Erodoto108 °2

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aveva decapitato il Tagikistan in modo che il suo cuore politico e quello economico fossero separati da due immani catene montuose alte anche cinquemila metri, con passi oltre i tremilacinquecento, perennemente chiusi in inverno ed insidiosissimi d’estate: una follia di cui sperimenterò presto i risultati. Alla partenza, un imam benedice la nostra jeep. La cosa mi inquieta, ma i miei compagni di viaggio sembrano tranquilli. Con me viaggiano un ragazzetto appollaiato dietro tra enormi pacchi di giornali ingialliti, un professore dell’università di Khujand e alcuni personaggi poco loquaci che vogliono solo andarsene a casa. La strada, in rifacimento grazie a massicci investimenti cinesi, serpeggia tra rocce a strapiombo e montagne spettacolari per decine di chilometri. Qua e là, villaggi di una povertà sconvolgente, dove i soli segni di modernità sono i cartelli di propaganda. Viaggiamo a lungo prima di raggiungere il tratto di strada non ancora risistemato. La strada s’impenna, l’asfalto scompare e l’autista deve guidare sul bordo estremo della carreggiata per evitare i massi da sopra. Centinaia di metri sotto di noi, carcasse d’auto e camion giustificano all’istante le benedizioni dell’imam. Il professore mi vede pallidino e mi domanda sghignazzando se ho paura, salvo poi smettere di sfottere più

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