Tutto il villaggio lo saprà

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Fabio Girelli

Tutto il villaggio lo saprà



1) Il cellulare squillò proprio nel momento in cui stava per uscire dall’appartamento e la musichetta della suoneria riuscì a rendere ancora più surreale la situazione. Mentre la versione digitale dell’Aria sulla IV corda di Bach risuonava nella tromba delle scale, guardò d’istinto il volto ammiccante del giovane trans che stava chiudendo la porta, facendogli l’occhiolino. Ottimo sottofondo, pensò. Gli venne in mente Piero Angela che presentava un improbabile documentario sulle nuove tendenze sessuali dei quarantenni italiani. E, una volta ancora, diede ragione a sua nonna. Meglio avere rimorsi che rimpianti tanto col tempo ci si abitua a tutto, gli aveva insegnato fin da bambino. E lui, da buon discepolo, non si lesinava nel mettere in pratica la teoria. Intanto il suo Nokia insisteva con Bach e alla fine si rassegnò a premere il tastino verde per rispondere. Era Ferrari, il questore, che come sempre si distingueva per tempismo e gentilezza. “Commissario, alla buon’ora. Possibile che ogni volta che la cerco non la trovo mai? Comunque, non perdiamo altro tempo. Abbiamo ricevuto una denuncia circostanziata per sostituzione di cadavere. Brutta faccenda. L’aspetto nel mio ufficio tra dieci minuti.” E senza attendere una risposta, che tra l’altro 1


il commissario Castelli non aveva per niente voglia di dare, buttò giù il telefono. ‘Brutta faccenda’ pensò mentre si infilava nella sua Stilo. Quando il questore diceva che era una brutta faccenda intendeva che c’era di mezzo la stampa o qualche nome importante. Niente di più, niente di meno. E questo, nel concreto, significava lavoro straordinario per lui. Rassegnato all’idea di passare una notte al commissariato, o chissà dove, mise in moto l’auto e si tuffò nel traffico dei viali torinesi. Castelli amava Torino. Ci viveva da diversi anni, più o meno da quando aveva iniziato la sua carriera nella Polizia. Aveva subito instaurato un buon rapporto con la città che, da parte sua, l’aveva accolto con una sorta di discreta gentilezza. Quando aveva il tempo di esplorarla non per motivi professionali, di viverla da cittadino comune, gli veniva sempre in mente una frase che, senza ricordare dove aveva letto, trovava azzeccatissima: ‘Torino è il modo più economico per vivere a Parigi’. Era vero, anche se lui a Parigi non c’era mai stato e comunque non credeva che la capitale francese potesse essere più romantica dell’aria che in primavera si respira passeggiando lungo il Po o nei giardini del Valentino. In ogni caso, per quanto l’amasse, alle sei di sera era impossibile arrivare in Corso Vinzaglio, dove si 2


trovava l’ufficio del questore, in soli dieci minuti. Così si mise il cuore in pace, sapendo che una volta giunto a destinazione di sarebbe beccato l’ennesimo cazziatone a causa di un ritardo. Contemporaneamente all’autoradio accese anche una sigaretta e decise che avrebbe trascorso il tempo necessario per raggiungere la questura cercando di fare il punto su quanto gli stava capitando negli ultimi giorni. Che, tutto sommato, erano piuttosto strano anche per uno come lui. Benché fosse un fedele adepto di quell’unico precetto insegnatogli dalla nonna, non si poteva certo dire che fosse sua abitudine passare le notti in compagnia di transessuali o prostitute. Non che ci vedesse nulla di male nel farlo, non era ipocrita fino a questo punto. Semplicemente non era una cosa che lo attirava più di tanto. E allora perché da qualche giorno, dalla domenica prima per l’esattezza, aveva iniziato quell’improbabile processione che quasi ogni sera lo conduceva a casa di Georgine, sensuale trans proveniente dall’assolata spiaggia di Ipanema? Sicuramente per un senso di ironia che spesso accompagnava il suo destino. Infatti la ‘Garota de Ipanema’ era una delle sue canzoni preferite, che cantava di un amore così bello da riempire di grazia il mondo intero. Lo stesso amore ideale che lui ricercava da una vita senza mai incontrare. Anche se, 3


