My Covid In Comics

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a cura di Jacopo Granci e Claudio Calia

my COVID in COMICS Racconto sociale di una pandemia globale


Con il contributo di

Il progetto My Covid in Comics è promosso da

a cura di Jacopo Granci e Claudio Calia my COVID in COMICS Racconto sociale di una pandemia globale Caracò Editore Collana tools Editing Serena Bella Progetto grafico Carmine Luino Impaginazione Carmine Luino, Elena Cassoli ISBN 978-88-99904-22-7 I edizione marzo 2021 © Tutti i diritti sono riservati www.caraco.it

Contenuti extra su

www.educativvu.it


C’è voluto il COVID... C’è voluto il COVID per capire cosa significa la globalizzazione. Una volta “scoperta” l’epidemia (non ancora pandemia) a Wuhan, abbiamo pensato che bastasse sospendere i voli dalla Cina per essere al sicuro. Invece sarebbe stato meglio chiedere a un facchino di Malpensa o Fiumicino quante valigie cinesi aveva scaricato fra dicembre e gennaio, per avere un’idea della mobilità globale e delle sue conseguenze. Poi, quando abbiamo avuto bisogno delle mascherine, si è scoperto che noi avevamo smesso di farle, era più conveniente farle fare in Cina. Di conseguenza abbiamo capito anche come funziona (o non-funziona) il mercato globale. Successivamente col Covid abbiamo compreso anche cosa significhi (e a cosa serva) la medicina del territorio e realizzato quali siano le reali conseguenze dei tagli alla Sanità. Col Covid abbiamo visto anche che la Scienza non è onnipotente, e a volte chi canta fuori dal coro ha ragione: la scoperta del Paziente Zero italiano fu fatta perché una singola dottoressa decise di disobbedire ai protocolli e di fare un tampone a chi aveva la polmonite. Negare il Covid è un esercizio di pura follia, ma col Covid abbiamo scoperto che a volte l’informazione diventa narrazione, per tenerci buoni. Poi abbiamo constatato amaramente in cosa consistano le disuguaglianze, che il Covid esalta e aggrava, a livello locale e globale. Col Covid abbiamo scoperto le call, la DAD, lo smartworking e sperimentato che sono un’arma a doppio taglio, che oltretutto ci consegna sempre più allo strapotere delle Multinazionali del digitale. Col Covid abbiamo anche scoperto a cosa può servire l’Europa, e abbiamo anche capito la differenza fra

chi governa a partire da principi negazionisti e chi no, grazie (si fa per dire) ai vari Bolsonaro e Trump. Eccetera eccetera. Questo libro, nato da un’idea di Jacopo Granci (cooperante del CEFA e giornalista per vocazione) e Claudio Calia (grafico&scrittore), ci fa scoprire però molte altre cose... Innanzitutto Jacopo e Claudio hanno vissuto il COVID a Tunisi, dove hanno toccato con mano come l’eguaglianza davanti al virus fosse solo di facciata. Il testo del libro, che racconta la pandemia, tiene conto di punti di vista diversi dal nostro, che mettono il fenomeno in una luce che aggiunge molti particolari alla nostra esperienza eurocentrica. Le vignette satiriche e i contributi grafici che sono stati raccolti – letteralmente – da tutto il mondo, con 300 disegni da 30 Paesi diversi, fanno esplodere da parte loro una moltitudine di sguardi che colpisce in direzioni opposte e tiene assieme contraddizioni apparentemente insanabili. Questi fumetti infatti sono tragici eppure fanno sorridere (come quella di Zerocalcare che invoca il silenzio dopo le troppe chiacchiere sulla pandemia dei salotti televisivi). Soprattutto i disegni riescono a essere uguali e anche diversi. Uguali perché dimostrano concretamente come questo fenomeno che ha colpito l’intera Umanità ci coinvolge a livello globale, planetario. Suscitando alla fine in tutti le stesse emozioni. Siamo tutti uniti dalla stessa sofferenza, condividiamo lo stesso problema. Abbiamo trovato – purtroppo nella disgrazia – un minimo comune denominatore che ci fa vedere come il Mondo sia piccolo e totalmente interconnesso. 3


Eppure balza agli occhi anche la diversità degli approcci, dei linguaggi e delle varie sensibilità. In Italia magari ci lamentiamo del cambiamento delle nostre abitudini, un fumettista libico invece disegna due ragazzi con la mascherina che rischiano di essere massacrati da una bomba. Della serie: tutto è relativo, e se noi soffriamo povertà e mancanza di relazioni, altri soffrono per minacce più gravi che si sommano al Covid. Poi ci sono dei cortocircuiti imprevisti: un fumettista del Mozambico che cita la partita a scacchi con la morte di Ingmar Bergman nel Settimo Sigillo. Un significativo link tra culture del Nord e del Sud del mondo, che mostra la bellezza delle contaminazioni culturali. L’insieme è un vero e sorprendente affresco corale. E, si sa, il coro è il risultato armonico di voci diverse. Ma tutto questo, alla fine, ci fa capire anche che cosa significa fare cooperazione: la costante capacità di organizzare la concretezza del lavoro e dell’assistenza allargando il proprio sguardo fino a interpretare e armonizzare la propria azione leggendo con attenzione le culture delle persone che si incontrano in ogni parte del mondo. Patrizio Roversi

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Turkia Bensaoud (Libia)


INTRODUZIONE C’era una volta il fumetto. C’era chi ne aveva fatto un mestiere e chi si avviava a riscoprire una passione remota mai del tutto sopita. La storia di My Covid in Comics forse potrebbe iniziare così... o forse no. Riproviamo. C’era una volta un paese lontano (nemmeno troppo) dove due organizzazioni collaboravano per costruire percorsi originali sull’utilizzo dei linguaggi artistici come forma di cittadinanza attiva e partecipata, strumento di coesione e promozione dei diritti, prima che il cielo gli cascasse sulla testa (direbbe Abraracourcix, realizzando in questo modo la sua peggiore paura). Meglio. Ma forse non è neanche questo. Oppure non solo... Non è mai facile spiegare la genesi di un libro. Nel caso di un racconto corale ancora meno. Possiamo dire però che My Covid in Comics è senz’altro il risultato di un incontro. Anzi, di una serie di incontri. Quelli fisici, tra persone e associazioni, e quelli virtuali, tra giovani talenti e artisti famosi sparsi ai quattro angoli del mondo. Sono incontri tra geografie distanti, lingue diverse ma anche immagini e parole, con un virus nuovo e una società globale che si è scoperta impreparata ad affrontarlo. Come siamo arrivati a questo racconto? Se proviamo a mettere in fila tutti gli elementi ci accorgiamo che My Covid in Comics parte da lontano, da ben prima del covid, come ogni storia che si rispetti. Tutto ha inizio dal lavoro che Cefa Onlus e Ya Basta Caminantes portano avanti ormai da anni in Marocco, Iraq e più recentemente in Tunisia: laboratori sperimentali in cui il fumetto è un mezzo creativo per promuovere inclusione sociale e scambi culturali tra i ragazzi dei quartieri disagiati e nei territori più emarginati. Indipendentemente dalle doti artistiche, infatti, il fumetto è un’occasione e un modo divertente per raccon-

tare e raccontarsi, affrontare problemi o tabù sociali. Per far emergere uno spazio di intimità. Ė come se le storie disegnate fossero più sincere, genuine, seduti uno accanto all’altro con il proprio foglio e la propria matita, i ragazzi tendono a esprimere ciò che difficilmente direbbero con le parole. Nel febbraio 2020, quando il virus si affaccia alle porte d’Europa e del Mediterraneo, ci troviamo proprio in Tunisia, nelle montuose regioni settentrionali, per realizzare alcuni dei laboratori in programma con il progetto “Jasmin”. Ignari del pericolo incombente e di come le nostre vite sarebbero cambiate di lì a poco. L’arrivo della pandemia, va da sé, interrompe il lavoro sul campo. Non ferma però il fumetto né inibisce le sue potenzialità. Sebbene confinati, chi in Italia chi a Tunisi, un po’ impauriti ma decisi ad andare avanti, cerchiamo di adattarci alle priorità del momento, sostituendo i laboratori con una campagna di informazione illustrata. La nostra “fase uno” diventa così un 5


decalogo a disegni per sensibilizzare la popolazione sulle buone pratiche quotidiane da adottare in contrasto alla diffusione del virus, con oltre 4 milioni di tunisini che seguono la campagna sui social. Il passaggio alla “fase due” invece ci spinge a capovolgere la prospettiva. Perché non chiedere agli altri di raccontare come stanno vivendo questa esperienza? Abbiamo informato e sensibilizzato le persone sull’importanza di stare in casa e rispettare il distanziamento, ma che cosa significa per loro questa inattesa condizione di isolamento? Con che stato d’animo la stanno attraversando? Così germoglia l’idea di My Covid in Comics, approdo di un lungo percorso incentrato sul fumetto come linguaggio universale. Quale miglior strumento, ci siamo detti, per provare a restituire le sfaccettature di questa nuova era? Con Cefa Onlus e Ya Basta Caminantes abbiamo lanciato una sfida in sei lingue (italiano, inglese, spagnolo, arabo, francese e portoghese), un Cartoon World Challenge rivolto a illustratori e vignettisti, caricaturisti e fumettisti, ragazzi e adulti. Come cambia la tua vita con il coronavirus? È il tema della sfida, il quesito a cui rispondere – rigorosamente – con pennino, china e colori. Obiettivo, riuscire a conservare una traccia inchiostrata e polifonica di questo strano periodo. Oltre all’invito aperto su scala globale per i professionisti dei baloons abbiamo provato a coinvolgere anche chi non aveva mai (o poco) praticato il disegno e l’illustrazione. Giovani appassionati, curiosi e artisti alle prime armi riuniti, dal Mozambico al Guatemala passando per la nostra penisola, dietro ai riquadri di uno schermo. In epoca di smart working e didattica a distanza il passaggio dai laboratori sperimentali – cioè l’inizio di questo viaggio – ai corsi online interattivi è stato abbastanza naturale. Sorprendente è stata invece la risposta dei ragazzi (cento iscritti) e il supporto dello staff Cefa che li ha accompagnati 6


tra lezioni, esercizi, domande e spiegazioni in un patchwork emozionante di idiomi, grafiche e fusi orari. I lavori usciti dal corso sono stati raccolti in un ebook (scaricabile gratuitamente su yabasta.it) che è servito da volano per far conoscere e apprezzare l’iniziativa, diffondendola tra le reti dei cartoonists più affermati. Alcuni disegni sono arrivati fino a queste pagine, al fianco dei tanti artisti di rilievo che hanno partecipato al challenge con storie e illustrazioni inedite o con vignette già pubblicate in precedenza. Alla fine siamo rimasti letteralmente folgorati dall’entusiasmo e dall’interesse riscosso da My Covid in Comics. Dobbiamo confessarlo, non ci aspettavamo un risultato di tale portata. Le adesioni si sono moltiplicate di settimana in settimana, rimbalzando da un continente all’altro e ampliandosi sempre di più – come i cerchi del famoso sasso lanciato nello stagno – fino a raggiungere il numero di 137 artisti e oltre 500 opere (tra tavole, strisce e illustrazioni). Selezionarle (per ovvie esigenze editoriali) è stato un compito difficile e doloroso, tanta era la forza e la bellezza di ogni singola immagine a cui non avremmo voluto rinunciare. I 300 disegni confluiti in questo libro possono essere paragonati alle preziose tessere di un mosaico, adagiate su una trama testuale in veste di collante, che cerca di ripercorrere i momenti e le situazioni più caratterizzanti dell’anno appena trascorso. Dalla comparsa del virus alle prime chiusure, dalla quarantena allo smart working, dalle riaperture all’attesa del vaccino. In questo racconto parole come “lockdown”, nozioni quali “distanziamento”, “emergenza” e “normalità” diventano spunti per snodare le complessità di un quotidiano che, almeno in apparenza, si assomiglia a ogni latitudine. Un quotidiano che sembra accomunare spazi lontani, senza per questo cancellare le contraddizioni e le disuguaglianze che hanno scavato distanze profonde già prima del covid.

E che la pandemia ha reso ancor più forti. My Covid in Comics, nel suo sviluppo narrativo, si aggrappa alla cronaca, alla successione degli eventi per come è stata vissuta nella nostra piccola parte di mondo. Ma la sua ambizione è universale. Le sue pagine vogliono offrire un’occasione per fermarsi a riflettere, immersi in un cocktail di distaccata ironia e profonda empatia, sui concetti di sviluppo e benessere, sul lato oscuro che si nasconde dietro al termine “realtà”, sul vero significato della parola “solidarietà”. Sull’importanza delle piccole cose e sul valore dei piccoli gesti. Dai quali tutti possiamo e dobbiamo ripartire... Jacopo Granci e Claudio Calia

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IMPATTO

Roberto Netto (Brasile)

Se una notte di Capodanno, tra brindisi e buoni propositi, qualcuno ci dicesse “passerai alcuni mesi del prossimo anno chiuso in casa, senza poter vedere nessuno, senza andare al lavoro, potendo fare la spesa solo nei giorni stabiliti, con i droni sulla testa che controllano se vai a correre o a fare una passeggiata”, penseremmo che quel qualcuno sia completamente ubriaco. O quantomeno che abbia alzato il gomito, magari in preda a deliri distopici, retaggio di certa filmografia di bassa lega. Vero. Almeno fino al 31 dicembre 2019. È questa la data in cui cominciano a trapelare le prime notizie ufficiali su una strana infezione in corso, in una regione remota. Polmoniti anomale vengono diagnosticate in una città della Cina centro-orientale, molto abitata ma non così conosciuta. Una notizia tutto sommato piccola. Che cresce di intensità giorno dopo giorno.

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Mark Lynch (Australia)


Zé Dassilva (Brasile)

Si direbbe, con il senno di poi, un fulmine a ciel sereno. O meglio, date le proporzioni dell’impatto, un asteroide in rotta di collisione. Chi potrebbe mai immaginare che nel XXI secolo, nell’era tecnologica caratterizzata dal continuo progresso scientifico, il mondo intero possa inginocchiarsi davanti a un minuscolo virus?

L’Andalou (Algeria)

Un virus nuovo, sebbene appartenga a una famiglia già nota: quella dei coronavirus, responsabili delle epidemie di Sars e della Mers, o dei più comuni raffreddori. Gli scienziati lo sequenziano quasi subito, anche se le sue principali caratteristiche verranno scoperte in seguito. Come ad esempio la sua straordinaria contagiosità, e la precisa sintomatologia. Anche il nome della nuova patologia arriverà più avanti. Ci penserà l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ad attribuirglielo: Covid-19.

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Fadi ToOn (Norvegia/Palestina)

L’epicentro intanto è ancora a Wuhan, dove in pochi giorni si registrano centinaia di casi. Molti di loro lavorano al mercato di animali di Huanan, in centro. Sembra facile circoscrivere il perimetro, ma quando gli esperti rivelano che il virus può trasmettersi da uomo a uomo è troppo tardi. Migliaia di abitanti hanno già lasciato la città per gli imminenti festeggiamenti del capodanno cinese.

Mentre crescono i contagi e arrivano le prime vittime, compaiono anche i primi malati al di fuori dei confini. In Thailandia, Corea del Sud, Giappone, fino ad arrivare alla nostra penisola. Si tratta, per il momento, di casi definiti “importati”.

Chenzo (Italia) 20


Francesco Checco Frongia (Italia)

Cioè di contagi contratti al di fuori del territorio nazionale (come se il virus conosca confini). Tanto che a fine gennaio l’Italia decide di sospendere i voli da e per la Cina, cosa che – si ammetterà in seguito – finirà per complicare il primo tracciamento (dal momento che i passeggeri aggirano l’ostacolo aggiungendo scali). Marco Fusi (Italia)

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Adenov (Tunisia)

È tuttavia probabile, per quanto emerso successivamente, che il virus fosse già in circolazione da alcuni mesi, sia nel nostro paese che in altre parti d’Europa. In questa fase, nonostante i morti e l’allerta dell’OMS, la reazione della gente a ovest della via della seta sembra mossa da un misto di prudenza e scetticismo. Molti pensano che siano i media a gonfiare la faccenda, magari per vendere qualche copia in più. Proviamo in vari modi a razionalizzare la portata di un evento che si annuncia catastrofico, quindi logicamente inconcepibile. Una tendenza umana a esorcizzare il pericolo?

Soprattutto se il pericolo viene da lontano, collocato in un luogo ignoto dal nome quasi impronunciabile e – si pensa – probabilmente legato agli usi e costumi del posto. Ben pochi in Occidente, prima di questo momento, hanno mai sentito parlare della città focolaio dell’epidemia, ignorando che Wuhan è in realtà una metropoli di 11 milioni di persone, snodo centrale dell’alta velocità e collegata al resto del mondo da 500 voli diretti internazionali ogni giorno. Con simili premesse, difficile dormire sonni tranquilli. Hikmet Çil (Turchia) 22


In poco più di due mesi infatti la prospettiva cambia bruscamente. E le immagini tanto sfocate quanto drammatiche provenienti dai social network cinesi di ospedali in ginocchio, persone barricate in casa che chiedono aiuto dai balconi si materializzano a distanza ravvicinata.

Ixène (Francia)

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Migue (Cuba)

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Non resta altro da fare che mettere da parte i buoni propositi e adattare le priorità al nuovo contesto, prendere la minaccia sul serio cercando di non naufragare nel dolore di un presente inatteso. Magari provando a reagire, esorcizzare le paure con l’ironia e ad affrontarle con la forza dell’arte. Offrendo chiavi di lettura diverse a un periodo complesso. E perché no, tratteggiando istanti di leggerezza in grado di sollevare quel pesante coperchio di emozioni chiamato 2020.

Zé Dassilva (Brasile)


Enrico Natoli (Italia)

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Luna Mohammed (Iraq)



INFODEMIA

Hikmet Çil (Turchia)

Tra la fine di gennaio e inizio febbraio il rischio che l’epidemia si propaghi passa da moderato a alto, anche se i contagi fuori dalla Cina non sono poi così tanti e geograficamente circoscritti. In questa fase è ancora sconosciuto e sottovalutato il ruolo degli asintomatici nella diffusione del virus, e la loro ampia percentuale tra gli infetti. Sono giorni in cui non c’è ancora una reale percezione della gravità della situazione che sta per esplodere.

Federica Giglio (Italia)

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La speranza è che quanto successo in Cina resti un fenomeno isolato. Ma a fine febbraio è l’Italia il primo paese occidentale ad accorgersi di come il nuovo coronavirus faccia molto più male di una banale influenza. Gli ospedali si riempiono, il numero dei malati aumenta, le loro condizioni peggiorano rapidamente e si iniziano a contare i morti. La prima vittima italiana per Covid-19 è il padovano Adriano Trevisan di 78 anni.


Intanto all’epidemia di Covid-19 si affianca quella dell’informazione, con notizie non sempre veritiere (molte sono fake news). L’OMS parla per la prima volta di “infodemia”, termine nuovo con cui si indica il sovraccarico di aggiornamenti e news non sempre attendibili. Le bufale imperversano sul web, specie sui social, dove tutti si sa hanno sempre un’opinione “irrinunciabile” da condividere. In Italia 60 milioni di allenatori (in tempo di nazionale di calcio) si trasformano in navigati virologi con specializzazione in geopolitica, dando il via a una marea di commenti e teorie sull’origine, la diffusione e la sintomatologia della malattia.

Zerocalcare (Italia)

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Il risultato è una grande confusione, in un momento in cui, al contrario, il bisogno di un’informazione affidabile è essenziale. Gli stati d’animo oscillano tra eccessi di panico e incoscienza del pericolo, con il rischio in entrambi i casi di mettere in atto comportamenti sbagliati. Senza contare che, almeno all’inizio, perfino gli esperti non sembrano avere le idee chiare né pareri concordanti sulle misure da adottare.

Marc Large (Francia)

Tra i pochi punti su cui tutti sembrano essere d’accordo c’è l’immediata riduzione della mobilità. Viaggiare non è più sicuro, gli spostamenti delle persone favoriscono la propagazione del virus. L’idea di un mondo a portata di mano inizia a sgretolarsi mentre le distanze tornano ad allungarsi.

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Elmer (Argentina)


Stefano Tartarotti (Italia)

Altro provvedimento (quasi) unanime è la chiusura di luoghi chiusi e affollati, evidenti occasioni di contagio. Primi tra tutti i centri commerciali. La reazione del cittadino medio, animato da premonizioni compulsivo-apocalittiche di fronte a un evento destinato ad alterare la sua quotidianità, è la classica corsa all’accaparramento. Beni di prima necessità, prodotti alimentari a lunga conservazione, ma non solo...

Enneesse (Italia)

Ixène (Francia)

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BOLLETTINO

Enneesse (Italia)

L’Italia diventa il nuovo epicentro del virus che, come uno sciame, si sposta da una regione del mondo a un’altra, bloccando il movimento di persone e l’economia come non succedeva dalla seconda guerra mondiale. Comincia un rituale quotidiano che ogni sera alle 18:00 attira l’attenzione di decine di milioni di italiani. Il bollettino della Protezione civile aggiorna l’andamento della curva epidemiologica con i numeri dei nuovi contagi, dei ricoveri e decessi. Le aree settentrionali, con maggior concentrazione di abitanti e comparti industriali, sono subito le più colpite.

Danilo Maramotti (Italia)

Alcuni paesi UE, come Germania e Spagna, reagiscono all’onda del covid chiudendo i propri confini. Per evitare lo scenario di un imbarazzante spezzatino europeo, con il contagio già diffuso in tutti gli stati, Bruxelles preferisce allora blindare le frontiere esterne e salvare quelle interne: il traffico dai paesi extra-Schengen resterà bloccato per oltre tre mesi.

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Evandro Alves (Brasile)

Intanto il virus si propaga negli altri continenti, America Latina su tutti. A metà marzo, la rapida e ampia diffusione dei contagi spinge l’OMS ad attribuire all’emergenza coronavirus lo status di “pandemia”.

