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I sogni segreti di Walter Mitty

di Alessandra De Varti

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“E per essere chiari questo non è un film da ‘oh, quanto mi sento bene’. Se siete di quegli idioti che devono sentirsi bene, be', fatevi fare un massaggio ai piedi.”

Così recita il monologo iniziale di “Basta che funzioni”, di Woody Allen. E’ secco, una pistolettata dritta al cuore, basta coi buoni sentimenti e i finali avvolti in carta da caramella, ora facciamo i seri, ora ci prendiamo sul serio e guardiamo un film col muso lungo, con i grugni duri come fossimo in guerra, con le braccia incrociate e il primo che disturba durante la visione del film lo cacciamo via a calci. Perché noi vediamo il Cinema con la “c” maiuscola, duro e crudo, per uomini e donne di un certo spessore intellettuale. E invece rilassatevi, addolcite quel broncio e già che ci siete preparatevi una cioccolata calda, oggi ci guardiamo un film comodo, leggero, di quelli da vedere sdraiati.

Ogni tanto ci vuole anche questo nella vita. Perdonaci per i nostri peccati, Woody, ma anche noi gente di cultura a volte torniamo stanchi a casa il sabato sera.

Sapete cos’è un Walter Mitty? Sì, esatto, non “chi è”, ma proprio “cos’è”. Secondo l’Oxford English Dictionary, si tratta di “una persona comune e non avventurosa che cerca rifugio dalla realtà tramite i sogni ad occhi aperti”. Walter Mitty nasce come il protagonista di un racconto di James Thurber, giornalista e fumettista del New Yorker intorno agli anni ’40. La storia di Walter Mitty acquista la sua fama grazie a una trasposizione cinematografica del 1947, “Sogni proibiti”, un noir con qualche tocco di commedia che all’epoca riscosse un certo successo di pubblico e di critica, ma fu disdegnato da Thurber (come in un altro famoso caso nella storia del cinema, e anche lì si mormorava che, ad esser sinceri, non fosse il film a dover invidiare qualcosa al libro).

Nel 1994, il figlio del produttore originale di “Sogni proibiti” propone di realizzare un secondo film basato sulla storia di Walter Mitty, apportando sostanziali cambiamenti rispetto al libro e alla prima pellicola. Dopo diciannove anni di tira e molla per assicurarsi quell’attore o quello sceneggiatore, nel 2013 esce nelle sale cinematografiche mondiali “I sogni segreti di Walter Mitty”, in originale “The secret life of Walter Mitty”, che rende molto di più il senso della pellicola e mi riconduce sconsolata alla vexata quaestio “ma perché quando traduciamo in italiano i titoli dei film dobbiamo sempre cambiare qualcosa?”.

Ora che abbiamo sbrigato le formalità, di cosa parla “I sogni segreti di Walter Mitty”? Ben Stiller, il nostro protagonista, veste i panni del classico, triste impiegato d’azienda, timido e innamorato perdutamente della sua nuova collega di ufficio, con poche chance di conquistarla, se non sperare che lei accetti la sua richiesta di amicizia su un sito di incontri. Sembra di essere in una commedia romantica di terza categoria, ma ad un tratto il mondo di Walter Mitty prende una piega inaspettata. Allo scoppiare di un incendio in un palazzo vicino, Walter si lancia da un ponte per entrare nel palazzo attraverso una finestra, ne esce illeso, con in braccio il cagnolino che ha portato in salvo dall’incidente e che guarda caso appartiene alla collega di cui è invaghito. Vi posso assicurare che avete letto bene, non c’è bisogno di andare a riguardare le righe precedenti sperando di trovarne il senso logico. I sogni non hanno bisogno di senso logico. Walter Mitty è un sognatore ad occhi aperti. Mentre la vita, noiosa, grigia, ordinaria, gli scorre davanti, la sua mente ne crea una parallela, in cui lui è sempre lo straordinario e carismatico eroe della situazione. Walter si incanta a fissare nel vuoto e, rapito dalle visioni della sua vita immaginaria, perde i treni e i discorsi di quelli che gli vivono intorno.