tra tutti i luoghi in cui si era immaginato di poterlo trovare, le gambe lisce ma un po’ troppo virili di un trans non erano esattamente al primo posto. E poi perché gli era piaciuto, porca miseria. Questo era il motivo principale per cui il suo andirivieni da casa di Georgine non si era ancora interrotto. E la cosa lo inquietava sottilmente. Ma non più di tanto, in fondo. Perché, tutto sommato, l’intera vicenda non faceva che confermare l’opinione di sua nonna. Col tempo ci si abitua a tutto. Anche a prenderlo in culo. Aveva iniziato quella strana relazione senza quasi rendersene conto. Dava la colpa a NCIS, serie Tv che detestava più di altre. La domenica sera la televisione non offriva mai niente di buono, se non appunto fiction di scarso livello o uno dei tanti reality che ultimamente avevano invaso l’etere. Fuori l’aria primaverile aveva iniziato a scaldare le serate e invogliava la gente a uscire, a lasciarsi andare a nuove avventure. Ma lui, nonostante captasse nitidamente quel richiamo, non sapeva proprio dove cazzo andare. Passò una mezz’oretta a sfogliare l’agenda del cellulare per trovare un nome femminile che lo ispirasse. Ma la sua ricerca fallì miseramente. Decise così di sedersi sul divano, accendere la tele e far finta che fuori fosse ancora inverno. Ci fosse stato un programma interessante la sua malinconia si sarebbe in qualche modo distratta, 4


lasciandolo in pace. Ma così non avvenne. Con l’apparecchio sintonizzato sul secondo canale, che trasmetteva appunto la fiction poliziesca, imboccò il baratro dei suoi pensieri più cupi. Innanzi tutto se la prese con gli autori della serie. Ma come gli venivano in mente certe storie? Il lavoro del poliziotto non era quello lì. Non erano lampi d’intuito o conoscenze degne di un ricercatore del Cern che risolvevano i casi, come invece loro volevano far credere. Nella realtà erano le carte, le procedure, la burocrazia e una routine costante e implacabile a scoprire i colpevoli. A volte, naturalmente. In quel modo si invogliavano i ragazzi ad iscriversi all’accademia per inseguire un sogno che poi si sarebbe rivelato molto più grigio di quanto avrebbero potuto pensare. Per arrivare a quarant’anni senza niente di concreto, con poche soddisfazioni e uno stipendio che bastava appena per andare a trans. A quel punto gli parve doveroso alzarsi per cercare la bottiglia di Genepy. Il liquore valdostano non mancava mai dalla sua dispensa, che invece per il resto era piuttosto desolata. L’alcol non fece che peggiorare la depressione che lo stava assalendo. Senza più far caso a quello che diceva la televisione, cominciò, bicchiere dopo bicchiere, a pensare a Sherlock Holmes. Perché non c’era niente da fare. Era tutta colpa dell’investigatore 5


inglese se l’immagine del detective aveva abbandonato la sua forma umana per diventare un’icona quasi divina. Intelligente, impeccabile, infallibile, duro con i duri e compassionevole con le vittime. Ma soprattutto affascinante. Esattamente quello che tutti si aspettavano da lui. Le donne in particolar modo. Forse era per questo che tutte le sue storie sentimentali avevano avuto un inizio folgorante e una fine disastrosa. Una volta smascherato il suo vero animo, indolente, pigro, egoista e quasi senza morale, di tutta quell’aura misteriosa da detective noir non restava che aria fritta. Fece mentalmente un breve riepilogo delle sue ultime vicissitudini amorose e si accorse che tutto sommato aveva ragione. Anzi, gli sembrò che quasi fosse stato lui ad esasperare i suoi lati peggiori per porre fine a rapporti che gli addossavano aspettative insopportabili. Questo pensiero lo fulminò come una fucilata. Come ogni uomo aveva sempre dato la colpa delle sue storie finite male alle donne che, di volta in volta, aveva incontrato. Ma ora, forse grazie allo stato di percezione alterato portato dall’alcol, ebbe una nuova consapevolezza. La vera causa era lui. Minchia. Più ci pensava più questa scoperta lo lasciava allibito. Lui che non voleva più averle attorno, lui che a un certo punto le allontanava, lui che si faceva lasciare. E da un ragionamento assurdo a un altro ancora meno 6


