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Sezione 2
6 Perseguitare i Cristiani? La lettera di Plinio all’imperatore Traiano Plinio il giovane, Epistolario, X, 96 Gaio Plinio Cecilio Secondo (61 o 62-113 d.C.) fu uno dei più brillanti letterati di età domizianea e traianea. Sotto Domiziano compì una discreta carriera politica; poi l’amicizia con il nuovo imperatore Traiano gli permise di ottenere il consolato nel 100 e nel 111-112 il ruolo di governatore della Bitinia, regione settentrionale dell’Asia Minore. Di Plinio ci è arrivato il Panegirico, cioè il discorso di ringraziamento all’imperatore per la carica concessagli, e inoltre un ampio epistolario in dieci libri. Nel decimo e ultimo libro dell’epistolario, sono raccolte le lettere che Plinio inviò dalla Bitinia a Traiano, inerenti problemi vari. Tra tutte, spicca l’epistola 96: in essa Plinio espone la situazione dei cristiani della sua provincia e chiede lumi a Traiano circa l’atteggiamento più opportuno da tenere nei loro confronti.
È mia abitudine, o signore, deferire al tuo giudizio tutti i casi sui quali rimango incerto. [...] Non ho mai preso parte a nessun’istruttoria sul conto dei cristiani: pertanto non so quali siano abitualmente gli oggetti ed i limiti sia della punizione che dell’inchiesta. Sono stato fortemente in dubbio se si debba considerare qualche differenza di età, oppure se i bambini nei più teneri anni vadano trattati alla stessa stregua degli adulti che hanno raggiunto il fiore della forza; se sia d’uopo1 dimostrarsi indulgenti davanti al pentimento, oppure se a chi sia stato effettivamente cristiano non serve a nulla l’avervi rinunciato; se si debba punire il nome in sé stesso2, anche quando sia immune da turpitudini, oppure le turpitudini connesse con il nome3. Provvisoriamente, a carico di coloro che mi venivano denunciati come cristiani, ho seguito questa procedura. Li interrogavo direttamente se fossero cristiani. Se confessavano, li interrogavo una seconda volta ed una terza volta, minacciando loro la pena capitale: se perseveravano, ordinavo che fossero messi a morte. Ero infatti ben convinto che, qualunque fosse l’argomento della loro confessione, almeno la loro caparbietà e la loro inflessibile cocciutaggine dovevano essere punite [...]. Mi parve conveniente rimandare in libertà quelli che negavano di essere cristiani o di esserlo stati, quando invocavano gli dèi ripetendo le frasi che io formulavo per primo e veneravano, con un sacrificio d’incenso e di vino, la tua immagine [...]: sono tutti atteggiamenti ai quali è opinione comune che non si possano indurre quanti sono effettivamente cristiani. Altri, che erano stati denunziati da un delatore, dapprima proclamarono di essere cristiani, ma poco dopo lo negarono [...]. Attestavano poi che tutta la loro colpa, o tutto il loro errore, consisteva unicamente in queste pratiche: riunirsi abitualmente in un giorno stabilito4 prima del sorgere del sole, recitare tra di loro a due cori un’invocazione a Cristo considerandolo dio ed obbligarsi con giuramento, non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né aggressioni a scopo di rapina, né adulteri, a non eludere i proprii impegni, a non rifiutare la restituzione di un deposito, quando ne fossero richiesti. Dopo aver terminato questi atti di culto, avevano la consuetudine di ritirarsi e poi di riunirsi di nuovo per prendere un cibo, che era, ad ogni modo, quello consueto ed innocente5; avevano 1. d’uopo: necessario. 2. il nome in sé stesso: cioè la semplice appartenenza alla «sètta» dei cristiani. 3. oppure le turpitudini... nome: o soltanto i delitti compiuti a causa dell’appartenenza al gruppo dei cristiani. 4. giorno stabilito: la domenica. 5. ed innocente: Plinio lo sottolinea, perché invece, secondo alcune dicerie popolari, i cristiani si macchiavano di cannibalismo e altri delitti.