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Fashion Magazine N 3 2025
Stefano Beraldo
Nel 2025 il manager-imprenditore ha tagliato il traguardo dei suoi primi 20 anni alla guida del Gruppo Ovs. A Fashion racconta il suo percorso, i passi falsi, le sfide vinte e quelle ancora da vincere

Stefano Beraldo e il Gruppo Ovs sono un tutt’uno. Non solo perché nell’azienda veneta il manager-imprenditore ha investito capitali in prima persona, ma anche perché la guida ininterrottamente da due decenni, «divertendomi ancora per quello che faccio - raccontae gestendola come se fosse mia, pur ben sapendo che ne posseggo solo una piccola quota». Beraldo si presenta all’intervista per i suoi primi 20 anni da ceo di Ovs con una maglietta nera, ancora nel mood un po’ rock della sera prima, quando - ci confida - è andato a un concerto dei Simple Minds. Rompiamo il ghiaccio parlando della canicola estiva e subito manifesta un approccio non scontato, controcorrente: «Non temo il caldo afoso - dice -. Anzi, amo le escursioni termiche estreme, l’inverno gelido e l’estate torrida. Mi piace confrontarmi con gli estremi».
Anche nel business?
Mica tanto. Amo progettare, immaginare nuovi scenari, creare qualcosa che prima non c’era. Ma non voglio, né ho mai voluto, prendere rischi eccessivi, mettendo in difficoltà l’azienda, le sue persone e i miei azionisti. Come amministratore delegato devi trovare nuovi confini da esplorare. Però devono essere confini di cui hai valutato bene la conformazione e il rischio.
Quando ha preso in mano l’azienda, 20 anni fa, un bel rischio però se l’è preso: ha scommesso su Ovs, all’epoca l’insegna con meno appeal.
Dire con meno appeal è un eufemismo. Ovs era acronimo di Organizzazione Vendite Speciali. La famiglia fondatrice riteneva fosse Coin la parte “nobile” dell’azienda, mentre Ovs era una specie di outlet. Le mie figlie, che a quel tempo erano piccolema già in grado di giudicare, mi dicevano: “Papà, ma cosa vai a fare con quella roba lì?”. Anch’io avevo molti dubbi, ma ho deciso di investirci, anche personalmente. Solo che i primi anni ero impegnato a ribaltare le perdite enormi di Coin. Cosa che siamo riusciti a fare, perché l’abbiamo portata a fare 20 milioni di ebitda. Ricordo ancora le lunghe code fuori dal negozio di piazza Cinque Giornate a Milano, in occasione di alcune collaborazioni con brand importanti, come quella chiamata “Democratic”, perché caratterizzata da prodotti di marca fatti appositamente per Coin e venduti a prezzi incredibilmente bassi.
Che leve ha usato per la trasformazione di Ovs?
Mentre mi occupavo del rilancio di Coin, ho solo pensato a mantenere il ritmo delle nuove aperture di Ovs, in modo da assicurare al gruppo una certa redditività. Ricordiamoci che in quel periodo stavano entrando in Italia i signori di Zara e H&M, non potevo perdere quote di mercato. Una volta messa a posto Coin, mi sono dedicato maggiormente a Ovs: la dovevo cambiare dal basso e con una certa progressione, senza creare una virata troppo brusca, per non disorientare i clienti più affezionati e creare il vuoto. In questo mi sono fatto aiutare da alcune persone molto brave: due sono state Davide De Giglio (co-founder di Ngg-New Guards Group, ndr) ed Elio Fiorucci. All’epoca Ovs era forte per il bambino e per i clienti di una certa età. Di giovani neanche l’ombra.
Il percepito non è facile da cambiare.
Infatti è stato un percorso graduale. Con Elio creammo Baby Angel (oggi B. Angel, ndr), che ci permise di attirare nei punti vendita le ragazze più giovani, mentre con De Giglio il brand Grand & Hills, per i loro coetanei. Un importante passo avanti venne anche dalla trasformazione dell’insegna in Ovs Industry. Volevamo far capire che noi non eravamo solo un rivenditore, ma un retailer verticalmente integrato, che non si limita a vendere i prodotti ma che se li crea e se li produce. Cambiammo l’immagine dei negozi rivestendoli di mattoni, come un opificio industriale. L’esperienza andò avanti per circa sei anni. Poi l’esigenza fondamentale diventò quella di riuscire a dialogare non solo con le giovanissime, ma anche con il pubblico femminile un po’ più grande d’età, che a noi mancava. Venivano le mamme sì, ma a comprare per i loro bambini, non per sé stesse.
Quindi?