Claudio Kappel (Argentina)

Franco Donarelli (Italia)

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Darko Drljevic (Montenegro)


PICCO Fin dall’inizio emerge in maniera chiara come il Covid-19 colpisca più duramente gli anziani, in cui si riscontra un elevato tasso di contagio e di mortalità. Secondo i ricercatori oltre alla presenza di comorbidità, cioè di altre malattie che aggravano il quadro clinico, negli over-65 anche lo stato di invecchiamento delle cellule immunitarie gioca un ruolo cruciale nella risposta dell’organismo al coronavirus.

Christian Durando (Italia)

Il risultato è un’emergenza nell’emergenza. Come quella vissuta nelle case di riposo, investite dallo tsunami della pandemia, con risultati infausti per molti (troppi) ospiti, appartenenti alle categorie più fragili.

Murat Yilmaz (Turchia)

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La preoccupazione non si limita all’impatto sanitario. Le conseguenze economiche del virus sono altrettanto allarmanti. C’è il rischio di un collasso del sistema, tanto che per la prima volta la Commissione europea decide di sospendere il patto di stabilità, permettendo ai governi di pompare il denaro necessario a fronteggiare l’emergenza e a sostenere l’economia. Negli Stati Uniti intanto più di 3 milioni di lavoratori fanno richiesta del sussidio di disoccupazione, un numero che non ha precedenti nella storia del paese.

Mark David (Australia)

La partita è complessa. Alla letalità dell’avversario si somma una strategia esitante, le cui mosse appaiono costantemente imbrigliate nella dicotomia salute/economia, prevenzione/recessione. Andare al lavoro rischiando la vita oppure rimanere a casa rischiando la fame?

Helio Januario (Mozambico) 36


Carol Cortez Osorio (Ecuador)

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Carol Cortez Osorio (Ecuador)


Hamzeh Hajjaj (Giordania)

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Ralph (Regno Unito)

Man mano che il virus guadagna terreno scoppiano nuovi focolai, mietendo vittime a ogni latitudine. A Bergamo una colonna di mezzi militari trasporta decine di feretri verso cimiteri lontani per la cremazione. I video di questi trasferimenti silenziosi diventano il simbolo della sofferenza di una città tra le più duramente colpite. A Guayaquil in Ecuador il sistema funerario collassa e gli obitori sono pieni, al punto che le famiglie dei defunti devono lasciarne i corpi per strada, avvolti da sacchi plastica, o darli alle fiamme. Le immagini drammatiche dei cadaveri fanno il giro del mondo, come quelle del cimitero di San Paolo o di Manaus in Brasile dove i morti vengono allineati uno accanto all’altro 40

nelle fosse comuni, o come quelle di Hart Island, un’isoletta a largo del Bronx, con decine di bare anonime ammassate per la sepoltura. L’Italia è stata la prima a sperimentare la mortalità del covid su vasta scala, superando in breve tempo la Cina. Ben presto gli altri paesi si rendono conto di come lo scenario vissuto nella penisola non debba essere considerato un’eccezione. Il virus non conosce frontiere e non fa sconti per nessuno, specie per quei paesi che si mostrano riluttanti ad adottare misure drastiche di contenimento alla diffusione dei contagi.


Janete (Brasile)

Fabio Palma (Italia)

L’espansione della pandemia avviene con intensità sempre crescente e senza mai fermarsi. Come non si ferma il conteggio dei morti, sebbene una visione eurocentrica tenda a distinguere due differenti ondate, in corrispondenza dell’aumento dei contagi e dei decessi registrati sul suo territorio. Il picco dell’emergenza invece è un miraggio che si allontana ogni volta che ci sembra di toccarlo. Come succede nei sogni, prima di trasformarsi in incubi.

Christopher Nyiti (Tanzania)

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Tonio Vinci (Italia)


FIAMMIFERI La crisi sanitaria ed economica innescata dal Covid-19 spinge governi e mezzi di informazione a fare ampio uso del linguaggio bellico. La retorica del “siamo in guerra contro un nemico invisibile” serve a giustificare una chiamata (metaforica) alle armi. Di fronte alla pandemia, la popolazione è spronata a stringersi compatta e a rispondere con orgoglio e determinazione. Come i nonni (o bisnonni, ormai) sulla Marna e sul Piave. Il paragone bellico suscita però diverse critiche e perplessità.

Da un lato per la differente origine dei due fenomeni: umana, la guerra, naturale, lo sviluppo del virus, dall’altro per le evidenti finalità politiche di un tale parallelismo. Attraverso le emozioni legate alle pagine più intense dell’identità nazionale, si cerca di mobilitare il consenso spontaneo dei cittadini per rendere accettabili misure di limitazione alle libertà personali tanto drastiche e prolungate da non avere paragoni dal 1945 a oggi.

Fadi ToOn (Norvegia/Palestina)

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D’accordo o meno con la similitudine virus-guerra, sembra comunque evidente l’esistenza di un fronte, di una prima linea più esposta delle altre nel tentativo di contenere gli effetti della pandemia e di assistere i malati. Le testimonianze che arrivano dai pronto soccorso, dalle ambulanze, dai reparti di rianimazione e in generale dalle strutture sanitarie di tutto il mondo descrivono una situazione di impotenza e frustrazione. “Vi sembra giusto mandare al fronte soldati con armi spuntate o che non siano sufficientemente addestrati? Di certo no, invece mandiamo in prima linea giovani infermieri neo-laureati che magari non hanno mai visto un ventilatore polmonare”.

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Nime (Algeria)

Man (Francia)


Filóchofo (Guatemala)

Juancarlos Contreras (Spagna)

Carenza di mezzi e personale, turni di lavoro infiniti ed estenuanti, forte esposizione al rischio di contagio... medici, infermieri e operatori sanitari diventano, loro malgrado, i nuovi eroi contemporanei. Eroi dai tratti ordinari. Eroi che non hanno paura di affrontare l’emergenza, ma che si ritrovano spesso sprovvisti dell’equipaggiamento adeguato.

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Eroi costretti a elemosinare camici, guanti e mascherine, tanta è la forza d’urto della pandemia e la situazione di dissesto in cui versa la sanità pubblica.

Richard Nagy (Francia)

Eroi che assomigliano a fiammiferi, capaci di tenere accesa la fiamma della speranza ma destinati a consumarsi in fretta.

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Chedly Belkhamsa (Tunisia)

Janete (Brasile)


Monero Santos (Messico)

Secondo Amnesty International migliaia di persone sono morte nel tentativo di salvarne altre: “una crisi di scala devastante. Ogni operatore sanitario ha diritto alla sicurezza sul lavoro ed è scandaloso che così tanti abbiano perso la vita”. A inizio settembre i paesi col maggior numero di morti da Covid-19 tra il personale ospedaliero sono Messico (1320), Stati Uniti (1077), Regno Unito (649), Brasile (634), Russia (631). Questi dati, precisa il rapporto di Amnesty, sono sottostimati poiché le informazioni disponibili spesso risultano incomplete e le definizioni della categoria professionale variano da stato a stato. “Per tutta la durata della pandemia i governi hanno glorificato gli operatori sanitari come degli eroi: un’affermazione che suona falsa visto che molti di loro stanno morendo a causa della mancanza delle più elementari protezioni”.

Arturo Molero (Spagna)

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REALTÀ Nonostante il coraggio e la mobilitazione del personale medico, la crisi dei comparti sanitari è profonda e non può essere recuperata in pochi giorni. Ammesso che ci sia la volontà politica di farlo. Ammesso che questa volontà non si perda in annunci roboanti o dietro a sterili operazioni di facciata. Il rischio c’è, in Italia come altrove. Cattedrali nel deserto spuntano un po’ dappertutto. Costosissime strutture con scarse prospettive di utilizzo una volta terminata l’emergenza.

-Z- (Tunisia)

Intanto le politiche liberiste e i tagli alla sanità degli ultimi anni hanno portato allo smantellamento delle strutture pubbliche a favore delle aziende e delle cliniche private, dove la salute non è più un diritto ma una fonte di profitto. Di questa visione miope, che rende la tutela dell’ambiente un elemento sacrificabile in nome di un momentaneo benessere, e che non si preoccupa delle crescenti diseguaglianze, il covid sembra arrivato a chiedere il conto.

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Iñaki y Frenchy (Spagna)


La pandemia sembra far emergere la fragilità di uno sviluppo economico che si dimostra incompatibile con la tutela dei beni comuni. Come se l’esplosione del virus abbia messo in pausa la nostra “normale” esistenza. Quello che ci viene offerto è la possibilità di ripensare il nostro rapporto con il mondo. In questo senso il filosofo Slavoj Žižek paragona il covid alla famosa pillola rossa del film Matrix, uno shock in grado di svelarci la menzogna e riportarci alla realtà. “Viviamo nella convinzione che le cose siano esattamente come ci appaiono, certi di essere i protagonisti assoluti della nostra esistenza e sicuri di avere il pieno controllo sulle scelte che dipendono da noi; finché un giorno un evento, un incontro o una coincidenza inaspettati spezzano questo incantesimo alienato e la nostra grande libertà si mostra per ciò che essa era veramente: pura e semplice illusione”.

Zac Deloupy (Francia)

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Mariona Omedes (Spagna)

Ecco allora che quello che succede dall’altra parte del mondo può diventare un nostro problema in un tempo molto più rapido di quanto potessimo mai immaginare. 50



CORSA A OSTACOLI

Ons Toumi (Tunisia)

La reazione alla pandemia richiede il coinvolgimento diretto non soltanto del settore sanitario, ma della società nella sua interezza. Un coordinamento efficace nell’adozione di strategie e piani di contenimento sia all’interno di ogni stato che su scala internazionale. Da un lato c’è il dispiegamento degli sforzi in campo medico, per assicurare assistenza ai malati e individuare le terapie adatte, dall’altro serve l’adozione di misure preventive in grado di arginare la diffusione dei contagi.

Misure dolorose, ma necessarie per sbarrare il passo all’avanzata del virus e impedire che i sistemi sanitari crollino sotto il peso dei ricoveri, finendo per dover scegliere chi salvare e chi no. Contrastare il Covid-19 significa quindi unire le forze e agire con senso di responsabilità, non solo ai livelli più alti, poiché ogni comportamento individuale – ora come non mai – ha una ricaduta sulla salute degli altri e sul vissuto collettivo. Per sfuggire alla veemenza del virus, i paesi che vengono via via toccati dal contagio ricorrono a provvedimenti drastici e analoghi, sebbene con diversi tempi di reazione (fatto salvo alcune eccezioni). Questo è dovuto in parte al continuo movimento dell’epicentro pandemico, che si sposta da una regione del mondo all’altra con il passare dei mesi. Ma non solo. 52

Arturo Molero (Spagna)


Indugi e ritardi nell’assunzione di certe decisioni dipendono dal fatto che l’emergenza, lo abbiamo detto, non investe soltanto il piano della salute ma diventa ben presto anche emergenza sociale, economica e giuridica. L’intersecarsi di questi piani frena, a volte, la reattività dei leader politici o più semplicemente li porta a valutazioni differenti sulle priorità da perseguire. Si tratta di una corsa a ostacoli – fatta di continue accelerate e rallentamenti – per scongiurare la crisi sanitaria senza innescare una crisi sociale ed economica. Equilibrismi e acrobazie che portano alla progressiva chiusura delle scuole, poi allo stop delle attività non essenziali, al blocco degli spostamenti fino alla quarantena generalizzata, meglio nota ormai con il termine “lockdown”.

Marito (Argentina)

Mongo (Cuba)

A inizio febbraio viene annullato il Mobile World Congress, la più grande fiera al mondo di tecnologia mobile che si tiene a Barcellona. È solo il primo di una lunga serie di eventi e manifestazioni che saranno rinviati o cancellati del tutto. In Spagna, come nel resto del mondo.

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Interi settori della società, dell’economia e della cultura basati su incontri e raduni sono profondamente stravolti. Al di là dei singoli eventi, infatti, anche le programmazioni di cinema, teatri, laboratori culturali e incontri d’aggregazione di ogni genere vengono sospesi. Nel settore sportivo non si contano le competizioni annullate o posticipate, con la speranza che possano riprendere a crisi rientrata. È il caso della Copa America e degli Europei di calcio o, ancor più eclatante, delle Olimpiadi di Tokyo.

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Simone Togneri (Italia)

Juancarlos Contreras (Spagna)

Fernando Rocchia (Argentina)


CASA

Zé Dassilva (Brasile)

Per fermare la trasmissione del Covid-19 i consigli e le raccomandazioni, come quelle di evitare i contatti, si traducono presto in regole e decreti. Il distanziamento diventa isolamento, le mura domestiche l’estremo rifugio in cui proteggersi dal contagio, soprattutto per le persone anziane o più vulnerabili.

Vietate le visite e i raduni familiari, è possibile uscire di casa soltanto per fare compere di prima necessità, per motivi urgenti di salute o per andare al lavoro (nel caso se ne abbia ancora uno).

Murat Yilmaz (Turchia)

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Darko Drljevic (Montenegro)


Ali Rastroo (Iran)

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Marco De Angelis (Italia)


Televisioni, radio e social sono invasi da appelli e hashtag che invitano a restare nelle proprie abitazioni. Ma chi una casa non ce l’ha? In Italia per esempio ci sono oltre 55 mila persone che vivono in strada. Persone che oltre i quotidiani disagi, si trovano ancor più esposti al virus, con il rischio di essere loro stessi degli strumenti di contaminazione. Fra l’altro le disposizioni anti covid portano alla chiusura dei centri di accoglienza e di prima assistenza, con la conseguente interruzione di alcuni servizi di base come la distribuzione di pasti e indumenti. Ulteriore carico a una situazione già paradossale, sui senza tetto piovono multe e verbali per il mancato rispetto delle norme di distanziamento sociale.

Zé Dassilva (Brasile)

Se la situazione è grave e la gestione complicata nei paesi più all’avanguardia, dove esiste un sistema sanitario strutturato e un’economia – almeno sulla carta – solida, è facile immaginare le difficoltà che si possono riscontrare, sia dal punto di vista igienico che umanitario, in condizioni emergenziali di estrema precarietà. È il caso dei campi profughi e degli accampamenti di sfollati, vere e proprie bombe a orologeria in tempo di pandemia. Gianluca Fogliazza (Italia)

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Chedly Belkhamsa (Tunisia)

In questo momento nel mondo più di 70 milioni di persone sono costrette a fuggire dal proprio paese. A lasciare le proprie case a causa di conflitti e persecuzioni. Di queste, 25 milioni sono rifugiati. La fuga spesso si ferma in luoghi dove i migranti vengono accolti – se non a volte rinchiusi – in maniera temporanea. Accampamenti e tendopoli in cui le persone sono in sovrannumero, le condizioni igieniche scarseggiano e dei dispositivi di protezione individuale non c’è traccia. Le testimonianze che arrivano dal campo di Moria, nell’isola greca di Lesbo, parlano di profughi costretti a dormire all’aperto o ammassati in tende di 60

2 metri per 3, mentre l’accesso all’acqua è garantito per sole 5-6 ore al giorno e lo stesso bagno, la stessa doccia e lo stesso rubinetto viene condiviso da centinaia di persone. Difficile far fronte, in queste condizioni, alla diffusione del contagio. Una situazione molto simile a quella degli accampamenti in Siria, dove le famiglie si trovano davanti a una decisione impossibile: rimanere nei campi profughi, decisamente impreparati ad affrontare un’escalation di casi di coronavirus, oppure rischiare di tornare alle proprie case, distrutte dalle bombe e vicine alla linea di conflitto?


IGIENE

Evandro Alves (Brasile)

Le regole di comportamento individuale, lo accennavamo prima, diventano fondamentali per arginare la propagazione del coronavirus. Buone prassi, gesti barriera e precauzioni che cambiano abitudini quotidiane e che riescono a scalfire, in alcuni casi, atteggiamenti ritenuti immutabili. Il primo accorgimento è senz’altro quello di mantenere una distanza di sicurezza tra le persone. Ma qual è la giusta distanza? Almeno un metro, secondo le indicazioni degli esperti. In questo modo le goccioline respiratorie, emesse parlando, dovrebbero cadere a terra senza raggiungere gli altri individui. Quando si tossisce e starnutisce, le famigerate droplets possono però arrivare a una distanza maggiore, ed è per questo motivo che viene raccomandato di farlo nel gomito o in un fazzoletto usa e getta. Se poi si indossano le mascherine, il rischio di contagio si abbassa ulteriormente.

Lido Contemori (Italia)

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Proprio la mascherina è il dispositivo di protezione individuale più ambito e ricercato del periodo pandemico. Anche qui gli esperti precisano come la sua funzione primaria sia quella di proteggere gli altri più che difendere se stessi. Soprattutto serve a ridurre il potenziale pericolo di esposizione di persone infette che non hanno ancora sviluppato i sintomi.

Hikmet Çil (Turchia)

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Arturo Molero (Spagna)


Roberto Mangosi (Italia)

Altra raccomandazione imprescindibile è la cura dell’igiene personale e collettiva. Lavare spesso le mani, disinfettarle ed evitare di portarle al volto, sterilizzare oggetti di uso quotidiano, porte, maniglie e interi ambienti se frequentati da persone di diversa provenienza. Le misure di sicurezza e i codici di condotta sono affissi su ogni parete, ripetuti costantemente. Mentre l’utilizzo di ogni sorta di disinfettante aumenta in modo esponenziale.

Paolo Marengo (Italia)

Hikmet Çil (Turchia)

Fin dai primi focolai, infatti, comincia la corsa ai prodotti sterilizzanti, dal normale sapone agli igienizzanti per le mani a base alcolica, dalla candeggina per le superfici ai germicidi di ogni genere. Tanto che, appena le scorte di amuchina scarseggiano, fioccano i tutorial per preparare disinfettanti in casa. E non solo. 63


Klaus Pitter (Austria)

Mark Lynch (Australia)

Che siano divulgati in rete, o malapena sussurrati all’orecchio – quali segreti custoditi per pochi iniziati – ecco comparire i metodi più strampalati per la cura e la prevenzione dell’infezione. Tra questi non possono mancare i rimedi naturali a base di cibi, bevande o decotti, come mangiare aglio e peperoncino per le loro proprietà antibatteriche, bere acqua calda e limone, ingerire bicarbonato, cospargere le stanze di oli essenziali e, perché no, iniettarli direttamente dalle narici.

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Luca Garonzi e Fabio Norcini (Italia)


Ma gli antidoti alimentari non sono le uniche stranezze di questo periodo. Trattamenti fai da te molto meno innocui vengono veicolati, a volte, perfino da personaggi di alta rilevanza istituzionale. Come l’idea che ingerire o iniettare disinfettante possa purificare più efficacemente le vie respiratorie, o che l’azione delle luci ultraviolette sul corpo dei malati porti all’essiccamento, quindi alla scomparsa, del virus. In alcuni casi, perfino studi e sperimentazioni mediche sembrano indurre a ipotesi assurde e controproducenti per la salute degli individui. Ad esempio che fumare sigarette protegga dal covid…

Borkoo (Francia)

La pandemia cambia anche il modo di salutarsi. Rinunciare ai contatti fisici tra le persone significa accantonare quei gesti cordiali e di affetto che, prima dell’emergenza, eravamo soliti scambiarci comunemente. Niente più baci sulla guancia, niente abbracci né strette di mani. È il momento di dare spazio alle alternative, trovare nuovi modi per salutarsi a distanza di sicurezza. 65


Anche in questo campo le sperimentazioni non mancano: a cominciare dal saluto con i gomiti (poi sconfessato dalle stesse autorità sanitarie) fino a soluzioni ancor più eccentriche come il footshake, la famosa “stretta di piedi”. Oppure ricorrere a sistemi già in voga in altre parti del mondo, come il namastè, o portare la mano al petto in segno di rispetto. Senza contare che in molti casi può bastare anche un semplice sguardo di comprensione o solidarietà, accompagnato da un sorriso. Le possibilità di scambiarsi un cenno amichevole non mancano. Del resto, da quando la razza umana ha lasciato sulla Terra le prime testimonianze, popoli, culture, comunità, si sono salutati in mille modi diversi.

Davide Camboni (Italia)

Eppure non possiamo fare a meno di provare una sorta di vuoto. Una sensazione di spaesamento. Tra tutte è forse questa la misura che ci limita di più. Con il passare del tempo ci accorgiamo che i “nuovi” saluti non bastano. Soprattutto in certe situazioni. Sarà il calore che contraddistingue la cultura mediterranea e che difficilmente si adatta, nel bene e nel male, alla distanza fisica tra le persone. Sarà che, ancor di più in questo particolare momento storico, abbiamo bisogno di ricevere e trasmettere affetto, fiducia, amore. E non conosciamo un metodo migliore...

