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Che la sàa sia cara l'è ona verità amara
from Milano 19(75)
Il sale è sempre stato un elemento soggetto a monopolio; sino dai tempi di Alboino Milano ne tenne lo scettro e soltanto nel XIV° secolo il monopolio passò ai Papi che lo cedettero solo dopo la caduta di Pio I X ed ora è dello stato di Arcano
Sale, saline, miniere di sale; «sàa, salina, minier de sàa»; benché il sale è usato da tutti non ha grande spazio nella nomenclatura dei mestieri essendo stato da sempre soggetto a monopolio sino dai tempi di Alboino, VI° secolo d.C..
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L'importanza del sale ebbe un'evidenza anche strategica durante l'invasione di Attila che se ne servì per distruggere i pascoli onde l'erba bruciata da esso non potesse nutrire i cavalli dei nemici; da qui la leggenda addomesticata raccontata nelle scuole e da taluni ancora creduta.
Vi sono sali alimentari, industriali, dietetici; del sale alimentare è noto quello marino e il salgemma depurato e raffinato proveniente da miniere; Milano ne detenne il monopolio per secoli emulato poi dal governo papalino sino alla caduta dello stato pontificio; da allora è monopolio dello stato. Il sale alimentare oltre ad essere distribuito nelle rivendite di tabacchi al minuto è trattato in massicce quantità anche da operatori autorizzati che riforniscono panifici, salumifici, industrie alimentari, ecc. Quello industriale viene usato per conceria, depurazione acque, zootecnia, industrie lattiero-casearie, comuni ed enti per il disgelo strade, per decalcificazione bollitori, contenitori, apparecchiature per riscal-
Dialettologia milanese (19)
Necessaria verifica per ogni neologismo
I mutamenti nella vita sociale, politica e religiosa innestano nuovi vocaboli nelle singole lingue da cui rimbalzano ad altre che le affiliano; le maggiori difficoltà si presentano in concomitanza di terminologie tecniche o scientifiche
All'accenno fatto circa i neologismi che entrano a fare parte del milanese, ai quali nessuna opposizione è logica, l'esempio dimostrativo renderà ancora più chiare le idee.
L'avvento dell'automobile e del relativo guidatore hanno segnato il neologismo derivato anche se a volte la forma tronca dell'italiano (o la stessa in assoluto) fanno amaramente sorridere: <automobil», pronuncia «ottomobil» e «sciaffoeur» dal vocabolo originario francese chaffeur; ma poi anche i cugini d'oltralpe chiamarono automobile l'originaria voiture e automobiliste il guidatore e si ebbe una piccola rivoluzione quando l'autoveicolo in genere stabilì nuove denominazioni.
«Sciaffoeur» per i milanesi è rimasto vocabolo riferentesi a chi fa l'autista di professione; a questo riguardo «tassista» e anche «tassì» sono neologismi che si appaiano ai più noti e di primo conio <àsciaffoeur de piazza, automobil de piazza intesi per autista di auto pubblica e relativo automezzo.
Parallelamente a quanto nomenclato dai francesi che chiamarono camion l'autocarro e camioniste chi lo guida ne seguì la dizione milanese «camionista associata anche all'italiano dopo la guerra (il fascismo aveva vietato ogni uso di stranierismi che insidiassero la lingua italica!) con tutta la serie di voci connesse e derivate come autobotte, -cisterna, -gru, ecc. che entrarono pari pari nel milanese... assieme al «camion»! Ambrogio Maria Antonini, esponente di grande spicco tra gli studiosi contemporanei di dialettologia, fine poeta ed autore di parecchie pubblicazioni, è stato il primo estensore di un vocabolario italiano-milanese in cui figurano i moltissimi neologismi che ovviamente non compaiono nei vocabolari milanese-italiano dei quattro più noti autori, editi tutti prima di questo secolo, ristampati e mai aggiornati.
L'Antonini ha il merito di a- damento, radiatori automobili, macchine da caffè; viene inoltre usato opportunamente lavorato per la cosmetica e la parafarmacopea (sali da bagno). bollenti con lenticchie, pasticcio di polenta, mascarpone con noci e tante altre cosette che invogliano all'assaggio. Tra Milano città e suburbio i negozi sono più di cinquecento; v'è da tenere conto che la distribuzione dei prodotti tipici pertinenti al «cervelée» si trovano anche nei reparti appositamente approntati dei supermercati sia per scatolame o salumi preconfezionati e interi sia per quasi tutti i tipi di formaggio, sottaceti e carne di maiale fresca. vere inseriti questi neologismi giovandosi della partenza italiana e del distacco di oltre novant'anni dalla data di pubblicazione dell'ultima opera; commette anche lui il grossolano errore (errare umanum est, lui che è anche un grande avvocato del foro milanese lo sa) di lasciare infatti (!) gli errori e le zeppe dei predecessori ed anche qualche vistoso buco nel riporto di certe voci ancora in uso presso i meneghini, specialmente nelle traduzioni.
