Coricio di Gaza e la sua opera, a cura di Eugenio Amato, Lucie Thévenet, Gianluca Ventrella

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Indice

Premessa

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I. Retorica e società a Gaza Simona Lupi (Sassari) Occasione e performance nelle declamazioni di Coricio di Gaza

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Aldo Corcella (Università della Basilicata) Serio e giocoso in Coricio

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Ángel Narro Sánchez (Universitat de València) Citas bíblicas en la obra de Coricio de Gaza

32

Gianluca Ventrella (Université de Nantes) Da Dione Crisostomo a Coricio: il motivo dell’artista alla sbarra a Gaza fra tradizione retorica e nuove istanze religiose

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II. Retorica e poesia Onofrio Vox (Università del Salento) Sulla poesia nella retorica tardoantica

76

Delphine Lauritzen (CNRS-ENS, Paris) Hermès et ses Muses dans le premier Éloge de Marcien par Chorikios de Gaza (op. I [or. 1] F./R.)

91

Chiara Telesca (Università della Basilicata) Su una metafora pindarica nell’orazione Sui Brumalia di Coricio di Gaza (op. XIII [dial. 7] F./R.)

100


Indice

vi

Nadine Sauterel (Université de Nantes) Le rythme du discours impromptu Pour les Brumalia de l’empereur Justinien (op. XIII [dial. 7] F./R.)

112

III. Le declamazioni coriciane: ipotesi di analisi retorico-letteraria Matteo Deroma (Université de Nantes) Per un’introduzione al Patroclus di Coricio di Gaza (op. XXXVIII [decl. 10] F./R.)

138

Carlo Manzione (Université de Nantes) Per un’introduzione al Rhetor di Coricio di Gaza (op. XLII [decl. 12] F./R.)

170

Gianluigi Tomassi (Milano) Continuità e innovazione nel Tyrannicida di Coricio di Gaza (op. XXVI [decl. 7] F./R.)

204

IV. Tradizione manoscritta Paola D’Alessio (Université de Nantes) Aspetti della tradizione manoscritta di Coricio di Gaza (II)

232

Indice dei passi antichi discussi

267

I curatori e gli autori

279

Abstracts

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Premessa di Eugenio Amato, Lucie Thévenet, Gianluca Ventrella

Città di frontiera e crocevia di popoli e culture differenti, nei secoli V-VI della nostra era la città di Gaza ospitò una intensa e raffinata vita intellettuale aperta al dialogo tra tradizioni apparentemente inconciliabili. Favoriti forse dalla geografia del luogo e dalla particolare congiuntura storica segnata dal passaggio, ancorché non sempre pacifico, tra civiltà classica e medioevo bizantino, gli intellettuali gazei seppero trovare una sintesi straordinaria tra antico e moderno che li consacrò al ruolo di mediatori culturali, capaci di ripensare e reinterpretare la tradizione ellenica in uno stimolante rapporto di interazione e scambio con il territorio e l’attualità. Non è forse un caso se, ormai all’apice della propria civiltà letteraria, la città palestinese poté persino arrivare a contendere alla stessa Atene il prestigioso primato di capitale culturale dell’impero. Alla storia di Gaza in epoca tardo-antica e al dinamico fermento culturale che vi aveva attecchito sono stati dedicati negli ultimi anni due colloqui internazionali, organizzati rispettivamente, l’uno presso l’Università di Poitiers, nel 2004, da Catherine Saliou1, l’altro presso il Collège de France, nel 2013, da Eugenio Amato, Aldo Corcella e Delphine Lauritzen2. È pertanto nel solco del rinnovato interesse per la storia della città che si inserisce anche la giornata di studio che, su iniziativa di Eugenio Amato e Lucie Thévenet (con la collaborazione di Matteo Deroma per l’organizzazione materiale), si è tenuta alla Cité des Congrès di Nantes 1

Gli Atti si leggono nel volume, curato dalla stessa Saliou (con una prefazione di B. Flusin), Gaza dans l’Antiquité Tardive. Archéologie, rhétorique et histoire. Actes du colloque international de Poitiers (6-7 mai 2004), Salerno 2005 (coll. «Cardo»). 2 Gli Atti sono attualmente in corso di pubblicazione: L’École de Gaza: éspace littéraire et identité culturelle dans l’Antiquité Tardive. Actes du Colloque international, Collège de France, Paris, 23-25 mai 2013, éd. par E. Amato, A. Corcella, D. Lauritzen, Peeters, Leuven 2015 (in c.d.s.) (coll. «Bibliothèque de Byzantion»).