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Giorgio Franzaroli (Italia)


Enrico Natoli (Italia)

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GREGGE

Alagon (Italia)

Pandemie e teorie del complotto vanno da sempre a braccetto. È successo per la peste nera nel XIV secolo, quando a farne le spese furono le comunità ebraiche stanziate in Europa, ce lo ricordano gli “untori” del Manzoni, per arrivare infine all’influenza spagnola, con le spie tedesche accusate di diffondere il virus dal porto di Boston. Non sorprende quindi che anche il covid abbia la sua dose di dietrologia e alimenti le fantasie di spiriti cospirazionisti che vedono nell’attuale pandemia un grande disegno di ingegneria sociale o il progetto speculativo dei magnati di turno. Le ipotesi di un virus costruito in laboratorio, per esempio, sono considerate dalla comunità scientifica come la versione biotecnologica della rodata tendenza ad additare colpevoli politicamente utili. Sorprende però che certe reazioni, quantomeno bizzarre e inappropriate, possano arrivare da figure di spicco del panorama istituzionale. Come nel caso del presidente americano Donald Trump, che in un primo tempo accusa i media di creare panico ingiustificato, definendo la questione contagio una “bufala” dei democratici, salvo poi ricredersi, una volta sperimentata la violenza dell’epidemia sul territorio nazionale, e adoperarsi per trovare capri espiatori su cui scaricare colpe e tentennamenti. 68

David Cohen (Stati Uniti)


Ecco allora gli attacchi alla Cina “che ha diffuso questa piaga nel mondo” e le accuse all’OMS, colpevole di non aver messo in guardia tempestivamente del pericolo covid. Ma l’aver ignorato i rapporti dell’intelligence, i ritardi sui provvedimenti di protezione sanitaria, gli slogan rassicuranti su un virus che è “sotto controllo”, l’appoggio pubblico alle frange negazioniste, sembrano inchiodare Trump alle proprie responsabilità nella gestione dell’emergenza, responsabilità pagate con un prezzo altissimo di vite umane e la mancata rielezione alla Casa Bianca. David Cohen (Stati Uniti)

Anche in Brasile il presidente Jair Bolsonaro cerca sin dalle prime fasi di sminuire il rischio coronavirus. Lo fa con pittoresche dichiarazioni (una “gripezinha”) e un sostegno energico, se non aggressivo, alla necessità di riapertura totale dopo un breve periodo di distanziamento, per scongiurare la recessione. Anche qui la reazione istituzionale alla pandemia risulta poco convinta o quanto meno contrastata. Senza dubbio in antitesi con le raccomandazioni delle autorità sanitarie, come accaduto negli Stati Uniti. La crisi innescata dal covid intanto aumenta le divisioni del paese a più livelli, polarizzando la società tra sostenitori del presidente e del suo approccio mistificatore e coloro che lo ritengono il principale responsabile della crescita vertiginosa dei contagi e dei morti. A livello amministrativo, solo alcuni Stati della federazione introducono misure restrittive, andando di fatto contro le direttive del governo centrale. Toni D’Agostinho (Brasile)

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Gilmar (Brasile)


Janete (Brasile)

Bruno (Brasile)

Jota A (Brasile)

Per Bolsonaro la cura è peggio della malattia: niente chiusure, quindi, di fronte alla necessità di continuare a lavorare e produrre. E niente mascherine – lo stesso presidente è ritratto spesso senza, mentre abbraccia le folle dei suoi sostenitori – abolite per decreto dopo che un tribunale federale ne aveva imposto l’obbligo. Un approccio darwiniano secondo cui il virus “colpisce i più deboli, non la maggioranza della popolazione”. Nel tentativo di nascondere il vero impatto della malattia, il Ministero della salute blocca la pubblicazione dei dati complessivi, limitandosi a fornire solo i bilanci giornalieri. Nel frattempo viene promosso l’utilizzo della clorochina – farmaco antimalarico – come trattamento per i malati, nonostante non vi siano prove della sua reale efficacia. Per la Academy of Sciences di Rio de Janeiro “gli scienziati si trovano a combattere non solo il coronavirus, ma anche le posizioni anti-scientifiche del governo”. 71


Quando Bolsonaro stesso si vede diagnosticata l’infezione da Covid-19 molti utenti ironizzano sui social, alludendo a una sorta di “vendetta del karma”. Destino già toccato al premier britannico Boris Johnson che, dopo le esitazioni a introdurre il lockdown in Regno Unito, risulta anch’egli positivo, finendo in terapia intensiva. Una situazione che spinge il governo di Londra ad allinearsi con i provvedimenti più stringenti e a cambiare il suo approccio alla pandemia, inizialmente indirizzato al raggiungimento della cosiddetta “immunità di gregge”.

Alf (Francia)

Un nuovo dietrofront, dopo Trump e Bolsonaro, dei leader che negano l’emergenza. Johnson aveva infatti dichiarato che i cittadini si sarebbero dovuti rassegnare all’idea di perdere molti cari. Ma assistendo al diffondersi del contagio, all’aumento dei decessi e alla pressione sugli ospedali si è dovuto ricredere, a tal punto da affermare che la lotta al covid “cambierà in modo sostanziale la vita quotidiana di tutti noi’’.

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Evandro Alves (Brasile)


OPPORTUNITÀ

Stefano Tartarotti (Italia)

Il Covid-19 non fa male solo alla salute. In molti paesi la crisi sanitaria diventa un’opportunità per erodere diritti, regolare i conti in sospeso e rafforzare il carattere autoritario delle leadership. Come in Ungheria, dove in marzo vengono conferiti pieni poteri a Viktor Orban che può governare per decreto senza passare dal parlamento. Un’ulteriore spallata alla democrazia, già sgretolata da un decennio di egemonia del premier e del suo partito Fidesz, che porta all’adozione di provvedimenti restrittivi (tutela della privacy, trasparenza dell’amministrazione) e a numerosi arresti tra i membri dell’opposizione, accusati di diffondere notizie allarmiste, per le critiche rivolte alla gestione governativa dell’emergenza.

Situazione simile nelle Filippine, dove il presidente Rodrigo Duterte – già noto per i tentativi di silenziare i sostenitori dei diritti umani – assume poteri speciali che gli consentono, tra le altre cose, di punire con il carcere la diffusione di informazioni considerate false sulla crisi sanitaria. Campanelli d’allarme suonano fino in Turchia, paese in cui già negli ultimi anni si era intensificata la centralizzazione del potere nelle mani del presidente Recep Tayyip Erdoğan, con la conseguente restrizione della libertà di espressione e del dissenso.

Stefano Tartarotti (Italia)

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In una fase di profonda fragilità economica, Erdoğan esita a lungo prima di avallare chiusure e misure di isolamento (il turismo dà lavoro a milioni di persone) favorendo l’espansione del contagio. Le associazioni mediche, critiche per la gestione della pandemia, sono escluse dalla task force sanitaria. Accusate di “muovere guerra ai valori della nazione”, le organizzazioni professionali finiscono nel mirino di Ankara, che minaccia purghe e ritorsioni come già avvenuto nel caso degli avvocati. Centinaia di dottori intanto lasciano gli ospedali pubblici per passare al privato, mentre la popolazione sembra doversi difendere anche da un altro virus, letale per l’esistenza del diritto e delle libertà.

Paolo Lombardi (Italia)

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Oğuz Gürel (Turchia)

Anche qui il governo mette in atto un’ulteriore stretta, intensificando il controllo sulle notizie relative all’emergenza coronavirus ed etichettando come “fake news” tutte le informazioni in contrasto con i dati ufficiali (spesso lacunosi e poco trasparenti). Giornalisti incarcerati o sotto inchiesta, sindaci dell’opposizione destituiti e una legge che mette il bavaglio alle principali piattaforme di condivisione come WhatsApp, Twitter, Facebook, Instagram e YouTube. Dopo la stampa e i media audiovisivi, i social network diventano il nuovo bersaglio della censura di stato.


L’Andalou (Algeria)

Un altro esempio. Il Covid-19 coglie l’Algeria in uno stato di profonda effervescenza politica che va avanti da più di un anno. Un anno di continue manifestazioni – ogni venerdì, con cortei imponenti in tutte le città del paese – e di paziente costruzione di un percorso plurale, alternativo all’oligarchia politico-militare al potere ormai da tempo immemore. Un anno in cui vengono raggiunti anche alcuni modesti risultati, come la destituzione dell’ex presidente Bouteflika. Un anno che vede l’economia impoverirsi in seguito alla caduta del prezzo del petrolio (l’esportazione degli idrocarburi è di fatto l’unica fonte di sostentamento delle casse statali, oltre che il lubrificante per gli ingranaggi di un regime corrotto). 75


È in questo clima che arriva la pandemia. Prima sotto forma di echi lontani, poi sempre più vicini. L’annuncio dei primi casi è accolto con diffidenza. In molti sospettano che il governo voglia imporre lo stato di emergenza per fermare la protesta. La moltiplicazione dei contagi, tuttavia, convince gli animatori del movimento (Hirak) a sospendere spontaneamente i cortei e le iniziative in atto. Sono coscienti che il sistema sanitario non potrà reggere all’impatto del virus sperimentato in Europa. Così le reti della protesta si trasformano in reti di solidarietà autogestita: nei luoghi di lavoro, all’università, nei quartieri e villaggi, per disinfettare gli spazi comuni, per gestire le penurie di cibo, per fabbricare artigianalmente mascherine e igienizzanti.

Nime (Algeria)

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Nime (Algeria)

Ai più alti livelli dello Stato, invece, la preoccupazione principale non sembra tanto la salute dei cittadini, quanto piuttosto la salute del regime. La “tregua sanitaria” è l’occasione adatta per risistemare gli equilibri interni, reprimere il movimento e militarizzare ancor più il paese. Le strade si riempiono di soldati, trasmissioni televisive e siti internet vengono oscurati, mentre l’assenza dei manifestanti permette di moltiplicare gli arresti mirati di dissidenti, giornalisti e di prolungare la prigionia degli oppositori. Senza troppo clamore.


Jota A (Brasile)

Gilmar (Brasile)

La crisi globale causata dal coronavirus è un’occasione ghiotta per imporre bavagli, abusi e controllare l’informazione. In molti paesi la libertà di stampa figura subito tra le vittime più illustri falciate dal covid. Le motivazioni sono tante: coprire responsabilità, migliorare la propria immagine pubblica da parte dei leader, oppure, semplicemente censurare per nascondere il problema. È ancora il caso, per esempio, del presidente Bolsonaro che fin dall’inizio della pandemia minaccia pubblicamente i giornalisti responsabili di “diffondere paura”, alimentando un clima d’odio e sospetto nei confronti della categoria, oltre a sferrare attacchi mirati contro illustratori e fumettisti, colpevoli di contestare con i loro disegni le scelte e gli atteggiamenti del governo.

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Ma il Covid-19 sembra essere opportunità per limitare anche altri diritti. In aprile il governo italiano dichiara che “per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di luogo sicuro”. Ciò significa che le navi impegnate nel soccorso in mare dei migranti non possono attraccare. Poco dopo anche Malta chiude i suoi porti. Una decisione che appare in netto contrasto con lo slancio di solidarietà e umanità di cui ha bisogno la nostra società per uscire indenne dalla pandemia.

Djony (Francia)

Sembra quasi che l’arrivo del coronavirus abbia cancellato di colpo l’esistenza dei tanti profughi in fuga verso l’Europa, intrappolati nella sponda sud del Mediterraneo. Come se in Libia, paese con un conflitto in corso, le condizioni sociali e sanitarie non fossero già abbastanza catastrofiche prima del covid. Come se le navi di salvataggio, sovraffollate e tenute lontane dalla costa, non rischino ogni giorno di diventare dei focolai galleggianti.

Nime (Algeria)

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Giancarlo Covino (Italia)


Rén De (Italia)

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Rén De (Italia)



CLAUSTROFOBIA Il prestigioso dizionario di lingua inglese Collins ha certificato lockdown come parola dell’anno. Miliardi di persone l’hanno pronunciata, sussurrata, scritta e condivisa nel corso del 2020. Miliardi di persone la sperimentano, prendendo sempre più dimestichezza con questo termine e trovandosi di fronte a nuove sensazioni e situazioni inaspettate con cui dover convivere. In primavera oltre metà della popolazione mondiale è costretta in quarantena o sottoposta a qualche forma di blocco. Paura, ansia, stress, noia, depressione sono emozioni e stati d’animo all’ordine del giorno. Sfumature di una quotidianità che ci accomuna. Di fronte ai rischi dettati dal contatto e dalla socialità, il ritiro domestico – come dicevamo nelle pagine precedenti – costituisce un riparo sicuro. Un rifugio che non tarda però a trasformarsi in una gabbia di solitudine e frustrazione. Gli spazi si restringono, così come gli orizzonti. Vengono meno le abitudini quotidiane, incerte le prospettive, lasciando il posto a un isolamento sociale ed emotivo.

Paulo Batista (Brasile)

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Man (Francia)

Alzi la mano chi non ha provato almeno per un momento un vago senso di claustrofobia. Quella sorta di asfissia dettata dall’essere limitato nei propri movimenti, dal non avere sotto controllo la possibilità di uscire quando si vuole. Alzi la mano chi non ha avuto la tentazione, dopo giorni passati tra camera e salotto, bombardato da

Franco Donarelli (Italia)

notizie angoscianti e previsioni fosche, di abbandonarsi a comportamenti irrazionali. Da un lato la paura per le conseguenze sanitarie della pandemia, la fobia, a volte esagerata, di ammalarsi e di morire o di perdere le persone care. L’angoscia per non poter essere d’aiuto in caso di bisogno. Dall’altra la scarsa abitudine di rimanere a lungo soli con se stessi. Di avere tanto tempo a disposizione per guardarsi in profondità.

Lope (Spagna) 83


Per alcune persone, poi, il lockdown è ancora più duro. Pensiamo ancora una volta agli anziani. Esistenze fragili già prima del covid, costrette in un corpo che non gli corrisponde più e che difficilmente ne asseconda i desideri. Spesso accantonate in ricoveri e strutture assistenziali che offrono terreno fertile all’azione del virus.

Gilmar (Brasile)

Travolte dall’alto numero dei decessi e dalle inchieste, le case di riposo stringono le maglie dell’internamento: niente giardino né uscite, nessun contatto con i parenti o con gli altri ospiti. Niente più svaghi né sale comuni. I pasti sono consumati in camera, dove gli unici compagni restano il muro e (quando va bene) la tv. Sono provvedimenti per tutelarne la salute, certo, ma se da un lato servono a proteggere gli anziani, dall’altro rischiano di ucciderli psicologicamente. Trasformando quel che resta delle loro vite in una prigione. Federica Giglio (Italia) 84


Proprio le prigioni rappresentano un altro scenario critico in epoca di coronavirus. Lo erano già prima, a causa del sovraffollamento e dell’insalubrità, ma l’arrivo del covid porta con sé un effetto deflagrante. Con un tasso di contagio ben più elevato rispetto all’esterno, le carceri sbarrano le porte a ogni tipo di accesso, sospendono le attività formative, i laboratori e i colloqui. Senza più contatti con i familiari, all’interno rimbalzano notizie frammentarie che non fanno capire cosa stia accadendo. Si parla di epidemia, di morti, di nuove regole sanitarie. I detenuti intanto vengono privati degli spazi comuni e si vedono costretti a trascorrere tutto il tempo in cella, dove è impossibile garantire distanziamento fisico, igiene e aerazione dei locali. Se pensiamo al nostro isolamento da lockdown, abbiamo a volte la tentazione di azzardare paragoni. Sono fuori luogo, è sempre bene ricordarsene.

Giatra (Italia) 85


TEMPO Paragoni a parte resta il fatto che questa emergenza ha completamente ribaltato il nostro quotidiano, lasciandoci molto tempo libero da passare a casa. Un tempo nuovo, quasi sospeso e con scadenza indeterminata, datoci senza che lo chiedessimo e senza che potessimo prima progettare le modalità per utilizzarlo al meglio.

RampicantiStorti (Italia)

Sarebbe il momento giusto per affrontare i mille lavoretti da sempre rimandati, per dedicarsi al piacere della lettura, alla visione di film e documentari e agli hobby domestici. Per mettere mano a quella lista infinita di idee e cose da fare “se solo ci fosse tempo”, appunto... In realtà, abbandonato quel misto di stupore – dovuto al carattere eccezionale della situazione – ed entusiamo, dato dalla profusione di buone intenzioni delle prime ore, i giorni cominciano presto a trascorrere nella monotonia. E riempire giornate che sembrano infinite e tutte uguali, soprattutto quando non si ha la possibilità di lavorare da remoto, diventa sempre più difficile. Fernando Manes Marzano (Argentina) 86


Le ricette per imparare a gestire la noia e sfuggire allo sconforto non si fanno attendere. Gli esperti raccomandano di non restare con le mani in mano, plasmare una nuova ordinarietà senza pigiama e lontana dal sofà. Tuffarsi, quanto più possibile, alla scoperta delle piccole gioie. A volte letteralmente.

Nico Comix (Italia)

Jem (Belgio)

RampicantiStorti (Italia) 87


Joshua Held (Italia) 88


Walter Leoni (Italia)

L’attività fisica è un ingrediente fondamentale. Lunghe sedute di yoga per equilibrare corpo e spirito, ginnastica indoor, personal trainers virtuali, con sedute scandite da un bollettino e un notiziario televisivo. Se il salotto è un ambiente imprescindibile attorno a cui ruota la maggior parte della routine da confinamento, nuovi spazi dove trascorrere parte delle giornate senza infrangere divieti cominciano a essere vissuti, complice la buona stagione alle porte.

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Fernando Rocchia (Argentina)

Giancarlo Covino (Italia)

Balconi e finestre sono i protagonisti di una nuova socialità a mezz’aria, sospesa tra cavi telefonici e fili dei panni. Saluti, aggiornamenti, menu urlati da una terrazza all’altra tra incertezze e auspici. Con le ringhiere che fissano il limite del nuovo orizzonte, la frontiera oltre la quale si può solo lasciare spazio all’immaginazione e... alla speranza.

Alagon (Italia) 90


FOCOLARE La pandemia stravolge anche la vita dei più giovani. La chiusura delle scuole li porta a fare i conti con nuove modalità di apprendimento. Il ritiro forzato invece vuol dire condividere molto tempo in famiglia. Può essere l’occasione per ricucire le distanze scavate da ritmi frenetici. Per parlarsi e ascoltarsi. Ma non è così semplice. La coabitazione prolungata a volte mette a nudo l’incomunicabilità tra generazioni, la difficoltà nel gestire gli spazi o la stanchezza di genitori che, senza nonni né babysitting, si ritrovano improvvisamente a passare con i propri figli

Pitch Comment (Svizzera)

lunghi momenti di solito colmati dalla scuola, dalle attività sportive, dagli incontri con gli amici. In un periodo di crescita dove ribellione e distacco la fanno da padroni, bambini e adolescenti si scoprono in trappola. A loro il covid presenta forse uno dei conti più salati. In alcuni casi si parla di una vera e propria regressione, segnata dall’aumento dei disturbi comportamentali. Irritabilità, insonnia, repentini cambiamenti d’umore dei più piccoli sono spesso associati al grado di malessere vissuto dai genitori.

Oğuz Gürel (Turchia) 91


Genitori a loro volta costretti a fare i salti mortali, soprattutto per chi fa lavori che non si fermano con la quarantena e non sa dove lasciare i figli. Crolli ed esaurimenti non sono affatto rari in questo periodo. Specie per le donne. Lockdown e smart working sembrano far emergere il gap di genere esistente nella sfera privata, talvolta amplificandolo. Sulle donne finisce infatti il carico maggiore, con il sovrapporsi del lavoro familiare ed extradomestico; sono loro – quasi sempre – a dover scegliere se abbandonare il posto o trasformarlo in part time, quando non

Bertolotti e De Pirro (Italia)

sono già state licenziate per le troppe assenze obbligate. Una delle conseguenze di tale asimmetria è l’aumento dei divorzi. Il fenomeno era già stato riscontrato in Cina, la prima a “chiudere”, ma l’impatto del covid sulle coppie assume tratti dirompenti a tutte le latitudini. Ugualmente universale e ancor più devastante è invece l’incremento delle violenze domestiche. Una pandemia nella pandemia. Più silenziosa e meno visibile, nascosta tra quelle mura di casa che diventano così più pericolose della minaccia del virus. Dario Campagna (Italia) 92


EFFETTI COLLATERALI Se avere costanza nell’allenamento in casa è per pochi, se solo i più motivati si dedicano alla lettura e all’ascolto della musica, la voglia di sperimentare ai fornelli accomuna un po’ tutti. Come impiegare le giornate se non provando a cimentarsi nella preparazione di piatti prelibati? Tra razzie di lievito al supermercato e tutorial online, eccoci pronti a sfornare dolci, focaccine e a cucinare gli arrosti di un tempo lontano. A volte bisogna chiamare direttamente la nonna, perché certe ricette, su internet, proprio non si trovano.

Robarto Mangosi (Italia)

Per alcuni si tratta di un ritorno al cibo sano, fatto in casa, dopo anni di pasti confezionati, precotti e riscaldati. Per altri niente più che una sorta di consolazione, un placebo contro lo stress o un riempitivo da quarantena. Fatto sta che tra verve culinaria e inattività fisica, il lockdown lascia tracce inequivacabili non solo sulle nostre menti ma anche sui nostri corpi. Come ne lascia il lungo stop imposto alle maestranze “non essenziali”. Fleur de Mamoot (Francia) 93


Anche la quarantena insomma può far male alla salute. Le controindicazioni di questo regime di autosegregazione sono svariate e di diversa natura, ma proprio la natura invece sembra beneficiare dei cambiamenti imposti al nostro stile di vita grazie al limitato spostamento di mezzi e persone, e la diminuzione delle attività che gravano sull’ambiente. Cala, difatti, drasticamente l’inquinamento atmosferico, specie quello dovuto al traffico automobilistico. Dopo 30 anni gli abitanti del Punjab, nel nord dell’India, tornano ad ammirare le cime innevate dell’Himalaya. Kmilo (Colombia)

Intanto le acque del fiume Po o della laguna di Venezia non sono mai state così limpide. Nelle città si avvistano lepri, lupi, aquile reali e altre varietà di fauna selvatica. Più l’uomo si restringe e più la natura si allarga e si riprende gli spazi lasciati vuoti. La rete è invasa da fotografie e filmati che ritraggono animali gironzolare nei centri urbani. La vegetazione ingloba l’asfalto, una sorta di rinaturalizzazione, uno scenario alla Alan Weisman ne Il mondo senza di noi. Ma se è normale che le piante rivendichino il diritto alla luce dalla terra sottostante, risulta un po’ più anomalo che uno stambecco si aggiri tra case e cemento: sembra quasi una sfida, o una rivincita, una riappropriazione di qualcosa che c’era e che non c’è più. Che potrebbe però tornare a esserci. Enrico Natoli (Italia) 94


EVASIONI Nell’era del lockdown lasciare la propria abitazione è consentito soltanto per una valida ragione: andare al lavoro per chi svolge attività essenziali, acquistare beni necessari o motivi di salute. Le strade e i vicoli si spopolano, autopattuglie e volontari con megafono invitano a rimanere in casa, rari passanti incrociano sguardi sospettosi. Starsene in giro di questi tempi è motivo di riprovazione sociale, oltre che un’infrazione perseguibile. Varcata la soglia si prova una sensazione a metà tra il deserto postapocalittico e la caccia all’untore.

