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UN’OMELETTE AI FUNGHI E LA SOTTILE LINEA TRA LA VITA E LA MORTE

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Pani Ca' Meusa

Pani Ca' Meusa

Di Sara Picariello

Qualcuno ha detto che c’è un filo invisibile che lega ogni cosa, che ci lega ad un oggetto, ad una situazione, ad una passione e soprattutto ad una persona. Un filo che guida i nostri movimenti fino al raggiungimento dell’estremità opposta. È quello che comunemente viene chiamato destino. Secondo una famosissima leggenda giapponese ogni persona porta, fin dalla nascita, un filo rosso al mignolo della mano sinistra che lo lega indissolubilmente alla propria anima gemella. Il filo è lunghissimo e indistruttibile, e per quanto possa annodarsi o attorcigliarsi, prima o poi le due anime gemelle si incontreranno e vivranno insieme per sempre. Proprio il destino farà incontrare Reynolds Woodcock e Alma Elson, protagonisti de Il filo nascosto, l’ultimo film di Paul Thomas Anderson, candidato a sei premi Oscar nel 2018, dei quali ha ottenuto solo quello per i migliori costumi. Un filo tiene insieme le loro singolari anime e ha reso affini i loro spiriti, un filo non rosso, ma forse color borgogna, un colore che ritornerà più volte, nei vestiti, nei calzini di Reynolds, sulla sua macchina, sulle tende e persino sulle guance di Alma, quando per la prima volta i loro sguardi si incrociano. Per quanto tutto questo possa sembrare romantico, c’è ben poco di sentimentale nel film di Anderson, e ben presto il già complesso e a tratti “inquietante” rapporto tra i due personaggi, si trasformerà in un sottile gioco di forza e sottomissione, in una guerra per il potere, la cui arma sarà proprio il cibo.

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Reynolds Woodcock (Daniel Day-Lewis) è un noto stilista inglese, un uomo egocentrico e raffinato, la cui figura è forse ispirata a quella di un noto sarto spagnolo Ristòbal Balenciaga. Vive da perfetto esteta, cultore delle cose belle ed in particolare della bellezza femminile, nella Londra borghese degli anni ’50, incarnandone perfettamente gli ideali di eleganza formale e di prestigio. La sua esistenza procede solo in vista della realizzazione del prossimo abito. Tra orli, merletti e stoffe preziose, l’ideazione e la creazione sono un rito quasi ossessivo, che inizia alle prime ore del mattino, durante la colazione, mentre sorseggia del Lampsang, un pregiato tè nero cinese affumicato. Un rito che non può essere interrotto, pena: il turbamento del suo flusso creativo e un malcontento generale. Reynolds è, quindi, un uomo solitario e dispotico, pretende silenzio e concentrazione in tutta la casa di moda, ed è estremamente abitudinario, nessuno può sconvolgere quelle regole precise che governano le sue giornate. La sola presenza tollerata è quella della gemella Cyrill (Lesley Manville), con la quale gestisce l’atelier. La sua “spina nel fianco”, così la definisce Reynolds, ma in realtà colei che garantisce che l’ordine delle cose segua il costante andamento per evitare turbamenti.

Attraverso la figura di Reynolds, Anderson mette in scena, con quella cura maniacale e quell’estrema eleganza che lo caratterizzano, l’ossessione della creazione di un’opera d’arte. La cinepresa indaga e scruta ogni momento: il centimetro che prende le misure di tutti gli angoli del corpo, il taglio della stoffa, l’ago che entra e esce dell’ordito, l’aggiunta dei dettagli più ricercati e preziosi e l’annullamento della propria esistenza per il compimento di un lavoro. E tutto ciò diviene metafora anche del lavoro del regista. Come un pittore o uno scultore con la propria opera e, quindi, anche come un regista con il proprio film, Reynolds mette tutto se stesso nella realizzazione di un suo lavoro, e ogni nuovo abito si prende un pezzetto della propria anima, che resta lì nascosto, in quelle pieghe che nessuno può vedere.

