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D’altro canto, a differenza di altri, proprio i due padri fondatori dell’Impressionismo erano gli unici ancora attivi nei primi decenni del Novecento e, sia a Les Collettes a Cagnes, dove si era ritirato Renoir, che a Givergny, dove Monet infrangeva la forma giungendo suo malgrado alle astrazioni delle Ninfee, i due maestri ricevevano frequentemente le visite degli artisti più giovani. Certamente per quest’ultimi era stata fondamentale a Parigi la lezione appresa dalle esposizioni monografiche dedicate a Georges Seurat, Paul Signac e al loro Neo-Impressionismo, con cui sembra apertamente dialogare il dipinto di Metzinger. L’eredità di Seurat sulla pittura francese era infatti ancora viva nel 1909 quando il critico Verhaeren scrive che “Alcuni paesaggi di Seurat conferiscono […] un nuovo significato all’idea che possiamo avere della purezza, della fluidità e della freschezza”, ma anche nel 1921, quando l’intellettuale André Salmon compone La Révélation de Seurat. Tuttavia, l’esperienza di quei maestri, era riveduta dalla generazione più giovane anche alla luce della lezione di Paul Gauguin, di Vincent Van Gogh, di Matisse, al quale sembra rimandare la tela intitolata Choisel dell’artista, già parte del movimento dei Fauves, Valtat. Un dipinto nel quale le pennellate spesse e regolari costruiscono il giallo caldo e dorato del campo di grano in opposizione al trascolorare freddo delle nuvole del cielo. Gli esempi pittorici di Van Gogh, Gauguin, Cézanne e dei Neo-Impressionisti, e in particolare l’intensità cromatica dispiegata nei loro paesaggi, ma anche l’esotismo e l’esplorazione intima di una vita primigenia, avrebbero condotto gli autori delle opere qui riunite a formulare un percorso autonomo, che probabilmente è possibile individuare nel Post Impressionismo. A coniare questa definizione è Roger Fry, uno dei più importanti componenti del gruppo londinese di Bloomsbury di cui fa parte anche Virginia Woolf, nel presentare una selezione di dipinti di autori francesi recenti e contemporanei a Londra alla Grafton Gallery in una leggendaria mostra intitolata appunto “Manet and the Post-Impressionists”. Nel 1910, e nella prefazione alla seconda esposizione sul Post Impressionismo nel 1912, Fry spiega che l’insieme di questi artisti non ha come obiettivo l’imitazione, bensì la creazione vera e propria della forma rappresentata e quindi che le loro opere non sono volte a simulare la vita quotidiana ma che invece sembrano offrire un esempio alternativo a quest’ultima. Secondo Fry, questo gruppo di artisti francesi aspira a restituire immagini che, grazie alla chiarezza della struttura logica, in base alla quale sono organizzate, e all’unità e compattezza del loro tessuto pittorico, si offrono alla contemplazione e all’immaginazione del riguardante conservando la stessa vivida intensità degli eventi della vita e delle esperienze sensoriali sperimentate dal pubblico. Portata all’estremo, ancora secondo Fry, tale logica, partendo dalla natura, avrebbe aperto la strada all’astrazione attuata spiegando sulla tela forme pure, come avveniva in Cézanne, oppure come nel caso di Les gorges de la Loue di Auguste Herbin, dove la veduta della strada che conduce alla casa appare come il pretesto per restituire, attraverso un incastro di colori, il risplendere di una giornata di sole nella natura. Roger Fry

Manifesto della mostra Manet and the Post-Impressionists, Grafton Gallery, Londra, 1910


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