Ferrara e il Parco Urbano. Il percorso di una città che riconquista il suo rapporto col territorio.

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

dell’era industriale è andato perduto lo spirito rinascimentale dell’uomo come “modellatore della natura”. Questo spirito, di cui Palladio si era reso grande interprete concependo le sue architetture come allestimenti teatrali capaci di plasmare il paesaggio, era forse troppo elitario per essere assorbito dalle masse e dalle nuove classi emergenti che, per riscattarsi dal passato rurale, preferirono sposare la nuova logica dell’industria consumistica. Inoltre, in un Paese così socialmente e culturalmente eterogeneo, la classe politica non ha saputo fornire quella spinta unificante necessaria per un buon governo del territorio, e si è invece resa responsabile delle fratture presenti nei nostri paesaggi. Come è possibile allora la riduzione ad unum del paesaggio? Riconducendolo al piano della conoscenza e della percezione, in cui il paesaggio si fa specchio del nostro agire sul territorio, inteso come spazio nel quale operiamo e ci identifichiamo. Questo accade proprio quando uno spazio naturale si carica di riferimenti, simboli, denominazioni e oggetti creati dall’uomo per la sua quotidiana “messa in scena” e diviene quindi spazio culturale. E’ qui che si innesca quel processo per cui la percezione/rappresentazione genera azione, che genera a sua volta una nuova rappresentazione e una nuova azione, un ciclo in cui “l’uomo che guarda” e “l’uomo che agisce” si stimolano a vicenda e diventano “attori” e “spettatori” del paesaggio. I paesaggi più belli, quelli esteticamente più

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