Borkoo (Francia)

In pochi giorni passiamo da aperitivi e cene con gli amici alle baruffe familiari per scendere a buttare i rifiuti, occasione irrinunciabile per fare due passi in cortile senza sentirsi in fallo. I più fortunati approfittano del cane, reso incontinente dalle circostanze, mentre chi non ce l’ha cerca di procurarsene uno (o qualcosa che gli assomigli). C’è poi la questione della corsetta. Si può fare ma è mal vista. Nelle vicinanze ma isolati. Dopo l’origine del covid è forse il tema più dibattutto e divisivo che l’opinione pubblica si trovi ad affrontare in questa fase. Sanaga (Francia) 95


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Laura Aschieri (Italia)


Marco Fusi (Italia)

Anche la spesa diventa un diversivo, un’azione quasi trasgressiva. Da compiere preferibilmente con il filone di pane in vista come lasciapassare. Meglio dell’autocertificazione, con i modelli che cambiano a ripetizione mentre i controlli si fanno più serrati. Le fugaci sortite dal confinamento restano a loro modo una forma minima di resistenza: al covid e al rischio di alienazione. Per fortuna non viviamo nel 1348 e, per evadere dal tedio e dal virus, non è necessario ritirarci in una villa di campagna scrivendo storie come nel Decameron. Abbiamo alternative più moderne a cui affidarci. Computer e cellulari, ad esempio, Zoom, Skype e le altre app di comunicazione ci permettono almeno un’evasione tecnologica.

Giuseppe La Micela (Italia) 97


Laura Scarpa (Italia) 98


Ixène (Francia)

Mariona Omedes (Spagna)

Se la tecnologia non basta, o è troppo forte il nostro senso di dipendenza, non ci resta altro che provare a scappare con la fantasia. Gettare lo sguardo oltre e ampliare le prospettive dall’interno. Progettare evasioni a colpi di pennello. Aspettando che il momento passi e che la luna torni a vegliare sui nostri sogni.

Mariano Luna (Argentina) 99


100

Andrea Franceschi (Italia)


Andrea Franceschi (Italia)

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COMUNITÀ La vita ai tempi del lockdown scorre in alto. Per percepirla bisogna sollevare lo sguardo. Per apprezzarla serve disporre di quei preziosi centimetri che sbordano dalle facciate dei palazzi, che permettono di passare le giornate all’aria aperta, senza infrangere i divieti. Basta un briciolo di sole e l’umore cambia. A volte basta una canzone o un piccolo gesto di gentilezza per creare nuovi rapporti. La quarantena reinventa gli spazi e produce rotture antropologiche. Allontanarsi fisicamente dalle persone a cui vogliamo bene ci avvicina di più ad altre, rimaste fino a quel momento sconosciute. O quasi. Così, dopo anni di vita nel quartiere, familiarizziamo con i vicini, ne osserviamo i volti, ascoltiamo le loro storie. Il mondo dei balconi è una scoperta. Fatta di umanità, prima di tutto. Ma anche di lenzuola, fiori, bandiere e odori. Ognuno si unisce come può alle celebrazioni appese. Performance sonore, giochi di luci e telefoni illuminati, sfoghi canori. È l’appuntamento quotidiano con la creatività. Dove signore anziane sventolano fazzoletti accanto agli stendini, mentre bambini picchiano forte sulle pentole. Come un urlo liberatorio, per sentirsi ancora vivi, meno soli, più leggeri. Una ricetta per reagire. Per provare a crederci che alla fine andrà davvero tutto bene.

Salvo Antoci (Italia) 104


Il balcone diventa trincea. Non una postazione per osservare, o per impicciarsi dei fatti altrui, ma un luogo privilegiato per condividere. Il terrazzo smette di essere nicchia privata, riflesso di un modello sociale individualista, per riacquisire in pochi giorni una funzione più moderna e democratica, quella partecipativa. Torna a essere il telefono senza fili di una volta, quando i social non c’erano e le notizie viaggiavano sul corrimano del ballatoio nelle case di ringhiera.

Marito (Argentina)

Ma in mezzo a tanta partecipazione, a una commozione che si espande velocemente dai quartieri a intere città, c’è anche chi si lascia prendere un po’ la mano, chi si immedesima troppo nello slancio emotivo e chi scivola sulla manopola del volume, dimenticando un parametro fondamentale della condivisione, il rispetto degli altri. Se in alcuni casi i flash mob sono dei veri e propri eventi artistici, in altri diventano una semplice occasione per aggirare le restrizioni. Sergio Más (Argentina) 105


Eccezioni a parte, la vita al balcone o alla finestra risponde a un nuovo bisogno di socialità, mai provato prima del distanziamento. È la culla dove nascono iniziative di solidarietà spontanea raramente sperimentate, almeno in questa ampiezza. A Napoli compaiono i panari solidali accompagnati dal messaggio “chi può metta, chi non può prenda”, sulle orme di un medico campano poi fatto santo. In breve tempo le ceste sospese scendono e risalgono un po’ dappertutto, in Italia e altrove. Canestri di vimini calati dal terrazzo, ma anche cassette di frutta appoggiate agli angoli della strada, borse di stoffa piene di generi alimentari, giocattoli, libri. Così si dà una mano a chi non può andare a fare la spesa, e si cerca di aiutare chi non può permettersela. Alessia Properzi (Italia)

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Sono gesti che comunicano una sensibilità ritrovata, come l’applauso collettivo dedicato agli operatori sanitari. Segnali che infondono fiducia di fronte a un presente di isolamento e inquietudine. In una realtà che ha ribaltato certezze e prospettive, i balconi diventano ben più di un rito giornaliero. Sono la scintilla che sembra illuminare, almeno per un attimo, un nuovo senso di comunità.

Ali Rastroo (Iran)

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Laura Scarpa (Italia)

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CAPITALISMO Se vivere il lockdown significa riscoprire il valore del tempo e della pazienza, vivere l’emergenza sembra offrire – aspetto ancor più importante – la possibilità di rinnovare le proprie scelte, le cose per le quali lottare e impegnarsi. È l’occasione per riportare etica e responsabilità nell’esistenza quotidiana, principi senza i quali la società rischia di continuare la sua corsa folle verso una meta più pericolosa della pandemia.

Simone Togneri (Italia)

Tornando al parallelo con Matrix, e all’interpretazione di Žižek, ci troviamo di fronte a una situazione simile a quella in cui era Neo quando doveva scegliere tra la pillola blu e quella rossa. Oggi la pillola blu significa ricominciare, una volta domato il covid, come se nulla fosse. Tornare alla stessa realtà, senza capire fino in fondo che mai niente potrà essere uguale a prima. Non perché si debba a tutti i costi dipingere uno scenario apocalittico, ma perché, ormai è chiaro, dovremo imparare a vivere con l’imprevisto, con un terreno che può franare sotto i piedi da un momento all’altro.

Sanaga (Francia) 109


Basterà la notizia di un nuovo virus per farci tremare le gambe dalla paura. O proprio la paura sarà forse il virus più potente da cui non riusciremo a liberarci.

Walter Leoni (Italia) 110


Giuseppe Palumbo (Italia) 111


Scegliere la pillola rossa invece significa aprire gli occhi, osservare il mondo senza filtri, acquisire consapevolezza che la realtà può non essere così rassicurante come credevamo e iniziare a farci i conti. Ma anche la pillola rossa si presta a letture differenti. Come credere che il virus sia solo uno stratagemma messo in atto dai governi per esercitare un controllo sempre più assoluto sui cittadini. Diffondere panico tra la popolazione per consentire allo stato di farsi garante della sua sicurezza.

Mongo (Cuba)

Secondo una diversa visione, scegliere la pillola rossa significa scoprire una volta per tutte l’incompatibilità del capitalismo con la convivenza umana. Significa capire che di fronte a problemi di natura planetaria non si può rispondere con il principio della concorrenza. Che la competizione a tutti i costi favorisce l’isolamento, disgregando la società e indebolendone i legami. Che il mercato assunto a ideologia semplicemente non funziona, perché la mano invisibile finisce per muoversi per avidità e non per spirito di efficienza.

Iñaki y Frenchy (Spagna) 112


La pandemia mette a nudo le contraddizioni di una dottrina che predica ricette miracolose come l’autoregolazione salvo poi chiedere aiuto e sostegno a ogni burrasca. Si può obiettare che mesi e mesi di confinamento manderebbero in tilt qualunque modello economico. Probabilmente. Ma di sicuro trasformare un sintomo (il virus) nella causa di un nuovo imminente tracollo è una comoda scorciatoia per evitare di mettere in discussione un modo di produzione in sé insostenibile. Scegliere la pillola rossa, allora, significa capire che la nostra economia è malata da tempo e che il virus che la affligge – a differenza del covid – non sembra avere possibilità di cura. Mariona Omedes (Spagna)

Si tratta di un virus profondamente iniquo, che consente ai più ricchi di aumentare i profitti mentre la pandemia costringe milioni di lavoratori a vivere di sussistenza. Un virus egoista che tende all’accumulo, alla continua espansione e allo spreco. È lo stesso virus che inquina il pianeta, distruggendo interi ecosistemi.

Paulo Batista (Brasile) 113


Lo stesso che ci accompagna verso una crisi ecologica di cui già stiamo assaporando gli ingredienti senza rendercene conto. Prendiamo la recente ondata di caldo registrata in Siberia. L’aumento record delle temperature ha provocato una serie di incendi incontrollati e avviato il disgelo del permafrost. Quei terreni artici che si stanno sciogliendo sono composti di materia organica, compresi virus e batteri rimasti intrappolati da tempo immemore. Di fronte a questi microbi, per lo più sconosciuti alla scienza, la popolazione umana si troverà ancora una volta indifesa.

-Z- (Tunisia) 114


INDIVIDUI Il lockdown è un’occasione per riflettere. Una pausa essenziale per ossigenare l’animo, oltre al pianeta. Per indagare su noi stessi e mettere alla prova la nostra identità. Per capire se una volta persa la routine lavoro-svago-lavoro sappiamo ancora chi siamo e cosa fare. Se abbiamo ancora un posto nel mondo. Prendere la pillola rossa, per dirla con le parole del filosofo Galimberti, significa non fermarsi alla schiuma del mare, ma guardarne gli abissi. E in quegli abissi accorgersi che forse stiamo vivendo a nostra insaputa.

Notto (Francia)

Significa accettare che siamo esistenze precarie, rese ancor più fragili da una cultura del consumo che ci spinge a soddisfare ogni desiderio e a bandire le rinunce. Per questo, secondo il filosofo, la sospensione di tempo e spazio ci coglie impreparati. Non siamo psicologicamente attrezzati per affrontare difficoltà di tale portata. Conosciamo il valore dell’impegno individuale ma non siamo abituati al sacrificio per un bene comune. Iñaki y Frenchy (Spagna) 115


Prendere la pillola rossa, in fondo, significa ammettere che difficilmente andrà tutto bene. Che tutto bene non andava neanche prima, anzi. Molte cose potrebbero andare male. C’è chi lo sa già, chi lo ha imparato sulla propria pelle, chi lo sospetta e chi preferisce ignorarlo ancora per un po’. Oppure c’è chi ci scherza sopra: non andrà tutto bene, ma almeno abbiamo imparato a fare la pizza in casa.

Enneesse (Italia)

Se è facile intuire che il covid non se ne andrà tanto velocemente, la domanda che alcuni iniziano a porsi non è quando? piuttosto come? usciremo da questa esperienza. Sarà l’evento catartico in grado di innescare il cambiamento di rotta? Di farci capire che la vita è qualcosa da costruire e non da consumare? Riusciremo ad arginare il virus dell’egoismo, che aveva già distanziato le nostre esistenze senza bisogno di chiuderci in casa?

Gianluca Fogliazza (Italia) 116


La sensazione è che lo slancio di umanità dei primi giorni di quarantena si stia lentamente dissolvendo nell’attesa di una ripartenza che tarda ad arrivare. Intanto i balconi si svuotano e tacciono gli applausi.

Il Merlo (Italia) 117


Il senso di appartenenza quasi istintivo vissuto all’inizio del lockdown cede il passo a uno stato di angoscia permanente. Sabbie mobili che fagocitano solidarietà per restituirci alla condizione di individui. Poco più che spettatori di un kolossal diventato eccessivo per essere realistico, in cui fatichiamo ormai a immedesimarci. Aspettando i titoli di coda, non possiamo fare altro che abbassare il volume e lasciar sfumare la voce fuori campo che insiste: a quale normalità stiamo cercando di tornare?

Zac Deloupy (Francia) 118


RampicantiStorti (Italia) 119


Mariona Omedes (Spagna) 120


Luca Garonzi (Italia) 121


Luca Garonzi (Italia) 122



Filippo Paparelli (Italia) 124


CONNESSIONE L’emergenza innescata dalla pandemia, tra i suoi effetti collaterali, sembra contribuire al miglioramento del rapporto tra individui e tecnologia. Non sarà amore (tech-love) come alcuni esperti raccontano, ma le ultime barriere di diffidenza verso un’esistenza sempre più informatizzata finiscono indubbiamente per incrinarsi. Gran parte di noi, durante l’isolamento, non può fare a meno di ricorrere a soluzioni digitali per connettersi con gli amici, la famiglia e il mondo circostante. Oppure per distrarsi. La tecnologia rappresenta una nuova sfida per molte fasce d’età, finora non troppo abituate al suo impiego e con scarsa familiarità dei suoi strumenti. Dal livello base, chat e videochiamate, a quelli più tortuosi come gli acquisti online e la didattica a distanza.

Walter Leoni (Italia)

Ancora una volta il covid stravolge tutti gli aspetti della quotidianità, dalla socialità all’apprendimento, dal consumo all’intrattenimento, dalla burocrazia al lavoro, generando spesso disagi ma anche opportunità. Un esempio su tutti, il cosiddetto “smart working”. Sdoganato dalla pandemia e considerato da più parti come modello del futuro. Inglesismi a parte, chiamiamolo per quello che è, o almeno per come lo stiamo vivendo: lavoro da casa o telelavoro. “Home working”, per chi è particolamente legato all’anglofilia.

Ixène (Francia) 125


Ma lavorare da casa ha tutt’altra accezione rispetto ai presupposti del lavoro agile o per obiettivi, e a volte non appare neanche così “smart”. Certo ha i suoi vantaggi. Meno spostamenti, spese e inquinamento. Inoltre sembra rispondere alla tendenza, sempre più diffusa con lo stop forzato del lockdown, di tornare a vivere e lavorare nei luoghi d’origine. Dove il costo della vita è più basso rispetto alle grandi città e la qualità è più alta. Se pensiamo all’Italia, per esempio, lo smart working potrebbe avere un impatto positivo sull’emigrazione dalle regioni del sud, limitando i danni – in termini tanto Marc Large (Francia)

economici quanto affettivi – dell’esodo in atto da decenni a questa parte. Durante l’emergenza, con la chiusura delle scuole e un’organizzazione domestica da reinventare, i benefici sono innegabili. Ma notevoli sono anche i rischi e gli inconvenienti. Poter conciliare meglio attività professionale e famiglia, dedicare maggiori attenzioni ai figli e alla cura di sé, sono prospettive interessanti. Ma è proprio questo che sta accadendo? Più che bilanciare tempi di vita e di lavoro, capita spesso che i due piani si sovrappongano. Diventa sempre più difficile e stressante tracciare i confini tra impiego e tempo libero, specie in spazi di convivenza ristretti.

Naji Benaji (Marocco) 126


Il risultato: a casa si tende a lavorare di più e si riducono i margini di autonomia. Se per alcuni si tratta semplicemente di fingere ogni tanto di essere occupati, molti lavoratori faticano a staccare la spina e si sentono in dovere di essere costantemente disponibili, iniziando prima le giornate e andando ben al di là delle canoniche 8 ore. Non a caso si fa sempre più acceso il dibattito sul diritto alla disconnessione.

Notto (Francia)

Questo perché, assicurano gli esperti, lo smart working presuppone una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire il lavoro e non una mera trasposizione delle mansioni da ufficio. In quest’ottica non sono le ore trascorse alla scrivania o in collegamento costante a misurare la produttività, ma il raggiungimento

Marc Large (Francia) 127


degli obiettivi e la qualità dei risultati. Un cambiamento “copernicano”. Una sfida a cui forse non siamo preparati, né mentalmente né sul piano pratico. Almeno in Italia, dove lo sviluppo dell’infrastruttura informatica è in grave ritardo. Eppure sembra questa la strada tracciata per l’avvenire. Lo dicono i giganti della Silicon Valley, che in tema di innovazione tecnologica dettano da sempre la linea, lo confermano i grandi produttori televisivi, che stanno preparando nuove serie tv incentrate sul lavoro da remoto. Tutti concordano insomma, tanto che perfino il culto si sta attrezzando nel tentativo di adeguare i propri rituali ai nuovi parametri.

Elmer (Argentina) 128


PRIVILEGI Da fenomeno di nicchia ad asse portante dell’organizzazione del lavoro, questa è la parabola dello smart working al tempo del coronavirus. Le cose non sembrano destinate a tornare alla situazione pre-covid, ma il successo del nuovo modello non è scontato. Il timore, pandemia a parte, è che si proceda senza cautele. Che si acceleri troppo bruscamente. E quando la velocità aumenta, c’è sempre qualcuno che rimane indietro. Più di uno in questo caso, dato che il crescente ricorso al digitale sta aumentando il divario tra ricchi e poveri. Tra chi insegue l’ultimo Mac e chi non può permettersi di Elmer (Argentina)

considerare internet un bisogno primario. Per non parlare – più in generale – del rischio speculazione sui beni necessari al lavoro agile, raramente messi a disposizione. E senza dimenticare che l’opzione del lavoro da casa è possibile solo per certe categorie, di solito già abbastanza protette sul piano economico.

Alf (Francia) 129


Il continuo susseguirsi di aperture e chiusure, allentamenti e restrizioni, non fa che intensificare il dibattito. Se per una certa narrazione la parola “smart” diventa sinonimo di libertà, flessibilità e intraprendenza, per altri significa solo privilegio. Altri ancora la ritengono una vacanza camuffata, mentre c’è chi reclama maggiori tutele contro una gestione del lavoro che rasenta sempre più lo sfruttamento.

Kmilo (Colombia)

C’è chi lamenta un ritorno al passato sul piano dei diritti, leggendo tra le righe del nuovo format occupazionale una semplice riesumazione del lavoro a cottimo. Una sorta di esperimento sociale travestito da emergenza sanitaria, inganno sofisticato per isolare il lavoratore. Interpretazioni a parte, alcuni dati sono incontrovertibili. Tra cui gli enormi vantaggi per le imprese. Resta da chiedersi a questo punto se i datori di lavoro, una volta constatato quanto risparmio c’è nel tenere in smart working tutto l’ufficio, rivorranno i propri dipendenti tra i piedi oppure no. Si renderanno conto o no che per lavorare c’è ancora bisogno che i colleghi si guardino in faccia, litighino, condividano il caffè, come pure le angosce e le intuizioni, o si faranno bastare la soddisfazione del risparmio? Roberto Mangosi (Italia) 130


Mark Lynch (Australia) 131


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Barletta, Di Mauro, Buffa, Della Verde (Italia)


Barletta, Di Mauro, Buffa, Della Verde (Italia)

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Hey, you! Dont touch us, please!

Another day at work I have to put up with this long queue, Oh!

Cough! Cough!

Hey, Hey! Don’t lean there, Sir.

He’s probably have covid!

No, no... Just a cough, sorry!

Hey, you! Don’t touch us, please!

Ahh! aahhh...

...Shimmm

And suddenly everyone leaves me on the bus!

Get out! we have someone suspicious on the bus!

!We We someone think some one have have aa covid covid in in the the bus... bus... My Covid in Comic - 2020

My Covid in Comic A4.indd 1

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Zadoc (Monzambico)

7/29/2020 8:09:42 PM



LIVELLA In un video postato su Instagram che la ritrae nella sua vasca da bagno, una nota cantante definisce il coronavirus the great equalizer “il grande equalizzatore”. Perché, sostiene la rockstar, al virus non importa quanto ricco, famoso, divertente, intelligente o vecchio tu sia. Al suo cospetto vengono meno i confini, le categorie sociali e le differenze tra paesi ricchi e paesi poveri, perché il covid colpisce tutti, indipendentemente dalla condizione economica e dalla nazionalità. Sul momento potremmo anche essere d’accordo. Ma se ci fermiamo a riflettere e osserviamo un po’ più a fondo, ci accorgiamo di quanto la pandemia sia ben lontana dall’essere A livella della poesia di Totò. Non rende uguali, se non nella sua conseguenza più tragica ed estrema. Prima dell’epilogo, però, il virus ha modo di tracciare distanze profonde, cavalcando asimmetrie di classe, accentuando fratture tra gruppi sociali e comunità etniche e acutizzando diseguaglianze di potere, conoscenza e risorse.

Doru Axinte (Romania) 136


Si sente spesso ripetere che di fronte al covid stiamo tutti sulla stessa barca, poiché condividiamo le stesse emozioni e le stesse sofferenze, un pezzo di storia che ci accomuna. L’immagine è suggestiva. Ma siamo davvero sicuri di essere tutti sulla stessa barca? L’impressione è che ci troviamo piuttosto davanti alla stessa tempesta, mentre navighiamo tutti lo stesso mare ma su barche differenti. Un mare insidioso, solcato da zattere malconce e traghetti stipati, velieri eleganti, yacht di lusso e navi di salvataggio alla deriva.

Zac Deloupy (Francia) 137


Inutile negare che ci siano aspetti di questa pandemia che avvicinano popoli e persone. La mancanza di contatto impoverisce i rapporti a prescindere dal tenore di vita. La separazione prolungata complica i sentimenti in ogni quadrante della mappa. Provare paura per strada, guardare con sospetto chi si avvicina troppo, sono fobie che condizionano l’essere umano ovunque si trovi. Il distanziamento fisico è effettivamente vissuto come un limite universale.

