48a edizione Scivac Rimini - parte1

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48° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

I colloidi nella rianimazione e nel mantenimento: quando, come, quanto e perché? Lesley G. King MVB, DACVECC, DACVIM, DECVIM-CA, Philadelphia, PA, USA

La determinazione degli esami ematochimici d’emergenza, rappresentati da ematocrito, proteine totali, glicemia ed azotemia, è parte integrante della valutazione iniziale e del trattamento di tutti i pazienti in condizioni critiche. L’ematocrito viene misurato utilizzando una provetta e una centrifuga da microematocrito, mentre i livelli di proteine totali si determinano facilmente utilizzando un rifrattometro. La conoscenza dell’ematocrito permette al clinico di stabilire se il paziente è anemico, nel qual caso potrebbe essere necessario utilizzare degli emoderivati per la sua stabilizzazione e rianimazione. La ragione più importante per effettuare la misurazione delle proteine totali è ottenere un’indicazione generale del grado di disidratazione e della pressione colloidosmotica (COP) del sangue, che rende più facile prendere alcune importanti decisioni relative al tipo di fluidoterapia da attuare per la rianimazione del paziente. I livelli iniziali dell’ematocrito e delle proteine totali costituiscono inoltre un valore basale da utilizzare come riferimento per il confronto in futuro degli stessi parametri rilevati mentre il trattamento è in atto. Le misurazioni seriali dell’ematocrito e dei livelli di proteine totali ed il monitoraggio frequente dei parametri rilevabili attraverso l’esame clinico risultano estremamente importanti nei casi in cui esiste un’emorragia attiva.

COLLOIDI E PRESSIONE COLLOIDOSMOTICA In termini fisiologici, le particelle di soluti presenti nel plasma possono essere suddivise in cristalloidi (principalmente elettroliti) con pesi molecolari inferiori a 30.000 Dalton e colloidi (principalmente proteine plasmatiche) con pesi superiori a 30.000 Dalton. L’endotelio vascolare agisce come una membrana semipermeabile, che di solito non consente il passaggio dei colloidi nell’interstizio, mentre permette il libero spostamento delle particelle di cristalloidi. Rispetto al liquido interstiziale, il plasma contiene più particelle colloidi, che esercitano una pressione colloidosmotica attraverso la membrana semipermeabile dell’endotelio vascolare. La presenza di proteine nel plasma promuove il mantenimento del volume intravasale attraverso la ritenzione di acqua e cristalloidi nel comparto intravascolare. La pressione colloidosmotica del sangue è quindi una caratteristica importante che determina il flusso dei liquidi fra i vari comparti fluidi dell’organismo. Per trattare un cane o un gatto in shock ipovolemico è necessario decidere se utilizzare per la rianimazione iniziale

cristalloidi, colloidi, emoderivati o tutti e tre. Questa decisione dipende principalmente dai valori di ematocrito e proteine totali del paziente al momento della presentazione alla visita. Se le proteine totali (e quindi la COP) sono basse, è possibile la comparsa di un edema che potrebbe essere esacerbato dalla somministrazione di fluidi cristalloidi. Di conseguenza, in questa situazione come fluidi da rianimazione si utilizzano spesso plasma o colloidi di sintesi invece dei cristalloidi, perché questi ultimi provocano un’ulteriore significativa emodiluizione ed esitano in gravi diminuzioni della pressione colloidosmotica. Se le proteine totali sono inferiori a 4 g/dl, nella maggior parte dei pazienti risulta utile che il bolo infuso per il trattamento dello shock sia costituito in tutto o in parte da colloidi. Nello shock ipovolemico i colloidi hanno un duplice vantaggio primario: in primo luogo aumentano rapidamente il volume intravascolare; in secondo luogo, grazie al loro elevato peso molecolare, quasi tutto il volume somministrato tende a rimanere all’interno dello spazio vascolare. Al contrario, a causa della rapida ridistribuzione nell’interstizio del 75% dei cristalloidi somministrati, per determinare l’espansione dello spazio intravascolare è necessario infondere una quantità quadrupla di cristalloidi (in confronto ai colloidi). Nel cane la dose antishock di cristalloidi è di 6090 ml/kg (45-60 ml/kg nel gatto) che corrisponde ad un volume ematico. Questo valore può essere confrontato con una dose antishock di colloidi nel cane di 15-20 ml/kg (1015 ml/kg nel gatto). Se si utilizzano insieme cristalloidi e colloidi, la dose dei primi deve essere ridotta del 40%. Quindi, in confronto ai cristalloidi, è sufficiente impiegare volumi relativamente ridotti per ottenere un effetto cardiovascolare simile. Anche se è difficile quantificare clinicamente la riduzione dell’accumulo del fluido interstiziale, abbiamo osservato a livello aneddotico degli incrementi della sopravvivenza e dei cali della morbilità in pazienti in condizioni critiche incrementando l’impiego di soluzioni di colloidi di sintesi. Queste ultime vanno prese in considerazione in tutti gli animali che necessitano di elevati livelli di supporto mediante fluidoterapia endovenosa, in particolare se è presente un’ipoproteinemia. Negli animali con vasculite, a seconda delle dimensioni del difetto di permeabilità, le molecole colloidi possono rimanere nello spazio vascolare. I colloidi offrono quindi un’opzione per l’espansione rapida e prolungata del volume intravascolare. Se la sindrome di perdita vascolare è grave, tuttavia, le molecole di colloidi possono anche lasciare la vascolarizzazione e passare nell’interstizio, il che


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