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e si arruola come volontario. Deluso anche dalla guerra, Rubè si invischia in una catena di lancinanti esperienze tutte fallimentari: il matrimonio, una sistemazione lavorativa subito interrotta, una relazione difficile con un’amante francese, Celestina, la quale muore annegata durante una gita in barca sul Lago Maggiore; infine, la sua stessa fine casuale a Bologna, coinvolto accidentalmente in una carica di cavalleria contro una manifestazione operaia e socialista. Rubè è un personaggio senza stella polare. L’insoddisfazione e l’inquietudine sono le uniche sue certezze. Qualche buon proposito subito viene vanificato da una maniacale introspezione corrosiva ed umbratile. Egli insegue “con passione profonda e rovinosa” le cose “inutili e belle”, per dirla col D’Annunzio, alla ricerca, in continuo conflitto con se stesso, di realizzare ambizioni stravaganti ed impossibili. Rubè ha la coscienza di tutto ciò, soffre di allucinazioni, è allergico al vivere normale. È un intellettuale macerato da una permanente ossessiva autointrospezione e lacerato da “un disordine orrendo dell’immaginazione”, al pari di tanti altri personaggi letterari coevi (si pensi a D’Annunzio, a Tozzi, a Svevo, a Pirandello, a Moravia). Si distingue, forse, dagli altri per la lucida coscienza di appartenere ad una intellettualità paranoica, estranea alla Società. Il suo significato non si esaurisce nell’epifania del tipico “eroe decadente”, afflitto dal male incurabile dell’inettitudine al vivere, ma il romanzo presenta radici genetiche più complesse e composite. Rubè riflette anche la coscienza storica di quegli anni così convulsi e spesso destabilizzanti: la grande guerra, la tensione interventistica, le convulsioni del dopoguerra, l’ambiguo diffondersi del fascismo, le lotte operaie e socialiste. È, in termini più precisi, un romanzo storico a tutti gli effetti.

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Con Tempesta nel nulla (1931), invece, chiude tutta un’epoca di sofferenza. Pubblicato alla vigilia della partenza per l’America, come ebbe a definirlo lo stesso Borgese, più che romanzo vero e proprio, è un racconto lungo. Egli, facendo i conti con se stesso, espone in prima persona l’esperienza fisica e allo stesso tempo contemplativa compiuta camminando per i monti dell’Engadina. Anche se alcuni hanno scritto che Tempesta nel nulla testimoni il «grado zero dell’impegno pubblico raggiunto da Borgese in quel periodo»37 o un livello «supremamente antinarrativo»38, è senz’altro un libro che parla oltre il contingente e oltre il dato biografico dell’autore, perché riesce a vedere lontano, a prefigurare un cammino oltre la coltre asfissiante del momento. Un libro che è espressione dell’accostarsi, in «qualche modo», da parte dell’autore, «all’invenzione utopica, intesa come l’ideale disegno del “non luogo”, del paese che “non è”… che tuttavia consente a Borgese … di partecipare più distintamente alla ricerca del “buon luogo, del luogo ideale, secondo un’idea dell’utopia che ci

fornisce lo schema e il criterio per un giudizio che ci porti a indirizzare diversamente gli eventi della vita sociale»39, idea utopica che poi svilupperà più approfonditamente e più compiutamente in America con i suoi scritti politici. Tempesta nel nulla è un’opera di capitale importanza nella vita e nella produzione di Borgese, in quanto prelude e anticipa la sua seconda vita, allorquando con ferma lucidità opporrà il suo rifiuto di pronunciare il giuramento imposto ai professori dal regime fascista. In questo decennio creativo in cui si concentra tutta la produzione di romanziere di Borgese, oltre Rubè e Tempesta nel nulla, Borgese pubblica, infatti, numerosi altri titoli, fra romanzi, novelle, drammi teatrali, prose di viaggio. Innanzitutto, un altro romanzo I vivi e i morti (1923), dove è affrontato lo stesso tema dell’inettitudine e dell’incapacità a compiere la propria vita ma che assume qui i toni mistici ed esoterici propri del protagonista, Eliseo Gaddi, professore e letterato, il quale decide, giunto alla soglia dei quarant’anni, di trasferirsi in un podere di famiglia, in compagnia della madre, per dedicarsi a lavorare la terra. Nulla va però come sperato: Eliseo non è portato per il lavoro agricolo e inoltre la sua decisione lo fa entrare in conflitto con il fratello Michele, che ha sempre fatto l’agricoltore e prova risentimento nei confronti delle velleità di Eliseo. Una sera, i due fratelli hanno un violento litigio. Subito dopo Michele muore accidentalmente. Eliseo entra in una profonda crisi, tormentato dal rimorso e spinto sempre più a interrogarsi sul rapporto tra vivi e morti. Viene così in contatto con Arianna Nassin, una profuga russa conoscitrice di pratiche occulte, della quale si innamora. Durante una seduta spiritica, Eliseo ha però una visione sconvolgente, nella quale si trova di fronte al proprio fantasma. È il culmine dell’angosciosa ricerca: per l’impatto emotivo, Eliseo cade in un profondo stato di malattia, che lo lascia sospeso tra la vita e la morte per più di un mese. La guarigione non sarà mai definitiva ed Eliseo, minato nel fisico, può però accettare con maggior serenità la propria vita, e affrontare con meno angosce l’idea della morte. Una ricerca, questa, quasi una prosecuzione ideale del più famoso Rubé nel quale il dialogo di Filippo Rubé con padre Mariani è di un’intensità incalzante, proprio di chi cerca risposte e non ne ottiene, e che, invece, in queste pagine del suo secondo romanzo, con il protagonista Eliseo Gaddi, Borgese sviluppa ulteriormente sul significato del vivere e del morire e sull’insopprimibile anelito della parte spirituale dell’uomo a liberarsi dalle pastoie del corpo con un’esperienza d’interiorità di fronte al mistero. Poi, continua con tre raccolte di novelle La città sconosciuta (1925), Le belle (1927), Il sole non è tramontato (1929), tutte successivamente confluite nella raccolta Il Pellegrino appassionato (1933). Nella fervida attività creativa

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