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INTERVISTA Marco Marchi/Liu Jo

«Per la moda premium un 2024 di opportunità all'insegna della fiducia nel consumatore»

«Per l’imprenditore, dati i prezzi saliti alle stelle, i brand premium possono diventare un’alternativa alle griffe del lusso: «Ma perché ciò accada serve la capacità di raccontarsi al mercato, di trasmettere sicurezza e trasparenza». Un percorso intrapreso dal marchio di Carpi, pronto con la collezione FW24 ad abbassare i prezzi, senza impattare sulla qualità: «Un segnale di realismo, stimolerà la relazione con la nostra community»

Di Andrea Bigozzi

Marco Marchi ha fondato Liu Jo a Carpi nel 1995. Sotto la sua guida il brand è cresciuto fino a raggiungere 500 milioni di ricavi diventando una realtà di riferimento nello scenario della moda contemporary premium. Nel 2019 Marchi ha ampliato il suo progetto imprenditoriale con la creazione della holding Eccellenze Italiane - la cui prima acquisizione è stata Blumarine

Una società rinnovata e più internazionale, nei messaggi e nel posizionamento. E anche nella struttura, perché prosegue nella sua trasformazione, avendo recentemente acquisito il controllo diretto di un business importante come quello della moda maschile, entrando in maggioranza nelle società che lo gestisce. A governare l’evoluzione di Liu Jo c’è sin dalla sua nascita (datata 1995) il fondatore e amministratore unico Marco Marchi, che con la sua strategia ha proiettato l’azienda verso il traguardo di 500 milioni di fatturato nel 2023: un record a livello europeo nel segmento della moda premium. «Stiamo continuando a investire perché il brand non smetta mai di proiettare un'immagine positiva, creativa e innovativa, puntando sulla forte presenza internazionale», dice l’imprenditore, non intenzionato a farsi condizionare dalle previsioni macro-economiche: per lui il 2024 non sarà solo l’anno dell’incertezza ma anche dell’azione.

Molti prevedono l'inizio di una nuova era per la moda premium, diventata oggetto delle attenzioni di un consumatore più aspirazionale. È d’accordo?

Sicuramente in questa fase ci aiuta il fatto che il numero degli “orfani del lusso” è in continuo aumento. Mi riferisco a quella fascia di consumatori scoraggiati dai forti aumenti dei prezzi adottati negli ultimi anni dalle griffe e che ora guardano con attenzione i brand con un value for money più “inclusivo”, ma con un appeal distintivo, perché se non c’è quello non può esserci desiderabilità. Una situazione che rappresenta per le realtà del segmento premium un'opportunità e non intendiamo lasciarcela scappare. Certo sappiamo che per cogliere questa opportunità, sono necessarie caratteristiche precise, che fortunatamente fanno parte di Liu Jo, entrata nella fase 2.0.

Quali sono queste caratteristiche?

La prima è poter contare su uno storytelling corretto, che possa essere raccontato e trasferito al consumatore non soltanto sul mercato domestico, ma anche su quello internazionale. Questo approccio alla comunicazione è cominciato con la campagna SS24 Liu Jo The New Glam, studiata per coinvolgere e attivare una comunità globale, senza però tradire i codici intrinsechi del brand che sono lo stile mediterraneo, la vestibilità inclusiva, l’immagine in bilico tra la seduzione e la gioiosità. Poi c’è la sostenibilità, che conquisterà uno spazio sempre maggiore nella strategia aziendale. L’obiettivo per il futuro è portare avanti progetti che abbiano un impatto ambientale sempre minore. Questo non solo nel rispetto della normativa sul tessile della Comunità Europea ma della sensibilità del consumatore - specie quello più giovane, attento al tema - , che sceglie di premiare un brand in base a quanto sia in linea con i propri valori e convinzioni. Il punto finale è il value for money, che per noi significa usare materiali di alta qualità che durino nel tempo, offrire prodotti a un prezzo calibrato alla ricerca e l'innovazione che offriamo e che possa far superare quella fase bulimica di promozioni e svendite che ha contribuito a complicare la gestione di rimanenze e capi in eccesso.

Crescita di percezione da parte del consumatore, crescita di posizionamento nel mondo come emblema dell’italianità, crescita in termini di sostenibilità: questo percorso virtuoso impatterà anche sui risultati economico-finanziari?

È un iter che sta dando risultati molto confortanti in termini di scelta e di preferenza del marchio, ancor più che in termini di volumi. Sappiamo che quello dell’abbigliamento premium è un mercato in grossa evoluzione, quindi per noi è importante non perdere di vista la crescita sostenibile nel lungo termine. Per quanto riguarda il breve periodo, sappiamo che il 2024 sarà un anno complesso per il settore moda, per una serie di ragioni che si stanno sommando tra loro in un diabolico incastro di effetti negativi: le guerre, la crisi di Suez, che impatta sulle forniture, il fattore climatico che ha condizionato in maniera significativa il sell-through dell’abbigliamento, soprattutto per quanto riguarda l’inverno e, non ultimo, l’aumento dell’inflazione. Siamo consapevoli che la crescita globale si sta indebolendo e la domanda contraendo, ma restiamo ottimisti, anche perché per il momento i dati che raccogliamo sono estremamente positivi. Abbiamo un piano per affrontare il 2024 e forse anche una parte del 2025 con grande attenzione, cercando di proteggere la distribuzione che deve essere attenta, non bulimica.

