E' accaduto in un bosco

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E’ ACCADUTO IN UN BOSCO Il 10 gennaio è stato effettuata una cattura non autorizzata della fauna selvatica in un piccolo bosco protetto. Dopo una siccità di molte stagioni l’intera fauna era già diminuita drasticamente: dalle lepri agli anfibi, dai rapaci ai piccoli mammiferi, con specie migratorie addirittura scomparse. Questo in un ecosistema reso già fragile dal sempre più stretto accerchiamento degli insediamenti umani e nonostante sia da tutti riconosciuta la necessità, per la salute umana, di salvaguardare quel poco di “natura selvatica” che ancora, faticosamente, sopravvive intorno a noi. Ancora una volta ci siamo resi conto che le sole questioni di logica non sono bastate e forse non basteranno a rendere davvero giustizia per l’accaduto ma neppure per dare voce a chi voce non ha. Allora proviamo a fare appello anche alle ragioni del cuore, ricorrendo al narrare poetico, nella speranza di avere almeno una certezza: che questo non accadrà più! Per chi non lo sapesse, la prassi usata per il prelievo delle lepri con le reti, prevede uno schieramento di decine di battitori che avanzano provocando più frastuono possibile con urla, fischi e l’uso di strumenti metallici, colpendo e scalciando il terreno per stanare gli animali e dirigerli verso le reti per la cattura. Questo è un metodo diffusamente usato in aree aperte ma negli ambienti boschivi, specie se fragili e impoveriti, deve considerare il potenziale danno al suolo, alla vegetazione e alla restante fauna selvatica. Con buon senso, al piccolo bosco era stata concessa l’esclusione.

Immagini di prelievi in campo aperto tratte dal web


ECCO COME È ACCADUTO Il piccolo bosco sembrava deserto e silenzioso in quella fredda mattina d’inverno. Una nebbia sottile si alzava dalle zone paludose ovattando anche il cigolio dei giganteschi rami spogli, smossi appena da un vento alto e possente. Solo occhi attenti potevano riconoscere nel guizzo tra gli alberi la corsa di uno scoiattolo e solo orecchie familiari sapevano distinguere, nel frusciare delle foglie secche a terra, il rovistare di un merlo alla ricerca di cibo. E lo sciacquettio nella pozzanghera sotto al prugnolo è di uno spavaldo pettirosso mentre quell’ombra rapida e furtiva è uno schivo capriolo. Le poiane si alzano in volo maestose per andare a cacciare nei campi vicini e un leprotto imprudente si attarda a giocare tra gli arbusti dell’erica. Dopo tante stagioni di siccità devastante, il bosco sembra bearsi della pioggia invernale: gli alberi hanno tardato a rilasciare le foglie per fare scorta dell’acqua preziosa; il terreno argilloso si è fatto generosamente impermeabile lasciando ovunque laghetti per gli animali assetati; muschi e licheni si sono avidamente imbevuti, riempendo il bosco di forme e colori così belli da far invidia al più spettacolare fondale marino. Cuccioli di querce crescono, affondati nella calda coperta di foglie mentre mamma e papà li allattano e trasmettono loro conoscenza con le robuste radici. Trine di funghi ornano i rami caduti, dove alcuni animali riposano durante i mesi invernali mentre altri, minuscoli, lavorano ininterrottamente per trasformare con pazienza il legno in terra fertile per nuove piante. A quel discreto ma laborioso coro, partecipa la donna che abita nella radura. “La devi smettere di entrarmi sempre in casa!” scherza interiormente col bosco mentre ramazza le foglie sul pavimento e i mici si stiracchiano al suo passaggio, accoccolati tra il pelo caldo dei cani che dormono vicino alla stufa. E’ allora, in questa quiete operosa, che erompe il boato: grida, fischi e rumori assordanti esplodono nel bosco, seminando smarrimento e terrore. I gatti scompaiono in un balzo. I cani corrono disordinatamente da una stanza all’altra abbaiando il loro spavento. La donna, sorpresa in quel suo fare intimo e sereno, sente il cuore fermarsi per un attimo e poi cominciare a battere all’impazzata. Lascia cadere la scopa, corre in terrazza e resta sbigottita. Decine di uomini avanzano gli uni vicini agli altri schierati, urlando, battendo i piedi a terra e scalciando. Sono i battitori per la cattura delle lepri. La donna grida e si sbraccia: “Fermi, fermi, non potete farlo qui! E’ proprietà privata, fermi!!! Ho i documenti, fermi un attimo per favore!!!! State facendo uno scempio, fermatevi!!!” Ma nessuno s’arresta, uno solo alza lo sguardo verso di lei per subito distoglierlo, mentre un altro si porta un dito alla fronte come a dire “Sei scema…”. La donna si precipita fuori sperando di ottenere attenzione mentre mille pensieri si affollano nella sua mente e l’apprensione le attanaglia lo stomaco: non solo per il leprotto avventato ma anche per i rospi che non fuggiranno al calpestio degli scarponi, alle tane dei ricci, alle orchidee selvatiche che affonderanno nel fango, alla lettiera del bosco già così fragile e che verrà ovunque scalzata, ai varchi aperti tra gli arbusti sofferenti, alle talee trapiantate, ai bulbi delicati, a…, a… Ma uscita dalla porta lo sconcerto è ancora più grande: altre decine di uomini attraversano il bosco da ogni parte, il frastuono che provocano è dannatamente efficace nel voler generare spavento. Grida ancora la donna, sentendosi a sua volta braccata, dimentica delle pantofole che si inzuppano di fango e del freddo che la attanaglia pungente.


