7 minute read

PRIMO PIANO

RIPENSARE L’EDUCAZIONE

Quale sguardo per il nostro domani?

di Bianca Maria Ventura

Parole chiave : l ungimiranza , ins ec uritas , homo adapt us, homo pr osp ect us, sp eranza .

Si esamina qui un aspetto fondamentale della responsabilità educativa: quello della lungimiranza, resa sempre più difficile dall’incertezza nei confronti del futuro, e si ipotizza che il suo fondamento sia proprio la fedeltà, consapevole e coraggiosa, all’insicurezza che accompagna l’agire educativo. Si ricorda altresì che l’apertura alla dimensione utopica, propria dell’agire educativo, ha bisogno di «ragionevoli» speranze.

1. «Guardare lontano»

«Guarda lontano» – esortava Baden Powel – «e, quando credi di guar dare lontano, guarda più lontano». La lungimiranza è virtù specifica di chi si occupa di educazione. Nell’a gire concreto e a seconda delle circostanze, essa si traduce in attesa paziente ma anche in tempestività di intervento; in fervida immaginazio ne ma anche in memoria feconda; in cautela e prudenza ma anche in slancio audace e perfino rischioso. Per chi, però, ha coltivato l’illusio ne del tutto e subito, del massimo guadagno al minimo costo, per noi, donne e uomini del nostro tempo – incerto e stretto tra lusinghe e mi nacce – guardare lontano è diventato difficile. I giovani soprattutto, chiusi entro un presentismo preten zioso e deludente, hanno perso ciò

che è proprio della loro età: lanciare avanti lo sguardo, immaginare un luogo che non c’è, desiderarlo così fortemente da saper trasformare il desiderio in progetto, per sé e per gli altri. Condizionati tutti – giovani e meno giovani – dalla cultura del «tutto è possibile, basta volerlo» e dalla cul tura dell’alibi «vorrei ma non posso», ci si è lasciati scippare, complici noi stessi, il più naturale degli scenari cui volgere lo sguardo: il

futuro. Le stesse azioni educative di orientamento, che al futuro sono volte, hanno sguardo corto e sono appiattite sulle richieste del mer cato, affannate a sviluppare, tra le tante dimensioni dell’essere perso na, quelle legate alla produttività, alla concorrenza, all’efficientismo, al consumo sfrenato. Anche lo svilup po delle competenze soffre di questo pericoloso riduzionismo e privilegia le cosiddette “competenze per competere” dimenticando la natura

sociale dell’apprendimento, frutto sempre di un pensare e di un agi re condiviso. Perfino nelle scuole, accanto ad insegnanti che, da veri maestri, spalancano orizzonti (Re calcati, 2014) o, da autentiche guide esperte, indicano la strada e legitti mano, sostenendolo, il progetto di sé (Zambrano, 1975), ce ne sono altri che per i propri allievi e allieve prefigurano, come la più ardita delle prospettive, il raggiungimento dello status di homo adeptus, aeconomi cus, competens (Soresi 2020). C’è, in questo orizzonte educativo, un’e vidente insufficienza antropologica perché la sola capacità di adattarsi all’esistente, disegnato perlopiù in base alle esigenze del mercato, to glie la possibilità di una più profonda comprensione del mondo ed esone ra dall’impegno a renderlo più vivibile ed eticamente sostenibile. Non è nuova, nella letteratura pedagogica, la sottolineatura di quanto erroneo sia vivere la realtà come fatalità e la storia come destino ineludibile: l’errore porta come conseguenza la miopia di fronte alle immense e non ancora espresse potenzialità del rea le ed esita, perlopiù, in forme diffuse di addomesticamento alienante, di passività assunta a stile di vita (Frei re, 2004).

2. L’apertura al possibile

Diversa cosa è l’apertura al possibi le cui ogni storia personale ha dirit

“ L’educazione comincia dalla consapevolezza che, pur se difficile, cambiare è possibile (Freire, 2004). ”

to e che riconduce la responsabilità educativa al suo specifico campo di esercizio: la tensione al futuro come miglioramento dell’esistente. L’edu cazione comincia dalla consapevolezza che, pur se difficile, cambiare è possibile (Freire, 2004). Che cosa indebolisce oggi la responsabilità di guidare e sostenere il diritto al cam biamento? Detto altrimenti: su che cosa non si ha più il coraggio di fis sare lo sguardo? Complice l’erronea identificazione del progetto di sé con l’adattamen to all’esistente, ciò che non si sa più accettare è che la promessa teleolo gica inscritta in ogni persona - il suo potenziale evolutivo, ciò che ciascu no potrà diventare - ha un carattere misterioso ed imprevedibile. Esso non attenua in alcuna misura la re sponsabilità educativa che anzi è sfidata da questo compito preciso: collaborare ad un progetto di cui non si conoscono per intero i con torni e gli esiti. E allora, per quanto paradossale l’accostamento tra lungimiranza e umiltà pedagogica possa risultare, occorre ammettere che l’opacità degli sguardi, di cui la mentiamo oggi il diffondersi, dipenda in larga misura dal venir meno della più difficile delle virtù pedago giche: l’accettazione - umile appunto - dell’incertezza di ogni risultato atteso: ogni intervento educativo, per quanto mirato e consapevol mente ideato, può - ma anche non può - raggiungere gli obiettivi per cui è stato pensato (Milan,2001). E questo accade perché la categoria dell’educazione è la possibilità e non la necessità: l’unicità di ogni perso na e la sua libertà di crescere e di realizzarsi non sono totalmente go vernabili proprio perché hanno un margine di mistero con il quale ogni educatore deve fare i conti e li deve fare senza trasformare l’insecuritas e l’umiltà pedagogica che la fonda, in ansia, dubbio, scetticismo nei confronti del futuro dei propri alun ni e dei propri figli, o, al contrario, in presuntuosa predeterminazione del loro destino. Al mito dell’homo adaptus occorre sostituire il progetto dell’homo prospectus, la cui azione, oltre che influenzata dal passato, sia attratta dal futuro del quale, pur senza esserne determinata, abbia imparato ad immaginare opportunità e vincoli. (Seligman, Railton, Bau meister, 2019). Lo sguardo si schiude al possibile se e quando si libera dal condiziona mento dell’immediato, del cosiddetto tempo reale; se e quando sa essere paziente e resistere all’ossessione

