Ellesette_Architettura Zero_issue #002

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E dunque, il problema non è la presenza dei margini. Piuttosto, il problema è come lavorare sulla città alla luce della consapevolezza che questi non esistano. Proviamo a elaborare una visione? (Ovvero: ora che si è posto questa domanda, si dia una risposta!) Non è facile superare un’inerzia culturale. Se vogliamo, è come l’obsolescenza delle nostre case: ormai si vive in un certo modo, ma lo si fa in case vecchie di cinquant’anni, in cui c’è ancora il corridoio tra le stanze, mentre le forme di vita che vi si svolgono all’interno sono del tutto diverse. In qualche modo, anche le città sono in queste condizioni. Il nostro compito è quindi quello di affrontare queste nuove condizioni e di occuparci di tutte quelle parti che possono essere più facilmente trasformabili. Un lavoro potrebbe appunto essere quello di . Osserviamo gli scarti, ciò che in questo momento sembra non essere utile al funzionamento delle nostre città. Per esempio in Veneto (e lo cito spesso perché ci stiamo lavorando su) c’è un problema che riguarda una volumetria di capannoni enorme, residuo di quello che è stato il capitalismo molecolare degli anni ‘80, che ha costruito seguendo un trend di crescita del prodotto interno lordo del 20% all’anno. Tutto questo ha generato una quantità di volumetria di capannoni quasi equivalente al costruito residenziale delle città e di cui ora quasi il 35% è abbandonato.

si può agire

descrivere le parti sulle quali ancora

In effetti, pur nelle debite proporzioni, la situazione a Bari è analoga. In particolare, tra i piani dell’amministrazione comunale c’è l’idea di aumentare ulteriormente la stazza di quest’area industriale, già oggi abbandonata per metà, per convertirla in un interporto sui cui destini aleggiano svariate ombre. L’operazione ci lascia forti dubbi per il notevole potenziale autodistruttivo che gli viene dalla assoluta sproporzione rispetto alla dimensione della città abitata e che probabilmente ne preannuncia il fallimento.

guardare a que-

In questi contesti, bisognerebbe recuperare il paesaggio perduto, imparare a per capire se e come possono diventare qualcos’altro, una risorsa, un futuro per i nostri territori. Quello che stiamo facendo in Veneto, in effetti, è lavorare facendo un censimento, per provare anche a conoscere la natura di questi oggetti.

sti oggetti in maniera disincantata

[Sorridiamo tutti, N.d.R.] Lo sa, architetto, che questo è proprio il tema del prossimo numero di Ellesette? È un tema caldo. Noi abbiamo deciso di affrontarlo utilizzando gli strumenti tradizionali del rilievo e del ridisegno, della catalogazione e della classificazione, cercando di capire quali sono i caratteri che distinguono un capannone da un altro, o ciò che è nato accanto e tra di essi. In questo modo proviamo anche a misurare i limiti di questi strumenti pronti a sperimentarne degli altri per leggere e descrivere ciò che sembra sfuggire. Noi, assieme allo IUAV, abbiamo fatto un workshop in cui abbiamo condotto un censimento su un’area di studio di Bassano del Grappa (Vicenza), che ha coinvolto circa 300 capannoni. Li abbiamo ridisegnati, e poi proposto una serie di lavori di trasformazione. Ogni lavoro è poi confluito in un libro pop-up che raccontava il passaggio dallo stato di fatto ad una complessità di trasformazione. Si tratta di una materia di assoluta attualità, con sviluppi tutti da scrivere. Buon lavoro! 89


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