“Fermatevi!”, prega mentre le si avvicina un uomo con una ricetrasmittente in mano che le dice con tono condiscendente di stare tranquilla e che tutto è in regola. “In regola???? Fermatevi almeno per darmi il tempo di prendere i documenti!” insiste lei, ma il plotone continua indifferente la sua avanzata anche mentre la persona certa che tutto sia in regola consulta il documento e si scusa. “Eh, sì, deve esserci stato un errore di comunicazione interna, ma tanto abbiamo fatto ormai, mica è successo niente. Anzi le abbiamo fatto un favore: l’unico modo per non avere problemi coi cacciatori è che le portiamo via tutte le lepri” sostiene convinto. Provare a spiegargli l’assurdità del ragionamento sembra inutile: “Sì certo, se mi portate via tutti i soldi mi togliete il problema dei ladri…” Sembra inutile perché quelle decine di uomini, in altri frangenti, sarebbero sicuramente diversi. Brave persone, padri di famiglia, onesti lavoratori, forse persino educatamente galanti con una donna sola in difficoltà. Ma qui c’era da catturare la lepre, e il buon senso, il rispetto, la solidarietà anche solo umana non avevano più valore di quella. In altri frangenti si sarebbero dichiarati ecologisti convinti, amanti dei boschi e difensori della natura così minacciata e così indispensabile. Adesso, per tutti loro “non è successo niente”. In effetti non hanno trovato neanche le lepri: la siccità ha stremato anche quelle e il numero delle sopravvissute è talmente esiguo che di certo non valeva l’impegno di tanti uomini a stanarle. Tutto il resto che è stato distrutto, il lavoro vanificato, il terrore provocato, il già fragile suolo devastato, le piante scalzate sono niente di fronte alla loro delusione per l’inesistente bottino. Cala finalmente una quiete temporanea mentre i battitori arrotolano le reti per ritenderle più avanti e continuare la battuta nei campi e la donna rientra a tranquillizzare almeno i suoi compagni domestici. Il resto sarà una storia ormai a lei nota. Per molti giorni nel bosco scenderà un silenzio stavolta spettrale, come se il bosco fosse disabitato davvero, senza più neanche il respiro degli alberi. Solo la pioggia e il vento passeranno pietosi, a coprire di foglie la lettiera ferita, a seppellire i piccoli rospi, a cercare di lavare via il ricordo dell’ottusa violenza subita. Poi si comincerà forse a udire il cinguettio di un uccello, le poiane riprenderanno a volteggiare in cielo maestose e uno scoiattolo affamato farà capolino. Dapprima suoni isolati e prudenti poi, a poco a poco, più numerosi finché le grandi querce torneranno ad essere i maestri sapienti e discreti del coro e la natura ricomincerà lentamente il suo lavoro prezioso, un po’ più povera, un po’ più ferita, ancora più fragile. Alla donna toccherà invece combattere con l’incalzante vergogna di appartenere ad una specie così insensata e col sentirsi impotente per non essere riuscita a proteggere il piccolo bosco. Ma uscirà comunque a condividere il suo dolore e a prendersene cura. Cercherà anche il coraggio di spingersi sino al suo limitare dove forse, come dopo altre catture, troverà la volpe ad attenderla. Dignitosa nella sua estrema magrezza, la volpe la interrogherà ancora una volta, fissandola a lungo negli occhi col suo sguardo mesto e profondo, come a chiedere: “Perché, donna? Perché?”

Il Bosco di Puck Laboratorio di Green Care e Centro Cinofilo

Fiammetta Piras


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