Cercammo di portare all’interno dell’azienda più talenti creativi e l’architetto Vincenzo De Cotiis ci aiutò a migliorare il layout dei negozi in chiave più femminile. Le cose cominciarono a funzionare, ma la vera svolta arrivò con Massimo Piombo. Lui mi chiamò su suggerimento di Franca Sozzani: lei gli aveva detto che sarei stato l’unico a capirlo. Cominciò con l’uomo. Aveva grande talento e disciplina. Dopo tre anni gli affidai la direzione creativa e con il suo marchio Piombo, che rilevammo da Kiton, siamo davvero riusciti a creare una marca, con un’identità riconoscibile nei contenuti e nella narrazione e il valore aggiunto del prezzo democratico, oggi espressa in shop-inshop e negozi stand alone.
Come proseguirà la collaborazione?
Nel complesso oggi il marchio Piombo genera 150 milioni di ricavi, ma ha ancora un grande potenziale. In futuro si svilupperà su due assi, con la linea Piombo per uomo e donna, dall’impronta più casual, e Piombo Contemporary, collezione dal posizionamento più alto in termini di materiali e dal gusto sofisticato, attiva da tre stagioni ma che abbiamo intenzione di ampliare. Ci sono però altre idee in campo: in primis quella di una brand extension nel tessile casa con lenzuola, coperte, cuscini. Perché non dovremmo vendere i plaid in cashmere? I marchi del lusso li propongono a 3mila euro, noi potremmo offrirli magari a 300, assicurando grande qualità e intercettando così i consumatori più esigenti che non vogliono spendere un capitale.
Come evolverà la filosofia dei negozi Ovs?
Negli ultimi 4-5 anni, grazie al lavoro svolto assieme alla mia squadra, credo siamo riusciti a cambiare radicalmente il percepito e oggi Ovs è diventato un bel contenitore di marchi. Abbiamo riposizionato verso l’alto l’assortimento, senza dimenticarci i primi prezzi, perché vogliamo tenerci stretta anche la clientela di lungo corso. Va detto che, complice la diminuzione del potere d’acquisto delle persone, qualche habitué è andato da catene più low cost. Però pazienza. In compenso stiamo acquisendo clienti più esigenti, che vogliono tenere parte del loro spending power per altre categorie di spesa e che da noi trovano anche marchi di un certo livello come Les Copains.
Se guardiamo quello che sta facendo con Les Copains, acquisito dal gruppo nel 2022, potremmo dire che gli estremi non le dispiacciono nemmeno nel business...
In parte le do ragione. Les Copains era un brand di fascia medio-alta che aveva perso la sua strada e io, pur non avendo niente a che fare col lusso, ci ho visto un grande potenziale, soprattutto per le consumatrici over 45. Quello che avevo in mente però non era il Les Copains delle origini, ma il Les Copains di Ovs, con un look fresco, gentile, contemporaneo, facile da portare. E ovviamente dal prezzo accessibile. E sì, ha funzionato. Ha funzionato perché nella mia squadra ho trovato la persona giusta per il rilancio. Le vendite della primavera-estate stanno andando benissimo. La resa al metro quadro è, assieme a Piombo, la più alta dell’abbigliamento e con la linea credo potremmo arrivare, su base annua, a generare 40 milioni di fatturato. Ci crediamo molto, tanto che Les Copains è ora in tutti i 600 negozi Ovs. Per il momento è presente con degli hard corner solo in 150 di questi, ma entro la SS2026 il format degli shop-in-shop verrà esteso a tutta la rete.
Stefanel, che avete rilevato nel 2021, resterà invece autonomo da Ovs?
L’abbiamo mantenuto indipendente, perché ci siamo resi conto che per molti Paesi europei era un brand molto connotato e ci sembrava un peccato “diluirlo” dentro un contenitore ampio come Ovs. Abbiamo fatto dei passi falsi a livello stilistico il primo anno, ma adesso funziona. Sono stati aperti corner in department store esteri come Peek & Cloppenburg e Galeria e nel primo semestre di quest’anno abbiamo registrato un +10%. Andrà ancora meglio nella seconda parte dell’anno, con l’autunno-inverno, visto che la maglieria è il pezzo forte di Stefanel. Oggi fattura intorno ai 40 milioni e credo nel prossimo triennio avremo grandi soddisfazioni: è vero che il segmento intermedio soffre, ma noi abbiamo il vantaggio di poter contare sull’efficienza produttiva di un grande gruppo e dunque, rispetto a brand competitor, per gli standard qualitativi che offriamo riusciamo a mantenere un pricing concorrenziale.
Nel processo di acquisizione di Goldenpoint ha accorciato i tempi: perché la scelta di rilevare il 100% del capitale prima del 2029?
