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di Angelo D’Onofrio, psicanalista
Salute e stili di vita
Angelo D’Onofrio, psicologo e psicoterapeuta di formazione ed orientamento psicoanalitico. Già docente di Psicologia dinamica presso il Centro Ricerche Biopsichiche di Padova e coordinatore della sezione veronese “G. Guantieri” della Società Italiana di Medicina Psicosomatica dal 2014 al 2016, ha pubblicato diversi libri ed articoli su varie riviste.
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Né Covid né guerra possono impedire il ciclo naturale delle stagioni. Anche in un tempo di precarietà e spaesamento torna, come ogni anno, l’estate col suo carico di speranze e con la sua avidità di vita. Parlare dell’estate è anche percorrere i sotterranei del passato, il corridoio dei ricordi,
ai quali dare udienza, tornare a storie che il tempo ha inevitabilmente reciso o allentato. Per chi ha superato una certa età si ritorna con la memoria alle estati dell’infanzia o dell’adolescenza, quando la vacanza durava diversi mesi. Un tempo “altro”, remoto, ma, per entrare nella casa del Tempo, occorre pazienza. La lente della nostalgia rende tutto più intenso e vivido. Per me, che abitavo a San Benedetto del Tronto, l’estate voleva dire mare, sole e spiaggia dalla fine della scuola fino alla sua ripresa. Voleva, però, anche dire conoscenze, nuove amicizie e, soprattutto, la possibilità di leggere liberamente i miei autori preferiti, senza le letture imposte dalla scuola. Ecco vorrei che tante persone imparassero l’arte delle letture, quelle che a ciascuno piacciono. Mentre si legge si impara che si può vivere in tanti modi, si ascoltano voci diverse. Con il libro aperto davanti, disteso sulla sdraio sotto l’ombrellone, mischiavo i personaggi dei libri e i loro sentimenti alla schiera dei personaggi del mio mondo interiore. Durante la lettura la molteplicità del nostro Io si sveglia e la nostra anima diventa tutt’uno con quella dell’autore, che tesse abilmente la sua tela, dove parcheggia sentimenti ed emozioni, come un ragno impazzito per imprigionarci, e dei suoi personaggi. E questi ultimi sono ospiti da accogliere in casa, sono stranieri alla ricerca di una patria o, se volete, di tante patrie quante sono le case dei lettori. Una stanza piena di libri è una stanza piena di vita perché contiene molteplici sguardi. A volte, quando ero ragazzo, ma ancora oggi succede, mentre leggo, alzo gli occhi dalla pagina e mi chiedo cosa abbia a che fare ciò che leggo con la vita vera. Talora mi sono sentito “dentro la storia”: ero lì, faccia a faccia con i personaggi, provavo a suggerire il mio pensiero, sperando che l’altro mi ascoltasse. A volte, invece, avevo la sensazione che proprio loro, i personaggi, non si accorgessero di me, della mia invisibile presenza e allora restavo deluso e mi facevo da parte. Avrei voluto essere come un dio greco capace di intervenire, di indirizzare vicende e personaggi secondo il mio volere, ma ero solo un lettore, uno dei tanti, che si mettono in viaggio con i personaggi del libro, si lasciano trascinare dalla corrente del racconto, dai suoi suoni, dai suoi colori, e, quando il racconto finisce, ci accomiatiamo da loro per
Sognando Proust (alla ricerca del tempo… vissuto) di Angelo D’Onofrio
Salute e stili di vita
tornare nel nostro quotidiano, ma ricchi di nuove esperienze, di nuovi pensieri. Letta l’ultima pagina, il racconto è concluso, la vicenda dei personaggi finisce e di loro non sapremo più nulla. Essi resteranno prigionieri del libro, ma pronti a replicare la loro storia, quando qualcun altro ripartirà dalla prima pagina. Quante repliche in tutto il mondo? Chi lo sa? Loro, i personaggi del libro, non moriranno mai, almeno fino a quando ci sarà qualcuno che preleverà il libro da una biblioteca o da una libreria e comincerà a leggere per la prima, seconda, cinquantesima, millesima o milionesima volta quella storia. Sì, i libri mi facevano compagnia sotto l’ombrellone tra una partita di calcio con gli amici e un tuffo in acqua per vivere la libertà dell’estate, per ascoltare le canzoni del juke box con 50 o 100 lire insieme alle ragazze dello chalet. Eppoi, mettersi al sole per asciugarsi prima di andare al bar per un gelato. Estati semplici come potevano essere quelle degli anni ‘50 e ‘60. L’appuntamento era sempre sulla spiaggia, dove si svolgeva la vita del gruppo, dove ci si confidava, si aprivano le porte segrete agli affetti, si raccontavano i problemi di ognuno, le felicità, le intermittenze del cuore, gli ingombri esistenziali, e, attraverso il confronto con gli amici, si impara che nella vita, se si riflette, o si riesce in qualcosa o si impara se non va bene, ma non si perde mai. È questo il bello della vita e delle sue chances! Tutti facevamo i conti con le aspettative dei genitori: come Icaro tutti avevamo indossato le ali di Dedalo, dalle quali dipendevano altezza e