plausibile il passo fu breve. Poteva essere che ci fosse una ragione più profonda per questo suo comportamento? Qualcosa che non nasceva dalla psiche e dalle esperienze, ma che magari albergava nella sua natura più intima? Forse aveva sempre dato per scontato di essere attratto dalle donne, e magari non era così. Magari quel suo modo di fare non era altro che un segnale d’allarme che il suo subconscio gli mandava per avvicinarlo alla sua vera indole, allontanandolo dall’altro sesso. Forse era gay e non se n’era mai accorto. Minchia. Se fosse stato sobrio si sarebbe dato dell’imbecille da solo e si sarebbe fatto una bella risata di tutte queste assurdità. Ma la dose di alcol che gli girava in corpo non era più sotto controllo. Fu il Genepy a decidere per lui. E decise di provare. Quando salì sulla sua Stilo e si diresse verso le strade battute dai trans, le conosceva molto bene per via del suo lavoro, la frittata era fatta. Il resto era cronaca degli ultimi giorni. E, come già detto, la vicenda non mancava di inquietarlo. In questo stato di confusione emotiva, pensando che in fondo anche l’imperatore Adriano, personaggio storico che stimava moltissimo, aveva tendenze particolari in fatto di gusti sessuali – pure il calciatore Adriano, tra l’altro, a sentire i giornali di gossip – 7


parcheggiò la macchina e si incamminò verso l’ufficio del questore. Nell’atrio lo aspettava l’ispettore Giordano. “Commissario il questore se n’è andato venti minuti fa. Ha detto che la aspetta in loco.” “Era incazzato?” “L’ha mai visto cordiale?” “Va bene, andiamo. Intanto raccontami un po’ che cosa è capitato. In che cimitero è avvenuta la sostituzione? Oppure è successo in un ospedale?” “Né l’uno né l’altro, commissario. Il fatto è avvenuto al Museo Egizio.” Questa non se l’aspettava. “Mi pigli per il culo anche tu?” “Perché anch’io? Comunque è meglio che veda lei stesso.” concluse Giordano, che evidentemente quel giorno voleva fare il misterioso. 2) All’ingresso del museo una giovane donna dall’aria molto professionale li stava attendendo. Quando furono a una distanza adeguata lei gli tese la mano. “Buongiorno commissario, sono Lucia De Bernardi, l’assistente del direttore Ippoliti. La stavamo aspettando, venga, l’accompagno.” 8


Queste le parole pronunciate dall’assistente. Castelli non ne capì neppure una. Perché quello che vide lo fece vacillare, lasciandolo ammutolito. Già normalmente controllava a stento le proprie emozioni, prerogativa per nulla adatta a un ufficiale di polizia, ma in quel momento il caso aveva deciso di fargli una strana sorpresa. E quando ci si mette, il caso le cose le fa davvero per bene. Lucia era, se non la copia esatta, almeno la sorella perduta di Georgine. I capelli bruni e appena mossi le scendevano fino alle scapole, incorniciando un incarnato poco meno che pallido, dove due occhi blu scintillavano tra una manciata di lentiggini. Il fisico era snello ma non atletico, dolce e morbido come una torta di mele. Indossava un tailleur grigio dal taglio classico. Il commissario se la immaginò con una lunga gonna di lino e una camicetta leggera, giusto per rimanere un altro po’ senza saliva. L’unica differenza tra le due stava nello sguardo. Se Georgine aveva negli occhi la luce calda e abbagliante del cielo brasiliano, Lucia lo guardava con la profondità insondabile di un fiume, incomprensibile e oscura come un geroglifico, affascinate e aliena insieme. “Sarà per via del suo lavoro.” pensò ad alta voce il commissario mentre le dava la mano. Contemporaneamente vide un’espressione di stupore e curiosità dipingersi sul volto della ragazza, a causa 9


di quella frase fuori luogo. Anche l’ispettore Giordano lo guardò incuriosito. “Mi scusi” si giustificò imbarazzato Castelli “stavo pensando ad altro, vogliamo andare?” Ma ormai la figuraccia era fatta. Mentre raggiungevano la sala dei corredi funerari il commissario ebbe tutto il tempo di pensare alla sua inesauribile capacità di dimostrare una notevole inadeguatezza sociale già dal primo incontro. Che ci poteva fare? Poco, o niente. Nonostante ciò ebbe anche l’impressione che, di tanto in tanto, l’assistente gli lanciasse qualche occhiata, non soltanto per sincerarsi che la stesse seguendo. In quegli sguardi fugaci gli sembrò di scorgere qualcosa di più, anche se non sapeva esattamente dire cosa. Occhiate divertite? Curiose? Di compassione? No. Erano occhiate affascinanti e aliene insieme. La sua salivazione si ridusse a zero. Se esisteva il colpo di fulmine sperò che una volta tanto l’avesse centrato. Poi cercò di tornare con i piedi per terra. Era lì per un altro motivo. 3) Radunati nella ‘Tomba di Ignoti’, sala in cui era avvenuto il misterioso scambio, c’erano il questore, il suo vice Licalzi, alcuni agenti della scientifica e un 10


