Sezione 2
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9 L’arretramento della Grecia nella delusione di Platone verso la politica Platone, Lettere, VII Il grande filosofo ateniese Platone (427 a.C. – 347 a.C.) illustra in questo testo la sua delusione nei confronti della politica di Atene, la sua città. Il passo è tratto da una lettera che l’autore scrisse ai familiari e agli amici del suo amico e discepolo Dione di Siracusa. È un testo interessante perché documenta la fase di stanchezza e di ripiegamento che il mondo greco conobbe nel IV secolo, ovvero tra la fine della Guerra del Peloponneso (404 a.C.) e l’egemonia macedone sul mondo greco (338 a.C., sconfitta dei greci a Cheronea). Molto significativo il riferimento al processo e alla condanna di Socrate (399 a.C.): il maestro di Platone era stato condannato semplicemente perché esponeva le idee in cui credeva; la sua morte segnò, in qualche modo, la fine di una grande stagione di libertà e di confronto critico: la stagione, in sostanza, della democrazia ateniese.
Da giovane ho avuto anch’io un’esperienza che molti hanno condiviso. Pensavo, non appena diventato padrone del mio destino, di dedicarmi alla politica. In quell’epoca, avvennero alcuni bruschi mutamenti nella situazione politica della città, e il governo finì nelle mani di cinquantun uomini, trenta1 dei quali dotati di pieni poteri. Data la mia giovane età, ero convinto che essi avrebbero portato lo Stato da una condizione di illegalità a una di giustizia. E così prestai la massima attenzione al loro operato. Ma in breve tempo, questi individui riuscirono a far sembrare il periodo del governo precedente l’età dell’oro. Fra le tante malefatte di cui si resero responsabili, ordinarono a Socrate, l’uomo più giusto di Atene, di arrestare un certo cittadino, al fine di metterlo a morte. Ma Socrate si guardò bene dall’obbedire2, pronto a esporsi a ogni rischio pur di non farsi complice dei loro crimini. Poco dopo il potere dei Trenta crollò, e con esso tutto il loro sistema di governo. Coloro che in quella circostanza assunsero il governo si comportarono con mitezza, ma alcuni potentati coinvolsero in un processo3 Socrate, accusandolo del reato più grave e, tra l’altro, il più lontano da un uomo come lui. Lo accusarono infatti di empietà, e per questo lo processarono, lo giudicarono colpevole e lo misero a morte. Di fronte a simili episodi, di fronte al fatto che uomini simili si occupavano di politica, di fronte a simili leggi e a simili costumi, quanto più riflettevo, tanto più mi sembrava difficile dedicarmi alla politica mantenendomi onesto. Le leggi e i costumi andavano corrompendosi a un ritmo impressionante, al punto che fui preso da un senso di vertigine. Le città erano tutte mal governate, le loro leggi si trovavano in condizioni pressoché disperate. Così fui costretto a concludere che il criterio per distinguere il giusto dall’ingiusto, sia nel settore pubblico che in quello privato, viene solo dalla filosofia. Pensavo che l’umanità non si sarebbe mai liberata dai mali, fino al momento in cui una generazione di filosofi veri e sinceri non fosse assurta alle somme cariche dello Stato, oppure finché la classe dominante degli Stati non fosse essa stessa votata alla filosofia. 1. Trenta: i cosiddetti «Trenta Tiranni», imposti da Sparta e saliti al potere nel 404 a.C. Platone aveva allora 23 anni. 2. Ma Socrate… dall’obbedire: i Trenta Tiranni cercarono di coinvolgere il massimo numero di cittadini ateniesi come complici negli arresti indiscriminati da loro operati. Socrate però rifiutò di obbedire ai loro ordini. 3. processo: il processo e la successiva condanna di Socrate avvennero nel 400-399 a.C.