Storie di cibo e di vita. Autori Vari

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che non perda mai il filo del discorso. Anche quando si concede qualche pausa, io annuisco ma non dico nulla e rimango ad aspettare. È solo in quel caso che io riesco ad attendere. Per il resto ho sempre fretta. Rimango volentieri con lui perché in sua compagnia mi si allenta l’ansia. Ho fiducia perché mi trasmette le sue esperienze in un modo tranquillo e naturale, senza volermele imporre. Mi sembra di avere trovato il padre che non ho mai avuto. Il padre che ho desiderato conoscere da bambina, specialmente quando mi sentivo in balia dell’apprensione di mia madre, che mi schiacciava con il suo amore nevrotico. Sentivo il bisogno di avere vicino qualcuno che mi permettesse di lasciarmi andare e sentirmi libera, senza nessun timore. Invece, essere costretta a trangugiare il cibo, anche quando non mi piaceva o non avevo appetito, mi aveva provocato un rifiuto. Allora mi rifugiavo in bagno a vomitare quello che avevo appena mangiato. Anziché crescere, come sperava mia madre, dimagrivo e stavo male. Furono anni terribili e ricoveri continui. Riuscii a uscirne dopo sette mesi di permanenza in una casa di cura, lontano da lei. Ripresi a considerare il cibo una necessità per sopravvivere, a volte anche un piacere, mai più una costrizione. Lei non l’ha ancora capito. Forse la sua incapacità di darmi amore mi ha reso indisponibile agli affetti. Quando ho avuto l’occasione di impegnarmi, mi sono sempre ritirata per paura. Non ho mai avuto il coraggio di lasciare crescere i miei sentimenti, li ho soffocati e lasciati morire in solitudine. Nelle poche amicizie avute con ragazzi della mia età, troncavo presto il rapporto perché mi apparivano troppo giovani. Non li capivo, non c’era sintonia fra noi; allora, preferivo lasciare. Lui continua a parlare senza accorgersi che sono andata per conto mio col pensiero. Il distacco da mia madre me lo fa sentire più vicino. Ah, se ci fosse stato da bambina, avrebbe avuto voglia di giocare con me. Anziché stare seduti sopra questa panchina, saremmo stati là, con quei piccoli, mi avrebbe spinto sull’altalena o lasciata andare dallo scivolo ed io non avrei smesso di ridere. Sì, perché ho smesso presto di ridere, senza di lui. Fin dai primi anni di scuola mi sono sentita in debito con non so chi. Volevo essere brava, più delle mie compagne, per guadagnarmi l’affetto di cui non mi sentivo degna. Fu del tutto inutile. Anche dopo essere cresciuta, non mi sono mai sentita giovane, spensierata. Avevo sempre sulle spalle il peso di un’esistenza faticosa e il vuoto degli


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