del pericolo che spegne ogni iniziativa e trasforma l’insicurezza in paralisi delle idee, dei sentimenti, delle azioni; se e quando sa coltivare la speranza.

3. Quale speranza?

Viviamo un’epoca di grandi, diffuse disillusioni in cui è sempre più diffi cile sperare, eppure ogni educatore ha il dovere di farlo perché è pro prio l’incompiutezza da cui nasce il bisogno umano di educazione, ad aprire la strada al sogno. E, dunque, la speranza come la lungimiranza, è costitutiva dell’atto di educare.

“ Ogni educatore ha il dovere di farlo perché è proprio l’incompiutezza da cui nasce il bisogno umano di educazione, ad aprire la strada al sogno ”

Ma non è sufficiente coltivare in sé la speranza; se vuole contrastare gli atteggiamenti di indifferenza, di resa, di paura e di fuga di fronte alla fatica di vivere, chi educa – ed in qualche misura tutti educhiamo – ha anche il compito di alimentarla in co loro che a lui si affidano. In che cosa

è legittimo sperare e in che cosa bi sogna insegnare a sperare? Detto altrimenti, come deve essere la no stra speranza per non diventare illusione o fuga nell’irreale? Deve essere concreta, alimentata, cioè, da un rapporto stretto e vitale con la realtà, le cui potenzialità ancora inespres se diventino sfida e provocazione per la conoscenza e per l’azione. Deve essere energia trasformante capace di esprimere in ogni azione la propria vocazione al migliora mento. Deve essere attesa paziente ed attiva perché la realizzazione dei grandi sogni può avvenire solo attraverso le piccole, ma coerenti, azioni di ogni giorno. Deve essere ragionevole, attenta sempre a veri

ficare nell’attuale le condizioni per il compimento del possibile. Deve orientarsi al futuro, senza tradire il passato cercando, anzi, nel ricordo dei progressi compiuti dall’umanità nuova linfa e nuova motivazione di sé. Deve saper coltivare la fiducia, non per ingenuità o pigrizia, ma per la fede profonda nel legame che tra sforma e rende migliori. Deve assumere la prospettiva della sconfitta come fonte di conoscenza e ricerca di senso e non come resa di fronte all’immodificabile. Deve infine saper convivere con la nebbia di orizzonti incerti senza per questo rinunciare a pensare che «domani la scena sarà presa dai colori del bene» (Andreoli, 2020, p.187).

Riferimenti bibliografici

• Andreoli V., Homo incertus, Il bisogno di sicurezza nella società della paura, Rizzoli, Bologna 2020. • Bombaci N. (a cura di), Maria Zambrano, il maestro e la guida, in «Dialegesthai», Rivista telematica di filosofia, 2006, https://mondodomani.org/ dialegesthai/ • Freire P., Pedagogia dell’autonomia, EGEA, Torino 2004. • Milan G., Disagio giovanile e strategie educative, Città Nuova, 2001. Racalcati M., L’ora di lezione, Einaudi, Torino 2014. • Seligman M.E.P., Railton P., Baumeister R.F., Homo prospectus. Verso una nuova antropologia, Hogrefe, Firenze 2019. • Soresi S., L’orientamento può cambiare rotta? (parte prima), https://www.sio-online. it/2020/02/13/

BIANCA MARIA VENTURA

È professore a contratto di Scienze umane e psicopedagogiche presso la Facoltà di Medicina dell’Università Politecnica delle Marche, responsabile scientifica del progetto regionale Crescere nella cooperazione, formatrice e counselor filosofico; è membro del Consiglio direttivo e della Commissione didattica della Società filosofica italiana. Ha svolto attività di ricerca educati va e di insegnamento liceale ed universitario. È autrice e curatrice di numerosi saggi a carattere filosofico e pedagogico, tra cui, Nessun giorno senza pensare (Diogene Multimedia 2018); Le sfide della cooperazione (Ecra 2015); Crescere nella cooperazione (FrancoAngeli 2011); In cammino. Idee e strumenti per l’esperienza filosofica in classe (FrancoAngeli, 2006).

This article is from: