La cooperazione italiana negli anni della crisi

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generali del mercato del lavoro in Italia. Dai dati emerge infatti, per il quadriennio esaminato, il crescente ricorso al lavoro a tempo determinato o stagionale, la lieve flessione del lavoro a tempo indeterminato ed il forte calo dei lavoratori parasubordinati, legato probabilmente quest’ultimo soprattutto all’introduzione di una legislazione più restrittiva. La complessiva stabilità è stata garantita soprattutto dalle cooperative sociali che, nel periodo considerato, hanno visto aumentare sia il numero di dipendenti a tempo indeterminato sia il numero di quelli a termine, ed hanno mantenuto al contempo stabile il numero complessivo di lavoratori parasubordinati. A livello territoriale, si rilevano differenze significative tra le regioni settentrionali, in particolare il Nord-est che nel 2010 e 2011 ha mostrato già primi segnali di ripresa dalla crisi, e le regioni meridionali che al contrario hanno registrato nel biennio 2010-2011 un ulteriore peggioramento della situazione. I dati confermano infine anche per le cooperative la riduzione in ingresso dei lavoratori più giovani (con meno di 35 anni) emerse negli ultimi anni anche in altri settori produttivi, per i quali nel periodo 2008-2011 si è registrato un calo del 18,76% tra i dipendenti a tempo indeterminato e del 18,83% tra i parasubordinati. I dati di fonte INPS costituiscono quindi un importante punto di partenza per futuri approfondimenti, soprattutto per quanto riguarda il lavoro femminile e giovanile nonché per l’analisi dei livelli retributivi dei lavoratori delle cooperative italiane.

3. La rilevanza economica e occupazionale della cooperazione italiana: un’analisi d’impatto con il metodo dei “conti satellite” Eddi Fontanari1, Carlo Borzaga2

Introduzione3 Quantificare la rilevanza economica e occupazionale del sistema delle imprese cooperative è stato fino a qualche anno fa quasi impossibile a seguito non solo delle difficoltà a isolare un fenomeno diffuso in tutti i settori, ma soprattutto a causa della carenza di informazioni. I pochi dati disponibili erano in genere limitati al numero delle imprese e degli occupati. Negli ultimi anni sono però state rese disponibili nuove informazioni, soprattutto sui bilanci, e ciò ha permesso di iniziare a calcolare anche il peso della cooperazione con riferimento ai principali aggregati economici (Unioncamere e Tagliacarne, 2005, 2009, 2010; Euricse, 2011). Quanto fatto tuttavia non è ancora sufficiente per valutare compiutamente la rilevanza del fenomeno cooperativo. È necessario andare oltre. È necessario cioè calcolare il peso che la cooperazione ha lungo tutta la catena produttiva che essa attiva, attraverso sia la domanda di beni e servizi intermedi, che i consumi finali indotti dai redditi generati. Una tecnica utile a questo fine, adottata solitamente per lo studio dell’impatto sul sistema economico complessivo di specifici settori quali il turismo, oppure di investimenti pubblici, è l’analisi input-output (Leontief, 1941). Essa consente di descrivere in maniera efficace il processo di formazione e distribuzione delle risorse in una determinata economia. L’analisi parte dalla stima del valore della domanda finale del settore oggetto della ricerca (il valore del prodotto finito) e, attraverso la struttura delle interdipendenze settoriali, ricostruisce la produzione interna da esso attivata. Tale tecnica non è stata quasi mai impiegata per valutare la rilevanza economica di una determinata forma d’impresa e in particolare della forma cooperativa. Con due sole eccezioni: le ricerche di Deller et al. (20094) e di Fontanari, Borzaga (2010). Il contributo di Deller et al. utilizza informazioni dirette per circa un terzo delle cooperative operanti negli Stati Uniti e stima i rimanenti due terzi utilizzando il valore medio delle imprese rilevate. Diversamente, il lavoro di Fontanari e Borzaga censisce l’intero universo delle cooperative operanti in provincia di Trento, ricostruendo e includendo nell’analisi anche le imprese controllate. In questo capitolo ci si propone di stimare con la stessa metodologia, il contributo complessivo della cooperazione all’economia italiana. Dopo aver presentato in modo sintetico e intuitivo la metodologia (par. 3.1. e 3.2.), si descrivono i dati utilizzati (par. 3.3.) e si riportano i principali risultati con riferimento all’impatto sia diretto che complessivo sul prodotto interno lordo e sull’occupazione (par. 3.4.).

Università degli Studi dell’Insubria – Varese ed Euricse. Università degli Studi di Trento ed Euricse. 3 Lavoro tratto dalla tesi di dottorato in “Economia della produzione e dello sviluppo” di E. Fontanari (Università dell’Insubria – Varese). 4 Lavoro che chiude una serie di analisi svolte su singoli Stati, effettuando uno studio d’impatto della cooperazione sull’intera economia americana. A titolo esemplificativo si vedano i lavori di Zeuli et al. (2003) e Folsom (2003). Pur riguardando il Canada, risulta di notevole interesse anche lo studio di Ketilson et al. (1998). 1

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