46a edizione Scivac Rimini

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

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Novità sui disordini epatici nel cane Stanley L. Marks BVSc, PhD, Dipl ACVIM (Internal Medicine, Oncology), Dipl ACVN - University of California, Davis, USA

Estratto breve Il presente lavoro sarà incentrato su diversi disordini epatici relativamente comuni del cane, come l’epatotossicosi da rame, l’epatite cronica, la dermatite necrolitica superficiale secondaria ad epatite cronica e la displasia microvascolare epatoportale. L’anomalo accumulo di rame all’interno dei lisosomi epatici è stato associato a danno epatocellulare in parecchie razze, soprattutto bedlington terrier, west highland white terrier, skye terrier e dobermann. Gli studi sulla epatotossicità da rame nel bedlington terrier hanno dimostrato che la malattia è dovuta ad un carattere ereditario autosomico recessivo che esita nell’aberrante espressione di una proteina, la metallotioneina, che lega il rame. Quest’ultimo si accumula attraverso un processo correlato all’età all’interno dei lisosomi degli epatociti, spesso raggiungendo livelli di 10.000 parti per milione (ppm). Sono considerati normali livelli di rame nel fegato inferiori a 400 ppm. Nelle altre razze si può avere una certa confusione, perché il rame si può accumulare nel fegato anche secondariamente ad epatopatie colestatiche. La maggior parte degli alimenti commerciali per cani contiene un eccesso di rame, per cui le carenze sono poco comuni. L’assorbimento di questo elemento viene accentuato dagli aminoacidi e da elevati livelli di proteine nella dieta e ridotto da zinco, ascorbato e fibre. Il trattamento dei cani con epatotossicosi da rame è volto a ridurre i livelli dello stesso nella dieta, attuare un’integrazione con zinco per prevenire l’assorbimento del rame e somministrare degli agenti che chelino il rame come la D-penicillamina o la trientina (2,2,2-tetramina). L’epatite cronica con conseguente fibrosi e cirrosi nel cane è stata riconosciuta con frequenza progressivamente maggiore negli ultimi anni. Molti cani vengono portati alla visita con segni clinici di malattia acuta, anche se la biopsia epatica rivela un’epatopatia cronica o una cirrosi in stadio terminale. La maggior parte dei cani si presenta letargica e depressa. Spesso vengono riferite anoressia e perdita di peso, nonché polidipsia e poliuria. In molti cani, si possono riscontrare anche ascite ed ittero. Il dobermann (spesso femmine di media età) sviluppa solitamente un accumulo epatico di rame negli epatociti periportali, secondariamente alla natura colestatica dell’epatite cronica. I meccanismi eziopatogenetici coinvolti nello sviluppo e nella progressione della malattia epatobiliare cronica nel cane sono scarsamente conosciuti. Come conseguenza, la scelta del trattamento clinico più appropriato è spesso sintomatica o basata su alterazioni istologiche osservate nelle biopsie epatiche. Il tratta-

mento definitivo dell’epatite cronica va idealmente basato sui risultati della biopsia epatica. Le caratteristiche istologiche indicative di epatite cronica sono rappresentate da presenza di elementi infiammatori mononucleari e/o riscontro di fibrosi. Il valore della terapia con corticosteroidi (prednisolone) nell’epatopatia del cane è controverso. Il prednisolone è probabilmente indicato nelle affezioni epatiche immunomediate (epatite cronica attiva) ma queste malattie vanno preferibilmente confermate in anticipo mediante biopsia epatica. I corticosteroidi probabilmente riducono l’infiammazione e forse aumentano l’appetito e la sensazione di benessere. Inoltre, possono minimizzare la fibrosi durante la fase di guarigione in seguito ad un evento patologico acuto. Tuttavia, possono aumentare la gravità e la mortalità dell’epatite virale e della colangioepatite batterica e possono aggravare i segni clinici dell’encefalopatia epatica promuovendo il catabolismo proteico. Altri agenti terapeutici che verranno illustrati in maniera più dettagliata nel corso della relazione sono la famotidina, gli antibiotici come l’ampicillina ed il metronidazolo, l’azatioprina, gli agenti antifibrotici (colchicina) e quelli coleretici (acido ursodeossicolico). La dermatite necrolitica superficiale (SND) è un’affezione cutanea poco comune che è anche stata indicata con il nome di necrosi metabolica dell’epidermide, sindrome epatocutanea, dermatopatia diabetica ed eritema migrante necrolitico (NME). La malattia viene tipicamente diagnosticata nei cani anziani, anche se esistono rare segnalazioni del suo riscontro nel gatto e nel rinoceronte nero. Il segno clinico più comune della SND è lo sviluppo di lesioni cutanee visibili ad occhio nudo con una caratteristica distribuzione. Tali lesioni sono rappresentate da eritema, croste, essudazione, ulcerazione ed alopecia a carico di cuscinetti plantari, regioni perioculare e periorale, regione anogenitale e punti di pressione del tronco e degli arti. Alla SND sono anche associate zoppia da lesioni dei cuscinetti plantari, inappetenza e perdita di peso. In presenza di un concomitante diabete mellito, si possono osservare polidipsia e poliuria. I riscontri istopatologici di una marcata paracheratosi dell’epidermide con edema inter- ed intracellulare e degenerazione dei cheratociti nella parte superiore dell’epidermide unitamente ad iperplasia delle cellule basali sono responsabili delle caratteristiche lesioni istologiche “rosse, bianche e blu” che hanno valore diagnostico per questa malattia. A differenza di quanto avviene nei pazienti umani con NME, nella maggior parte dei cani con SND non è stata riscontrata un’associazione documentata con un glucagonoma, ma di norma è presente un’epatopatia. L’eziopatogenesi della patologia epatica osservata nella maggior parte dei cani con SND resta scono-


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