Il Merlo (Italia)

Quando parliamo di distanza, invece, le cose cambiano. La distanza scavata dal covid ha ben poco di universale. La sua geometria è variabile e per nulla casuale. Sprofonda dove il terreno è fragile. Ce lo conferma l’artista e operatore sanitario Richard Nagy, disegnando l’inferno di reclusione e privazioni vissuto dalle persone affette da disturbi mentali negli ospedali psichiatrici francesi. Entrati in stato di calamità durante la fase più acuta dell’emergenza. Richard Nagy (Francia) 138


Paolo Marengo (Italia)

Naji Benaji (Marocco)

Ce lo ricordano ogni giorno i nostri figli a cui la pandemia toglie socialità, svaghi e perfino la possibilità di avere un’istruzione. Nel mondo sono oltre un miliardo e mezzo i bambini che devono rinunciare alla scuola per quasi tutto l’anno. Di questi più del 40% non ha accesso a internet da casa, per loro non esiste didattica a distanza. È una generazione segnata dall’aumento della povertà educativa. Una povertà che tendiamo a non vedere ma che agisce, in maniera subdola, sulla capacità di ciascun ragazzo di scoprirsi e coltivare le proprie inclinazioni.

Sergio Más (Argentina)

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Darko Drljevic (Montenegro)

Simone Togneri (Italia)

A causa delle difficili condizioni, questi giovani non hanno le stesse opportunità dei loro coetanei economicamente stabili di apprendere, sperimentare e far fiorire liberamente capacità e aspirazioni. Entrano in un circolo vizioso che li priva di ogni chance di emancipazione. Del resto è evidente come l’impatto della crisi sanitaria abbia aperto voragini soprattutto nei confronti delle fasce più deboli, vittime designate di una nuova pandemia sociale. Pierpaolo Putignano (Italia) 140


Lavori precari e impieghi accessori per arrotondare lo stipendio, indispensabili per arrivare alla fine del mese, sono i primi a saltare con il confinamento. Le piccole imprese familiari non reggono l’urto. In tanti non riescono più a pagare l’affitto, le bollette o a essere puntuali con le rate di prestiti e mutui. “Equilibristi della povertà” li chiamano, a cui basta un imprevisto per precipitare. Ci pensa l’onda del covid oggi a farli scivolare sotto la soglia. A spingerli in molti casi verso le braccia di usurai e sfruttatori. O più semplicemente per strada, come testimoniano gli accampamenti di fortuna che crescono vicino alle stazioni delle grandi città.

Pierre Ballouhey (Francia) 141


CHIUSURA

Gianlo (Italia)

Nessuna livella. Piuttosto il virus si impone come un micidiale acceleratore di diseguaglianze, come per esempio, rendendo invisibile chi già prima era tenuto ai margini di un sistema produttivo diviso su base “etnica”, dove le occupazioni più pericolose, di fatica e sottopagate sono spesso riservate agli stranieri. O meglio ai migranti, impiegati in condizioni di grave vulnerabilità, facilmente ricattabili specie in mancanza di visto e documenti, ed esposti al rischio di incidenti e patologie senza alcuna forma di tutela. È il caso dei braccianti, quando l’Italia si ferma ci sono settori essenziali che devono andare avanti.

Alagon (Italia)

Stefano Tartarotti (Italia) 142

Alagon (Italia)


Campi, semine, raccolti, il ciclo delle stagioni non aspetta la quarantena. Il rifornimento alimentare è una priorità. Nello stesso periodo, nel comparto agricolo, un lavoratore su due è irregolare. Nelle campagne c’è bisogno di manodopera e si prende quella disponibile al minor costo. Aumentano le ore di lavoro, cala la retribuzione, senza badare troppo al rispetto di norme igieniche e standard di sicurezza. Ne emerge un connubio perverso tra le contingenze della pandemia e un sistema di sfruttamento – fatto di caporalato e maltrattamenti – già ampiamente collaudato. Naji Benaji (Marocco)

In generale viene registrata una nuova polarizzazione del mercato del lavoro, smentendo ancora una volta l’opinione che il coronavirus colpisca indistintamente. Sembra emergere una linea di demarcazione tra lavoratori di serie A e di serie B. Tra quelli che possono rimanere a casa protetti e chi è costretto ad andare in fabbrica rischiando il contagio per garantire la tenuta economica del paese, o per il cinismo di certi imprenditori, pronti a fare carte false pur di non interrompere la produzione. Con il risultato che centinaia di impiegati e operai si ritrovano ammassati ogni mattina sui mezzi di trasporto, nonostante il lockdown, mentre dalle finestre volano insulti a chi fa jogging o passeggia in solitaria. Federica Giglio (Italia) 143


Djony (Francia)

Roberto Netto (Brasile)

Lo smart working aumenta la distanza tra colletti bianchi e lavoratori a basso reddito. Eroi usa e getta, come i riders che attraversano la città in bici con qualsiasi condizione meteorologica, di fronte alla minaccia del virus o di un’auto sbadata, per consegnare beni a volte nemmeno troppo necessari. Per guadagnare una miseria in una giungla urbana che pretende servizi di lusso pagandoli come se non lo fossero. Anche loro, come altre categorie, si trovano a scegliere se rischiare la vita lavorando o smettere di lavorare restando senza soldi per vivere.

Toni D’Agostinho (Brasile) 144


Sondron (Belgio)

Perché in questa babele di storie volti e situazioni chiamata pandemia, c’è sempre qualcuno a cui va peggio. Che si allontana più degli altri. Interi settori messi in ginocchio, costretti a fermarsi del tutto. Lavoratori che restano a casa senza più stipendio e contratti che non vengono rinnovati. Ci sono saracinesche che si abbassano e porte che rimarranno chiuse.

Djony (Francia)

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Giancarlo Covino (Italia)

Bertolotti e De Pirro (Italia)

Per evitare una catastrofe sociale, dopo quella sanitaria, le istituzioni cercano di reagire nel segno di una rinnovata solidarietà nazionale ed europea. Tolti i freni alla spesa pubblica, i governi varano misure di sostegno economico d’urgenza e ricorrono agli ammortizzatori sociali. Arrivano bonus e ristori. Forse non per tutti e non a sufficienza. Un palliativo o poco più. Ma anche se poco efficace e provvisoria, la somministrazione dei primi soccorsi segna una nuova distanza tra quei paesi che una cura, per quanto debole e raffazzonata, possono permettersela e quelli che invece sono troppo fragili per assorbirla.

Arturo Molero (Spagna) 146


Dario Campagna (Italia) 147


MINACCE

Allargando gli orizzonti su scala globale basta un solo dato macro per percepire il polso della situazione. L’indice di sviluppo umano sta precipitando a livelli mai così bassi da cinquant’anni a questa parte. Le ricadute più violente si attendono nelle aree meno attrezzate per contrastare la nuova emergenza, con un aumento della povertà estrema che colpirà nel mondo 60 milioni di persone, l’equivalente dell’intera popolazione italiana. Se pensiamo al continente africano, il coronavirus è solo Migue (Cuba) l’ultima minaccia che si affaccia in un contesto storicamente affetto da crisi strutturali ed emergenziali. Senza andare troppo indietro nel tempo, a fine 2019 il virus ebola mieteva ancora migliaia di vittime nella Repubblica Democratica del Congo, dopo aver attraversato Guinea, Sierra Leone e Liberia. Nei primi mesi del 2020 invece, con il covid ancora in sordina, è il Corno d’Africa a essere teatro di calamità devastanti, a cominciare dalle inondazioni che hanno fatto morti e sfollati dalla Somalia al Ruanda, per poi passare all’invasione di locuste che ha saccheggiato le colture colpendo sia le scorte alimentari che le future fonti di reddito. Per non parlare poi del ciclone Idai che solo un anno prima si abbatteva sul Mozambico, danneggiando il 90% delle infrastrutture del paese. Oggi non ci sono edifici che crollano né strade allagate. Tutto sta accadendo in silenzio. Ma l’impatto si annuncia ancor più profondo.

Helio Januario (Mozambico) 148


Filóchofo (Guatemala)

Come profonde sono le tracce lasciate in America Centrale dal passaggio dell’uragano Eta. Intere comunità del Guatemala, con una crisi sanitaria in corso, si ritrovano senza più acqua né cibo. Per il paese è l’ennesimo triste capitolo di una storia lacerante, segnata – per la maggior parte del XX secolo – da colpi di stato e dittature militari. La più grave, quella sostenuta dalla CIA negli anni ‘50 per impedire la riforma agraria e proteggere i latifondisti, che sfocia in una guerra intestina con migliaia di morti e sparizioni forzate, soprattutto fra la popolazione indigena di origine maya.

Oggi come allora la struttura economica del paese poggia sull’agricoltura, con i terreni più redditizi destinati alle piantagioni di caffè, banane e canna da zucchero, in mano alle compagnie straniere e rappresentate in loco da una ristretta elite finanziaria. Una casta che non è disposta a rinunciare ai profitti nemmeno in tempo di pandemia e che riesce a far retrocedere il governo sul blocco delle attività imposto per contenere l’espansione del virus. La popolazione intanto, costretta a espedienti giornalieri, si sente intrappolata in una morsa. Dove il covid è solo un giro di vite in più. Filóchofo (Guatemala)

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Lope (Spagna)

Crisi umanitaria e ingiustizia sociale avanzano di pari passo anche in Brasile. Qui la gran parte dei contagi si concentra tra la popolazione nera e mulatta, abitanti delle favelas a cui è impossibile garantire un adeguato distanziamento. Ma a esPaolo Lombardi (Italia) sere colpite sono anche le comunità della foresta amazzonica, bersaglio della politica anti indigena del premier Bolsonaro. Decimate in passato dalle malattie portate dai conquistadores, l’intensificarsi dei contatti con il mondo esterno continua a diffondere infezioni letali in un ambiente incontaminato. Quando arriva il covid, popoli millenari come gli Yanomami stanno già combattendo con la malaria, introdotta in Amazzonia dai cercatori d’oro. Gli stessi che per espandere l’attività estrattiva accelerano la distruzione della foresta con la complicità del governo. I nuovi conquistadores rappresentano una minaccia ambientale, ma sono anche il veicolo di trasmissione del coronavirus. Non è un caso che la parola xawara (“epidemia” in lingua indigena) trovi la sua etimologia nei fumi emanati dai macchinari delle miniere.

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In America Latina il Brasile è lo stato più colpito sul piano sanitario. L’Argentina invece quello che paga il prezzo più alto in termini economici e sociali. Gli otto lunghissimi mesi di lockdown totale, oltre a non evitare l’elevato numero di contagi e di morti (più di 40 mila), accompagnano il paese verso una profonda recessione, cominciata per la verità qualche anno prima della comparsa del covid, sotto il peso dell’indebitamento estero. Se la fuga di capitali Sergio Más (Argentina) aveva già portato alla chiusura di migliaia di aziende e a un incremento della disoccupazione, le ricadute del virus non fanno che peggiorare la situazione, spingendo l’indice di povertà a livelli record (40% della popolazione). Nonostante alcune coraggiose iniziative di coesione sociale promosse dal governo, come la tassa sui patrimoni più ricchi, la tenuta del sistema economico resta appesa agli umori dei creditori internazionali. E all’attuazione delle loro politiche di austerità che in tempo di pandemia hanno il sapore amaro di una doppia condanna.

Fernando Rocchia (Argentina) 151


Fadi ToOn (Norvegia /Palestina)

Cambiamo scenario. Immaginiamo due milioni di esseri umani che vivono in soli trecentosessanta chilometri quadrati. Uno dei luoghi più densamente popolati del pianeta. Due milioni di persone chiuse in una gabbia da cui non possono fuggire. Costrette a vivere entro questi stretti confini, in un territorio in rapido deterioramento. Gaza è una prigione a cielo aperto. Si può pescare solo nelle poche miglia marine concesse da Israele e coltivare lontano dalle reti di recinzione. Qui si vive in lockdown permanente. Il sovraffollamento rende impensabile il distanziamento. Le medicine e l’elettricità scarseggiano un giorno sì e l’altro pure. Le misure igieniche sono pura fantasia in un posto dove manca l’acqua potabile e non ci sono impianti di depurazione. Se sei rinchiuso, sei protetto – dicono – ma una volta aperta la breccia, in queste condizioni non hai scampo. L’ingresso del covid nella Striscia, ormai documentato, assomiglia perciò a una sentenza di morte. Gli effetti secondari della pandemia, intanto, rischiano di trascinare il fragile tessuto economico dell’intera Palestina verso il collasso. 152


La crisi non risparmia il Medio Oriente. Se l’Iran è subito coinvolto dall’onda del contagio, la minaccia si espande rapidamente ai paesi vicini, specie laddove i confini sono più permeabili. L’arrivo del virus in Iraq viene inizialmente contenuto con rigide misure di confinamento: attività chiuse e spostamenti bloccati, anche grazie alla presenza capillare delle milizie armate che segmentano di fatto il paese. Ma la situazione è insostenibile. Così, appena si allentano le limitazioni, i casi aumentano a dismisura, mettendo in luce le carenze del sistema sanitario e la debolezza delle istituzioni che fanno delle scelte individuali la sola strategia di prevenzione.

Haron Younis (Iraq)

Anche qui, in un contesto già segnato profondamente da trent’anni di guerre, occupazione e conflitti che hanno disgregato la coesione sociale e aperto ferite tra le diverse comunità etniche e religiose, l’impatto della pandemia colpisce duro a livello economico. Gli impiegati pubblici non ricevono più lo stipendio, i prezzi dei beni di consumo crescono mentre i ricavi petroliferi sprofondano assieme al valore del greggio, che tocca i minimi storici durante il lockdown. Sullo sfondo intanto permane una scia di corruzione endemica, resa ancor più inaccettabile dalle ristrettezze del momento. Crisi, covid, venti di guerra che spirano – come i bombardamenti turchi nelle zone di confine – azioni delle milizie e di gruppi terroristici, come la strage nel mercato di Baghdad all’inizio del 2021 rivendicata dall’Isis. L’Iraq è un cocktail esplosivo. Un mix micidiale che non spaventa però i giovani, in piazza dal 2019 per chiedere riforme. Nonostante il prezzo pagato sia altissimo – in termini di vite umane, arresti e repressione – il coronavirus non placa la protesta. Al contrario, ingrossa le fila dei manifestanti e la lista delle rivendicazioni. 153


Anche in Tunisia a preoccupare non è soltanto la situazione epidemiologica – frenata, almeno in apparenza, da rapide misure di confinamento – quanto le conseguenze che le restrizioni imposte stanno avendo sul sostentamento dei cittadini. L’economia è traballante, vincolata ai prestiti e fortemente -Z- (Tunisia) legata alle rimesse dall’estero, che in questo periodo di crisi generale non arrivano più. Il settore del turismo, da cui ancora dipende la bilancia del paese, è in agonia. Alberghi deserti, ristoranti chiusi, bagnanti scomparsi, come i soldi che permettono a migliaia di famiglie di tirare avanti. Se dall’instabilità economica alla rivolta sociale il passo è breve, la pandemia sembra destinata a riaccendere una dinamica mai veramente sopita. E dieci anni dopo le “primavere arabe” i giovani tunisini potrebbero insorgere di nuovo. Non contro la dittatura, ma contro un governo incapace di arginare disuguaglianze e offrire prospettive. Prospettive che si riducono ulteriormente al di là del confine, dove la primavera si è trasformata presto in inverno. Ma in una Libia stremata dalla lunga guerra civile, né il covid né i bombardamenti riChedly Belkhamsa (Tunisia) escono a impedire di sognare guardando un tramonto.

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Turkia Bensaoud (Libia)

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Turkia Bensaoud (Libia)



Dario Campagna (Italia)

ACCESSORI La scena è nota, sempre più o meno la stessa. Come un ciack ripetuto all’infinito. Scendiamo in cortile, arriviamo sul marciapiede, ci guardiamo intorno e capiamo. “Loro ce l’hanno!”. Va peggio se ce ne accorgiamo una volta arrivati a destinazione. Dopo mesi di emergenza non riusciamo ancora a farci l’abitudine. 158


Proviamo in tutti i modi a non cadere in trappola, riempiamo borse e tasche con quelle di riserva, le appendiamo allo specchietto retrovisore dell’auto o al cambio. Ma non c’è nulla da fare. Eppure la mascherina è un accessorio indispensabile alla nostra quotidianità. Obbligatoria negli spazi chiusi e condivisi, ma in molti casi anche all’aperto, uscire di casa senza è ormai praticamente impossibile. O molto scomodo, se non si abita a piano terra. Sebbene sia ancora oggetto di dibattito e precisazioni, la sua funzione basilare è quella di ridurre la quantità di droplet e aerosol emesse nell’ambiente, diminuendo così il rischio che gli asintomatici si espongano inconsapevolmente ad altre persone. Indossarla serve a proteggere gli altri, prima che noi stessi.

Mark David (Australia) 159


Juancarlos Contreras (Spagna)

Nonostante il necessario slancio di altruismo, eccoci qua dunque, imbavagliati. Impacciati e imbrigliati. Con un forte senso di costrizione. Tanto che a volte si fa fatica a respirare. La testa dopo un po’ inizia a girare. Non è più così semplice ascoltare le parole che ci vengono dette e nemmeno farsi capire. Una sensazione nuova, insomma. L’ennesima di questo tempo.

Alan Platt (Australia) 160


Ansoleil (Francia) 161


Per qualcuno, al di là degli inconvenienti pratici, portare la mascherina avrebbe anche dei risvolti positivi che vanno oltre la garanzia di protezione sanitaria. Come tenere a bada i rinfacci e contenere l’alito cattivo, per esempio, per affrontare piatti a base di aglio e peperonate senza più alcun timore. O limitare le spese per i ritocchi estetici. Sembra che perfino il fatturato dei dentisti sia calato drasticamente. Sempre che alle ffp2, 3, alle mascherine chirurgiche o a quelle in tessuto non si preferisca la variante a visiera. Di certo meno opprimente, ma priva dei vantaggi aggiuntivi già elencati, oltre che sprovvista della stessa efficacia igienica.

Adenov (Tunisia)

Man (Francia) 162


Fernando Rocchia (Argentina)

Alf (Francia)

Quale che sia la circostanza, la mascherina è sinonimo di precauzione. A volte perfino di conforto. Non averla ci fa sentire spogli, vulnerabili, esposti al biasimo di chi ci circonda. Indossarla invece ci rassicura, anche di fronte a situazioni irrazionali. O imbarazzanti. Si tratta di un accessorio di cui scopriamo sempre nuove utilità. Come nascondere reazioni, camuffando l’imbarazzo o dipingendo un sorriso. Una sorta di maschera pirandelliana da presentare in società, per schermare il nostro lato autentico lasciando spazio all’ipocrisia.

Mariano Luna (Argentina) 163


Jota A (Brasile)

SGUARDI Le mascherine possono celare volti e stati d’animo, certo. Ma è ancor più vero il contrario. La comunicazione affidata agli sguardi ci obbliga a una maggiore attenzione, ad avere più sensibilità. Paradossalmente ci mette a nudo, mentre il bavaglio diventa una semplice cornice. È difficile infatti sfuggire agli occhi degli altri, quelli che Virginia Woolf considera “le nostre prigioni”. Se con le labbra possiamo sorridere anche quando siamo tristi, con gli occhi no, perché sono la rappresentazione immediata di tutte le emozioni che ci attraversano. Se vogliamo dialogare con qualcuno o sapere chi abbiamo davanti, quegli occhi dobbiamo guardarli per forza. Il Merlo (Italia) 164


RampicantiStorti (Italia)

Klaus Pitter (Austria) Mongo (Cuba)

Elogio etico a parte, la mascherina può risultare molto fastidiosa, soprattutto in certe occasioni. Se per mangiare, fumare e parlare al telefono, togliersela appare scontato, in molti la utilizzano male a prescindere dalla situazione. 165


Nonostante i mesi di stretta convivenza, in giro per strada se ne vedono ancora di tutti i tipi: tra le abitudini più diffuse, quella di portarla abbassata sotto il naso o attaccata penzoloni a un orecchio solo. Tirata giù fin sotto il mento, per farsi capire meglio, o addirittura infilata al braccio in attesa di essere indossata. Ma la mascherina è anche uno spunto per dare spazio all’ingegno e alla creatività. Non mancano in questi mesi forme fantasiose di protezione fai da te: coppe dei reggiseni e carta forno, filtri da caffè e foglie di lattuga. Si tratta in molti casi di varianti imposte da un bisogno momentaneo. In altri di alternative bizzarre, più carnevalesche che protettive, dettate dalla voglia di apparire originali a ogni costo o più semplicemente di provare a sdrammatizzare. Toni D’Agostinho (Brasile)

Fleur de Mamoot (Francia) 166

Becs (Argentina)


Simon Letch (Australia)

Marito (Argentina)

Ai tempi del coronavirus anche l’arte si mette la mascherina. L’emergenza ispira talenti in tutto il mondo che reinterpretano opere contemporanee e grandi classici per sottolineare lo sforzo degli operatori sanitari e sollecitare la responsabilità sociale dei cittadini.

Monero Santos (Messico) 167


Rawaah Arkan (Iraq)

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Klaus Pitter (Austria)

Gianlo (Italia)

TENDENZA

Da tela su cui sbizzarrirsi per comunicare messaggi, a musa ispiratrice di comportamenti assennati e di ironia, i dispositivi di protezione individuale diventano infine un indumento in piena regola, un elemento con cui fare tendenza. Uno status symbol fatto di borchie, pizzo e metalli preziosi. Designer famosi e marchi più piccoli si lanciano nella produzione di mascherine griffate, superando una nuova frontiera del mercato della moda e scavando nuove distanze.

Lido Contemori (Italia) 169


Joshua Held (Italia) 170


Elmer (Argentina)

Luca Bertolotti (Italia)

Firas Schiavon - Beatrice Canova (Italia)

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Le mascherine restano il simbolo onnipresente di una pandemia che difficilmente riusciremo a scrollarci di dosso.

