Professione Veterinaria, Anno 2008, Nr 13

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laPROFESSIONE

VETERINARIA 13 | 2008

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Liquidare l’attività Legale

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Cessione della clientela professionale Quantificare il “pacchetto clienti” è un problema: l’avviamento non appartiene alle professioni di MARIA TERESA SEMERARO Avv., Bologna ello studio professionale quello che conta e prevale e ne caratterizza l’importanza e il valore è sempre l’opera intellettuale del titolare, il quale, agisce, nello svolgimento della sua attività, non di propria iniziativa, come nell’impresa, ma in base a un incarico fiduciario (intuitu personae) del committente, espletato con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione”. Di contro l’avviamento è stato definito “come la capacità di profitto la quale, benché propria dell’impresa in senso lato, viene imputata all’azienda, in quanto si valuta che la stessa possa permanere nonostante il mutamento dell’imprenditore. Risulta, dunque, che solo in presenza di impresa vi è azienda e che, pertanto, solo in tale ipotesi si può parlare di avviamento commerciale come un bene immateriale, immanente ed incorporato nell’azienda e come tale, con essa cedibile. Non si può, allora, che ribadire che nella cessione di uno studio professionale così come di un ambulatorio veterinario non si possa prevedere una vera e propria cessione di clientela con conseguente richiesta e versamento di un prezzo a titolo di avviamento. L’incedibilità della clientela, come voce di per sé suscettibile di valutazione economica trova, però, dei contemperamenti laddove è stata riconosciuta la validità di patti stipulati tra professionisti che prevedano una gradualità del passaggio della clientela tra il professionista cedente e il cessionario. In tale fattispecie, il professionista cedente si impegna e si adopera ad indirizzare la propria clientela verso il collega cessionario in modo che si possa ritenere, non solo rispettato, ma anche realizzato l’espletamento dell’attività libero professionale in virtù di un carico fiduciario tra committente e professionista. Ciò che viene richiesto, affinché si possa legittimamente prevedere un riconoscimento economico alla “cessione di clientela” in caso di contratto di cessione di studio/ambulatorio veterinario, è che il trasferimento di clientela tra un professionista e l’altro non sia meramente e astrattamente pattuito ma costituisca un’effettiva fase di passaggio e collaborazione tra i professionisti. Se, infatti, è pur vero che: “I rapporti e le conoscenze - specie se a carattere strettamente personale - difficilmente possono essere ceduti, generalmente il cedente, oltre alla cessione dei beni materiali e immateriali trasferibili, si obbliga a una serie di prestazioni - di fare, di non fare e di permettere - idonee e mirate a far acquisire al cessionario i rapporti altrimenti intrasferibili, quali, per esempio, l’obbligo di presentare il cessionario ai suoi clienti e collaboratori, di affiancarlo per un certo periodo, di “volturare” i contratti in corso, di astenersi dallo svolgere la propria attività (patto di non concorrenza) e, infine di adoperarsi per la prosecuzione del rapporto con la vecchia clientela”. Se solo in presenza di tali elementi è possibile parlare di avviamento professionale, bene si comprende come tale istituto si diversifichi in modo intrinseco dall’avviamento commerciale. Un riconoscimento economico dell’avviamento professionale in sede di cessione di uno studio/ambulatorio veterinario non è, infatti, deducibile dai libri contabili ma richiede una vera e propria attività e partecipazione del cessionario. Se mi è concesso volgarizzare il concetto, il cedente si deve guadagnare il prezzo che richiede

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a titolo di avviamento professionale, ponendo in essere tutti quegli atti e comportamenti necessari affinché il cessionario possa effettivamente conservare la clientela. Declinato in tale modo, l’avviamento professionale si discosta del tutto dall’avviamento commerciale che, come qui già richiamato, è suscettibile di per sé di una valutazione economica a prescindere da qualsivoglia attività del cedente in quanto quantificabile con la capacità dell’azienda di produrre profitto al di là del cambiamento della persona dell’impren-

ditore. Sulla base di tali rilievi, risulta, altrettanto evidente che anche in caso di liquidazione del socio receduto (non escluso per fatti allo stesso imputabili) da una Associazione Professionale, non vi potrà essere riconoscimento economico di un avviamento secondo i criteri con cui viene quantificato e/o riconosciuto l’avviamento commerciale, in caso di recesso del socio di una società di persone. Fermo restando quanto previsto nello statuto associativo, all’associato che recede potrà essere corrisposta una somma a titolo di avviamento professionale solo, ed in quanto, egli per iscritto si impegni a non esercitare la professione in un ambito territoriale in grado di agevolare la canalizzazione presso di

sé della clientela acquisita durante la partecipazione nell’Associazione professionale e si attivi con atti e comportamenti concordanti ed idonei a non sviare in alcun altro modo detta clientela. Tali indicazioni devono costituire oggetto di una reale e valida pattuizione effettuata con l’assistenza dell’avvocato e del commercialista al momento della costituzione dell’Associazione professionale onde evitare l’acuirsi di conflitti tra veterinari che, certamente, seppur governabili, non giovano certo alla crescita professionale della categoria. (estratto del parere già pubblicato sul numero 11/2003. Sull’argomento si veda anche Professione Veterinaria n. 7/2003 www.anmvi.it/professione) ■


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