ometto in completo blu e dall’aria felina che gli presentarono come Giorgio Ippoliti, direttore dell’istituto. Castelli conosceva molto bene quel padiglione, essendo lui un assiduo frequentatore del museo, luogo che aveva sempre la capacità di incantarlo. Appena lo vide il questore partì all’attacco. E, com’era sua abitudine, saltò ogni convenevole. “Mi sembra di averglielo già detto non molto tempo fa, Castelli: alla buon’ora. È un pezzo che l’aspettiamo. Dunque, qui la faccenda è grave, le hanno già spiegato la situazione?” “Veramente no. Dov’è il morto?” “E chi ha parlato di morti, Castelli? Io le ho detto ‘sostituzione di cadavere’, non ‘omicidio’. Ecco guardi lei stesso.” E, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, il commissario rimase senza fiato, a causa dello spettacolo che gli si presentò. Questa volta però la visione fu decisamente meno piacevole. Nel sarcofago, che di solito ospitava il corpo mummificato di uno sconosciuto egiziano ritrovato nel XIX secolo da Ernesto Schiapparelli e che, teoricamente, era ancora di proprietà del Cairo, c’era qualcosa che Castelli non riuscì subito a mettere a fuoco, talmente imprevisto e fuori luogo era quello che stava guardando. 11


Adagiata sul fondo della tomba, e sistemata con cura, c’era una statua lignea della Vergine. Incoronata di stelle, la Madonna era raffigurata nell’atto di reggere il mondo con la mano destra e schiacciare un serpente con i piedi, come voleva la classica iconografia mariana nell’Apocalisse di Giovanni. Un particolare però rendeva il tutto ancora più abnorme di quanto già non fosse. Dalle scapole di Maria, incollate con molta perizia, due ali di circa trenta centimetri si aprivano vigorose, ancora stillando materia organica e sangue del povero animale a cui erano appartenute. “Ali di falco, commissario, tanto per evitarle qualunque domanda inutile stesse per fare.” disse Ferrari “Ora le è chiaro perché ci troviamo in un gran casino?” Castelli, che ancora non si era ripreso dall’inquietante visione, fissò per un momento il questore senza parlare. Poi nuovamente puntò gli occhi su quel disgustoso e incomprensibile feticcio. Gli ricordava qualcosa ma non riusciva a capire cosa. Sapeva solo che, per quanto assurdo potesse sembrare, quell’improbabile incrocio aveva in qualche modo un senso. Che però al momento gli sfuggiva. Il silenzio prolungato del commissario indispettì Ferrari. “Bene, visto che non mi sembra ancora in grado di articolare una frase compiuta, le riassumo io la questione. Tra tre giorni ci sarà l’inaugurazione 12


dell’esposizione della Sindone e il Santo Padre in persona verrà a celebrare l’evento. Nel percorso è prevista anche un sua visita qui al museo e in altri luoghi della città. Quello che è avvenuto oggi rischia di mandare tutto all’aria. Ora, mi sembra evidente che si tratti di un brutto scherzo di qualche malato di mente, no-global o quella gente lì, che vuole rovinare la festa e ‘mandare un segnale’, come dicono loro. Ecco, Castelli, io voglio che tutto fili liscio, questo lo può capire anche uno come lei. Non ci deve essere nessun imbarazzo, nessuno che provi a saltare al collo del Papa, com’è successo già un paio di volte ultimamente, a Roma o non ricordo più dove, nessuno che possa rovinare tutto il lavoro che stiamo facendo e abbiamo fatto nell’ultimo mese per organizzare la visita. Ecco cosa mi aspetto da lei: voglio che aumenti la sicurezza in tutte le tappe previste dall’itinerario, che migliori i controlli e che trovi gli agenti necessari per farlo. Mi sono spiegato?” Il furioso monologo del questore riuscì a risvegliare Castelli dai suoi pensieri e a far scendere il silenzio nella sala, dove fino a un momento prima albergava un concitato brusio indaffarato. “Ora la lascio con il direttore Ippoliti per iniziare una mappatura del museo e individuare i punti deboli della struttura.” concluse Ferrari che, come sempre, se ne andò senza salutare. 13


