Exibart.onpaper n.56

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N’EST PAS. A MONDO MIO. Prima di accantonare i mondi virtuali come un giocattolo che non ha più il sapore della novità, pronto ad essere rimpiazzato da un altro passatempo, sarebbe utile continuare ad esplorare la dimensione concettuale degli universi sintetici, che riserva ancora sorprese interessanti. In questa direzione si sono mossi un gruppo di studiosi e di ricercatori, che in Second Life ha dato l’avvio al progetto della Torre di Asian, un racconto tridimensionale dove Asian è un avatar che fa di cognome Lednev e corrisponde, nella vita vera, all’architetto Fabio Fornasari. A lui, progettista e artista, si affianca Lorenza Colicigno (Azzurra Collas), scrittrice di mestiere e poetessa, che cura e raccoglie le varie parti del racconto stesso. Questo progetto è originale e intrigante perché indaga sulle potenzialità della scrittura all’interno degli universi sintetici. Finalmente, sin dall’inizio, si stabilisce che le regole del gioco da seguire in quell’altra realtà non sono le stesse della vita quotidiana al di qua dello schermo. Si è già detto e ampiamente ripetuto che le case e gli arredi di SL non devono essere per forza come quelle cui siamo abituati, e tutti sappiamo che la moda del mondo dei Linden non segue le stesse tendenze delle passerelle del mondo vero. E allora perché i processi della narrazione dovrebbero rimanere ineluttabilmente invariati? Se lo sono chiesti gli studiosi del gruppo che ruota attorno al progetto della Torre di Asian, che hanno ipotizzato un nuovo modo di utilizzare la scrittura e di fruire della narrazione in un mondo virtuale. I punti cardine del progetto sono due: creare un romanzo scritto a più mani (non necessariamente da addetti ai lavori), con il continuo alternarsi di narratori, e l’idea di trascrivere in tempo reale il racconto in progress sulla superficie di una torre che cresce al crescere dei dialoghi. Innanzitutto la scrittura assume una presenza tridimensionale, con la storia scritta sulla skin della torre, che pare in questo senso una versione della Colonna Antonina 2.0, con i dialoghi che si innestano nello spazio, a diverse altezze, in diverse posizioni, suggerendo una possibile ma non necessaria scala di valori legata alle frasi. Poi c’è il discorso, fondamentale, dell’interazione fisica: le parole e le frasi della Torre di Asian scardinano il tempo canonico della lettura di una pagina e lo spazio necessario per leggere una pagina dalla prima all’ultima riga: qui le frasi si scorrono volando, piroettando intorno al monumento di parole, o magari volteggiando in caduta libera, gettandosi dalla cima. In tal modo si leggono gli spazi stessi, dato che è difficile dire quale sia il supporto e quale sia il contenuto. [...continua a pagina 93 di rimandi]

“Ci vogliamo fare la kunsthalle della moda”. La proposta non arriva da Milano, la capitale italiana del fashion o da un’Anversa in via di ripensamento. E nemmeno dalla nuova swinging London o dall’intraprendente e rinata Alta Roma. Arriva da un piccolo paese vicentino, Schio. A guardar bene la cosa sembra alquanto curiosa se non naif, per la mancanza apparente di relazioni collegate al tema. Ma poi si comincia ad indagare. Schio riporta alla memoria la città sociale di Alessandro Rossi, che nella metà dell’Ottocento inventa uno straordinario polo produttivo tessile, che ha lasciato in eredità una Fabbrica Alta di diecimila metri, un complesso industriale enorme, il giardino romantico Jacquard, come il signore del tessuto omonimo che qui lavorava, e un asilo del 1870 ad uso della fabbrica. Il lanificio Conte, già agibile. Oltre ad un teatro civico oggi abitato da Vacis e Paolini. Su questi territori arrivarono qualche anno dopo i Marzotto, la cui Valdagno dista pochi chilometri in linea d’aria e di recente, i vari Diesel o Gas. Oggi, infatti, in un raggio di non più di cinquanta chilometri si è sviluppata un’importante parte della manifattura e del fashion mondiale. Ed eccola dunque Schio che se ne sta al centro di un polo produttivo incredibile e del “distretto culturale evoluto”, teorizzato da Pier Luigi Sacco. Ma la cosa che è necessario capire subito dopo è: una Kunsthalle della moda, a Schio, ha la capacità di vivere? La migliore risposta arriva dal progetto Archivi vivi e dagli interpellati dal Comune. Vedi Maria Luisa Frisa, eclettica curatrice di moda e arte oltre che direttore del corso di design della moda dello Iuav o Mario Lupano, il massimo esperto italiano di archivi della moda. Ma il processo coinvolge anche regione, industriali e università. E molti attori pubblici e privati. Una volta tanto si parte dal passato, spesso dimenticato anche se straordinario. Senza forzare luoghi e idee. E lo si rende contemporaneo e vivo con i processi. Per fortuna a Schio non nascerà l’ennesimo centro d’arte contemporanea, predestinato al fallimento, ma un progetto innovativo. Che guarderà la natura dei luoghi e su quella lavorerà. Speriamo diventi una pratica alla moda. Non solo a Schio. cristiano seganfreddo direttore di fuoribiennale e innovation valley

