Sezione 2
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10 Demostene contro Filippo di Macedonia Demostene, Filippica III L’oratore ateniese Demostene (384-322 a.C.) fu il più acceso oppositore di Filippo di Macedonia, da lui giudicato un gravissimo pericolo per la libertà di tutta la Grecia. Contro il sovrano macedone (e contro coloro che, in Grecia, lo appoggiavano) Demostene si scagliò nelle sue quattro celebri orazioni dette Filippiche. Riportiamo un passaggio della terza Filippica (del 341 a.C.), dedicata ad attaccare le póleis che sono rimaste indifferenti all’avanzata delle forze macedoni.
È inutile ripetere che all’inizio Filippo era un nanerottolo e ora è un gigante; che i greci lottano tra loro e si guardano con sospetto; che allora nessuno avrebbe creduto possibile un tale cambiamento, mentre ora — con le posizioni che ha conseguito — è più facile pensare che sottometta anche gli altri. Piuttosto: vedo che tutti, a cominciare da voi, hanno concesso a lui quel privilegio che è stato sempre, in passato, l’origine di tutti i conflitti della Grecia. Quale? Fare quello che vuole, depredare i greci ad uno ad uno, aggredire le città ed asservirle. Tutti i misfatti commessi dagli spartani nei trent’anni della loro egemonia e dai nostri avi in settanta sono di meno, o ateniesi, di quelli che Filippo ha commesso in neppure tredici anni, anzi non sono nemmeno la quinta parte! Tralascio Olinto, Metone, Apollonia e trentadue città in Tracia, che tutte annientò con tale efferatezza, che ormai un visitatore difficilmente potrebbe dire se furono mai abitate; tralascio la distruzione dei focesi, un popolo così grande. Così, non solo ogni città, ma ogni regione è asservita. E noi greci con indifferenza lo vediamo ingrandirsi. Filippo non è un greco, con i greci non ha niente in comune, non è nemmeno un barbaro di un paese dove è bello dire di essere nati, è uno straccione macedone, di quella regione dove a suo tempo non si comprava nemmeno uno schiavo buono a qualche cosa. Eppure la sua insolenza non ha limiti. […] Non basta difendersi da lui sul piano militare, bisogna anche odiare con chiara convinzione quelli che presso di voi parlano per lui. Ricordatevi che non è possibile vincere il nemico esterno prima di aver schiacciato quelli che all’interno delle città fanno il suo gioco. (trad. di L. Canfora) Analizziamo il testo • Le qualità migliori dell’oratoria di Demostene sono la forza stringente dei concetti, la sintesi espressiva, la veemente energia con cui l’ascoltatore viene apostrofato e quasi costretto a prendere posizione. Osserviamo queste qualità: - nell’immagine del «nanerottolo» diventato «gigante» e nella successiva immagine dello «straccione macedone»; - nell’appello diretto agli ascoltatori («vedo che tutti, a cominciare da voi,…»); - nella frammentazione della sintassi («Piuttosto, …»; «Quale?»). • Sul piano dei contenuti, Demostene vuole smascherare l’inganno di Filippo: si sforza di dipingerlo come un individuo meschino e arrivista, un «nanerottolo» che fa leva sulla corruzione per portare i nemici dalla sua parte «ad uno ad uno». Interessante anche il disprezzo manifestato verso lo «straccione macedone»: Filippo non è neppure un «barbaro», per esempio un persiano o un egizio, proveniente da un paese esotico; no, egli proviene da una regione semigreca e semibarbara, la Macedonia, che al tempo di Demostene doveva ancora sembrare un’arretrata appendice del mondo ellenico. Ebbene, proprio il fatto che con una provenienza del genere qualcuno presumesse di dominare il mondo greco, proprio questo appariva intollerabile all’oratore delle Filippiche. • Quanto ai greci, l’oratore riteneva ancora possibile la vittoria (in questo, in realtà, Demostene si sbagliava). Bisogna però, egli dice, che città elleniche si uniscano e facciano finalmente fronte comune contro il nemico di tutte. Ma proprio questa gli appariva l’impresa più difficile, perché all’interno di ogni città Filippo – dice Demostene – ha saputo procurarsi degli amici che «fanno il suo gioco».