4) Il Papa! E come aveva fatto a dimenticarlo! Era da almeno un mese che andava avanti a studiare mappe e itinerari, a scegliere i luoghi da presidiare e, cosa più complicata di tutte, a cercare gli agenti per presidiarli. Con gli ultimi tagli del governo il personale era stato ridotto drasticamente e ai poliziotti rimasti venivano richiesti orari impossibili. Ma, al di là di questo, gli sembrava che il questore avesse liquidato la faccenda troppo in fretta. Aveva chiara la sensazione che qualcosa non tornasse. Non s’era azzardato a parlarne a Ferrari, che tanto non gli avrebbe dato ascolto, ma sentiva che questa storia della sostituzione aveva un lato molto più oscuro di quanto non sembrasse. Niente a che fare con la visita del Papa o con messaggi di gruppi no-global. L’inquietudine che gli aveva lasciato la visione della statua era stata molto intensa. Non se n’era ancora andata e sapeva che difficilmente l’avrebbe lasciato in pace tanto presto. Era un evento che gli capitava sovente. Vedeva cose che gli altri non vedevano. Niente a che fare con le intuizioni tanto detestate dei protagonisti di NCIS e simili. Semplicemente era più sensibile della norma. Entrava come in empatia con la scena che gli si presentava di fronte, con le persone che incontrava. 14


Nessun superpotere e nessun miracolo. Soltanto un’attitudine. Per questo da ragazzo aveva deciso di entrare in Polizia. Questa predisposizione gli si era già manifestata fin dall’infanzia, ma per molto tempo non era riuscito né a descriverla né tantomeno a spiegarla. E quindi raramente veniva preso sul serio. Valeva poco alla fine dire ‘l’avevo detto’, anche perché nessuno si ricordava di averglielo sentito dire. Ecco perché da adolescente pensò che la carriera investigativa fosse perfetta per lui, la giusta strada per indirizzare il suo talento. Perché a quel tempo credeva ancora che ognuno di noi avesse un motivo per stare al mondo, un percorso alla fine del quale, se seguito con costanza e coraggio, ci attendono allori e sguardi ammirati. Prospettiva da telefilm, ovviamente. Per chi a ‘Genitori in blue jeans’ e ‘Beverly Hills 90210’ è cresciuto. E destinata a frantumarsi in una realtà fatta di cartine stradali e posti di blocco per organizzare la visita del Papa. ‘Sempre meglio che stare in fabbrica’ pensò mentre porgeva la mano al direttore Ippoliti. Questa volta riuscendo a non dar voce al suo pensiero. “Buongiorno direttore, ho un paio di cose da chiederle.” disse stringendogli la mano. Ippoliti era uno di quelli che la mano la danno per finta, tendendola molle e senza presa. 15


“Neanche per sogno.” rispose “Ho una riunione tra pochi minuti e non ho tempo da dedicarle. Parli con la signorina De Bernardi, la mia assistente. Lei saprà darle tutte le informazioni che le servono. Arrivederci.” Detto questo sgusciò via come un’anguilla. “Individuo piacevole.” commentò Castelli rivolgendo lo sguardo a Lucia. Tutto sommato con lo scambio c’aveva guadagnato. “Un po’ come il suo questore.” sorrise lei “Ma non ne abbia una brutta impressione, è un uomo molto impegnato e a prima vista può apparire ruvido. In realtà è una persona straordinaria, ha fatto tanto per il museo.” “Mi sembra che lo conosca bene. È da molto che lavora per lui?” “Ho iniziato appena laureata, cinque anni fa. Ma è come se lo conoscessi da sempre. Per anni lui e mio padre hanno fatto studi e ricerche insieme. Per me è un po’ come uno zio.” E così Castelli capì che lo sguardo da geroglifico di Lucia non era soltanto una deformazione professionale, ma piuttosto un marchio familiare, trasmessogli per via paterna. Almeno un mistero era risolto. Un’intera famiglia al servizio delle antichità. “E anche suo padre lavora al museo?” proseguì Castelli. Che, tra l’altro, cominciava a chiedersi se 16


