Milano in vetrina - Le strade dell'arte

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Le strade

dell’arte


Politecnico di Milano FacoltĂ del Design Laboratorio di Sintesi Finale A.A. 2010/2011

Milano in Vetrina un progetto di Claudia Calderoni, Leonardo Demurtas, Barbara Desiderato, Ambra Farris, Flavia Pellegrinelli Prima edizione Dicembre 2010 Stampato presso copisteria Sef (MI)


«Per la gente che vive nelle cittadine e nei paesi della Lombardia, intorno alla grande città, Milano significa soprattutto il posto di lavoro.» Il posto, Ermanno Olmi, 1961

Milano, città del lavoro. Ieri come oggi. Un centro nevralgico per aspiranti professionisti in mille campi differenti, dalla moda al design, dall’abbigliamento all’arte, dalla gastronomia all’artigianato. Uno strato sociale, quello dei lavoratori, che caratterizza la metropoli e ne definisce l’identità tanto da suggerire al Comune iniziative pubbliche per valorizzare tale ricchezza. Le ”Botteghe Storiche” milanesi sono una fonte inesauribile per alimentare la memoria storica della città, luoghi che hanno vissuto sulle proprie pareti lo scorrere del tempo e risultano perciò

un interessante filtro attraverso cui guardare il territorio. Ogni bottega ha qualcosa da raccontare in merito all’ambiente in cui è vissuta, ai tempi che ha visto scorrere davanti alle sue vetrine e alla gente che ha potuto incontrare. “Milano in vetrina” si propone dunque di rappresentare alcuni spaccati della società milanese attraverso le botteghe storiche, una speciale cartina tornasole per una città sempre più proiettata verso il futuro ma che ancora nasconde, e a volte dimentica, le eccellenze del passato.


nota bene

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Apri la mappa di tutti i percorsi e scegline uno: ogni percorso e uno spaccato di Milano. Le botteghe inserite nel tragitto e le ulteriori tappe (satelliti) nonchĂŠ le strade che attraverserai qualora decidi di effettuare il percorso consigliato, contribuiscono a creare un'immagine della societĂ del tempo in quella specifica area. Qualora tu decida di procedere in maniera autonoma, invece, la guida sarĂ di minor efficacia ma comunque fruibile. 2

Estrai dal cofanetto il libretto relativo a tale percorso: il libretto ti fornirĂ indicazioni pratiche in funzione al tragitto da percorrere e contenuti di anticipazione relativi alle tappe.

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Recati sul punto di inizio indicato nella mappa, portando con te il libretto in questione e il tuo smart-phone. Una volta sul posto accedi all’applicazione “Milano in vetrina” e fatti guidare dalle frecce. Mettiti le cuffie per accedere ai contenuti audio previsti durante il tragitto.

Entra nella bottega, guardati attorno e, se possibile, interagisci col proprietario che avrà sicuramente storie interesanti da raccontarti.

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Quando sarai nel raggio d'azione del punto di interesse, lo smart-phone ti avviserà vibrando e segnalando, tramite realtà aumentata, la presenza di contenuti relativi a quella tappa. 5

Accedi ai contenuti con un semplice click sull'icona. Se non desideri sostare alla tappa in questione, procedi semplicemente lungo il cammino e l'applicazione ti fornirà automaticamente l'audio corrispondente. 6

Una volta giunto davanti all'ingresso delle botteghe, cliccando nuovamente sull'icona che comparirà sul tuo smartphone, partirà un motion inerente alla bottega stessa, al termine del quale sarai direttamente nella modalità “bottega”.

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Sfoglia il libretto relativo a questo percorso: nelle pagine dedicate alla bottega n cui ti trovi noterai delle fotografie con degli oggetti mancanti. 9

La modalità bottega ti suggerisce gli oggetti da “catturare” nel tuo “bagaglio” personale tramite scatto fotografico. Seleziona l'oggetto che vuoi fotografare e accedi automaticamente alle informazioni relative a tale oggetto. 10

Una volta terminata la visita procedi con l'esplorazione del percorso selezionato e raggiungi le tappe successive. In ogni momento, con la modalità “diario”, potrai collezionare foto, video e note personali, che verranno automaticamente mappati sul territorio e potrai accedere a tali contenuti attraverso l'archivio.

Buon viaggio!

