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Il pellegrino

di Matteo Balsamo

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Mi aggiro per un museo: non presenta i contorni ben definiti ma tutto è ondulante e mi sembra di star camminando su un tappeto di gomma. Avverto caldo, un caldo che mi offusca la mente e perdo la cognizione del tempo, avendo come riferimento solo questo stranissimo spazio scricchiolante pavimentato in legno. I palmi delle mani sono imperlati di sudore. Barcollo, e cerco di distinguere delle figure su un muro. Serro gli occhi per vedere meglio. Non mi ricordavo di essere diventato miope. Tre figure col cappello sembrano guardarmi, ma non attraverso gli occhi. Sto diventando pazzo, penso, e nel frattempo mi asciugo la fronte. Mi avvicino a una di esse. Confermo la mia ipotesi precedente: sto sicuramente diventando pazzo. La figura ha il viso spostato dal collo, a sinistra, mentre il cappello e il vestito (giacca, camicia e cravatta) si reggono da soli, per una sconosciuta legge della gravità. A indossare questo vestito e cappello è il nulla. Ma che cosa significa tutto questo? Quale inquietudine estrema mi pervada, non so spiegarlo a parole. Gli occhi della “testa spostata” sono vitrei, immobili; l’espressività assente, l’espressione è quella di una maschera di cera. Dietro, uno sfondo azzurro con striature più o meno visibili di rosa antico. La figura non emette suono, ma c’è solo un silenzio pesantissimo, profondo, che parla certo di più. Per un attimo è come se ritornasse in me la lucidità (ma durerà poco). Penso e ripenso e cerco di riavvolgere i fili della memoria: dove ho visto una figura simile? Dopo un attimo di esitazione, ecco il lampo: sul mio libro di storia dell’arte. L’opera aveva un autore, un titolo, una data e un genere: René Magritte, Il pellegrino, 1966, Surrealismo. Quando guardai per la prima volta quest’opera, però, non ero sgomento. Capii cosa volesse dire l’autore, ma non avevo benché minima idea di cosa volesse significare viverla. Ora mi ritrovo in quella condizione. “Come un personaggio di Pirandello”, penso, “che ha perduto il volto e l’identità”. Mi sento all’improvviso Vitangelo Moscarda di “Uno, nessuno e centomila”. Credevo di essere uno, integro e uguale, ma davanti a questo specchio della verità capisco di essere nessuno. Girano nella mia testa queste parole del libro:

Mi si fissò invece il pensiero ch'io non ero per gli altri quelche finora, dentro di me, m'ero figurato d'essere.

Mi tocco il volto e lo sento freddo e duro. Non avverto più la percezione dei polpastrelli che sfiorano la pelle delle guance. Piango, ma le lacrime sono imprigionate da un blocco più grande. Le mie emozioni sono coperte da una rigida maschera, che poco prima non avevo.

Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m'avevano data; cioé vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io non essendo io propriamente nessuno per me: tanti Moscarda quanti essi erano.

Mi giro sulla sinistra e un uomo attempato mi guarda bonariamente, sorridendomi. Vorrei rispondere che non sono felice; vorrei mostrargli il tormento che ho dentro, ma tutto, tutto è coperto da questa maschera metallica e fredda. E’ una maschera che sorride. Eccolo qui, l’ultimo personaggio di Pirandello. Centomila. Il signore attempato mi crede sereno e felice e allora io cerco di accontentarlo (devo farlo!), e alla fin fine mi convinco anche io di essere felice, e annullo me stesso. Lo faccio per alcuni minuti, ma ahimé non resisto più. Sto per soffocare. Mi giro a destra, sperando in una comprensione, e c’è una donna anziana che mi guarda. Immobile, parla solo con gli occhi.

Stringe la mano a una bambina (forse sarà sua nipote), che mi guarda intensamente. Credo che lei abbia capito tutto. Lo vedo dal modo in cui mi guarda: sa leggermi dentro. Mi dimeno, salto, urlo per sprigionare il mio malessere. La nonna ride divertita, credendo sia un pagliaccio, o un’attrazione da circo. La bambina mi guarda fisso con i suoi occhi neri e non batte ciglio. Lievemente, sussurra una frase: “salva te stesso”. All’improvviso, tutto diventa nero. Avverto freddo alle mani. Apro gli occhi. Per fortuna era solo un brutto sogno.

Sono un uomo velato a me stesso, soltanto Dio sa il mio vero nome.

- Jorge Luis Borges

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