La moda dietetica ha incrementata la vendita di sale speciale aromatizzato e del tipo (dicono) che limita l'ipertensione pur mantenendo intatta la sua caratteristica saporifera.
Nelle vecchie dizioni il solfato idrato di magnesio era menzionato «sale inglese» e costituiva un notissimo purgante. Tra le dizioni milanesi troviamo: «Nassùu pover de sàa!» (nato povero di sale!) mordente riferimento alle persone di poco intelletto; «Te see minga quanto costa la sàa». (Non sai quanto costa il sale), motteggio rivolto a chi, avendone, sperpera danaro; per ultimo «EI cognoss el sàa de la salina!» (Conosce il sale della salina!) La salina non è la saliera; in questo caso è il bacino di raccolta del sale ed il riferimento davvero caustico era rivolto a chi aveva trascorso anni di penitenziario dove i detenuti erano addetti alla lavorazione del sale. E evidente il riferimento a penitenziari isolani o posti in località marine; ancora più spregiativo: «El spussa de sàa» (Puzza di sale) oltre che a gente bollata da lunga detenzione veniva accollato a individui nullafacenti e dai dubbi proventi.
Il mestiere occupa una discreta massa di gente, anche considerando i piccoli negozi a conduzione familiare.
A volte il neologismo non è tale, è la pura assimilazione di un vocabolo angloamericano male scritto, peggio interpretato e pacchianamente enunciato; parolieri di canzoni milanesi moderne che ne fanno uso ottengono stucchevoli risultati, anche quando lo fanno apposta, per fare ridere o prendere per il bavero gli stranieri; il milanese è una lingua seria, le trovate idiote l'impoveriscono o la svalutano ne più ne meno del gergo.
L'Antonini, ancora lui, ha avuto la finezza di siglare quei vocaboli di neologismo tecnico e scientifico che di diritto si inseriscono nel milanese; ha selezionato vocaboli che per via del costume, delle arti e mestieri, delle attrezzature d'ogni settore nel lavoro, commercio, abbigliamento, comunicazioni, casa, trasporti e svago entrano prepontentemente nella vita moderna e di cui si è reso obbligatorio il riporto. Le nuove fonti comunicative dell'uomo hanno superato traguardi impensabili soltanto quarant'anni addietro o meno ancora; dopo i giornali, il telefono, la radio, la televisione è arrivato l'elaboratore di dati, il cervello elettronico, il <computer» con i più grandi successi della missilistica, dei satelliti, delle conquiste spaziali; tutto ciò influirà sulla lingua milanese come su tutte le lingue del mondo, ma non sarà una resa, avremo dei neologismi in una lingua sempre viva.
Salumeria, «cervelleria, cervelée»; noto negozio in cui il salumiere commercia al minuto insaccati, formaggi e conserve di ogni tipo; carne di maiale fresca, carne bovina e pesce scatolato e tutta una lunga elencazione di prodotti che vanno dal dado per brodo ai sottaceti.
Recentemente la licenza è stata estesa anche a prodotti di pertinenza di altre categorie così che oggi i «cervelée» possono vendere uova e pollame in concorrenza coi <<poliroeu» (pollivendoli) cosa del resto autorizzata anche per i «becchée» (macellai); innovazioni nel commercio che incuriosiscono se si fa una considerazione: che le uova le vendono anche i fruttivendoli.
Già avevamo accennato alla bottega del «postée», titolare della posteria, dove sono vendute merci alimentari e non, e da classificare tra quelle del «prestinée, fondeghée, cervelée, granée e ortolan» (fornaio, droghiere, salumiere, venditore di granaglie e ortolano; quello del «postée» è il caratteristico vecchio negozio che può in certo senso indicare la progenitura in scala ridotta dell'attuale supermarket.
Al riguardo l'arguzia popolana sottolinea la lunga elencazione di merci reperibili presso la bottega di posteria dicendo: «Se te troeuvet minga i bollon che te cerchet dal ferraressa proeuva dal postée!» (Se non trovi i bulloni che cerchi dal ferramenta prova alla posteria!).