Giuseppe La Micela (Italia) 172


Enrico Girotto (Italia) 173


Enrico Girotto (Italia) 174



SALTO C’è silenzio. Il sole sta spuntando tra le case e il portone si apre cigolando. Una sagoma si affaccia con circospezione. In faccia ha il sorriso nevrotico di chi muove i suoi passi a metà tra l’incertezza e l’entusiasmo. Si direbbe un timido esploratore. Oppure quella fetta di umanità che per prima si trova a vivere il passaggio alla “fase 2”. Un nuovo capitolo della saga pandemica. Dove finisce il lockdown e si alleggeriscono i divieti. Dove le città riprendono a poco a poco i loro ritmi e si preparano ad accogliere gli abitanti con nuove regole. Non è detto però che bastino mascherine, disinfettanti e guanti usa e getta per oltrepassare la soglia e sentirsi al sicuro. Se molti avevano fatto fatica a rimanere tra le mura domestiche, altri si sono abituati senza troppe difficoltà e ora stentano a tornare indietro. L’emergenza sanitaria sembra superata, ma non è facile lasciarsi alle spalle le fobie appena vissute. Tra tutte, la paura di non ritrovare fuori il mondo conosciuto prima. La chiamano sindrome della capanna. Come succede in quei posti dove gli inverni sono talmente rigidi che la popolazione è costretta a chiudersi in casa per mesi. E quando arriva la primavera, molti hanno problemi a lasciare il letargo a cui si sono assuefatti.

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Becs (Argentina)


Paulo Batista (Brasile)

CaDiCa (Italia)

Capanna o no la ripartenza, almeno all’inizio, è graduale. Le attività riprendono in maniera scaglionata e le visite, gli incontri, le sortite quotidiane con cautela. La gioia più grande è quella di ritrovare i propri cari, le persone amate rimaste lontane. Sebbene le notizie siano incoraggianti, la diffidenza prevale. I contagi calano, le terapie intensive si svuotano, ma appare impossibile che il virus possa dissolversi da un giorno all’altro.

MisterBad (Italia)

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Simon Letch (Australia)

In altri casi invece sembra che la ripartenza avvenga un po’ alla cieca. Senza un piano preciso né scadenze determinate. Una sorta di liberi tutti. Senza norme certe di prevenzione né misure assistenziali per chi non può permettersi di riaprire. Si ha come l’impressione di spiccare un salto nel vuoto. Di vivere una fase 2 confusionale se non addirittura discrezionale. Ma a discrezione di chi? Governo e ministeri? Regioni? Comuni e ordinanze territoriali? La risposta non è semplice e i conflitti di competenza non aiutano. Sarà per questo che si cercano escamotages per tenere alto il livello di attenzione, anche se certe proposte non sembrano proprio convincenti. E nemmeno troppo efficaci.

Fleur de Mamoot (Francia) 178


Stefano Tartarotti (Italia) 179


NORMALITÀ Il covid cambia gli stili di vita e i comportamenti. Lo sentiamo ripetere da mesi. Senza capire fino in fondo se sia un augurio o una minaccia. Ci sono alcuni aspetti della vita quotidiana che subiscono un adattamento inevitabile. Dall’oggettistica di base che asseconda le priorità igieniche, alle nuove tendenze decorative. Gli spostamenti riprendono, ma il raggio si riduce. La comfort zone è più ristretta, come la cerchia delle persone che ritorniamo a frequentare.

Na! (Francia)

Nico Comix (Italia)

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Lasciando stare i risvolti pratici, uscire dalla quarantena significa davvero adottare nuove abitudini? Migliori di quelle precedenti? Forse, anche se i primi segnali non sono incoraggianti. Una cosa è certa, uscire dalla quarantena ci porta ancora una volta a familiarizzare con nuove parole. Dopo lockdown e smart working, “resilienza” è il mantra del momento. Ma l’utilizzo della lingua italiana non significa che sia più facile coglierne il significato. Resilienza, in qualunque vocabolario, è la capacità di assorbire un urto senza rompersi. In psicologia, la capacità di affrontare e superare un evento traumatico.


Notto (Francia)

Oğuz Gürel (Turchia)

Se vogliamo tradurlo in immagine, pensiamo alla forza di un filo d’erba nel risollevarsi dopo essere stato calpestato. O, per renderla ancor più poetica, all’abilità di uno stelo nel piegarsi al vento senza spezzarsi. Si tratta di un concetto affascinante. Il pericolo è che venga frainteso, sdoganando di fatto una logica da gattopardo che fa del cambiamento una semplice questione di apparenza. Un fenomeno che resta in superficie (e nemmeno troppo). Iñaki y Frenchy (Spagna) 181


Così, mentre per alcuni la scommessa è reinventarsi in modo più genuino e responsabile, sfruttando la rara occasione di avere un punto zero da cui ripartire, in linea generale l’ingresso in fase 2 sembra sancire un progressivo ritorno alla vecchia normalità. Alla solita vita, com’era prima del covid, solo con qualche disagio in più. In barba alla riduzione dei consumi e alla maggiore consapevolezza, destinati a rimanere buoni propositi da confinamento. La ripartenza potrebbe addirittura favorire un’amnesia di massa. Come spiegano gli analisti, dimenticare è una delle maggiori difese di cui l’umanità dispone. E riprendere le abitudini di sempre è il modo più comune per annullare una parentesi sconvolgente. O forse, certi automatismi ci hanno talmente ossidato che nemmeno l’impatto del virus riesce a scalfirli.

Pitch Comment (Svizzera) 182


CONSUMO Non si tratta di facile retorica. Se ci fosse bisogno di conferme, basta osservare il primo giorno di riapertura dei negozi. Date diverse nei vari paesi, città distanti, ma una sola costante. Lunghe code davanti ai centri commerciali, di fronte alle vetrine di note catene di abbigliamento, file ai fast food che fanno asporto. Inutile nascondersi. Ripartire significa consumare. Almeno per chi può. In un periodo delicato, dove lo spettro di una crisi economica planetaria spaventa più degli andamenti clinici, viene letto come un segnale positivo, sebbene per certi versi schizofrenico. Kmilo (Colombia)

Ecco allora titoli di borsa balzare alle stelle, grandi industrie attente ai trend cavalcare i nuovi stili di vita, mentre blog e riviste specializzate spiegano come fare affari in tempo di pandemia, senza soffermarsi troppo sulle implicazioni etiche. Ripartire con rinnovata euforia appare doveroso, per i governi come per i cittadini. Peccato che difficilmente il simbolo di questo rilancio sia il piccolo negozio di quartiere, disposto ancora a fare credito a chi attende la cassa integrazione.

Na! (Francia) 183


Il covid sembra piuttosto spingere i consumi in un’altra direzione. Su tutte il commercio online, dominato da pochi giganti che oltre al vertiginoso aumento dei profitti hanno un’altra cosa in comune: la sede nei paradisi fiscali e una tassazione ridicola. Ma al di là del comportamento del singolo, a rivestire un ruolo strategico per la ripresa economica è la capacità dei governi di reperire risorse, per sostenere subito i settori più colpiti. E di trovarne altre per il futuro. In questo senso un plauso notevole va all’Europa, che in piena burrasca riesce ad arginare le sue contraddizioni (o almeno a trovare un compromesso), evitare il naufragio e restituire un senso all’idea stessa di “Unione”. Oltre alla portata storica della decisione – con l’inedita mutualizzazione del debito – è significativa la mole dei fondi previsti. Specie per l’Italia, il paese che più d’ogni altro beneficerà del Recovery Fund. Simone Togneri (Italia)

E il paese su cui più di tutti sono puntati i riflettori, per capire come questi soldi verranno spesi. Non a torto. Se da un lato c’è sfiducia per l’incapacità cronica dei nostri dirigenti ad approfittare di simili opportunità, dall’altro c’è il timore che il denaro in arrivo possa scatenare gli appetiti delle mafie.

Franco Donarelli (Italia) 184


Appetiti già stimolati dai primi mesi di pandemia. Con i finanziamenti stanziati per l’emergenza e il fallimento delle aziende che diventa occasione per riciclare capitali. Del resto la mafia ha sempre lucrato sulle disgrazie e la crisi innescata dal covid non fa eccezione. Passaggi di proprietà opachi e acquisizioni sospette sono i primi sintomi. Appena le imprese cominciano a boccheggiare, il crimine organizzato è pronto a pompare denaro sporco invadendo ogni spazio lasciato vuoto nell’economia legale.

Enrico Natoli (Italia) 185


PROVE

Man (Francia)

Tra calendari rivoluzionati e spalti vuoti anche lo sport prova a ripartire. Anche qui la “coperta corta” del virus è stiracchiata da più lati, tra tutela della salute e calcoli economici. Tra chi considera la ripresa delle attività sportive un azzardo ingiustificato, oltre che ingiusto (spettacoli ed eventi culturali sono ancora bloccati), chi invece la acclama come un segnale importante di normalità e chi bonariamente ammette che un po’ di distrazione non guasta, in un periodo che si annuncia ancora complesso. Dibattito a parte la “macchina” procede, per la gioia di alcuni e gli interessi di altri (delle società in quanto aziende, degli sponsor, delle tv...). Ma il percorso non è esente da incognite e resta fonte di preoccupazione, nonostante i protocolli di sicurezza e le bolle create

per limitare i contatti degli atleti con l’esterno. Ogni nuova positività riscontrata dai test – quasi quotidiani – contribuisce a seminare dubbi e confusione.

Sondron (Belgio) 186


Se lo sport riprende, i bar non possono restare chiusi. L’assunto ha una sua logica. Le partite si giocano senza pubblico ormai, e passi, ma da qualche parte bisognerà pur discuterne. Ironia spicciola? Tutto il contrario. Per molti il bar è ancora il perno che scandisce i ritmi e le ritualità della giornata: una colazione furtiva, uno sguardo al quotidiano, pausa caffè, pranzo al volo, aperitivo o semplici chiacchiere con gli amici. Non è la quantità di tempo trascorsa all’interno, ma la frequenza dei passaggi a determinarlo.

Sanaga (Francia)

Del resto erano stati proprio i bar il primo termometro sociale dell’emergenza. All’inizio una fila di sgabelli ci aveva distanziato dal bancone, poi al posto degli sgabelli abbiamo trovato i tavolini quadrati, infine abbiamo trovato chiuso. La riapertura segna un’inversione di tendenza. Portando con sé le vecchie consuetudini e qualche nuovo inconveniente.

Nico Comix (Italia) 187


Marc Large (Francia)

Paolo Marengo (Italia) 188

Vero banco di prova della ripartenza è il rientro a scuola. Tutti concordano nel voler riprendere al più presto le lezioni in presenza. Allo stesso modo, tutti temono che questo porti a nuovi focolai. Preparare il rientro significa organizzare spazi e trasporti, garantire misure igieniche e distanziamento. Non tutte le scuole riescono ad adeguarsi. Mancano le aule, il personale non è abbastanza per poter dividere le classi e fare orari scaglionati. Chi riparte subito, come la Francia, sa che l’eventualità di fermarsi è dietro l’angolo. L’Italia aspetta la maturità per fare il collaudo, senza superare le incertezze. Così si ricomincia a intermittenza un po’ dappertutto, consapevoli che la didattica a distanza non potrà essere archiviata tanto presto.

Bertolotti e De Pirro (Italia)


ALLENTAMENTI In realtà, più che dalla riapertura delle scuole, il pericolo di nuovi contagi sembra arrivare dal clima di rilassatezza generale che in poche settimane di fase 2 soppianta gli indugi e le paure dei primi giorni post quarantena. La diminuzione dei casi e dei decessi porta ad abbassare la guardia. Fa scendere l’attenzione sociale nei confronti del virus, tanto che la deroga a comportamenti scrupolosi e rispettosi delle norme diventa subito prassi. Lasciando, paradossalmente, chi osserva le regole quasi nella posizione di doversi giustificare.

Giuseppe La Micela (Italia)

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Brindisi lungo i Navigli, locali pieni a Trastevere e brasserie affollate in entrambe le rive della Senna. Ressa per una birra e strade impercorribili a Soho, dove la polizia ammette in diretta tv che “è dura far mantenere le distanze a chi si trova in stato di ebbrezza”. Movida e aperitivi sono un esempio di questa leggerezza, che si sposa con la bella stagione alle porte. Forse l’esempio più ritratto, di sicuro quello più gettonato dalla stampa. La sensazione però è che il fenomeno, per quanto visibile e irresponsabile, sia solo la punta dell’iceberg.

Chenzo (Italia)

Il punto di allentamento che diventa rottura. Rottura fisiologica, dopo le ristrettezze di una primavera mancata e il lungo inverno pandemico trascorso in forzata letargia, e psicologica, figlia dell’amnesia a cui accennavamo prima. Durante il lockdown le immagini, tristi e impattanti, delle bare facevano ben capire che il virus era in circolazione. Ora invece, non essendo più così frequenti, si è portati a pensare che l’emergenza sia finita e a comportarsi di conseguenza. Scorciatoie della mente ci autorizzano a riprendere ciò di cui siamo stati privati. Uscire a bere con gli amici, andare al mare o in un luogo affollato diventano un diritto. Quasi un credito da riscuotere. Janete (Brasile) 190


Il fatto che la ripartenza coincida con l’estate, almeno nell’emisfero boreale, complica terribilmente le cose. E certe improbabili supposizioni sbandierate ai quattro venti “il virus sparirà con il caldo”, “sopra i 30 gradi perderà la sua efficacia”, non aiutano a mantenere la situazione sotto controllo. Gli strascichi della pandemia – a questo punto della prima ondata, secondo la nostra visione degli eventi – modificano destinazioni, avvicinano mete, ma sostanzialmente non impediscono viaggi e gite al mare.

Jem (Belgio)

In pochi rinunciano alle vacanze, sia pure per qualche giorno di svago. Si sceglie di partire nonostante il contraccolpo economico. C’è bisogno di separarsi dalle pareti della casa-rifugio. Di prendere aria. Forse è un allontanamento prematuro. Il virus non è scomparso, continua a espandersi in altri continenti e a pochi chilometri dai confini si vivono già le prime recrudescenze.

MisterBad (Italia) 191


La cronaca intanto riporta di code interminabili sulle autostrade, autobus pieni, spiagge affollate, capannelli sotto l’ombrellone, calca in acqua e sulle rive. Pochi centimetri l’uno dall’altro: “siamo all’aperto”. Va in scena il classico esodo di massa a ridosso dei fine settimana. Il solito rituale estivo. Quantomeno anomalo nell’estate del covid, tanto da far riconsiderare perfino le stucchevoli crociate contro le discoteche.

Roberto Netto (Brasile)

E pensare che all’inizio era tutto un fiorire di idee innovative, seppur fantasiose, fatte di pannelli di plexiglass e metrature, postazioni isolate e ingressi contingentati. Qualcuno era arrivato addirittura a progettare degli affascinanti igloo di vetro in riva al mare, pur di non rinunciare al sole in sicurezza. Sarebbe bastato molto meno per evitare la risalita dei contagi. La chiusura della stagione balneare sancisce di fatto la fine della fase 2. Tocca al virus questa volta preparare la sua ripartenza. Achraf Teyeb (Tunisia) 192



CONVIVENZA Non era semplice, lo sapevamo. Eravamo coscienti di muoverci in un territorio inesplorato. Ma se consideriamo la fase 2 come un grande esperimento sociale, dobbiamo ammettere di non aver superato la prova. La distrazione estiva porta al ritorno del covid e a una nuova impennata dei casi, definita “seconda ondata” in sintonia con il suo ascendente marittimo. Non che la prima, in realtà, fosse del tutto finita. Si comincia a parlare di mutazioni e varianti. Della presenza di un virus più resistente, secondo alcuni meno letale, per altri più contagioso. Quasi a cercare attenuanti per concedersi un’autoassoluzione.

Jem (Belgio)

Lido Contemori (Italia) 194


Ma la mutazione del Covid-19 non è in sé un segnale d’allarme, rientra nella sua naturale evoluzione. Inevitabile. Come la nostra scarsa possibilità di convivenza con il virus, almeno sulla base dei paramentri sperimentati. Del resto il virus non circola da solo, ha bisogno delle nostre gambe. Si nutre dei nostri comportamenti, anche (e soprattutto) di quelli meno eclatanti. Dalla vita in famiglia ai colleghi, dalla cerchia di conoscenti agli incontri fortuiti. Non si cura della casualità né si inibisce di fronte ai parenti. La seconda ondata riporta l’epicentro pandemico in Europa, mentre in America – da nord a sud – il covid avanza senza sosta. Manifestazioni e convention gli danno una mano negli USA, dove la conclusione della maratona elettorale porta l’asticella giornaliera dei decessi sopra quota tremila. Anche il gigante indiano si risveglia, con numeri tutto sommato contenuti ma dal potenziale inquietante, come preoccupante è l’accelerazione del contagio nel continente africano.

Giuseppe Palumbo (Italia)

L’ottimismo dell’estate svanisce e lascia il posto alla triste consapevolezza che il virus resterà tra noi ancora per un bel po’. L’impressione è quella di vivere in un viaggio a ritroso nel tempo, con lo spettro di nuovi lockdown che tornano a bussare alla porta.

Hamzeh Hajjaj (Giordania) 195


Ammettiamolo, “convivere con il virus” sembrava uno slogan promettente. Ma non ha retto il confronto con la realtà. Speravamo in un idillio, come una coppia prima del grande passo, e invece ci siamo ritrovati nella vita vera senza essere in grado di accettarne i compromessi. Senza riuscire a rispettare le regole di questa convivenza.

Bruno Aziz (Brasile)

Probabilmente le basi del rapporto erano sbilanciate fin dall’inizio. Il virus è rigoroso ed efficiente, noi molto meno. Agisce in modo scientifico, noi tendiamo all’improvvisazione. Non si stanca mai, mentre decidiamo di agire solo quando la gravità della situazione lo rende giustificabile, invece di anticiparne le mosse continuiamo a inseguirlo. Il sistema di test a tappeto e tracciamento salta appena i contagi risalgono. Così la sola strategia rimasta, invece delle famose tre “t”, sembra essere quella della tripla erre: restringi, riapri, ricomincia da capo. Un po’ come correre affannosamente sulla ruota, senza muoversi di un passo.

Giancarlo Covino (Italia) 196


ATTESA La ripresa della curva epidemiologica unita alla necessità di nuove chiusure riportano in primo piano il dilemma chiave della pandemia: tutelare la salute o gli interessi economici? E il suo corollario: quanto vale la vita? La coperta non basta, lo vediamo ogni giorno, e le continue oscillazioni rendono l’equilibrio – già in sé asimmetrico – fin troppo precario. Ma dopo un anno passato a porci queste domande forse è arrivato il momento di capire che contrapporre economia e vita è fuorviante: la prima, necessariamente, risulta fondamentale per la seconda. Il problema, piuttosto, è riuscire a riappropriarsi dell’economia, eticizzarne i fini, riportando produzione e consumi al servizio dei bisogni, non l’inverso. Alagon (Italia)

Sondron (Belgio) 197


Intanto uno dopo l’altro i paesi europei aumentano la stretta, tra lockdown soft, coprifuochi e serrate regionali a colori, nel tentativo di frenare la seconda ondata del virus e la minaccia sulle feste di fine anno. L’epica della prima ondata però, con i canti dai balconi e la paura per un nemico invisibile e sconosciuto, sembra evaporata in questo deja vu sbiadito d’autunno. I numeri sono molto più alti rispetto a quelli, pur drammatici, visti in precedenza. Ma non fanno clamore. Mille morti al giorno non evocano più le immagini dei camion militari pieni di bare a Bergamo, o delle fosse comuni brasiliane, e sembrano ormai un prezzo accettabile da pagare.

Gianlo (Italia)

La commozione ha lasciato il posto alla rassegnazione. Alla stanchezza, fisica e psicologica, che si presenta inesorabile di fronte a eventi avversi e prolungati. E all’immaturità. Di chi pensa che il problema, ignorandolo, alla fine se ne andrà da solo. Così la gente torna ad ammassarsi in strada per la riapertura a intermittenza dei negozi, ci sono code per i regali, attese per i saldi, mentre si cerca di salvare il Natale e scongiurare la chiusura delle piste da sci. Walter Leoni (Italia) 198


In un valzer di restrizioni e allentamenti per scontentare il meno possibile, l’unico piano credibile sembra quello di tirare a campare aspettando un vaccino. Ma quale? La corsa all’immunizzazione contro il coronavirus ha visto le grandi aziende farmaceutiche produrre e testare antidoti in tempi record. Sicuramente una delle maggiori imprese scientifiche degli ultimi decenni. Lo sprint finale si è giocato molto sull’efficacia, con un continuo rilancio di percentuali che per un attimo ha fatto assaporare i toni di un’altra corsa celebre finita sui libri di storia. Quella verso la conquista dello spazio durante la Guerra Fredda (il nome del vaccino russo è Sputnik, sarà un caso?).

Mongo (Cuba) 199


Del resto la pandemia sta assumendo una dimensione geopolitica sempre più pronunciata. E il vaccino è il pezzo pregiato dello scacchiere. Per ottenerlo si è parlato a lungo degli sforzi compiuti a livello internazionale, ma forse sarebbe più corretto chiamarla competizione. Il risultato di questi sforzi non è gratuito per i paesi che si stanno assicurando le prime forniture. Come non lo son o i diritti sui brevetti che possono garantirne la somministrazione universale. A rimanere indietro, ancora una volta, sarà chi è meno preparato a competere. Paradossalmente, chi ne ha più bisogno. Proiettando la catastrofe sanitaria verso una probabile catastrofe morale.

Alf (Francia) 200


ANTICORPI Il mondo è sospeso in attesa del vaccino, ma c’è chi sostiene che la portata del Covid-19 sia sovrastimata o addirittura che il virus non esista. C’è chi si rifuta di credere ai dati e alle immagini trasmesse ogni giorno, e chi nega l’utilità delle raccomandazioni per prevenirne il contagio. Come l’amnesia, il diniego psicologico è un meccanismo di difesa ancestrale. Una riproposizione di schemi infantili che la nostra civiltà ha vissuto per secoli quando non avevamo gli strumenti per capire.

Togui (Algeria) 201


Oggi quegli strumenti ci sarebbero, eppure... mai prima d’ora si è avuta tanta facilità di accesso all’informazione. Forse troppa e difficile da gestire, come ricordavamo all’inizio parlando di infodemia. In mezzo al mucchio c’è di tutto. E se si è fragili si finisce per credere a qualsiasi cosa, perfino che la pandemia sia solo una montatura di opachi burattinai o una trovata per stravolgere gli equilibri mondiali.