Dopo un tuffo nella fantasia del protagonista, la trama riprende a scorrere con un altro clichè: la rivista per cui lavora Walter è stata appena assorbita da una grande azienda. Il nuovo capo- un Adam Scott che ce la metta tutta per fare un’imitazione più meschina di Micheal Scott di The Office- deve tagliare delle teste e già ci aspettiamo di vedere come Walter Mitty, comune impiegato, riuscirà a salvare il suo posto di lavoro grazie alla sua brillante fantasia e creatività, ma la storia prende un’altra direzione. Il film è ambientato nel 2013, in cui la parola “digitalizzazione” veniva guardata ancora con sospetto e i personaggi del film si riferiscono al pubblicare una rivista online come al “passare al .com”. Roba da “ok, boomer”. Il fatto è che, prima dei licenziamenti, tutti gli impiegati lavoreranno per pubblicare l’ultimo numero cartaceo di “LIFE”, nome della testata. Sulla copertina, secondo le istruzioni di Sean O'Connell, celeberrimo fotografo irrintracciabile, a metà fra un santone e un vagabondo eremita, figurerà lo scatto numero 25, quello che O’Connell definisce “la quintessenza della vita”, di Life. L’ho detto che “Sogni proibiti” era un noir, vero? Ecco, dunque, il nostro mistero: il negativo della foto numero 25 è mancante. Ed essendo Walter il manager dell’archivio dei negativi delle fotografie della rivista, questo è un suo problema. Un suo grosso problema, se teniamo a mente che è tempo di licenziamenti. Nel suo studio non c’è, nella busta in cui è stato inviato il rullino non c’è, tocca fare una follia: andare a cercare O’Connell, ovunque sia sperso nel mondo, per ritrovare quella fotografia. E stavolta non è un sogno ad occhi aperti. Il motto della rivista fa capolino in più di una sequenza, deridendo, poi ispirando Walter Mitty, fino a diventare l’effettiva descrizione del suo viaggio: “To see the world, things dangerous to come to, to see behind walls, to draw closer, to find eachother and to feel. That is the purpose of LIFE” (ovvero: "vedere il mondo, cose pericolose da raggiungere, guardare oltre i muri, avvicinarsi, trovarsi l'un l'altro e sentirsi, questo è lo scopo della vita"), che la si intenda come vita o come giornale. A conti fatti, è un on the road. Gli americani sono convinti di averci insegnato che la vita è un viaggio, magari in macchina sulla sessantaseiesima, ma in realtà lo sapeva già Ulisse; noi lasciamo pure ai nostri compagni d’oltreoceano questa convinzione, è una delle poche cose di cui possono vantarsi. E se ogni viaggio è l’Odissea ed è sempre un viaggio dell’anima, resta da capire come incastrare quei momenti di fissità o “incantamento”, come viene definito nel film, di Walter. Walter Mitty non è incastrato in una realtà opprimente alla “Il treno ha fischiato”, né teme costantemente di sbagliare dicendo una parola di troppo e preferendo dunque il silenzio. Walter Mitty è profondamente inappagato dalla sua vita e, invece di sfogare la sua frustrazione sul mondo, se ne allontana, vola via sulle note di “Space Oddity”, Major Tom non risponde a Base Terra. E’ semplice sognare ad occhi aperti: chi non lo ha mai fatto? Pensare alla frecciatina perfetta per avere l’ultima parola in una discussione, immaginare di riuscire un giorno a conquistare gli obiettivi di una vita o di stare su un palco a ritirare una prestigiosa onorificenza; tutti noi ci intratteniamo con delle fantasie senza capo né coda, ma Walter vive nella sua testa più di quanto non faccia sulla terra, tanto da perdere il senso di vivere nella sua vita. Perché fare qualcosa di straordinario quando è sufficiente immaginarlo per essere appagati? E’ lo stesso problema di cui si discute da anni riguardo alla realtà virtuale: una vita immaginaria più potente di quella reale. Walter Mitty evita la realtà, la scansa, ritorna in sé solo per le mansioni essenziali. Se vi sembra una pazzia, pensate che c’è gente che ha fatto del proprio lavoro il fabbricare storie. Non molti mesi fa, Woody Allen rilasciava un’intervista a Walter Veltroni, dichiarando: “Ho trascorso la mia vita ad evitare la realtà e voglio continuare ad evitarla. Non mi piace, non mi è mai piaciuta. Il mio mondo è migliore di quello vero. Non è così brutale e terribile.” E’ un ragionamento pericoloso, che figura con prepotenza in questo film, mentre era utilizzato soltanto come un meccanismo narrativo tanto nel racconto originale che in “Sogni proibiti”.

Qui non c’è un morboso attaccamento al passato o un monito a guardare con speranza al futuro, Walter Mitty è la storia di un uomo che non può più scappare dalla sua vita, e la vitaè sempre al presente, è quello che succede qui e ora, e continua a succedere, anche quando lo ignori, anche quando fingi di stare in un altro posto, la vita è lì e non si ferma per te. “I sogni segreti di Walter Mitty” ha il merito di portare in scena un concept straordinario, di una brutale onestà, ci attacca intimamente, fruga nella nostra testa, mostra al mondo quello che abbiamo sempre tenuto per noi. Con delle premesse del genere, viene da chiedersi dove siano i riconoscimenti, le recensioni brillanti dei critici, gli Oscar e i David di Donatello. Mettiamola in questo modo: il concept è l’idea platonica de “I sogni segreti di Walter Mitty”, la realizzazione è il suo corrispettivo nella realtà. Ergo, esattamente come per Walter, il film immaginato dai creatori è di gran lunga superiore a quello che hanno realizzato. La regia presenta delle buone intuizioni, la fotografia è di alto livello, la sceneggiatura lascia stranamente a desiderare. E dico stranamente perché, dietro il copione di questo film, altri non si nasconde che Steven Conrad, lo stesso che sette anni prima ci aveva fatto piangere con “La ricerca della felicità” e quattro anni dopo avrebbe ottenuto lo stesso effetto con “Wonder”. Nonostante il film si proponga come una pellicola introspettiva, ci vengono infilati dentro a forza cinque o sei momenti “comici” –roba alla Boldi e De Sica - senza un apparente motivo, se non quello di riattivare l’attenzione dello spettatore medio, che, a meno che non venga convinto di star guardando una commedia, scambierà qualunque pellicola per “La corazzata Potëmkin”, con conseguente commento fantozziano. Un tocco di commedia, un pizzico di love story davvero non necessario ed ecco che un film dal grande potenziale rende molto meno di quanto avrebbe potuto, pur restando una pellicola notevole nel mare di prodotti cinematografici che non meritano neanche una ciambella di salvataggio.

Perché vale la pena di guardare “I sogni segreti di Walter Mitty”? Perchè tutti noi siamo un po’ Walter Mitty, quando cerchiamo nella fantasia il riscatto da un presente grigio e che ci lascia insoddisfatti. Walter ci insegna che, alla fine, l’unico tassello mancante nella nostra vita siamo noi, siamo noi lo scatto numero 25, e il nostro presente è l’unica dimensione temporale in cui possiamo agire. Il presente è come la cera di una candela accesa, è morbida, docile. Certo è calda, e si rischia di scottarsi, ma, se si lascia passare l’attimo, la candela si spegne e torna un rigido blocco su cui si possono scolpire le memorie del passato, ma non modellare gli attimi del nostro presente.

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