Cosa prevede questo piano?

Essenzialmente una forte dose di sano realismo: in un mondo in cui i prezzi si impennano, gli stipendi invece non crescono. Data la situazione, l’azienda ha deciso di intraprendere un percorso di sensibilità e umiltà: la collezione FW24, attualmente in campagna vendita, uscirà sul mercato con una riduzione dei prezzi. Una decisione che potrà sicuramente influire sulle marginalità, ma a nostro avviso in questo momento è molto più importante avere un atteggiamento responsabile. Vogliamo essere un punto di riferimento per la nostra community di consumatori, costi quel che costi.

È una strategia di pricing che riguarderà tutto il mondo Liu Jo?

Assolutamente sì. New Glam rappresenta a 360 gradi un universo fatto di abbigliamento e accessorio, ma non solo. È chiaro che questa strategia deve essere comune, per dare solidità a una visione di brand che non può essere valida per alcune categorie di prodotto e non per altre.

A proposito di accessori, è un business che sta andando molto bene…

È un pezzo importante del nostro turnover: vale il 16% delle vendite totali ed è in costante crescita. Si tratta di un segmento strategico nel mondo del lusso come nella moda premium. La borsa è un elemento del guardaroba naturalmente democratico e inclusivo, che rispetta le diversità e unicità dei Paesi dove siamo presenti. Può essere indossata a tutte le latitudini, con qualsiasi clima e in più è capace, anche da sola, di caratterizzare il posizionamento di un brand. Per tutte queste caratteristiche non smetteremo mai di comunicare e di dare a quest’area creativa gli strumenti necessari per poter stupire.

Cosa vi aspettate invece dall’uomo, che avete da poco internalizzato?

Sta diventando sempre più importante. Abbiamo lanciato questo progetto in licenza, raggiungendo i 60 milioni, e la proiezione è di arrivare a 90 in tre anni. Visto il successo e il potenziale, abbiamo condiviso con il nostro partner la volontà di creare insiene una joint venture che ci vedesse con un ruolo di maggioranza. Così facendo, la collezione maschile di Liu Jo entra a far parte di un progetto più ampio che potrà sfruttare sinergie industriali e di finanza, ma anche commerciali e di comunicazione. Ci aspettiamo, infatti, una notevole spinta del menswear verso i mercati internazionali e un potenziamento della sua immagine, perché sarà sempre più parte integrande del nostro storytelling.

State attraversando una “rivoluzione”: la distribuzione seguirà il cambiamento?

Credo che l’operazione mista a livello distributivo, che Liu Jo porta avanti da sempre, sia la scelta migliore. Ci sono aree dove il retail diretto diventa indispensabile per una serie di elementi economici e strategici, ma ce ne sono altre in cui è preferibile l’attività del multimarca qualificato, che grazie a un rapporto intimo con il consumatore svolge un ruolo da consulente. Rinunciare a questo patrimonio non avrebbe senso: il mix dei canali è il giusto compromesso per un’azienda che ama l’abbigliamento.

Anche sul fronte dello sviluppo dei nuovi mercati si prospetta una fase di “azione”?

L’anno prossimo Liu Jo compirà 30 anni, un traguardo importante a cui ci avviciniamo con un’ambizione: essere presto un attore di riferimento anche in aree dove il brand al momento non è presente. Penso alla Cina, da cui anni fa siamo usciti, ma che vogliamo riapprocciare, unitamente a tutto il Far East. Sono in corso dei contatti e valutiamo una serie di opportunità: si tratta soprattutto di individuare il momento giusto per entrare in azione. Parallelamente, stiamo monitorando con attenzione un’operazione di ottimo successo fatta in Messico, che potrebbe rivelarsi la porta d’accesso per gli Usa.

Sono in arrivo altre novità per le licenze?

Liu Jo sta investendo in termini di risorse e di obiettivi sulla linea beauty, lanciata un anno fa con Rougj. Siamo partiti dal make up e a breve usciremo con lo skincare. È un progetto ambizioso, che sta crescendo e prevediamo di sviluppare in maniera significativa nei prossimi due-tre anni. La fase uno ha avuto una distribuzione selettiva nelle farmacie e ci stiamo preparando alla fase due, che coinvolgerà profumerie e grandi catene. Abbiamo a cuore anche la licenza Liu Jo Pets. Portiamo avanti l'iniziativa come un’opportunità per legarci ai nostri consumatori, che apprezzano le attenzioni dimostrate verso i loro amici a quattro zampe considerati, a tutti gli effetti, parte della famiglia. 

Un momento dell'evento Liu Jo Pets dedicato agli amici a quattro zampe svoltosi a febbraio a Milano
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