Perché abbiamo riscontrato una reattività molto positiva ad alcune idee da noi introdotte. Questa azienda era forte nella moda mare, ma poco esposta alla corsetteria e alla pigiameria. La stagione primaverile e quella invernale restavano deboli, espresse solo da alcune categorie come i legging, che però nella versione in cui erano proposti non andavano più. In alcuni negozi abbiamo allora provato a incrementare la presenza di intimo e pigiami: la risposta è stata eccellente. Quindi abbiamo pensato: anticipiamo tutto, prendiamo in mano la gestione e diamo una bella virata, nell’assortimento e nei negozi. A una decina di questi abbiamo anche rifatto il look: la spinta del fatturato è stata di oltre il 10%. E questo ci ha convinto del tutto.
Che obiettivi ha con Goldenpoint? Sta lanciando il guanto di sfida a Oniverse di Sandro Veronesi?
No, loro sono troppo grandi e troppo bravi. Il nostro gruppo, con oltre 380 punti vendita stand alone a insegna Goldenpoint e con i reparti intimo all’interno dei grandi negozi Ovs e Upim, è però il secondo player del mercato dell’intimo in Italia e penso che nel giro di tre anni, dagli attuali quasi 100 milioni di euro di fatturato, con la sola Goldenpoint potremmo arrivare a 200. Stiamo aprendo nuove location in franchising, ma punteremo anche su una maggiore resa al metro quadro e sull’ampliamento dei negozi esistenti, grazie a una maggiore potenza di fuoco.
Il beauty è un’altra vostra freccia all’arco: al concept Shaka, presente negli store Ovs, è stato dedicato un format distributivo ad hoc. Non è troppo inflazionato il settore?
Oltre all’allargamento della superficie dedicata al beauty da Ovs, abbiamo aperto tre negozi stand alone a Ferrara, Pavia e Napoli ed entro fine anno vorremmo arrivare a contarne una decina. Quindi valuteremo la solidità di questo progetto retail, perché se funziona non ci fermeremo a dieci spazi. Vedremo come andrà. Posso dire che oggi il beauty, con circa 100 milioni di ricavi, rappresenta oltre il 5% del giro d’affari totale e credo che Shaka abbia un grande potenziale dentro e fuori Ovs, oltre a rappresentare una leva di cross-selling, grazie all’interesse generato nel pubblico femminile. Possiamo contare su contenuti credibili, ossia prodotti dalla qualità vera, non basati sulla comunicazione fine a sé stessa, e prezzo accessibile, in linea con la nostra filosofia.
Riguardo ai rumor su un presunto interesse di Ovs per la catena di casalinghi Kasanova cosa dice?
Abbiamo sul tavolo molti dossier. Certo, i prodotti per la casa ci interessano. Sul mercato siamo già presenti con l’insegna di home decoration Croff. Kasanova ha una bella distribuzione con molti negozi...ma mi fermo qui.
Altre acquisizioni in vista?
Abbiamo da integrare Goldenpoint. Prima dobbiamo lavorare su quello che abbiamo e digerirlo bene. Il 2026 sarà dedicato soprattutto a quello.
Avete archiviato il 2024 con ricavi pari a 1,63 miliardi, in aumento del 6%, e un ebitda di 195 milioni. Il 2025 come si chiuderà?
Il mercato non brilla, ma stiamo crescendo (354 milioni di ricavi, +1%, nel primo trimestre, ndr) e mi aspetto di crescere ancora, sebbene con un tasso lievemente inferiore a quello dell’anno scorso. Sarà più interessante il 2026, perché avremo il vento in poppa. I dazi non ci daranno noia, visto che non esportiamo negli Stati Uniti. Anzi, il dollaro debole ci aiuterà.
È a.d. di questa azienda da 20 anni. Ha festeggiato?
No, perché? Cosa c’è da festeggiare? Mi dia altri 20 anni. Poi dopo 40 si vedrà se c’è da festeggiare.
Il momento più bello?
Forse quando abbiamo aperto, ad aprile 2024, il negozio Ovs a Venezia. Lo spazio, di quattro piani, era rimasto sfitto per sette-otto anni. Noi l’abbiamo preso e restituito ai veneziani, che ci hanno ringraziato. Ha già superato il suo budget di fatturato ed è l’espressione più riuscita della nostra strategia: trasformare Ovs in un leader non solo nei volumi e nel prezzo ma anche in bellezza. Mi viene in mente questo perché è stata una grande iniezione di fiducia. A meno che (ride) non sia perché, anche se sto invecchiando, prevale ancora la memoria a breve termine. ■
ANGELA TOVAZZI