quelle domande servivano alle indagini o erano solo un modo per attaccare bottone. “Veramente mio padre è mancato.” E due. Si vede che quel giorno era destinato alle figure di merda. Se c’era un bottone che si stava per attaccare adesso si era scucito definitivamente. Perlomeno non avrebbe avuto rimorsi per aver sprecato tempo lavorativo ad abbordare belle assistenti sconosciute. Bella consolazione. “Mi scusi” tentò di riparare per la seconda volta nel giro di pochi minuti. “Non si preoccupi, non poteva sapere e comunque sono passati molti anni. Ma mi dica, come posso esserle utile?” Ecco, appunto, facciamo domande utili, invece di superflue figure da deficiente. “Sì, certo. Prima di tutto, chi ha scoperto la ‘sostituzione’? E sa dirmi se ci sono testimoni?” “Sono stata io a trovare la statua, circa tre ore fa.” rispose Lucia “E mi scusi, ma non mi sono ancora ripresa del tutto, è stata una visione scioccante.” “Lo immagino, ha scosso anche me. È strano, ma mi sembra di aver provato qualcosa di più del semplice disgusto guardando quella mostruosità. Come se nel complesso il feticcio non fosse così disarmonico.” Lucia lo fissò sgranando gli occhi “Cosa intende dire?” 17


“Nulla, lasci perdere, sciocchezze da investigatore.” concluse frettolosamente Castelli. Anche se nello sguardo di Lucia il commissario lesse qualcosa di più della semplice sorpresa. “E per quanto riguarda i testimoni? Mi sembra difficile che in pieno pomeriggio nessuno abbia notato niente.” “Me l’hanno già chiesto i suoi colleghi ma purtroppo sembra che nessuno abbia visto nulla. Inoltre questa sezione del museo è in restauro e le telecamere di sorveglianza erano spente. Forse le interesserà anche sapere che la mummia è stata trovata accanto al sarcofago apparentemente senza aver subito danni.” Lucia terminò la frase con un tono quasi sollevato, come se la salute della mummia le stesse più a cuore della sua. “Ho capito. Immagino sia per questo che il direttore non si occupa personalmente della faccenda. In fondo al museo non manca niente, esatto?” “A un primo esame sembrerebbe di no, commissario, ma stiamo verificando con i dipendenti.” Fu Giordano, che nel frattempo si era andato a prendere un caffè alla macchinetta automatica, a rispondere. Lucia annuì per confermare le parole dell’ispettore. “D’accordo. Allora procediamo. Temo proprio che stanotte faremo le ore piccole. Signorina De Bernardi, vorrei vedere le planimetrie del museo.” 18


5) Il lavoro fu più lungo del previsto e rimontarono in macchina che erano le dieci passate. “Bella serata, eh, commissario?” disse Giordano mentre si accendeva una Camel light. “Non ci abbiamo cavato un ragno dal buco, tanto per usare una frase originale.” rispose Castelli mentre gli scroccava una sigaretta. Anche se aveva il pacchetto mezzo pieno in tasca gli piaceva fare incazzare un po’ l’ispettore. “Commissario, ma a lei vendono le sigarette che finiscono nel momento esatto in cui mi incontra? Ogni volta me le scrocca, con rispetto parlando.” “No Giordano, è che penso alla tua salute. Te le fumo io così ne fumi meno tu, con rispetto parlando.” “Appunto.” “Comunque qualcosa almeno l’abbiamo capita, stasera. Chi ha eseguito lo scambio si è introdotto nella ‘Tomba di ignoti’ dall’uscita di sicurezza del museo che conduce direttamente alla sala. L’uscita non era controllata perché il padiglione è in ristrutturazione, il percorso del Papa non prevede la visita di quell’ala del museo e quindi non era stato ritenuto necessario il controllo di quella sezione. E questo ci dice almeno due cose.” 19