sicurezza del volo. La vera narrativa dell’esistenza è diventare adulti e, per farlo, occorre tradire sempre la propria infanzia ed adolescenza per diventare più grandi, per far crescere il percorso di libertà. Sempre con leggerezza. La leggerezza mi fa venire in mente il mito di Perseo e di Medusa: per uccidere Medusa, l’eroe greco usa sandali alati per poggiarsi sulle nuvole: solo così è possibile tagliare la testa alla medusa, colei che trasforma tutto in pietra, sinonimo di pesantezza, immobilità e morte. Al mare c’era sempre e solo leggerezza. Com’era bello il mare allora! Pulito, trasparente, piacevole. Appena si arrivava sotto l’ombrellone il primo sguardo era rivolto al mare, per capire se era tranquillo o mosso, perché l’uno o l’altro modo avrebbero consentito possibilità diverse di divertimento. L’estate ci permetteva di conoscere ragazzi che venivano da altre parti d’Italia ed anche dall’estero, soprattutto dalla Germania. Era l’occasione per conoscere nuovi modi di pensare e vivere, anche se poi scoprivi che i sogni e i desideri erano gli stessi, quelli di qualunque adolescente. Condividere, non sentirsi soli, aiuta. Corse sulla spiaggia, tuffi in mare, giochi col pallone, primi timidi sguardi con l’altro sesso da parte di alcuni, mentre altri potevano già raccontare storie. Si stava bene insieme: si parlava del futuro, dei progetti, dei sogni e di tanto altro. Un po’ come il percorso di un fiume che via via si arricchisce di diversi affluenti prima di immettersi nel mare. Poi c’erano i momenti personali: il rito della lettura. Leggere è un mestiere che richiede tempo, esercizio e disponibilità. Mi è sempre piaciuto pensare che sotto la scrittura più recente si nasconda un testo più antico e infinitamente più prezioso, una sorta di palinsesto che ci porta dentro al cuore dello scrittore. È come ricercare un fiume carsico che scorre sotto. Per qualcuno il tempo per leggere è un tempo rubato: a chi? A cosa? Alla vita? No, tutt’altro: è un tempo vissuto, è stare dentro la vita, assaporarla, fermarsi a guardarla dentro. Leggere consente di viaggiare all’interno di una storia per trovarne altre che erano nascoste nella prima perché il libro è come una matrioska: una storia dentro un’altra. È come l’essere umano: in ognuno c’è il bambino, l’adolescente, il giovane… Come si sta bene in mezzo alle persone quando leggono. Sono dentro i libri. Qualche volta si muovono fra un foglio e l’altro,
Salute e stili di vita
come uomini che si voltano nel sonno, fra un sogno e l’altro, scrive il poeta Rilke. Perché scrive un autore? Forse per dimostrare che, scrivendo, è capace di creare più possibilità di quante ne offre la vita e che la fantasia umana risulta più multiforme della vita. Può essere questa una chiave di lettura? La vita, del resto, conosce poche strade, quelle che percorre sempre. Lo scrittore, invece, può inventarne mille e più di mille. Dalla malattia di leggere sono passato a quella dello scrivere. È vero: scrivo libri di argomento psicologico; non mi sono mai cimentato nella stesura di un romanzo, anche se nei miei libri racconto storie di esseri umani e provo a trovare l’equilibrio tra l’essere psicoanalista e l’essere narratore. Se è bello leggere, è altrettanto bello scrivere. Si parte da una premessa e poi davanti ci sono tante rotte da percorrere: si può scegliere il mare, l’equipaggio, il viaggio, i viaggiatori. Tutto e tutti possono entrare nella stanza segreta dello scrittore, nella sua biblioteca interna dove c’è ciò che lui ha letto, digerito e che, col tempo, è diventato il “suo sangue”, cioè parte di lui. Grazie agli autori dei libri che ho letto. A loro devo moltissimo. Attraverso le loro pagine ho portato alla luce emozioni sommerse, ho giocato con i personaggi e in molti libri sono rimasto “imprigionato”, ma ho imparato a pensare, a guardare il mondo con occhi diversi. Ho imparato a disegnare possibili mappe di navigazione nella vita, capaci di avvistare e trasformare le tempeste, delineare le correnti, i passaggi pericolosi, scorgere qualche approdo, ma soprattutto far pace con se stessi nei momenti difficili senza sconti, senza bisogno di raccontarsela. Il tempo non lo si butta, ma lo si vive con le risorse che si hanno in quel momento. Per questo è sempre un tempo vissuto. Faccio mio il pensiero di Borges: che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; io sono orgoglioso di quello che ho letto. Leggete più libri. I libri fanno bene in quanto essi sono universi immaginari, sono un modo interiore che ci aiuta e salva dalla desolazione della realtà e ci consente di evitare eventuali naufragi. Eppoi, perché le parole sanno sempre dove andare. Occorre combattere la deriva mentale e culturale dei nostri tempi. Sì, proprio sognando Proust e la sua ricerca del tempo perduto. Noi proviamo a fare i conti col tempo passato e quello ancora da vivere. Buone vacanze e soprattutto buona lettura. ●