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Ogni metropoli ha il suo quartiere degli artisti. Per Milano quel quartiere era Brera, una zona centrale ma popolare e un po’ malfamata, fatta di alberghetti, di prostitute su e giù per via Fiori Chiari e di latterie come il bar Jamaica. Nei bar é infatti nato il quartiere come oggi lo conosciamo, così vivo ed etero-

geneo, grazie agli artisti ed ai personaggi che lo hanno attraversato, nomi famosi accanto a nomi meno famosi, perché Brera non è fatta solo di illustri pittori, di architetti e giornalisti alla moda, Brera è fatta anche di artigiani, di gente comune, e di allievi della vicina Accademia. Attori, registi, pittori e critici volentieri si mischiavano con gli studenti, gli artigiani, la gente di Milano. “Non c’erano divisioni di classi sociali - ha infatti


ricordato Enrico Baj - allora il quartiere di Brera era un luogo molto popolare, un quartiere intensamente vissuto da tutti, giorno e notte”. Ora forse è difficile immaginarsi questo passato, le trasformazioni degli ultimi quarant’anni hanno mutato radicalmente Brera ed i suoi caffè, lasciando un pò andare quell’atmosfera, a metà fra il bistrot parigino e l’osteria, che caratterizzava i locali della zona. Brera è oggi un quartiere famoso

per lo stile raffinato, soprattutto per i negozi di antiquariato e per il mercatino che si tiene ogni terza domenica del mese in via Fiori Chiari. Brera è tradizione, ma oggi è anche luogo di shopping esclusivo, di negozi dal puro fascino “milanese”, botteghe di curiosità e vintage, bar, ristoranti e locali che non si dimenticano: il quartiere vive di un ritmo proprio, è un animale in letargo in quel formicaio che è Milano.

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Mercatino ll’a de ntiquariato

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Casa-studio di P. Manzoni


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Bar Jamaica

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Pinacoteca e Accademia


“Milano in vetrina” vi invita ad osservare con occhi nuovi angoli del noto quartiere di Brera. Una Milano degli anni ‘50, ricordata nella celeberrima descrizione di Luciano Bianciardi nei primi capitoli del suo romanzo “La vita agra”. L’autore abitava in una stanza sopra il bar Jamaica, dove tra artisti squattrinati e arte da marciapiede nacque il suo capolavoro. Ma nacquero anche i capolavori di tanti altri. Molti erano infatti gli artisti che sceglievano Brera come sede per i propri laboratori, e altrettanti vi rimanevano dopo gli anni in Accademia. Il quartiere è divenuto così ritrovo per la Milano dell’arte, con vie che ancora oggi vi raccontano di quel fermento culturale che rese Brera il quartiere bohémien invidiato da Parigi.

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Fondato a Milano nel 1947 da Paolo Grassi e Giorgio Strehler, il Piccolo Teatro è il primo esempio di organizzazione stabile della scena in Italia. Nasce per volere di due giovani di poco più di vent’anni, uniti da un’amicizia adolescenziale cementata da un identico amore per il teatro e da comuni scelte sociali, politiche ed estetiche, usciti da poco dalla tragica esperienza della guerra e del fascismo, due artisti che si sono incrociati proprio lì, per le strade di Brera. Il Piccolo ha uno spirito democratico, e si propone, fin dall’inizio, come un teatro d’arte per tutti con un repertorio vario, internazionale si, ma allo stesso tempo molto legato alle proprie radici milanesi e breriane, come è esplicitato nel manifesto che ne suggella la nascita.

Via Mercato, Brera, storico centro di Milano. Il Resentin negli Anni 60-70, quando ancora si chiamava caffè Gabriele, era il locale degli artisti. Poi la trasformazione: la Milano degli artisti lascia il posto alla Milano da bere e il Resentin viene forse dimenticato. Oggi una ristrutturazione, senza eccessive alterazioni, riporta in luce le atmosfere dell’antica locanda di fine Ottocento. Restano i tavoli, i quadri, il parquet, la grande bottigliera fatta di specchi. Restano le liste storiche delle grappe e restano le molte foto dei personaggi che frequentavano il locale.

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Via Fiori Chiari è una delle poche strade di Milano sempre vive, di giorno e di notte, feriali e festivi. Ma è la terza domenica di ogni mese che rivela tutta la sua anima. Da vent’anni gallerie e negozi esclusivi abbassano le saracinesche e lasciano il posto alle bancarelle di un mercato dell’antiquariato di alto livello. Un multiplo di Schifano a meno di mille euro, un tappeto persiano autentico, gioielli antichi, foto d’autore, artigianato orientale e cimeli di guerra si affollano in poche centinaia di metri: i pezzi importanti seguono le quotazioni di mercato, ma per quelli appena più comuni bastano poche decine di euro. Insomma, i mercanti di Brera sono tra i più disponibili e competenti. E a chi non vuole spendere resta lo spettacolo per gli occhi di un mercato sofisticato ma non snob, pulito e ordinato quanto basta, arricchito da mostre e manifestazioni collaterali, artisti di strada e caffè e ristoranti aperti, quasi tutti con dehors.

