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Corriere del Ticino

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SABATO 27 APRILE 2019

maestro (foto a lato). Ad essa è dedicato l’ultimo numero di Arte e Cultura (Fontana Edizioni): «Nel segno di Leonardo: le chiese di Ponte Capriasca». Alla presenza leonardesca in Ticino è dedicato anche un capitolo del tour in realtà aumentata Santa Maria degli Angeli 3D, in cui si ripercorrono, oltre alla storia del Rivellino di Locarno, gli influssi del Cenacolo sull’ultima cena di Bernardino Luini e sulla copia cinquecentesca di

Ponte Capriasca. Festa anche al Rivellino LDV di Locarno dove, il 2 maggio alle 18, saranno inaugurate tre esposizioni di opere realizzate da artisti che si sono ispirati al genio di Leonardo: Alberto di Fabio: «Quanti»; Doncho Donchev: «Codex Metamorphoses» e Luca Ferrario: «Sacred Pavilion». La mostra rimarrà aperta fino al 25 maggio 2019, con possibilità di visita ogni venerdì e sabato, dalle 14 alle 17. Per l’occasione

si esibiranno altri artisti. Ci sarà un «Omaggio a Leonardo» del musicista Pietro Bianchi, accompagnato da Roberto Maggini. Seguirà Fantasio’s con «Leonardo secret performance». E non mancherà la torta d’artista «Leonardo 500», preparata dai maestri pasticcieri Marnin di Locarno. In esposizione anche alcune foto di una collezione privata sulla costruzione della galleria autostradale del San Gottardo.

cultura L’INTERVISTA  PIETRO MONTORFANI*

spettacoli «E piano piano il disegno lasciò il posto alle parole» Un aspetto poco considerato: la scrittura leonardesca

IL MANUFATTO In alto, diramazione delle gallerie est e nord del «rivellino» (Foto Garbani). Qui sopra, 3D printing del «rivekkino» con proposta di liberazione del monumento e ripristino del fosso (elaborazione Enrico Sassi e Francesco Vismara, Institute for Contemporary Urban Project, Accademia di Architettura).

progetti simili»

e Atlantico eseguito nel 1507 2010 l’acquisto alla città del monumento – che, Leonardo o no, tale rimane, malgrado anche qui battute infelici circolate –, per me, da allora, il dossier è chiuso. Lo stato dell’opera, della quale del resto non mi occupo più, mi risulta invariato». Esiste un futuro per il «rivellino»? «Ad altri rispondere, non noto un «fervore leonardiano» in Ticino, a parte il periodico emergere di dipinti-patacca da caveau opachi». Nel 500. della morte di Leonardo, cosa di lui la colpisce? «La curiosità senza pregiudizi immanenti o trascendenti per i casi del creato, dalle entità animate e inanimate ai fenomeni naturali, unita allo sperimentalismo, precursore in ciò di Galileo, e all’eccezionale abilità nell’interpretare e rappresentare eventi e soggetti i più variegati. Non male, per un dislessico autodidatta».

 La citazione «Sempre i fiumi portano seco la terra che li intorbida insino al mare; dov’ella poi, posando tal terra, si rischiara: per lo qual cammino è passata tutta la terra che manca alle valli de’ monti e corsi de’ fiumi. Èssi dunque fatta più lieve quella parte donde scola più numero di fiumi, come l’Alpi che dividono la Magna e la Francia dalla Italia, della qual esce il Rodano a mezzodì e il Reno a tramontana, il Danubio over Danoia a greco, e ’l Po a levante, con innumerabili fiumi che con lor s’accompagnano, i quali sempre corran torbidi della terra da lor portata al mare» (Leonardo Da Vinci, Codice Leicester, c. 10r)