“Si può cucire qualsiasi cosa nella di un vestito. Segreti, monete, parole, brevi messaggi”

Cucita nella giacca di Reynolds Woodcock c’è, adesempio, una ciocca dei capelli della madre defunta,colei che gli ha insegnato i segreti del mestiere, l’unicadonna abbia mai amato. Lo stilista è ossessionato dallafigura della madre, percepisce la sua presenzacostantemente, ma non è una presenza inquietante, anziprova una certa consolazione nel saperla sempreaccanto a lui. Ingabbiato in questa sorta di complessoedipico, egli non riesce ad instaurare nessuna relazionecon l’altro sesso. Le donne dell’alta società londinese,ma anche regine e principesse straniere adorano lostilista e i suoi abiti: il modo in cui le guarda quando lihanno indosso le fa sentire sensuali, desiderate epotenti. Reynolds, infatti, ama il corpo femminile e loplasma attraverso la stoffa, riuscendo a dare formedove è necessario, ma anche a toglierle lì dove il“decoro” lo richiede.

Le donne per lui non sono altro che corpi da vestire,manichini sul quale può esercitare il suo potere. Ed eccoche, come un moderno Pigmalione, sporadicamentesceglie una donna da tenere in casa con sé, per undeterminato periodo di tempo, come sua musa. Per leirealizza abiti bellissimi, i più belli della collezione, leimpone il proprio stile, la rende colta e raffinata perpresentarla agli eventi dell’alta società, fino a quando,ormai sazio, non chiede alla sorella Cyrill di farla andarevia. Reynolds, infatti, è costantemente affamato di bellezza,di tutta quella che un corpo può emanare, da essa traeispirazione e sostentamento e, solo dopo aver appagatoil suo appetito, quando quel corpo non emana per lui piùnessuna bellezza, ha la necessità di lasciarlo da parte edi posare gli occhi su una nuova fonte.

La troverà in Alma Elson (Vicky Krieps), una giovane e impacciata cameriera di una piccola locanda di campagna, che diventerà la sua nuova musa, un nuovo corpo da plasmare, un manichino da dominare. Ma Alma non è come le altre donne di Reynolds, lo infastidisce continuamente, è priva di grazia e di gusto e non sa mangiare senza fare rumore, “inquinando” così il flusso creativo dello stilista. Alma vuole avere un proprio spazio, un’opinione, desidera portare il disordine delle cose reali in quella gabbia di perfezione fatta di pizzi e merletti e, soprattutto, brama di essere amata da Reynolds tanto quanto lei ama lui, non vuole restare ad aspettare il momento in cui lui sarà stufo di lei. La giovane donna è un elemento perturbante nella vita dello stilista ed è per questo che a poco a poco la sua presenza inizierà ad essere sempre più ingombrante, fino ad arrivare alla magistrale scena della cena a sorpresa a base di asparagi al burro e non all’olio (come Reynolds è solito mangiare), durante la quale, dopo un pianto liberatorio, Alma arriva alla dolorosa conclusione che per quanto possa provarci, il suo essere così palpitante non potrà mai conciliarsi con quella realtà artefatta e bloccata in un ciclo eterno e pieno di silenzi.