mario gerosa docente di multimedia al politecnico di milano

UN SACCO BELLO. Scorrendo la lista degli artisti italiani invitati nella Biennale curata da Robert Storr, non c’era bisogno di Sherlock Holmes per stabilire qual era il criterio che aveva guidato la selezione: per lo più, si trattava di artisti che vivevano o gravitavano su New York e che il curatore conosceva già e sui quali poteva farsi un’idea senza bisogno di dedicare troppo tempo ad un’analisi o ad un approfondimento del loro lavoro. Scorrendo la lista degli artisti invitati alla Biennale curata da Daniel Birnbaum, le deduzioni sono altrettanto facili: i prescelti sono il risultato di una cernita effettuata a seguito di una visita, o magari di più visite ripetute, ad Italics, la mostra curata da Francesco Bonami a Palazzo Grassi: ancora una volta, massimo risultato con il minimo sforzo, considerando che a Venezia Birnbaum – negli ultimi mesi impegnato contemporaneamente in una quantità di mostre internazionali – doveva andarci comunque. Lo scopo di queste mie considerazioni non è certo quello di alimentare le solite dietrologie rancorose che seguono qualunque annuncio di qualunque lista di artisti invitati a qualunque manifestazione di un certo rilievo, e che sono l’indice più sicuro della mediocrità di chi le alimenta. Ciò che mi interessa è semplicemente far notare come, quando si tratta di riempire la lista degli artisti italiani invitati alla Biennale, la logica delle scelte assomigli più al tentativo di raggiungere un ‘contingente minimo sindacale’ con il minimo impiego di tempo e di energie piuttosto che di riflettere una scelta consapevole e ragionata, basata su una reale esplorazione della scena artistica nazionale. Procederei quindi ad una modesta proposta: che il futuro curatore della Biennale di Venezia sia nominato con un anticipo sufficiente da chiedergli un lavoro sul campo di tre-sei mesi interamente dedicato allo studio e alla conoscenza della scena artistica italiana. Da affrontare con i criteri che crede, e avvalendosi delle collaborazioni che più ritiene opportune. E da sedimentare in una public lecture che dia conto della sua esperienza, magari dopo l’apertura della Biennale stessa, in modo da concentrare l’attenzione sulla dimensione dell’analisi e della ricerca e non appunto sul gioco dei pronostici sui futuri invitati. Ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra scena artistica nazionale è attenzione, curiosità, desiderio di capire. È questo il ruolo che hanno svolto biennali come Istanbul o São Paulo per le scene artistiche turca o brasiliana. Sono pronto a scommettere che se questo metodo venisse applicato, quali che fossero le scelte per la Biennale veneziana, sarebbero più difficili da ricondurre a criteri univoci come la città in cui si vive o l’aver partecipato o meno ad una mostra. Ma sono altrettanto disposto a scommettere che, con un po’ di pratica costante di questo metodo, sarebbe anche più probabile imbattersi in artisti italiani nelle liste degli invitati alle altre biennali e alle altre grandi mostre. pier luigi sacco pro-rettore alla comunicazione e all’editoria e direttore del dipartimento delle arti e del disegno industriale - università iuav - venezia


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