 Leonardo da Vinci aveva una mente poliedrica, fu artista e scienziato. Perfino scrittore, ma se ne parla poco. Noi lo facciamo con Pietro Montorfani, responsabile dell’Archivio storico della Città di Lugano e autore di alcuni studi sul tema. «Di Leonardo si conservano, tra Milano, Londra, Parigi e Madrid, migliaia di pagine manoscritte – ci spiega Montorfani – i cosiddetti codici. Considerate nel loro complesso, queste pagine testimoniano una dinamica molto chiara» E cioè? «Assistiamo al progressivo venir meno del disegno, a cui all’inizio aveva affidato gran parte della sua volontà di indagine, anche in ambito scientifico. Leonardo infatti si serviva di schizzi non soltanto negli studi preparatori delle opere d’arte, ma come modalità di conoscenza: quasi a voler testare sulla carta il funzionamento delle leggi della natura. È un’abitudine che lo accompagna per tutta la vita. Però, con l’andare del tempo, il disegno inizia a cedere terreno alla lingua. Quelle che all’inizio sono soltanto semplici didascalie, poste sotto schemi ingegneristici o copie dal vivo, diventano veri e propri scritti dotati di autonomia che finiscono per occupare la totalità della pagina. I codici più tardi, come il Leicester (1505-10), sono quasi interamente composti di materia verbale, con piccoli disegni a lato a corredo del testo. La bilancia del rapporto testo-immagine, nei suoi appunti, si capovolge radicalmente nell’arco di cinquant’anni». Cosa significa? «Significa che Leonardo acquisisce sempre maggiore consapevolezza linguistica e con il tempo riesce, da autodidatta, a costruirsi una lingua della scienza, con un lessico apposito e strutture sintattiche sufficientemente duttili per raccontare i meccanismi della natura, della fisica, del cosmo. Tutto questo in un’epoca che ancora non aveva conosciuto la rivoluzione (anche linguistica) di Galileo». E come ha fatto? «Ha iniziato stendendo lunghe liste di parole, migliaia di termini suddivisi per temi, come avviene nei glossari tecnici. Se scorriamo le pagine del Codice Trivulziano non possiamo non stupirci di fronte alle sue competenze lessicali e alla sua ferrea volontà di dotarsi da solo di questo strumento privilegiato. Ma ha imparato molto anche dall’esercizio: la lingua si impara scrivendo, pagina dopo pagina, paragrafo dopo paragrafo, in carte fitte di riscritture e ripensamenti». Tra i codici quali la colpiscono di più? «Direi soprattutto due. Il primo è il famoso Codice del volo degli uccelli, un piccolo quaderno conservato alla Biblioteca Reale di Torino, un manoscritto che Leonardo non ha mai conosciuto in quella forma perché è il frutto di un montaggio successivo, creato da collezionisti. Vi si ritrova quella dinamica che citavo prima: molta materia verbale e piccoli disegni stilizzati, quasi “sciatti” (è pur sempre Leonardo!), a fianco del testo. È la penna che cerca di inseguire la realtà, non tanto nell’accumulo dei dettagli, nell’assillo descrittivo, quanto nel funzionamento di un fenomeno, nelle sue linee di movimento e di forza».

E l’altro codice? «È il Codice Leicester, oggi di proprietà di Bill Gates, a cui le Gallerie degli Uffizi hanno dedicato una bellissima mostra lo scorso inverno. Anche questo è un quaderno di poche decine di pagine, dedicato in gran parte all’acqua: ma partendo dall’acqua, dalle sue innumerevoli manifestazioni, si finisce inevitabilmente per toccare tutto il mondo della natura (dai fossili all’astronomia, dall’orogenesi delle montagne a questioni di ingegneria idraulica). Leonardo, non va dimenticato, riusciva sempre a tenere vive contemporaneamente esigenze pratiche – come il progetto di un ponte, o lo scavo di un canale – e riflessioni teoriche, sui “massimi sistemi” che determinano il funzionamento del mondo fisico e naturale. Dal macrocosmo della terra al microcosmo del corpo umano, nei suoi scritti si passa con affascinante semplicità dalle sorgenti di montagna alle più piccole descrizioni anatomiche di vene e arterie. La lingua, con il suo bagaglio di metafore e la capacità straordinaria di dare forma all’invisibile, ha naturalmente un ruolo preponderante in questo affresco, come ci hanno insegnato gli studiosi che più di tutti si sono occupati della scrittura di Leonardo (penso ad Augusto Marinoni, Claudio Scarpati e Carlo Vecce). È un campo d’indagine tra i più complessi, perché richiede competenze sia linguistiche sia scientifiche. Anche per questo, però, decisamente affascinante».

Scriveva da destra a sinistra non per nascondere segreti, ma perché era mancino puro Il suo contributo quale è stato? «Nel mio piccolo, ho cercato di riconoscere nei manoscritti di Leonardo modalità testuali ricorrenti. È possibile infatti individuare alcune intenzioni linguistiche particolari e suddividerle in una decina di categorie: dal grado zero della semplice “lista della spesa” (elenchi di parole privi di struttura sintattica) a modalità assertive o interrogative, su su fino a pagine più complesse caratterizzate dall’uso di subordinate distribuite su più livelli, fino alle grandi visioni dei diluvi che sfiorano l’ambito della letteratura». Perché Leonardo non è stato solo uno scrittore «scientifico»... «È così, Leonardo era dotato di ironia e questa sua dimensione umoristica traspare anche negli scritti. Pare che fosse un affabulatore notevole, capace di raccontare aneddoti e facezie con le quali sapeva intrattenere le platee dell’epoca. Se aggiungiamo il fatto che collaborava sovente all’allestimento di grandi feste, suonava strumenti a corde, disegnava caricature, scriveva anche qualche poesia, insomma, era davvero un uomo di corte a tutti gli effetti, non solamente uno scienziato o un artista di fama. Dal punto di vista letterario ha lasciato una produzione notevole di motti e brevi novelle, pienamente inserita nella tradizione toscana (minore)

del suo tempo. Era inoltre un lettore vorace di cantari e ottave cavalleresche». Si tende a identificare Leonardo solo con l’artista o con il geniale inventore di macchine futuristiche. Lo scrittore invece non è noto al grande pubblico. Qual è il modo migliore per entrare nel mondo affascinante dei suoi testi? «Esistono alcune antologie, di solito tematiche, che permettono un accesso guidato ai suoi scritti. Partirei forse dalla storica selezione operata da Anna Maria Brizio per la UTET nel 1952 e più volte ristampata. È davvero un lavoro notevole che non ha perso nulla della sua freschezza. All’interno di quel corposo volume cercherei di inseguire le numerose piste in cui Leonardo descrive i movimenti dell’acqua, dal cadere di una singola goccia al formarsi dei grandi fiumi d’Europa. È un libro che si può compulsare a caso, aprendolo ad occhi chiusi. Non si resterà mai delusi». Che idea si è fatta di Leonardo? «La domanda è di quelle da un milione... Provo a girarla in una provocazione, spero utile a una conoscenza più sobria della sua reale figura intellettuale: nonostante la tanto conclamata genialità preferisco infatti continuare a considerarlo un figlio del suo tempo, con tutti i limiti della sua epoca, con cui condivideva una conoscenza spesso monca e, con il senno di poi, persino naïve di molti fenomeni del cosmo e della natura». Ad esempio? «Ad esempio non pensò mai di mettere in discussione il fatto che fosse il Sole a girare attorno alla Terra, e non viceversa. In quel caso i veri geni furono, alcuni decenni più tardi, Copernico, Galileo, Keplero. Forse oggi, a bocce ferme, lasciata decantare la retorica che sempre risorge in occasione degli anniversari, potremmo persino arrivare ad ammettere che tutto sommato fu un grande inconcludente (geniale sì, ma inconcludente). Certamente non fu un pensatore solitario: gli studi recenti sulla sua biblioteca, ricostruibile grazie ai manoscritti, ci raccontano un Leonardo ben posizionato al crocevia di una rete di scambi con matematici, ingegneri e architetti suoi contemporanei. Non era il genio isolato che precorreva i tempi contro tutto e contro tutti. Lo ribadisco per evitare di scadere nelle solite interpretazioni alla Dan Brown, secondo cui Leonardo scriveva a specchio da destra a sinistra per nascondere chissà quali segreti...». Invece? «Invece lo faceva perché era un mancino puro, costretto come tutti a usare penna e calamaio su carte ruvide e ben poco scorrevoli. Era innanzitutto una necessità tecnica: spingere una penna d’oca, invece di “tirarla”, sarebbe stata un’impresa titanica (per non dire del rischio di macchiare tutto con l’inchiostro). Non c’è davvero bisogno di immaginare un Leonardo profeta alla Nostradamus, geloso dei propri segreti. I suoi “segreti”, oggi, sono sotto gli occhi di tutti e sono i suoi capolavori e i suoi scritti, testimoni entrambi di una capacità di osservazione e di sintesi fuori del comune». * responsabile dell’Archivio storico della Città di Lugano


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