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A Brera puoi incontrare perfino un calciatore esperto d’arte moderna. Parigino da tre generazioni, è qui che Jonathan Zebina ha aperto la sua galleria, al numero 16. Prima di essere ricordato per ospitare la prima galleria d’arte aperta da un calciatore, quel palazzo è stato casa e studio di Piero Manzoni. Milanese d’adozione, il più importante artista concettuale italiano ha lavorato a Brera, nel cuore di un quartiere che pulsa arte e curiosità. Al bar Jamaica l’artista ritroverà una vecchia amicizia nata durante le vacanze liguri: Lucio Fontana e Piero Manzoni sono tra i più affezionati clienti del bar.


Sorto sul luogo di un convento dell’ordine degli Umiliati, il palazzo passò ai Gesuiti e successivamente ricevette un nuovo assetto istituzionale in cui, accanto all’Osservatorio Astronomico e alla Biblioteca già fondata precedentemente vennero aggiunti l’Orto Botanico, l’Accademia di Belle Arti e la Pinacoteca. Mentre il celebre architetto Giuseppe Piermarini curava quindi il completamento dell’edificio, l’Accademia iniziava così ad assolvere la sua funzione, secondo i piani dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, di sottrarre l’insegnamento delle Belle Arti ad artigiani e artisti privati sottoponendolo invece “alla pubblica sorveglianza ed al pubblico giudizio”. Mentre la raccolta di opere esemplari, destinate alla formazione degli studenti, per volontà di Napoleone si trasformò in un museo.

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via Brera, 32 tel. 02 876723 bar sempre aperto ristorante aperto Gio-Ven-Sab

nota bene osserva

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disponibilitĂ

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anno apertura


Passare la sera nell’ultimo tratto di Brera, quello proibito al traffico, é come andare a Saint-Germain dal lato dei caffè storici. Di Storico c’é il Jamaica. Entrato ormai nella leggenda meneghina, il Jamaica é il capostipite dei molti locali breriani. Potrebbero bastare le parole di Emilio Tadini per raccontare il contesto di quegli anni: “La cosa straordinaria del Jamaica era che si trasformava sempre più in una bellissima macchina dell’amicizia”. Il nome lo si deve al musicologo Giulio Confalonieri che, ispirandosi a un film inglese del ‘39, “Jamaica Inn” o meglio “La taverna della jamaica” per la regia di Alfred Hitchcock, pensava fosse un nome adatto a contrapporsi alle grigie giornate milanesi. Questa vecchia latteria dai muri di piastrelle bianche con il giardinetto pieno di tavolini sgangherati ed il lungo banco di legno, era frequentata da una composita popolazione fatta di pittori squattrinati, giornalisti alle prime armi, studenti dell’Accademia, artigiani, musicisti e poeti. In quegli anni, erano tanti i giovani che si erano messi in testa di fare i pittori, gli scrittori, i cineasti, i giornalisti: molti di loro ancora oggi non dimenticano l’aiuto ricevuto da quel gruppo di menti che viveva tra il giardino e l’interno del Jamaica, sempre strapieno di gente e di fumo nelle serate lunghissime, fino a notte inoltrata. “Elio Mainini, il primo gestore - ha scritto Lina Sotis - generoso e irascibile, è stato uno

dei grandi protagonisti di Brera”. Assieme a lui “mamma Lina”, padrona di casa che spesso a mezzanotte si piazzava ai fornelli e cucinava una pasta e fagioli per tutti. Al Jamaica hanno lavorato, sognato e consumato il loro tempo alcuni dei maestri della Milano dell’arte, hanno dipinto, insegnato, bevuto e dormito bohémiens e non bohémiens e il passaggio del loro genio, a volte molto, a volte poco sregolato, è ben visibile negli interni del locale, ancora carichi di quell’aria che profuma di arte e cultura. Oggi la famiglia ha organizzato nel locale al piano superiore una mostra fotografica intitolata proprio “Jamaica – Il caffè degli artisti visto attraverso l’obiettivo dei suoi fotografi”.

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nota bene scopri

cattura

La storia del Jamaica ebbe inizio con la sua fondazione nel 1911, come testimoniano le sue pareti.

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piano terra

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Al piano di sopra, riservato al ristorante, è presente una mostra fotografica per i piÚ nostalgici e per i piÚ curiosi.

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primo piano

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Fotografie del bar Jamaica dal punto di vista dei fotoreporter che ne hanno fatto la storia.

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appunti

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