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Canzoni e brindisi augurali
olte le canzoni o poesie goliardiche fervide di passioni e fresche di eterna giovinezza che, per molta parte, rispondono ancora alla nostra sensibilità moderna. Il vino dei goliardi è frizzante, è mattacchione, un vino sano, come fondamentalmente lo è la gioventù, anche quando eccede. “Arde e scoppietta l’anima se dentro al vin s’immerge; e dal fondo dei calici infino al ciel si aderge”. Troviamo poesie con tono caricaturale, in veste di gravità: “O come passa il dì lieto e giocondo a chi beve! Ei non ha pensiero al mondo, mentre nel suo bicchier brilla il vin biondo”. Un carme bacchico goliardico di ventiquattro strofe sul far dello Stabat Mater si deve pure ad Antonio Boccalari di Dignano d’Istria, canto che sembra un’imitazione della Lode al vino di Morando o Morandino da Padova, il “Vinum dulce gloriosus” rimasto un modello letterario. Nel carme istriano sono presenti tutti i capisaldi goliardici di esaltazione del vino, come consolatore degli animi, forgiatore di bellezza, suscitatore di poesia, stimolatore del bello e del genio: “Nam est vinum, quod calorem dona sanguini et amorem, cito pellens frigora”. Nel secolo XII uno dei più noti goliardi di Francia, Gualtiero Di Châtillon, doveva aver bevuto davvero bene in Italia se nella sua Confessione generale scritta tra il 1162 e il 1165 a Pavia afferma: “Meum est proposito in taverna mori, ut sint vina proxima morientis ori; tunc cantabunt letius angelorum chori: Sit Deus pro-
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