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Analisi del food Salumeria equina Giovanni Ballarini

Salame di Varzi DOP: ottenuto il riconoscimento di marchio collettivo

Il Consorzio di tutela del Salame di Varzi, dopo aver presentato, in data 21 luglio scorso, presso l’uffi cio dell’Unione europea per la proprietà industriale la richiesta di registrazione come marchio collettivo del logo Salame di Varzi DOP e averne ottenuto la pubblicazione nel Bollettino Uffi ciale, è lieto di comunicare che la domanda ha superato il periodo di opposizione e che il logo Salame di Varzi DOP è stato uffi cialmente registrato come Marchio Collettivo. «Siamo estremamente orgogliosi e molto soddisfatti del riconoscimento ottenuto dal marchio Salame di Varzi DOP, perché da oggi il marchio consortile ha un valore aggiunto di vera tutela e protezione da imitazioni e contraffazioni in tutti i principali paesi extra UE. Consapevoli che le Indicazioni geografi che non sono riconosciute come diritti di proprietà intellettuale, l’aver ottenuto il riconoscimento di marchio collettivo vuol dire estendere la protezione già valida nell’UE a tutti i mercati internazionali che riconoscono, invece, il valore del marchio collettivo come vero e proprio marchio d’impresa» dichiara il presidente del Consorzio di Tutela del Salame di Varzi Fabio Bergonzi.

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>> Link: www.consorziovarzi.it

Il Consorzio Tutela Speck Alto Adige festeggia i suoi 30 anni!

Il 2022 è un anno molto speciale per lo Speck Alto Adige IGP e, soprattutto, per il suo Consorzio, che spegne le sue prime 30 candeline. Era infatti il lontano 1992 quando i 17 produttori originari costituirono il Consorzio Tutela Speck Alto Adige, amministrato dalla Camera di Commercio di Bolzano, per promuovere e tutelare un prodotto che è un vero e proprio emblema dell’Alto Adige. Lo Speck Alto Adige IGP vanta una storia lunga e ricca di tradizione. È un prodotto popolare, che nasce dalla necessità di conservare a lungo la carne fresca, per poi consumarla tutto l’anno. Ma non solo. Lo speck è anche il trait d’union tra due culture produttive: quella mediterranea del prosciutto, che prevede l’essiccazione all’aria, e quella nordeuropea, che predilige l’affumicatura. Una simbiosi che lo rende inconfondibile e che gli è valso, a partire dal 1996, il sigillo di qualità dell’Indicazione Geografi ca Protetta (IGP) da parte dell’Unione Europea.

«Lo Speck Alto Adige IGP è un prodotto del territorio e il suo immenso valore è indissolubilmente legato alla terra che lo genera, l’Alto Adige: è qui, infatti, che le condizioni climatiche sono ideali per la produzione di questo unicum culinario e qualitativo. Preservarne l’unicità è fondamentale per continuare a offrire un prodotto di qualità, buono e sano» ha commentato Paul Recla, presidente del Consorzio Tutela Speck Alto Adige. Oggi, il Consorzio tutela gli interessi di 28 produttori di Speck Alto Adige IGP e tra le sue attività di competenza rientrano la politica di qualità, la tutela del marchio e le iniziative promozionali, che sono regolamentate da linee guida dell’Unione Europea (Reg. 510/2006), dello Stato (Legge 526/99) e della Provincia Autonoma di Bolzano. L’obiettivo principale del Consorzio è stato e continuerà ad essere quello di tutelare la qualità dello Speck Alto Adige IGP e rafforzare sempre di più la fi ducia dei consumatori (photo © IDM AltoAdige Frieder Blickle).

>> Link: www.speck.it

SALUMERIA EQUINA

di Giovanni Ballarini

Non vi è carne di animale che l’uomo non mangi o non abbia mangiato e che al tempo stesso non sia stata oggetto di tabù, divenendo alimento permesso o proibito secondo le diverse società umane, con modulazioni che comprendono caste e classi sociali.

Il consumo alimentare di carni equine è stato oggetto di proibizioni in gran parte dipendenti dall’uso di questi animali come mezzi di lavoro, in guerra e in pace, nonché di prescrizioni di tipo religioso. PAPA GREGORIO III (731-741) vieta ai cristiani di mangiare carne di cavallo, defi nita, in una lettera scritta a WYNFRITH BONIFACIO nel 732, in risposta a vari quesiti del missionario sull’evangelizzazione dei popoli del Nord Europa, un cibo immundum et execrabile e chi l’avesse mangiata avrebbe dovuto fare penitenza perché il suo consumo ha connotazioni pagane. Anche PAPA ZACCARIA (741-752), suo successore, ne conferma la proibizione, assieme a quella del castoro.

La carne di equidi è tuttora vietata dalla religione ebraica, mentre nell’Islam è solo sconsigliata, più per una questione di rispetto verso l’animale, ma con l’eccezione dell’asino domestico, vietato perché considerato una risorsa per la comunità. Nelle società industrializzate ottocentesche cade ogni tabù per la carne equina di animali a fi ne carriera, destinati soprattutto ai ceti più poveri, mentre nei ceti più ricchi, che col cavallo hanno un rapporto affettivo, si mantiene e si accentua l’avversione a mangiare le carni di un animale divenuto familiare.

Caratteristiche della carne

La carne di cavallo è piuttosto magra, con 5 grammi di grasso per etto, e di sapore dolciastro caratteristico, perché negli animali macellati a riposo è ricca di glicogeno, che manca negli animali stressati. Altra peculiarità è il contenuto in ferro e la facilità di assorbimento di quest’ultimo da parte del nostro

Bresaola di cavallo (photo © Sb Media Solutions).

organismo. Nella carne equina il ferro è presente in quantità più che doppia rispetto alla carne bovina e più che tripla rispetto a quella di pollo e tacchino, mentre la presenza di colesterolo è sovrapponibile alla quantità contenuta in altre carni magre come pollo e bovino. Il poco grasso di copertura presente risulta per di più facilmente

Salame di carne equina.

individuabile e, in genere, è eliminato in fase di lavorazione, a tutto vantaggio della digeribilità. Le fi bre del muscolo degli equini sono tenere dal momento che il glicogeno accelera la frollatura della carne dove è presente acido lattico in quantità doppia o tripla rispetto alla carne bovina, a tutto vantaggio di un’effi cace difesa antibatterica.

Nel passato la carne degli equini era socialmente e economicamente conveniente solo quando gli animali non erano più utilizzabili o vecchi o giunti a morte per incidenti o nel corso di battaglie. In questi casi era utile mettere in pratica metodi di conservazione delle carni applicando le tecniche sviluppate per altri animali e quindi trasformarle in bresaole, salami o altre preparazioni salumiere di cui in Italia abbiamo molte solide tradizioni oggi oggetto di studio e soprattutto di recupero. La produzione di salumi con carne equina deve tenere conto delle sue caratteristiche e soprattutto della sua magrezza, per cui nel passato veniva aggiunto grasso suino o carni di bovino e grasso suino. Quando un tempo si usavano carni di animali anziani e stressati, povere di glucosio, si aggiungevano zuccheri per facilitare le fermentazioni di maturazione.

Non sempre facili da trovare, i salumi di carne equina sono un pezzo di storia della nostra alimentazione e un modo in cui in passato si conservava la carne a disposizione, quella di cavalli e asini da lavoro arrivati a fi ne vita, ma oggi la tradizione è portata avanti da intelligenti e coraggiosi artigiani non di rado sostenuti dai presidi Slow Food.

Salumi speciali

Ancora poco indagata e nota è la storia della salumeria equina nei suoi rapporti con quella di altri animali. Da rilevare sono ad esempio i maggiori rapporti intrattenuti con la salumeria dei ruminanti selvatici e domestici più che con quella dei suini, pur avendo da quest’ultima preso o imitato tecniche di lavorazione e conservazione di antichissima data e con un particolare sviluppo nel Basso Medioevo. Inoltre, se la salumeria suina ha un’origine e sviluppo soprattutto stagionale e contadino con i norcini nell’Italia centrale e i mazèn nell’Italia settentrionale, la salumeria dei ruminanti ha una origine nell’ambiente della caccia e poi si sviluppa nei macelli e la salumeria equina si sviluppa soprattutto in ambiente urbano nelle macellerie. Errato è quindi usare i termini di norcineria e di norcino parlando di salumeria equina.

Lo sviluppo della salumeria equina, pur avendo radici precedenti, avviene soprattutto nel periodo ottocentesco quando vi è un grande sviluppo dei trasporti ippici e nelle macellerie urbane, con tecniche di conservazione salumiere grazie alle quali si utilizzano parti degli animali che mal si prestano alla cucina o residuano dalle vendite e soprattutto si producono salami equini che non hanno precisi rapporti territoriali, come invece avviene per analoghi prodotti salumieri suini.

Carne di cavallo nei salumi italiani

Nel passato i salami erano legati con una sottile corda, tanto che vi era il detto “legato come un salame”, e nella parte terminale avevano un piombino che ne identifi cava il produttore ma con una sigla che indicava con quale carne era stato prodotto: S per suino, B per bovino, E per equino e con le diverse combinazioni SB, SE, SBE, BE. In generale i salami di equino erano i meno pregiati. Ora i salumi di cavallo sono apprezzati in diverse regioni italiane e la carne con la quale sono preparati è soggetta a particolari normative. La Legge n. 200 del 1o agosto 2003, successivamente regolamentata dai DM 5 maggio 2006 e 9 ottobre 2007 del MIPAAF, impone l’obbligo di microchip e passaporto di identifi cazione per ogni cavallo, dal

Salsiccia di cavallo.

quale deve risultare la destinazione fi nale dell’animale, in base alle sigle DPA (Destinato alla Produzione di Alimenti per consumo umano) e NON DPA, con la quale l’animale è escluso dalla fi liera alimentare vita natural durante in maniera irreversibile. È il caso, ad esempio, dei purosangue da competizione, trattati ad alte dosi con farmaci di conclamata pericolosità per l’uomo e dunque incompatibili con le normative in materia di sicurezza alimentare. Solo una parte dei cavalli quindi arriva al macello e se si considera che per diversi motivi il numero di cavalli allevati in Italia è in calo, si comprende come vi sia una corrispettiva sensibile diminuzione della carne di cavallo che si associa ad una riduzione dei suoi consumi.

Bresaola e slinzega La salumeria equina si è sviluppata soprattutto nell’Italia settentrionale con la produzione di salumi che spesso ricalcano le tipologie preparate con carni di altri animali e tipico è il caso della bresaola e della slinzega.

La bresaola di cavallo è una produzione tipica della Lombardia e del Veneto. In Lombardia l’area di produzione comprende i confi nanti territori della Valchiavenna e della Valtellina in provincia di Sondrio, dove si produce la bresaola di bovino e di altri ruminanti. In Veneto è prodotta in diversi comuni delle province di Padova, Venezia e Treviso nei piccoli centri di Saonara, Piove di Sacco e Vigonovo. I tagli di carne utilizzati sono di prima scelta, di solito fesa, sottofesa, noce o lombata. La carne è trattata con sale, pepe e spezie e stagionata in modo analogo alla bresaola di altri animali per un tempo che varia anche con la dimensione.

La slinzega è prodotta nelle stesse zone della bresaola, di cui è considerata la sorella minore, e preparata con i ritagli della sua produzione o con altri muscoli di piccole dimensioni del posteriore, della spalla, del collo o della testa (masseteri o ganassini) del cavallo. Anche la lavorazione è simile a quella della bresaola

Salame e soppressa Salame e soppressa di cavallo sono salumi tradizionali di Lombardia, Piemonte e Veneto (province di Padova, Rovigo, Venezia e Treviso) nei quali si utilizza carne di cavallo (coscia e collo ma anche spalla, pancetta e gola) con aggiunta di pancetta suina. Nel salame la percentuale di pancetta è del 20% e l’impasto è tritato fi ne, mentre nella soppressa la pancetta di maiale sale al 35% e l’impasto è tritato a grana media. La concia è costituita da sale, pepe intero e macinato, noce moscata, aglio e vino bianco o rosso e l’insacco avviene in budello bovino naturale o sintetico. La stagionatura varia a seconda della pezzatura, dai 2/3 mesi per il salame ai 6/7 mesi per la soppressa.

Anche nel Piemonte, dove la produzione di salumi di cavallo è sempre più rara e limitata, soprattutto all’Astigiano e al Novarese, il salame di cavallo si ottiene da un 70/80% di carne di prima scelta (coscia e collo in particolare) macinata a grana media e con aggiunta di un 20/30% di pancetta suina tritata grossolanamente. Concia con sale, pepe intero e macinato, noce moscata, aglio e un goccio di vino, bianco o rosso secondo la zona.

Il salame d’asino è tipico della provincia nord-occidentale di Vicenza ed è prodotto usando animali di razza locale detti Furlani allevati intorno a Valdagno, un tempo usati per la soma e oggi allevati per la carne. Nella produzione del salame d’asino si usano carni magre con aggiunta di pancetta o lardo suino. L’impasto è costituito per il 60% da carne d’asino fatta macerare nel vino rosso e per il 40% da pancetta di maiale, il tutto conciato con sale, noce moscata, pepe e cannella. Insaccato e asciugato, il salame è stagionato per

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