Ed ecco emergere, di lì a poco, l’altro volto di Alma, quello che una superficie di dolcezza e comprensione aveva sapientemente dissimulato, quello recondito, nascosto nelle pieghe della sua anima. Reynolds ed Alma, infatti, sono due facce della stessa medaglia: entrambi egocentrici, entrambi soli, entrambi tormentati delle proprie ossessioni, entrambi con un’insaziabile sete di potere. Proprio come Reynolds, Alma vuole esercitare un controllo sull’altro, è ossessionata da lui e vuole che sia completamente suo. Lei gli ha concesso ogni singola parte del suo corpo ed ora in cambio vuole da lui ogni singola parte della sua anima, ma per farlo dovrà spogliarlo della sua corazza, dovrà renderlo inerme, indifeso, un bambino da accudire come una madre, un essere inanimato a cui ridare la vita. Si innesta così quel gioco di forze, tra la vita e la morte, quella guerra il cui campo di battaglia sarà proprio la tavola e l’arma, il veleno di funghi allucinogeni, dissolto a piccole dosi, nei piatti di Reynolds. Come un ago riesce penetrare, con dirompenza, anche nei tessuti più duri, lasciando sull’ordito una trama, così Alma è riuscita a scalfire la corazza dell’uomo, ad entrare nella sua anima e a lasciare un segno profondissimo, tanto da diventare indispensabile, come il cibo.

Dal latino almus, “nutriente”, “che nutre”, Alma saràper Reynolds una “madre nutrice”, una divinità che puòdare vita ma può anche portare morte, sarà il veleno el’antidoto insieme, sarà il primo volto che vedrà dopoaverlo ucciso, salvato e poi accudito. Invece, ilboccone di omelette ai funghi, ingoiato senza remore,pur sapendo di essere avvelenato, sarà il consenso diReynolds a quel gioco di sottomissione, in cui lui hadeciso di essere lo schiavo.

“Io ti voglio completamente inerme, indifeso, tenero, aperto; al tuo fianco devi avere solo me e ti voglio poi di nuovo forte”.

Paul Thomas Anderson con Il filo nascosto ha imbastito un abito elegante, raffinato e curato nei minimi dettagli, un film che quasi disturba per la troppa perfezione formale, aiutato sicuramente da magnifici attori, primo fra tutti un Daniel Day- Lewis in stato di grazia, in quella che forse sarà la sua ultima interpretazione, e dalla meravigliosa colonna sonora realizzata interamente da Jonny Greenwood, il chitarrista dei Radiohead, che già aveva collaborato con il regista, componendo le musiche per Il Petroliere ( 2007), The Master ( 2012) e Vizio di forma (2014). Ma come tutti i bellissimi abiti realizzati di Reynolds Woodcock, anche questo film ha una trama segreta, un insieme di fili nascosti, che non necessariamente devono essere svelati. Il filo nascosto, infatti, oscilla costantemente tra l’ apparenza e l’ essenza: ci sono il tormento e l’ ossessione della creazione, nascoste in quella apparente perfezione, ci sono la debolezza e la fragilità di un uomo solo e tormentato dai propri fantasmi, nascoste in una dura corazza di egocentrismo, c' è la sete di potere e di controllo di una giovane donna che desidera solo di essere amata, dietro un dolce volto angelico, c’ è tanto erotismo celato in lunghi sguardi e interminabili cene silenziose e c’ è amore dietro quel gioco “ perverso” tra la vita e la morte, c’ è amore dietro una dose di veleno in un omelette ai funghi. Perché è di amore che si parla in tutto il film, forse non quello tradizionale, non quello romantico, un amore malato, malsano, ma pur sempre amore. L’ amore tra due persone legate da quel filo al mignolo della mano sinistra, tra due spiriti destinati ad incontrarsi e a compenetrarsi perché complementari, tra due tessuti diversi che cuciti insieme creano quell’ abito perfetto nella forma, la cui trama nasconde tanti piccoli segreti. Ma sono proprio questi segreti a renderlo tale.

“Se non dovesse più svegliarsi, se domani non fosse più qui, non importerebbe, perché so che lui mi starebbe aspettando nell’aldilà o in qualche altro luogo celeste. In questa vita, in quella dopo e in quella dopo ancora. E per tutto quello che resta da percorrere fino ad allora, dovrò solo essere paziente, finché non sarò di nuovo con lui. Insomma, amarlo ha reso la vita meno misteriosa"

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