62a edizione Scivac Rimini - parte1

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62° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC

Diagnosi avanzate, biologia molecolare e malattia minima residua Stefano Comazzi Med Vet, PhD, Dipl ECVCP, Milano

Tra le tecniche utili per rifinire la diagnosi delle malattie linfo-mieloproliferative dei piccoli animali vanno ricordate le tecniche di immunofenotipizzazione e quelle di biologia molecolare. L’utilizzo di metodiche quali la citometria a flusso, la PCR sia convenzionale che quantitativa (real-time) è ormai entrata a pieno titolo nel pannello indispensabile per il corretto inquadramento clinico dei linfomi alla luce anche dei numerosi lavori che definiscono la stretta correlazione tra l’immunofenotipo e i tempi di sopravvivenza (Ponce et al., 2004). Per immunofenotipizzazione di una neoplasia si intende la definizione del pattern di antigeni presente sulla membrana (o più raramente nel citoplasma) delle cellule tumorali mediante l’utilizzo di anticorpi monoclonali. Questo risultato può essere perseguito con tecniche di immunoistochimica, molto adatte alle lesioni solide carcinomatose o sarcomatose, o con metodiche citofluorimetriche o immunocitochimiche, su tessuti liquidi o cellule in sospensione dopo biopsia ad ago sottile. L’immunofenotipizzazione citofluorimetrica si presta molto bene alla determinazione del fenotipo delle cellule di leucemie o dei tumori rotondocellulari, quali linfomi, neoplasie istiocitarie o mastocitomi, in quanto da un lato il sangue è una sospensione “naturale” di cellule, dall’altro le cellule rotonde sono scarsamente coesive e quindi possono facilmente essere aspirate e sospese in appositi terreni liquidi di coltura. Tra i vantaggi di questa tecnica rispetto all’immunoistochimica vi è la facilità di prelievo che non richiede sedazione né approccio chirurgico e l’estrema rapidità di esecuzione che permette di ottenere risultati clinicamente rilevanti già in 24 ore dal prelievo, a fronte di un costo piuttosto contenuto. Un ulteriore vantaggio risiede nella possibilità di evidenziare la contemporanea espressione di due o più antigeni sulla membrana delle cellule neoplastiche e di acquisire rapidamente un numero molto elevato di cellule (almeno 10.000) il che permette di risolvere anche le popolazioni cellulari meno rappresentate nel campione. In medicina umana l’utilizzo di tecniche citofluorimetriche ha permesso di rifinire l’approccio diagnostico alle patologie linfo-mieloproliferative e di definire in modo preciso l’insieme delle positività caratteristiche di ogni singola entità neoplastica. La determinazione dell’immunofenotipo caratteristico della popolazione di cellule neoplastiche linfomatose è utile da un punto di vista prognostico, alla luce della più favorevole prognosi delle neoplasie B rispetto alle T, e per

la determinazione più corretta della stadiazione, grazie alla possibilità di tracciare le cellule neoplastiche nel sangue e nel midollo con una precisione molto maggiore rispetto alla semplice determinazione citologica. Lavori recenti (Marconato et al., 2008) hanno indicato come i tempi di sopravvivenza fossero profondamente differenti tra i linfomi senza e con infiltrazione emato-midollare (stadio V) e come in quest’ultimi si debba spesso considerare l’utilizzo di farmaci specifici in aggiunta al normale protocollo chemioterapico. La determinazione dell’immunofenotipo neoplastico permette talvolta anche di distinguere tra le forme di linfoma con infiltrazione ematomidollare e le vere e proprie leucemie acute, a partenza principale midollare. In particolare, nel cane, l’espressione dell’antigene CD34 è da considerarsi riconducibile alle leucemie acute, sia linfoidi che mieloidi, in quanto nella stragrande maggioranza dei linfomi, anche leucemici, è assente tale positività. Un aspetto di particolare interesse consiste poi nell’evidenziazione dei cosiddetti fenotipi aberranti cioè espressioni di antigeni generalmente considerati non compatibili nell’ambito della normale popolazione non neoplastica (per esempio la coespressione di antigeni mieloidi o linfoidi o di antigeni della linea B e T) (Wilkerson et al., 2005; Gelain et al., 2007). L’evidenziazione di questi antigene qualitativamente o quantitativamente espressi in modo aberrante permette da un lato di confermare la natura neoplastica della cellula interessata (pseudoclonalità) e dall’altro di tracciare in modo assolutamente preciso il livello di infiltrazione dei differenti organi (stadiazione) e di valutare la percentuali di cellule rimaste nei tessuti dopo protocollo chemioterapico (malattia minima residua o MDR). La valutazione dell’origine neoplastica delle cellule si effettua dimostrando l’origine delle stesse da un’unica cellula che si replica in modo afinalistico. Tale aspetto, definito clonalità, può essere dimostrato con tecniche di immunofenotipizzazione o di biologia molecolare. In medicina umana la determinazione citofluorimetrica delle catene leggere degli anticorpi (denominate kappa e lambda) è spesso utilizzata per definire l’origine clonale delle neoplasie B in quanto in condizioni non neoplastiche le cellule B sono caratterizzate da un misto di entrambe le forme e l’evidenziazione di una netta prevalenza di una delle due va considerato come segno di neoplasia. L’utilizzo di tecniche di biologia molecolare per la determinazione del riarrangiamento dei recettori per le 130


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