“Che, per prima cosa, dobbiamo mettere in sicurezza anche quel passaggio. Sulla seconda mi illumini lei.” “È piuttosto semplice, Giordano. Il nostro uomo conosce molto bene il museo. Tanto da sapere che quell’uscita era libera e le telecamere erano spente. Inoltre una porta di sicurezza si apre solo dall’interno. Quindi la domanda è: come ha fatto a entrare?” “Potrebbe aver avuto un complice.” suggerì Giordano. “Non credo, complicherebbe troppo le cose. Anche perché dalle registrazioni video non abbiamo visto nessuno non autorizzato entrare nella sala.” “Magari qualcuno tra gli operai che eseguono i lavori di ristrutturazione? Potrebbe esserci un infiltrato.” “Vorrebbe dire un’organizzazione della faccenda lunga e complessa. Mi pare eccessivo per un semplice ‘scherzo’, come l’ha chiamato il questore.” “Forse c’è un altro modo per entrare dall’esterno.” “E sarebbe?” “Basterebbe avere una copia della chiave di sicurezza, quel tipo di porta lo prevede.” “Sì, ci avevo pensato. Non lo so, la faccenda non mi è per niente chiara, ci sono troppe cose che non tornano.” “Commissario non ci perda il sonno. In fondo la quello che interessa a noi è mettere tutto in sicurezza 20


per l’arrivo di sua Santità. Non è mica successo niente di così grave.” “Già. Ma è proprio questo che non mi quadra. Messa così mi ricorda il titolo di una commedia di Shakespeare. “Molto rumore per nulla.” Possibile che uno si prenda la briga di organizzare questa messinscena solo per manifestare un dissenso? E senza neppure rivendicarlo, tra l’altro.” “Il mondo è pieno di gente strana, commissario. Glielo ripeto: non ci perda il sonno.” concluse Giordano mentre buttava la cicca dal finestrino e metteva in moto l’auto d’ordinanza. Castelli non disse più nulla per tutto il tragitto che li riportò in corso Vinzaglio. Appoggiato al sedile dell’auto guardava con un misto di torpore ed eccitazione la città scivolare via accanto a lui. Era stanco ma anche, in qualche modo, febbrile. Non trovava le parole per spiegare a Giordano cosa non andava in quella vicenda. O meglio, una cosa avrebbe voluto dirla. Ma gli sembrava un po’ troppo fantasiosa come immagine, e aveva paura di non essere preso sul serio, per l’ennesima volta. Però in fondo Giordano era un buon collega. Se con lui non c’era quella che si potrebbe definire una vera e propria amicizia, una certa complicità e stima reciproca erano senz’altro presenti nel loro rapporto. Era uno dei pochi suoi collaboratori a non essere 21


invidioso di lui, per i successi che avevano costellato la sua carriera, e che la maggior parte della gente guardava con incredulità e un pizzico di derisione, vista la perenne confusione apparente del commissario. Ma la gente, si sa, è superficiale, e raramente si sofferma a guardare oltre le apparenze. L’ispettore invece dava l’idea di uno che sulle cose indugia un momento più degli altri, per pensare. Forte di questa sua improvvisa illuminazione da due soldi, Castelli si decise a parlare, proprio mentre l’auto arrivava a destinazione. “Vedi Giordano, quella statuetta mi ricorda una piccola crepa.” Giordano sollevò un sopracciglio. “Commissario?” “Sì. Hai presente quelle minuscole crepe che si formano sulle dighe? Di solito sono graffi superficiali senza importanza, a cui la manutenzione non da nessun peso. Pioggia, acqua e vento corrodono lievemente il cemento armato, ma la struttura non ne risente, sono insignificanti screpolature. Però succede, una volta su milioni di casi, che la crepa, per un qualche inspiegabile motivo, si propaghi in profondità, fino a raggiungere il lato opposto della diga. E una piccola goccia d’acqua si insinua fino a sgorgare dalla parte sbagliata. Ma la goccia non viene 22


rilevata finché non diventa un rivoletto più grosso. A quel punto però il destino della struttura è segnato. E, quando si prova a fermarla, l’acqua ha già corroso il cemento ed il crollo è inevitabile. Ecco quella statuetta mi sembra proprio questo. L’indizio irrilevante di una catastrofe imminente.” Nell’auto calò il silenzio per qualche istante. Giordano fissò Castelli con l’aria di chi non sa bene che dire, come se aspettasse un’altra puntata del documentario. Poi parlò. “Commissario, ma è vero?” “Cosa?” “’Sto fatto delle dighe?” “Buonanotte Giordano.” Con un mezzo sorriso Castelli aprì lo sportello. Forse era stato un po’ troppo ottimista sul conto dell’ispettore. “Ah, commissario, se vuole i ragazzi mi stanno aspettando al solito pub. Viene a farsi una birra con noi?” Però restava comunque una brava persona. “Per stasera no, grazie. Sto crollando dal sonno, saluta gli altri.” “A domani, commissario.”

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