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Masaccio, San Paolo, 1426 (part.)

Giorgio de Chirico, Il filosofo, 1925, probabile pendant del lotto 581

Appartenuto a Mario Broglio, editore della rivista Valori Plastici, grande amico e estimatore di de Chirico, Il dolce siciliano figurerà poi nella prestigiosa raccolta dell’industriale Riccardo Gualino; esposta dalla Galleria del Milione di Milano nel 1939 e nel 1940, confluirà infine nella collezione personale di Bruni Sakraischik. La grande mostra da Bragaglia non ottiene il successo tanto sperato: solamente un quadro sarà venduto, e non uno di quelli strettamente metafisici, ma un ritratto di ragazza; la visita di Roberto Longhi all’esposizione, in cui de Chirico riponeva grandi aspettative, gli si ritorcerà contro. Longhi infatti scriverà, sulle pagine del Tempo, la celebre stroncatura Al Dio ortopedico che, se da una parte creava suggestivi equivalenti letterari delle opere del pittore, dall’altra ironizzava sul “rinvenire inaudite Divinità nelle sacre vetrine degli ortopedici, ed eternare l’uomo nella lugubre fissazione del manichino d’accademia o di sartoria”, sulle “statue dei politici che scendono dai piedistalli per morirsene sconsolati” e sulle “stanze d’impiegato d’ordine dopo il sequestro della mobiglia migliore”, definendo quella di de Chirico una “pittura povera”. La sua pittura metafisica rimane dunque sostanzialmente incompresa e non apprezzata sul suolo italico, e proprio in questo cruciale periodo de Chirico matura una definitiva evoluzione nel suo stile, entrando nel clima generale di ritorno all’ordine che si stava diffondendo in Italia e in tutta Europa. Le frequenti visite ai musei, le copie dai quadri antichi, lo studio quasi ossessivo delle tecniche dei maestri del Rinascimento indirizzano la sua pittura verso una nuova fase, in cui echi neoquattrocenteschi si fondono con l’elaborazione di nuove mitologie; le piazze metafisiche si trasformano in ville romane, le nature morte si fanno sontuose, gli autoritratti, tema quasi ossessivo, diventano quasi proclami di poetica: de Chirico si autodefinisce Pictor Classicus. Contemporaneamente proprio in questi anni a Parigi cresce l’interesse per la sua pittura metafisica: il nascente gruppo surrealista vede e apprezza le sue opere a casa di Apollinaire o da Paul Guillaume; André Breton, recensendo la monografia del pittore edita da Valori Plastici scrive: “Ritengo che una vera e propria mitologia moderna si stia formando. Tocca a Giorgio de Chirico fissarne il ricordo per l’eternità”. Proprio l’apprezzamento dei Surrealisti, che porta una rinnovata attenzione per la sua opera, spinge il pittore a lasciare definitivamente l’Italia per tornare a Parigi, nel 1925, e nella prima fase del suo ritorno in terra francese vedono la luce le altre due opere ex Collezione Bruni, La moglie del filosofo, 1925, e Gli Argonauti, 1926-27. “Così Parigi. Ogni muro tappezzato di réclames è una sorpresa metafisica; e il putto gigante del sapone Cadum, e il rosso puledro del cioccolato Poulain sorgono con la solennità inquietante di divinità dei miti antichi. Di notte il mistero non muore. I negozi chiudono le loro porte ma le vetrine, come teatri nelle serate di gala, restano illuminate. E sono scene intere, drammi di vita moderna che vengono ricostruiti nel breve spazio della vetrina-teatro. Passeggiando a notte alta per il Boulevards tu vedi sfilarti attorno tutto il romanticismo della vita moderna” così de Chirico descrive la Parigi che trova al suo ritorno.


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