di Calvino intendono anche smentire l’ipotesi, avanzata da Almansi, di una soluzione di continuità tra le prime prove narrative, Il Sentiero dei nidi di ragno e i Racconti da un lato, e il Visconte Dimezzato con la trilogia allegorico-fantastica, dall’altro: quest’ultima segnerebbe infatti una frattura con la tradizione narrativa «italiana» e «neorealista» cui si ispira appunto il Calvino degli esordi. Ebbene, l’errore di Almansi, dall’ottica calviniana, è quello di ricondurre il romanzo cosiddetto «neorealista» nell’alveo di una tradizione locale alla quale i narratori del dopoguerra avrebbero opposto i modelli letterari americani, soprattutto Hemingway e Faulkner. Se era proprio il romanzo, come genere letterario tout court, ad essere considerato «un’importazione dall’estero» 8, si capisce che il mito americano e la narrativa inglese e russa costituivano, per il Calvino degli esordi, dei sistemi di riferimento equipollenti. Al limite, l’ampiezza dei suoi interessi culturali, che si spingevano ben oltre i modelli canonici utilizzati dai neorealisti, è ciò che giustifica l’originalità del Sentiero rispetto alle prove letterarie dei romanzieri a lui coevi. Questi ultimi «erano accusati di essere imitatori passivi dei romanzieri americani», a differenza di Calvino che nel Sentiero intendeva fondere Hemingway e Stevenson, come vide già Pavese nel ’47 e come conferma lo stesso autore nella Prefazione alla terza edizione dell’opera, nel 1964. La supposta frattura tra produzione neorealista e vena allegorico-fantastica è negata da Calvino proprio nella constatazione 23


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