Lope (Spagna)

Sia chiaro, dubitare è in sé un atteggiamento prudente, interrogarsi un riflesso benefico, ma negare l’evidenza può risultare assurdo e non meno pericoloso. Se dietro certa irrazionalità si nascondono l’ansia e lo spaesamento di chi è facilmente influenzabile, negli attacchi che arrivano dai social e da raduni chiassosi è ormai evidente il bisogno feroce di additare colpevoli. Lo scetticismo generale fa da catalizzatore mentre No mask, No vax, negazionisti e complottisti si confondono e rischiano di fare breccia.

Simone Togneri (Italia) 202


La crisi economica incattivisce e il futuro spaventa. Per chi è solito cavalcare ogni tipo di malumore si aprono immense praterie sulle quali scorrazzare e costruire fortune politiche. Non è solo una questione di covid, e nemmeno di attacco alla scienza. Il negazionismo è una condotta umana che ha attraversato ambiti diversi in ogni epoca storica. Come pure lo sciacallaggio. Per immunizzarci da simili atteggiamenti non basterà un vaccino.

Rolando Cicatelli (Italia) 203


Negazionisti o meno – sciacalli di sicuro – il colpevole a portata di mano su cui sfogare paure e frustrazione non cambia nell’era della pandemia. L’altruismo delle prime ore lascia presto spazio al linguaggio dell’intolleranza, della separazione tra nazionali e non, perfino su un terreno difficilmente attaccabile da questo tipo di discorsi. Di fronte all’universalità del virus il diverso è un capro espiatorio ancora valido, nonostante il fardello sostenuto dai lavoratori stranieri durante l’emergenza.

Danilo Maramotti (Italia)

Le aggressioni alla comunità cinese non sono un caso. Nemmeno le invettive contro la popolazione di colore, inizialmente considerata immune al coronavirus. Al momento della risalita dei contagi, coincisa con un aumento delle traversate, gli immigrati si trasformano invece in untori. Come se esista una relazione tra gli sbarchi e la ripartenza del virus. La relazione, a voler essere rigorosi, c’è. Si chiama razzismo. Ma neanche per questo è disponibile un vaccino, né la storia ci ha fornito gli anticorpi dopo decenni di sperimentazione.

Paolo Marengo (Italia) 204


La pandemia toglie anche la crisi climatica dai titoli dei giornali. Preoccupa di più l’immediato. Senza capire che tenere alto il livello di guardia sul riscaldamento globale non significa parlare di futuro, ma di presente.

Simon Letch (Australia)

Migliaia di scienziati lavorano contro il tempo per arginare la minaccia del virus, con fondi stanziati ad hoc dai governi. I ricercatori che da anni indagano sul clima non godono degli stessi mezzi né delle stesse attenzioni. Eppure avremmo già pronto l’antidoto per questo tipo di emergenza: ridurre subito la nostra impronta sull’ambiente, il lockdown ce l’ha ribadito. Ma la somministrazione deve fare i conti con una reticenza ben più vasta e radicata di quella No mask, sebbene l’obiettivo non si discosti poi molto: il desiderio di normalità.

Ralph (Gran Bretagna) 205


SOPRAVVIVENZA Sono passati mesi dalle polmoniti anomale di Wuhan, dall’incredulità degli inizi, dai primi striscioni alle finestre. Un intero giro di calendario. Un tempo indefinito che pur avanzando lentamentamente è scivolato tra le dita, lasciandosi dietro sirene, cori, arcobaleni, silenzio. E poi rumore confuso. Oggi i laboratori sintetizzano antigeni mentre i negazionisti sfilano e chi rispetta le restrizioni lo fa sempre più malvolentieri. Intanto il covid continua a seminare la sua scia di contagi e di morti. Sono oltre due milioni le foglie già cadute. Granelli che continuano ad accumularsi senza sosta sul fondo della clessidra.

David Cohen (Stati Uniti) 206


No, non è andato tutto bene. Dobbiamo dirlo. Come dobbiamo ammettere che questo anno non sia solo un doloroso incidente di percorso. Né una disgrazia piovuta su un mondo felice. Basterà il vaccino per riuscire a cavarsela?

Gianluca Fogliazza (Italia) 207


Probabilmente sì, se il tunnel da cui stiamo cercando di uscire si chiama pandemia. Ci vorrà un po’ per raggiungere l’immunità, ma la più vasta campagna di vaccinazione della storia ci permetterà di brindare – un giorno non troppo lontano – per essere sopravvissuti. Almeno al Covid-19. Quanto a lungo invece potremmo sopravvivere a noi stessi? E ai tanti altri virus di cui ci facciamo portatori, o peggio, di cui siamo l’origine?

Alagon (Italia)

Le risposte che abbiamo, al momento, non sono rassicuranti. Certo è che liberarsi del covid per tornare alla normalità significa non aver imparato nulla dalla crisi che stiamo attraversando. Perché proprio la normalità è il tunnel più grande – e forse meno appariscente – da cui bisogna saltar fuori, per evitare nuovi impatti e nuove pandemie.

Mark Lynch (Australia) 208


L’anno appena trascorso non ci ha reso migliori, ma non è una buona ragione per buttarsi tutto alle spalle. Al contrario dobbiamo farne tesoro, sforzandoci di ricordare ogni dettaglio. Dalla primavera mai sbocciata alle agende rimaste vuote, dalle strade deserte ai puntini di sospensione diventati quotidianità.

Mariona Omedes (Spagna)

Non è un anno da cancellare, ma da raccontare. Con i suoi eroismi e i suoi egoismi, con tavole apparecchiate per uno e inedite comunità spuntate sui balconi. Con i sorrisi immaginati, abbracci virtuali e con il suo pesante carico di ceneri. Nonostante le disillusioni e gli errori commessi, o forse proprio per questo, è un anno da mantenere vivo. A modo nostro, avvicinando parole e nuvole(tte), noi ci abbiamo provato.

Gianlo (Italia) 209


Ali Rastroo (Iran) 210


RINGRAZIAMENTI My Covid in Comics è un racconto corale e soprattutto un’opera collettiva. Un edificio articolato fatto di vetrate e terrazze, da cui noi curatori ci stiamo affacciando. Ma fatto anche di mattoni, muri portanti e fondamenta. Scavate da persone e bellissime realtà che corrono il rischio di restare nell’ombra. Non possiamo permetterlo. E vogliamo approfittare di questo spazio per farle emergere. Per esprimere loro la nostra riconoscenza e sottolineare il loro apporto fondamentale. Il primo grazie, enorme, va a tutti gli artisti che hanno aderito al progetto. Al loro talento e alla loro straordinaria disponibilità. Sono loro l’anima e la forza di questo libro. Il secondo va alle organizzazioni Cefa Onlus e Ya Basta Caminantes, che – semplicemente – hanno reso possibile tutto questo. Un ringraziamento particolare va ad Andrea, Giovanni, Michela e Vilma. E all’entusiasmo con cui hanno accompagnato l’iniziativa dal primo all’ultimo giorno. Se My Covid in Comics non è rimasto solo un’idea figlia del lockdown è in gran parte colpa loro. Una menzione speciale va invece ai colleghi sparsi in tutto il mondo che hanno coordinato i corsi di fumetto on-line per i ragazzi da Ecuador (Andrea) e Guatemala (Chiara), Marocco (Erika) e Tunisia (Fabiana, Eleonora), Libia (Silvia), Kenya (Gabriele) e Etiopia (Lorenzo), Tanzania (Cinzia), Mozambico (Andrea) e Iraq, con Shirwan Can del Karge Comics Studio. Come pure ai colleghi che ci hanno seguito e spalleggiato dalla sede Cefa di Bologna (Jacopo, Alice, Andrea, Annalisa,

Federica, Giulia, Elisa) e dagli uffici di Tunisi e Tabarka (Lorenzo, Francesca, Khouloud, Mina, Dorsaf, Mouna, Alaya, Zied, Attiat, Chiara, Maddalena, Maria Agnese, Francesca, Thomas, Marco, Narjess, Dorra, Chokri, Anna, Fethia, Angelo, Nassib, Sirine e Damiano). Ringraziamo inoltre le associazioni e i numerosi collettivi di disegnatori e fumettisti che hanno sostenuto il progetto, rilanciandolo nelle loro reti e diffondendolo attraverso i canali (Sputnink, Kotiomkin, Vignettisti per la Costituzione, France Cartoons, The Cartoon Movement, Cartoon Home Network International, Union of World Cartoonists). Il nostro grazie, poi, va ai giornali e alle riviste, cartacee e on-line, che hanno promosso My Covid in Comics dalle loro pagine e sui loro siti internet, prima ancora che assumesse le sembianze di libro (Corriere della Sera, Rsi, Globalist, Oblò, Stormi, Africa e Mediterraneo, Startupitalia, Q Code Magazine). A dargli veste letteraria ci hanno pensato invece gli amici di Caracò (in particolare Alessandro, Serena e Carmine, che ringraziamo), sposando l’iniziativa e arricchendola con nuove idee e prospettive. Dulcis in fundo, grazie a Chiara, Alessandra e Sara. Ai loro preziosi consigli, alla loro pazienza e all’incoraggiamento costante nel corso di tutta questa folle avventura. Se oggi My Covid in Comics esiste e può essere sfogliato è anche merito loro.

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Gli artisti

Adenov è un vignettista tunisino. Si serve del suo alter ego rasta per analizzare, con matita e lucidità, il mondo che lo circonda. Alagon (Virginia Cabras) è un’ archeologa e illustratrice. Collabora con il giornale “Blackpost” e “Politicose” e con diverse pagine satiriche online. Dal 2018 è cofondatrice del collettivo Sputnink. Alan Platt fumettista outsider e per passione. Lavora in ambito ingegneristico e insegna tecnica industriale. Le sue tavole sono ispirate alle scene dei cartoni animati. Alessandro Buffa è un illustratore e fumettista freelance. Come disegnatore ha pubblicato Touch and Splat (Edizioni Il Foglio, 2013) e insieme a Emiliano Barletta Charlie Chaplin: il funambolo (Edizioni NPE, 2019). Come colorista collabora con Mondadori Comics, Glenant e Titan Comics. Alessia Properzi è una giovane disegnatrice italiana autodidatta. Ha studiato disegno, tecnica del fumetto e grafica a Roma. Alf (Alain Faillat) è un vignettista francese. Collabora con diversi giornali di taglio socio economico, tra cui “Autrement”. Vincitore di di vari premi e riconoscimenti nazionali tra cui il “Grand prix du dessin de presse”. Ha pubblicato nel 2020 la raccolta Le Temps est à l’Oracle. Achraf Teyeb è un giovane grafico e illustratore freelance di Kebili (Tunisia). Si è laureato nel 2012 all’Istituto Superiore di Belle Arti di Tunisi.

Ali Rastroo studia pittura, illustrazione e caricatura all’Università di Yazd. Ha partecipato al premio “We defeat Coronavirus”– International cartoon contest (2020) e ha ricevuto una “Honorable Mentions From the 27th Calcomix Festival” Colombia (2020). Andrea Franceschi è un architetto italiano che disegna per caso e scarabocchia al telefono, vive a Bologna ma adora, quando può, esplorare il mondo e i suoi sapori. Ansoleil (Anne-Sophie Majorel) (Molto) bionda, (super) mamma, ama la cucina ma odia svuotare la lavastoviglie. Arturo “Art” Molero scarabocchia dal lontano 1972. Oggi collabora regolarmente con “Diario Jaén” e con riviste di settore come “El Churro Ilustrado”. Ha partecipato a oltre cento mostre collettive in Spagna e all’estero. Beatrice Canova si diploma in fumetto alla Scuola Internazionale di Comics di Padova, successivamente lavora nell’ambito del fumetto come colorista per “Desert Route”, “emooks” “Vengo anche io” e “webcomic”. Becs è nato a San Luis. Fa caricature, illustrazioni e scrive editoriali. Membro di Cartooning for peace, lavora per diversi giornali argentini e per le riviste di settore “El Batracio Amarillo” (Spagna) e “Supapo” (Brasile). Borkoo è fumettista fin dal liceo. Direttore di un’agenzia di animazione 3D a Digione, dopo l’attentato a “Charlie 213


Hebdo” (2015) riprende in mano carta e matita (e tablet) per condividere la sua voglia feroce di non tacere mai. Bruno Aziz è un fumettista, designer e dj brasiliano. Ha lavorato come freelance per varie istituzioni e aziende di Bahia, oggi è illustratore per il giornale “A Tarde”. Bruno Dutra è nato in Argentina e vive in Brasile. Insegna arte all’istituto Carmem Mendes de Carvalho e disegna per vari giornali. CaDiCa (Carlo Di Camillo) è un pittore italiano autodidatta e illustratore. Collabora con Vignettisti per la costituzione. Carol Cortez Osorio è una giovane artista ecuadoriana. Partecipa a diversi progetti culturali, in patria e all’estero, e fa parte del collettivo Transhumanxs. Chedly Belkhamsa è un pittore, illustratore e scenografo tunisino. Da trent’anni disegna per il quotidiano “La Presse de Tunisie”. Chenzo (Lorenzo Bolzani) è un illustratore e vignettista italiano. Ha partecipato a numerosi concorsi e rassegne umoristiche, tra cui la Biennale Internazionale di Caricatura “L’Arte dell’Umorismo nel mondo” di Vercelli. Dal 2016 è vignettista del giornale periodico “Corriere di Novara”. Christian Durando è infermiere presso l’ospedale Molinette di Torino e vignettista free lance.Da sempre appassionato d’arte e illustrazioni, pubblica i suoi lavori su vari siti e riviste web, tra cui “Vignettisti per la costituzione” e “Toons Mag”. Christopher Nyiti vive in Tanzania, è un fumettista e disegnatore. Ha partecipato a diversi festival internazionali di fumetti come “Facing the Climate 2017”; “Children Will Save the World” (Turchia 2018); “Colorful human world” (Norvegia 2018). Claudio Kappel è tra i maestri dell’umorismo argentino. Lavora come illustratore per alcune case editrici (Aique, Sudamericana) e dirige la nota scuola 214

di disegno che porta il suo nome. Dal 1999 pubblica ogni giorno una vignetta sul quotidiano “La Prensa” e collabora con diversi giornali ispanofoni. Danilo Maramotti è un fumettista italiano, ha collaborato con “Comix”, “Boxer”, “ViviMilano” (Il Corriere della Sera), “TuttoLibri” (La Stampa), “Il Messaggero” e “Smemoranda”, e pubblicato libri con Rizzoli, Milano Libri, Lupetti&Fabiani, La Vita Felice. Dario Campagna nasce a Palermo negli anni ottanta. Giornalista pubblicista, ha collaborato con illustrazioni, storie e reportage a fumetti per “Il Male” di Vauro e Vincino, “Greenpeace, WWF”e altre testate. Dal 2020 è vignettista del quotidiano “Domani”. Darko Drljevic è un fumettista freelance, pittore e illustratore. È Presidente dell’associazione vignettisti del Montenegro. Lavora per vari giornali, riviste e canali TV, ed editore della rivista umoristica “TUS”. David Cohen è un fumettista editoriale del giornale “Asheville Citizen-Times” (North Carolina, USA) da quasi 15 anni, ma è anche un batterista e percussionista. Ha pubblicato su testate di tutto il paese, libri di testo universitari e anche CD per artisti jazz di fama internazionale. Davide Camboni è naturalista, antropologo e professore di scienze. Vive a Torino, dove coltiva la passione per la musica e il disegno. Djony ha più di quarant’anni e lo spirito di un quattordicenne. Specialista del ritratto e della caricatura, ha pubblicato diverse opere, tra cui un albo per le edizioni Patapan. Disegna per vari giornali e si esibisce spesso dal vivo a Rouen. Doru Axinte è un fumettista satirico freelance. Ha iniziato la sua carriera artistica nel 1990 esordendo con delle vignette pubblicate sulla stampa militare e poi pubblicando sui giornali rumeni e riviste umoristiche. Ha partecipato con i suoi lavori a concorsi internazionali e le sue vignette sono state premiate con numerosi premi.


Elmer (Esteban Ariel Balzano) è un vignettista di Buenos Aires e disegna per le riviste “Amaníaco” e “Barcelona”. Ha lavorato come illustratore freelance per la pubblicità e come caricaturista (eventi live) prima di passare alle vignette per i giornali. Emiliano Barletta è un archeologo, informatico e fumettista italiano. Come sceneggiatore ha pubblicato, con il disegnatore Alessandro Buffa, Charlie Chaplin: il funambolo (Edizioni NPE, 2019) e ha collaborato con Internazionale, Scuola di Fumetto, Oblò e i portali di graphic journalism ”STORMI” e “Graphic-News”. Enneesse è un vignettista autodidatta italiano, le sue vignette sono state pubblicate nella rivista satirica “Sputnink”. Enrico Girotto inizia a lavorare come montatore video, dopo la Laurea in Lettere, prima a Roma e poi a Venezia. Fosse per lui, disegnerebbe solo fumetti, ma non può perché ha una famiglia da mantenere. E poi, conoscendolo, non è detto che continui con questa storia dei fumetti. Insomma è in un cul de sac. Enrico Natoli si è fatto conoscere negli anni ‘90 come fotoreporter. Dal 2000 realizza progetti grafici per case editrici, siti web, illustrazioni e vignette. Dal 2016 collabora con il sito di informazione e la rivista cartacea del progetto “Q Code magazine”. Evandro Alves è un fumettista e illustratore brasiliano, ha pubblicato fumetti e vignette sulle riviste “ZUM, ZUM, ZUM” e sul quotidiano “Folha de São Paulo”. Fabio Palma vignettista e illustratore, disegna satira politica per testate italiane e spagnole (“Il Tempo”, “Cuore”, “Ultime Notizie”, “Punto IT”, “Il Corsaro”) è stato direttore generale dello IEDBrasile. FadiToOn (Fadi Abou Hassan) è un fumettista freelance di origine palestinese. Ha vissuto come rifugiato fino al 2011 in Siria, le sue vignette si concentrano sui diritti umani, i diritti delle donne e la violenza politica. I suoi lavori sono stati pubblicati su “Le Monde”, “Al- Quds, Al-Arabi”, “Amnesty International web”.

Federica Giglio (in arte in In buona fede), è una vignettista autodidatta freelance. Collabora con varie testate, ed è membro dei collettivi di vignettisti “Sputnink” e “Vignettisti per la costituzione”. Fernando Manes Marzano è vignettista per quotidiano argentino “Ámbito Financiero”. Fernando Rocchia è un vignettista argentino che cerca, dichiaratamente, di portare un sorriso in mezzo ad un contesto di crisi e povertà. Lavora per l’agenzia Nova, in cui ha ottenuto la sua consacrazione, e collabora con altri media (tra cui “Humor”). Filippo “Peppo” Paparelli è un artista umbro. Ha all’attivo un fumetto, Mafia vs. Alieni (PlaySeven ed.), e un libro illustrato di Pinocchio edito dalla Bimbogiallo edizioni. Filóchofo (José Manuel Chacón) è architetto, scrittore e illustratore, ma soprattutto un educatore. Con le sue vignette e i suoi libri (tra cui La otra historia e Profeta Incómodo) è riuscito ad aggirare la censura impostagli dai media, continuando a stimolare la riflessione critica sulla storia sociale e politica del Guatemala. Firas Schiavon si diploma in sceneggiatura presso la Scuola Internazionale di Comics di Padova, successivamente viene pubblicato su La Iena di Edizioni Inkiostro e con alcuni ragazzi forma il collettivo “Pangolino Press” con cui pubblica la serie indipendente Lone Warriors. Fleur de Mamoot (Emmanuelle Martinez) è una vignettista di Montpellier, che ha vissuto il confinamento come tutti gli altri, a lungo. Fogliazza (Gianluca) è fumettista, illustratore, docente, autore satirico, autore e interprete teatrale. Collabora con “il Fatto Quotidiano” e “Focus Scuola.” Francesco Frongia è un fumettista italiano ha pubblicato per il mensile “Scuola di Fumetto”, per gli editori Le Monnier, Eris Edizioni, Kleiner Flug e per il mercato discografico e pubblicitario. Ha insegnato presso la Scuola Internazionale di Comics di Firenze. 215


Franco Donarelli è un fumettista italiano, ha iniziato a pubblicare in varie redazioni storiche tra cui “L’Ora” e “I Siciliani” di Giuseppe Fava, attualmente pubblica per “Repubblica” (Palermo). Giancarlo Covino è un architetto, illustratore e vignettista, lavora principalmente nel settore del marketing e della pubblicità. Si definisce un disegnatore e crede che la caricatura, la satira e l’umorismo grafico siano una sorta di termometro della democrazia, che permettano di misurare il grado di libertà di paesi o società. Gianlo (Gian Lorenzo Ingrami), vignettista e architetto pubblica su “Il Manifesto”, “Frigidaire”, “Il Nuovo Male”. Ha ricevuto riconoscimenti in diversi concorsi tra cui il premio “Una vignetta per l’Europa” e “Miglior vignetta dell’anno” attribuito da “Internazionale”. Partecipa come ospite a talk e rassegna stampa TV di RaiNews24.

Giuseppe Palumbo ha pubblicato fumetti sulle riviste “Frigidaire” e “Cyborg”, sulle cui pagine crea il suo personaggio più noto, Ramarro, il primo supereroe masochista. Nel 1992 entra nello staff di Martin Mystère della Sergio Bonelli Editore e nel 2000 in quello di Diabolik della Astorina; per queste due serie popolari disegna numerose storie speciali, tra cui il remake de Il re del terrore, numero uno della collana Diabolik. Hamzeh Hajjaj è un artista giordano. Vignettista per il giornale “Alghad”, fa parte della rete internazionale Cartoon Movement.

Gian Lorenzo Di Mauro è un pittore, illustratore e restauratore. I suoi lavori sono stati pubblicati su “Scuola di Fumetto”, Edizioni Il Galeone, Oblò e il portale di graphic journalism “STORMI”.

Haron M. H. Younis è un concept artist e illustratore curdo-iracheno. È appassionato di storytelling visuale e lavora da tre anni per l’industria dei videogiochi.