Torniamo ai salumieri (il plurale si scrive ugualmente <<cervelée); ve ne sono di veramente abili nel preparare piatti di alta gastronomia, variati secondo la stagione e così bene decorati da fare invidia a certe torte elaborate e ricamate poste a calamitare gli occhi dei passanti quando sono esposte nelle vetrine del pasticcere (offelée).
D'estate pollo in gelatina con variopinto contorno d'insalata russa oppure trota in gelatina con arabeschi di maionese; d'inverno cotechini cotti
Salumifici e industrie salsa- " mentarie decisamente occupano un numero più elevato di dipendenti, a cui vanno aggiunti rappresentanti e piazzisti; queste industrie operano in funzione di produzione e rifornimento delle salumerie, supermercati e grandi comunità.
Ripetitivo anche se necessario il discorso sui macchinari, imballi e carte speciali legato a questo mestiere; per i negozi è da tenere conto dell'arredo, scaffalature, bilance, affettatrici e... il fisco, cioè il registratore di cassa, giusto per il fatto che mestiere chiama mestiere e per esercitarne uno implicitamente si fanno lavorare altri!
«El cervelée l'è mèij che poca carta el ne metta; la gh'ha el stess prezzi de la filzetta!» (Il salumiere è meglio che ci metta poca carta; ha lo stesso prezzo della filzetta!) così si motteggiava anni addietro e taluno faceva coro alludendo: EI cervelée per quant el gh'abbia i prezzi bon te fa pagà la carta al prezzi del giambon!» (Il salumiere per quanto abbia dei buoni prezzi ti fa pagare la carta al prezzo del prosciutto!). «Savon, savonatt, fabbrica de savon»: sapone, saponaio (voce scomparsa che stava per venditore di sapone) saponificio.
Quando giravano per Milano i venditori ambulanti di scope e strofinacci, candeggina ed altri prodotti per la cucina e il bucato esistevano anche tipiche botteghe dove si vendeva il sapone da bucato d'ogni tipo, soda, lisciva, pomice, paltone e spazzole; queste botteghe erano quasi sempre ubicate nelle vicinanze di fossati di cui Milano era ricchissima o di lavatoi pubblici.
La caratteristica più importante di queste botteghe era quella di avere il torchio, prima a mano, poi elettrico a centrifuga e le lavandaie in maggioranza e pure le massaie che non facevano il bucato in casa vi ricorrevano per la strizzatura dei panni lavati; per questa ragione era chiamata dalla popolana schiera dei suoi clienti torchio. «Se troeuvèmm al torc!» (Ci troviamo al torchio!) era il loro appuntamento. La fabbrica de savon in assoluto produceva anche saponette per toilette e saponi in scaglie profumato per bagno oltre ad altri prodotti (vedasi anche il binomio di alcune d'esse: saponificio-oleificio); ancora oggidì molti saponifici lavorano la glicerina, stearina, detersivi vari, saponi liquidi, in polvere e in pasta; saponi industriali e speciali per lane e sete e tipici piccoli formati per bagni pubblici, alberghi diurni e grandi comunità. Fabbriche diversamente attrezzate producono saponi per erboristeria, dermatologia e saponi per cani. «Savonatt» è anche una voce corrosiva milanese per indicare un incensatore, adulatore, striscione. Credo opportuno indicare ai lettori che la voce «saòn» da molti usata in luogo della più esatta, antica e più vicina all'italiano «savon» è una corruzione dialettale; Francesco Angiolini nel suo vocabolario milanese-italiano 4 inserisce come valida in contrasto con i predecessori compreso l'illustrissimo Carlo Porta; qualcuno osservando l'opera dell'Angiolini, che squalifica molti altri vocaboli milanesi, l'ha de- finito un atto di pirateria dialettale! (Anonimo meneghino) I lettori amanti del milanese si regolino.
«L'è warligh su ona savonetta!» (E scivolato sopra una saponetta!) è un allusivo modo per dire che si è presa una sbandata amorosa ed era ùsato per entrambi i sessi.
«Oè, savonetta!» (Ehi, saponetta!) era un motteggio volto a gente schizzinosa o che ostentava un igienismo spinto all'esasperazione; per contrapposto veniva dileggiato anche chi non era molto ligio alla cura della persona.
Tra i tanti motteggi il più cattivo, rimasto in uso parecchi anni e diretto per lo più a meridionali (nessuno si offenda per carità!) era: -Oé, mangiasavon!» (Ehi, mangiasapone!) inteso che il sapone non lo usavano e la fantasia popolare presuppose che se lo mangiavano!
(Continua)
Nella foto un vecchio lavatoio (ora scomparso) in Via Calatafimi a Milano.