Giatra (Giacomo Taddeo Traini) cura, insieme a Mattia Ferri, “STORMI”, rivista digitale di informazione a fumetti. Nel luglio 2018 esce il suo primo libro, Unidos Venceremos, storie dal commercio Equo e Solidale per BeccoGiallo Editore.

Helio Januario Pena aka, Link, è un grafico, disegnatore di personaggi, illustratore e creatore di fumetti del Mozambico. Link ha lavorato come illustratore e disegnatore in “Os Informais”, il primo fumetto di supereroi del suo paese.

Gilmar è un fumettista e pubblica i suoi disegni su giornali, riviste e libri. È autore di 10 volumi a fumetti e numerose vignette politiche. Ha ricevuto il “HQ MIX award” come miglior fumettista brasiliano e il “Vladimir Herzog Journalism Award”.

Hikmet Çil è un illustratore turco, insegnante di arti visive.

Giorgio Franzaroli è grafico, copywriter, fumettista e vignettista satirico, ha collaborato con “Frigidaire”, “Comix”, “Linus”, “Cuore”, “l’Unità”. Nel 2008 ha vinto il Premio Internazionale della Satira di Forte Dei Marmi. Attualmente le sue vignette vengono pubblicate con regolarità su “Il Fatto Quotidiano”.

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Giuseppe La Micela è un vignettista. Si occupa da qualche anno alla realizzazione di vignette che toccano diversi temi: dall’attualità alla situazione politica fino alla religione. Attualmente collabora con il collettivo di vignettisti “Sputnink” e ha vinto il premio speciale del pubblico al concorso “Una vignetta per l’Europa” nel 2016.

Il Merlo (Carmelo Garofalo) è un vignettista e ha pubblicato per “Midnight Magazine”, “Sputnink” e “Left”. Iñaki y Frenchy appartengono alla generazione del ‘76, hanno fiducia nella forza del disegno come alternativa al “non c’è niente da fare” e credono nell’ironia che risveglia dall’apatia. Pubblicano una vignetta al giorno e partecipano alle campagne sociali.


Ixène debutta come illustratore per aziende e agenzie di com prima di passare alla stampa (“Le Figaro”, “Le Point” e altre riviste). Janete è lo pseudonimo di una giovane “artivista” brasiliana che, per proteggersi, preferisce celare la sua identità. Per lei disegnare significa lottare per un paese migliore. Jem (Jérémie Monhonval) vive nelle foreste del Belgio meridionale e divide il suo tempo tra grafica e disegno. Joshua Held è un cartoonist e animatore. Predilige disegnare personaggi vistosamente nasuti. È autore di vignette di satira di costume, spot pubblicitari, video musicali, viral web, libri per bambini e scenografie teatrali animate. Jota A Costa è un artista grafico e plastico. Vignettista presso “Jornal O Dia”, dove anima la rubrica Garatujas e ideatore del Salão Medplan de Humor, è tra i fumettisti brasiliani più premiati. Tiene conferenze e insegna tecnica del disegno umoristico. Ha pubblicato diverse opere, tra cui Traço e Riso (2012). Juancarlos Contreras disegna dal 1996 per il “Diario Jaén”. Collabora con alcune riviste spagnole e con “Reporter Senza Frontiere”. Ha pubblicato diversi libri tra cui Juancarlerías, Ridiculum Vitae e recentemente El Callejón de la Mona. Klaus Pitter vive in Austria ed è un vignettista e illustratore freelance. Le sue vignette sono state pubblicate in molte riviste tedesche e austriache, ha preso parte per molti anni come fumettista al Comic Werkstatt di Vienna. Kmilo (Andrés Camilo Patiño) è un talentuoso designer e fumettista colombiano che adora il suo lavoro e insegue i suoi sogni. Lope (José Lopez) fa parte dell’associazione spagnola Frente Viñetista e della rete internazionale Cartoon Movement. Laura Aschieri è una disegnatrice, fumettista e musicista. I suoi disegni si ispirano a Dylan Dog, Topolino e W.i.t.c.h.

Laura Scarpa è autrice di fumetti, illustratrice, docente di fumetto, editor, blogger e autrice di vari saggi e manuali di fumetto, oltre che di graphic novel. Ha fondato la prima scuole europea di fumetto online, ed è presidente dell’Associazione Culturale ComicOut, che comprende la Scuola di Fumetto Online e l’omonima casa editrice. Lido Contemori è un fumettista italiano e ha all’attivo moltissime collaborazioni con giornali e riviste tra cui: “Il Tirreno”, “Il Mattino di Padova”, “Il Piccolo”, sulla rivista letteraria “Il Caffè Illustrato” e sul mensile ”Andersen”, che si occupa di letteratura per ragazzi. Ha illustrato diversi libri per Feltrinelli, Hoepli, Laterza e Donzelli. Luca Garonzi è un disegnatore italiano ha collaborato con Milo Manara e Gianni Burato, pubblicato in riviste per ragazzi e giornali satirici. Ha al suo attivo pubblicazioni di letteratura per l’infanzia. Ha vinto Premio Pino Zac 2004 alla Mostra di Satira Politica di Forte dei Marmi. Luca Bertolotti e Michele De Pirro lavorano insieme come vignettisti satirici dal 1986. Michele fa i testi e Luca i disegni. Hanno esposto nei maggiori festival internazionali di satira e pubblicano regolarmente su l’agenda Smemoranda, “Linus”, “Il Mucchio”, “Il Male” e altri giornali. Luna Muhammed Karim ha partecipato al primo workshop di fumetto organizzato dal Karge Comics Studio con Claudio Calia a Sulaimaniyah, nel Kurdistan Iracheno, nel 2016. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo graphic novel, in lingua curda: Fatee. L’Andalou è un fumettista algerino. Collabora con il giornale “El Watan”, ha pubblicato 3 volumi per le edizioni Dalimen (di recente, L’opium et le béton). Menzione speciale al Festival del Fumetto di Algeri, fa parte del team di Cartooning for peace. Man (Manuel Lapert), inizia come ritrattista di strada per poi passare alla caricatura professionista. Ha lavorato in un’altra vita per “La Croix du Nord” (Lilla), 217


“The European”, “Punch” (Londra). Disegna per “Midi Libre” dal 1992. Marc Large è un artista francese. Vignettista a “CharlieHebdo”, “Vigousse”, “Le Canard Enchaîné” (e molti altri), ha illustrato diverse opere tra cui The inspector Cluzo, Rockfarmers. Scrittore di romanzi storici e taccuini di viaggio, è anche regista, sceneggiatore e conduttore televisivo. Ha ricevuto nel 2019 il premio “Crayon de porcelaine”. Marco Bargagna, in arte Mister Bad, disegna per testate regionali e nazionali, realizza manifesti e copertine per musicisti, illustra libri di autori indipendenti e collabora con compagnie teatrali. Premiato dalla fondazione Raymond Leblanc di Bruxelles, vive in Umbria dove tiene anche corsi di fumetto. Marco De Angelis è vignettista, illustratore, giornalista professionista, grafico, dal 1975 ha pubblicato su circa 200 giornali in Italia e all’estero. “The New York Times Syndicate” e “CartoonArts International” hanno distribuito i suoi disegni in tutto il mondo. Ha illustrato anche numerosi libri per ragazzi per i principali editori italiani e ha vinto 130 premi internazionali. Fa parte di Cartoon Movement, Cartooning for Peace e Librexpression. Marco Della Verde scrive e lettera fumetti. I suoi lavori sono stati pubblicati da “DC Comics”, “IDW”, “Image Comics”, “Heavy Metal Magazine” e molti altri. Marco Fusi è un vignettista italiano. Ha pubblicato in molti periodici e settimanali nazionali e numerosi libri umoristici e satirici: Politicamente Fusi, Il vangelo secondo Silvio. Dal 2017 curatore del concorso “Chianina Comix” di Marciano della Chiana, e vice responsabile di “Scoomix” di San Giuliano Milanese.

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carattere culturale fin dai primi anni ‘90. Oggi dirige Nueveojos, uno studio di creatività nato nel maggio 2008 a Barcellona. Pubblica su “El País”, “La Vanguardia” e in altre riviste spagnole. Marito (Mario Francisco Almaraz) è uno scultore, fotografo e vignettista argentino. Lavora, tra le altre cose, come illustratore per “El Tribuno de Salta”. Tra i suoi libri Humor Político e Encuentro de dos Mundos. Mark David è un fumettista australiano. Ha pubblicato sul giornale “The Sydney Morning Herald”, ma anche sul “The Australian Financial Review”, “The Australian” “The Bulletin” e molte altre testate, tradotto in molte lingue. Mark Lynch è un fumettista australiano. Ha pubblicato sul quotidiano nazionale “The Australian” “The Saturday Evening Post”, “Readers Digest”, e vinto numerosi premi nazionali e internazionali sul fumetto. Migue (Miguel Morales Madrigal) è un artista cubano. Nella sua carriera decennale ha lavorato per giornali e siti nazionali e stranieri. Fa parte della rete internazionale Cartoon Movement. Monero Santos, nome d’arte di Francisco Javier Mariscal, è un disegnatore messicano fondatore della rivista satirica “El Ojeis”. Mongo (Ramon Diaz Yanes) è un artista cubano. Architetto di formazione, collabora con giornali e riviste nazionali (“Dedeté”, “Bohemia”, “La Picua”, “Cubadebate”) e fa parte della rete internazionale Cartoon Movement.

Mariano Luna disegna per “La Calle de Buenos Aires”. Fumettista di professione è anche creatore di serie animate e videogiochi.

Murat Yilmaz è un fumettista turco. Pubblica su una rivista di informazione culturale “Semerkand”, è il fondatore di Karikaturevi, che in turco significa “La casa dei cartoni”, un sito web interattivo che raccoglie i disegni di fumettisti di tutto il mondo. Ė il vice presidente della Union of World Cartoonists.

Mariona Omedes è artista multimediale, pittrice, grafica e illustratrice. Partecipa a progetti audiovisivi di

Naji Benaji è un fumettista marocchino. Ė presidente del Moroccan Association of Caricature (MAC) e


rappresentante dell’ Union of World Cartoonist (UWC) sempre in Marocco. Na! fin da piccolo adora disegnare e scherzare. Scarabocchia per la stampa francese, per la tv (Canal+, France 2), per il web (Rue89) e a 50 anni ancora si diverte a conciliare matite e risate. Nico Comix (Nicoletta Santagostino) vive a Genova e lavora soprattutto sul web, collaborando con i principali social di satira politica. Spazia tra vignette impegnate, video, fumetti e illustrazioni per case editrici. Nime (Abdelhamid Amine) è un giovane fumettista algerino autore della pagina web “Dans Ma Bulle”. Arrestato nel 2019 durante le contestazioni, per una vignetta politica, vive sotto la costante minaccia di ritorsioni da parte del governo. Di recente è stato premiato al festival di Angoulême per il suo impegno a favore della libertà di espressione. NoTTo (Nicolas Ache) prima disegna ai margini dei suoi quaderni poi ai margini di quelli dei suoi allievi. Tra i suoi libri L’almanach Vermot e Les sans-culottes 85. Oğuz Gürel è un vignettista turco. Creatore del sito karikaturokulu.com, trampolino di lancio per molti giovani illustratori, collabora con diversi media nazionali e con il sito Cagle.

tempi del populismo, del sovranismo e del… coronavirus. Pierpaolo Putignano è un illustratore, fumettista e animatore, responsabile di progettazione delle mostre espositive del Lucca Comics. Ha insegnato presso la Scuola Internazionale dei Comics di Firenze e ha collaborato in qualità di grafico editoriale-letterista con RW/DC, Panini/Marvel e 001 Edizioni. Per Kleiner Flug ha realizzato L’ultimo viaggio dell’Endurance e Pian d’Albero. Pierre Ballouhey formatosi alle scuole d’arte di Grenoble e Parigi, ha fatto del disegno la sua professione. Le sue vignette compaiono nei giornali di tutto il mondo (“The Guardian”, “The New Yorker”, “Le Monde”, “Jeune Afrique”, “Buduàr”). Ė presidente dell’associazione di vignettisti francofoni France-Cartoons e membro delle reti Cartooning for Peace e Cagle Political Cartoons. Pitch Comment vive e lavora a Porrentruy, nel Jura svizzero. Ė vignettista per la stampa nazionale e autore di libri a fumetti tra cui Les Indociles (5 volumi) e Souvenirs de Damas. RampicantiStorti (Cristian Improta) è illustratore daltonico di vignette satiriche e non solo. Prende spunto da quello che gli succede nella vita e lo trasforma in disegni.

Ons Toumi è una giovanissima illustratrice tunisina che ha fatto conoscere il suo talento grazie al progetto Ecole de caricature.

Ralph Underhill è un attivista, ambientalista e fumettista britannico che ha bisogno di disegnare per non perdersi di fronte al caos del mondo in cui vive. Ha collaborato a diverse campagne di Greenpeace, Traidcraft e Wildlife Trusts.

Paolo Lombardi è un fumettista e disegnatore italiano, collabora con la piattaforma olandese Cartoon Movement, le sue vignette sono state pubblicate su varie riviste in Italia e all’estero, (“Courrier International” “Stern”). Ha esposto i suoi lavori tra l’Italia e il Brasile.

Rawaah Arkan ha 23 anni ed è nata a Baghdad. Si è laureata all’Accademia di Belle Arti di Sulaymaniyah, dove risiede attualmente.

Paolo Marengo è un vignettista italiano ed educatore professionale in una cooperativa sociale. Ha pubblicato per “Tuttosport” e “Il manifesto”. Nel 2019 ha pubblicato il suo primo romanzo Un giorno ne parleremo. La sua ultima raccolta di vignette è Divieto di sosta. La satira ai

Rén De vive a Roma, è architetto, designer e docente di disegno e computer grafica. Da sempre attiva nella lotta per i diritti di tutte le persone, trova nel fumetto il suo canale di espressione ideale per affrontare i temi dell’omosessualità, del coming-out, della discriminazione e dell’orgoglio. Inizia a disegnarsi nel 219


2010. Nel 2013 ha aperto il blog “striscediren” in cui raccoglie aneddoti e cliché del mondo lesbico. Richard Nagy è un operatore sanitario che fa della sua professione una fonte di ispirazione. Artista impegnato sui temi della salute e del sociale, il suo tratto leggero e curato trasmette tenerezza pur avendo la forza di smuovere le coscienze. Roberto Mangosi è un illustratore e vignettista italiano. Al suo attivo ha numerose collaborazioni con pubblicazioni nazionali ed internazionali, tra le quali “Il Male”, “Linus, “La Settimana Enigmistica”. Ha ricevuto importanti premi e riconoscimenti come il Salone Internazionale dell’Umorismo di Bordighera e l’International Cartoon Contest di Haifa (Israele). Roberto Netto è un fumettista e vive in Brasile. Ha pubblicato su riviste nazioni e internazionali, e vinto numerosi premi. Rolando Cicatelli è un fumettista salernitano che ha al suo attivo diversi albi antologici. Ha dato vita al personaggio Rich Vacant sulle pagine di “Frigidaire” e “Schizzo”. Ha pubblicato i volumi Rich Vacant Transgender, Rich Vacant Frankie goes to Hollywood e Sibilla. Salvo Antoci è un artista siracusano dal talento poliedrico che declina la sua arte tra pittura, grafica, fotografia e scultura. Sanaga è nato nel secolo scorso tra le foreste selvagge della Marna. Disegnatore precoce, a 20 anni lancia la fanzine musicale “Bruiiit!”. Dopo un lungo digiuno, gli attacchi contro “Charlie Hebdo” e la crisi dei 35 lo spingono a riprendere la matita in mano. Sergio Más è un fumettista, cura la comunicazione per la Caritas Argentina. Dal 1987 collabora con numerose riviste e giornali in Argentina, Brasile e Spagna. L’ultimo libro, pubblicato nel 2014, si intitola El Rocha. Simon Letch è un illustratore editorialista australiano. Lavora per il “The Sydney Morning Herald” dal 1989. 220

Simone Togneri è un fumettista italiano. Le sue strisce Minimum Leader, satira ispirata al dittatore nord coreano Kim Jon Un, sono pubblicate sulla rivista “Buduàr”. È docente di disegno nel progetto Cartoon School. Sondron (Jacques) è un artista belga che oscilla tra fumetti e pubblicità prima di consacrarsi nel mondo delle vignette editoriali. Vincitore di svariati premi nazionali, i suoi disegni appaiono perfino sul “Courrier International”. Oltre a vari libri illustrati, le Edizioni Renaissance du Livre hanno pubblicato dieci raccolte annuali delle sue opere. Stefano Tartarotti pigro e diversamente tricotico disegnatore, a vent’anni ha cominciato a lavorare per l’editoria come illustratore. Disegna strip per “Singloids” e le storie di Caro diario per il suo blog, che ha raccolto con materiale inedito nel libro Prima che sia troppo tardi (Comicout, 2016). Togui (Samir Toudji) disegna da quando era abbastanza grande da poter tenere in mano una matita. Vincitore del premio Giovani Talenti al Festival del Fumetto di Algeri, ha collaborato a diversi albi collettanei tra cui Freelestine (2015). Toni D’Agostinho è un sociologo, docente e artista brasiliano. Ha pubblicato nel giornale “Folha de São Paulo”, ed è autore di 50 Reasons to Laugh (Noovha América); Edgar Allan Poe Para Pequenos (B4 Editores). È co-fondatore del gruppo di studio Observatory of Humor and Politics. Tonio Vinci (Antonio Vinci) è docente presso la Scuola internazionale di Comics (Pescara), ha pubblicato per le riviste “Animals”, “Sbam Comics” e “il Male”, ha lavorato per Kappa Editore e disegnato strip e vignette per “Agenda Ridens” e “Neos Magazine”. Nel 2017 ha pubblicato la graphic novel Nonni (Tunuè) e O Stablmend (Hazard Edizioni). Turkia Bensaoud è una scrittrice e illustratrice libica. Lavora per UNICEF, cercando di combinare talento e impegno umanitario.


Walter Leoni è un fumettista italiano e disegna vignette satiriche e umoristiche. Ha collaborato con diversi quotidiani e riviste tra i quali “Par Condicio”, “Smemoranda”, “Libero Veleno”, “Alias Comics”, “Fanpage”, “Prisma”, “Comics&Science”. Ha recentemente pubblicato SS TATA la sua prima graphic novel (EdizioniBD). -Z- è lo pseudonimo di un artista tunisino la cui identità non è mai stata svelata. Autore del blog DebaTunisie, è noto dal 2007 per le sue vignette contro il regime Ben Ali. Dopo la rivoluzione continua la sua battaglia per una libertà di espressione incondizionata ignorando i limiti del sacro (o religioso, divino). Zac Deloupy è un illustratore francese diplomato alle Beaux-arts d’Angoulême. Co-fondatore della casa editrice Jarjille e collaboratore delle riviste “La revue dessinée”, “Pandora” (...), ha pubblicato diverse opere. Il suo libro Love story à l’iranienne ha vinto numerosi premi tra cui il Prix France Info 2017. Zadoc è un giovane artista e designer mozambicano. Ha esposto alcune creazioni alla Kulungwana Art Gallery di Maputo. Zé Dassilva è un fumettista, giornalista e sceneggiatore brasiliano. Dal 1998 pubblica quotidianamente le sue vignette su “Diario Catarinense”, quotidiano del Sud del Brasile con 1 milione di follower su Facebook. Ha pubblicato libri sulla storia del calcio in Brasile e lavora anche per TV Globo, la rete principale del suo paese, in cui scrive serie TV e telenovelas. Zerocalcare è nato ad Arezzo il 12 dicembre 1983. Nel 2011 realizza il suo primo libro a fumetti, La profezia dell’armadillo, che nel 2012 viene ristampato in un’edizione a colori dalla Casa editrice milanese BAO Publishing e l’autore si afferma subito come il più grande fenomeno commerciale del fumetto italiano. Nel 2018 il successo viene confermato dalla mostra “Scavare Fossati – Nutrire coccodrilli”, esposta al MAXXI di Roma. I suoi ultimi libri sono Scheletri e A Babbo Morto (Bao Publishing, 2020).

Altri artisti che hanno partecipato al progetto My Covid in Comics: Alessandra Cuminale, Aroussi Tabbena (Tunisia), Gian Paolo Guacci, Greta Piazza, Irene Zappia, Jairo Mozo (Ecuador), Luca Lorenzoni, Lugano Maclean (Tanzania), Luis Rodas (Guatemala), Mohamed Sobhe (Iraq), Narciso Mboa (Mozambico), Rayan Najm (Iraq), Roberta Gaion, Roberto Porzio, Togni, Zlatko Krstevski (Macedonia del Nord). Il progetto My Covid in Comics è promosso da: YA BASTA CAMINANTES L’Associazione Ya Basta Caminantes ODV nasce a Padova nell’ottobre 1999 per portare avanti l’idea di contribuire alla costruzione di una società basata sulla giustizia sociale ed ambientale. Fin dall’inizio delle sue attività ha promosso il volontariato come forma di cittadinanza attiva e partecipata, soprattutto tra i giovani. Opera attraverso progetti di cooperazione in America Latina e Medioriente in rapporto con le realtà di base locali. Negli ultimi anni ha sviluppato percorsi collegati all’utilizzo dei linguaggi artistici, a partire dalla musica e fumetti, per rafforzare la coesione sociale e l’allargamento dei diritti e delle libertà. www.yabasta.it CEFA Siamo il Comitato europeo per la formazione e l’agricoltura. Un’organizzazione non governativa che dal 1972 lavora per vincere fame e povertà. Aiutiamo le comunità più povere del mondo a raggiungere l’autosufficienza alimentare e il rispetto dei diritti fondamentali. Il nostro obiettivo è quello di contribuire attivamente allo sviluppo sostenibile, mettendo in atto iniziative che assicurino la crescita di un territorio, maggiore benessere e resilienza ai cambiamenti climatici, stimolando la partecipazione delle popolazioni locali affinché siano esse stesse protagoniste del loro sviluppo. www.cefaonlus.it 221



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