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Premessa

il 6 giugno 2014 e che ha visto studiosi già sperimentati, giovani ricercatori e dottorandi confrontarsi intorno a un soggetto più circoscritto, ma non meno stimolante, ovverosia la produzione retorico-letteraria di Coricio di Gaza. L’approccio vario e innovativo dei differenti relatori, che qui pubblicamente ringraziamo per aver accolto con entusiasmo il nostro appello, ha permesso di porre in valore la poliedricità di un intellettuale che, sullo sfondo delle tensioni di un’epoca tormentata quale fu il regno di Giustiniano, seppe interpretare il ruolo di retore ufficiale della città nonché di maestro nella locale scuola di retorica con uno spirito assolutamente originale, tale da farne una delle voci più interessanti dell’ultima Sofistica greca. Frutto della stretta e costante collaborazione tra i tre curatori, il presente volume raccoglie gli Atti di quella giornata di studio, proficua e stimolante, foriera di altri progetti scientifici ed editoriali che non mancheranno di rimotivare l’interesse e la curiosità per una realtà letteraria troppo a lungo negletta. Tra questi, la prima traduzione in lingua italiana dell’intero corpus coriciano, la cui prossima pubblicazione abbiamo qui il piacere di annunciare, assieme ad una nuova edizione critica commentata con traduzione francese per la «Collection des Universités de France» (CUF), ultima tappa di una serie di iniziative e progetti diretti da Eugenio Amato con il sostegno dell’Institut Universitaire de France (IUF). A tale prestigioso Istituto, alla Région des Pays de la Loire e all’EA 4276 «L’Antique, le Moderne» dell’Università di Nantes vadano i nostri più sentiti ringraziamenti per il sostegno finanziario elargito in favore tanto dell’organizzazione della giornata di studio quanto della pubblicazione del presente volume di Atti. Ci sia inoltre consentito indirizzare un ringraziamento particolare alla Presidenza dell’Università di Nantes che ha voluto inserire la giornata di studi coriciani nell’ambito dell’edizione 2014 delle «Journées scientifiques» nantesi. Infine, viva riconoscenza ci sentiamo di esprimere al dott. Piero Cappelli, per la pazienza e la perizia con cui ne ha seguito la pubblicazione in tutte le sue fasi3.

3 Gli autori greci sono in genere citati secondo le abbreviazioni del Liddell-ScottJones (A Greek-English Lexicon, compiled by H.G. Liddell and R. Scott, revised and augmented throughout by H.St. Jones, Oxford 1996) e del Lampe (A Patristic Greek Lexicon, edited by G.W.H. Lampe, Oxford 1961); i titoli delle riviste e delle pubblicazioni periodiche sono stati abbreviati secondo le sigle dell’«Année philologique».


Aldo Corcella

Serio e giocoso in Coricio di Gaza

1. Mi è capitato, in passato, di discutere un denso passo della dialexis 1 di Coricio, pronunciata a introduzione del primo encomio per il vescovo Marciano1. Il testo rettamente costituito recita ἐνταῦθα δέ, ὦ φιλότης, ἔστι μὲν τὰ τῆς Σπάρτης ἡδέα, ἔστι δὲ καὶ τῆς ᾽Αττικῆς τὰ σεμνότερα· ἀτὰρ ἐκεῖνό γε οὐ μιμούμεθα τοὺς ᾽Αθήνησι ῥήτορας· οὐ θέμις ἡμῖν κεχαρισμένα καὶ ἀπατηλὰ πρὸς τὰ θέατρα λέγειν, ἀλλ’ ᾗ ἂν ἡμᾶς τὰ πράγματα ἄγῃ, ταύτῃ ἑπόμεθα καὶ γραφὴν ἄν τις φύγοι παρ’ ἡμῖν κολακείας2: «qui a Gaza noi abbiamo le piacevolezze spartane, e abbiamo anche gli elementi più austeri della tradizione attica [e cioè l’oratoria]; in una cosa però non imitiamo gli oratori di Atene: per noi non è lecito dire al pubblico cose gradite e ingannevoli, ma seguiamo da vicino la realtà dei fatti e così qui da noi non è possibile incorrere nell’accusa di adulazione» (I dial. 1, 4, p. 2, 7-12 F./R.). Prendendo in tal modo posizione sulla polemica platonica contro la retorica, Coricio dichiara che a Gaza, nelle feste, la cultura attica sopravvive, ma in forma depurata: restano τὰ σεμνότερα, gli elementi più seri ed austeri, e cioè sostanzialmente le recitazioni di carattere retorico, che però, in un mondo migliore di quello antico, non si caratterizzano per l’adulazione ma per il rispetto della verità. Il concetto è ulteriormente illustrato nella parte finale dello stesso encomio, dove si dichiara che a Gaza non si ricorre, nelle feste, ai volgari sberleffi cui nell’antica Atene ci si abbandonava sotto la copertura delle maschere, ma anche i cittadini più inclini al gioco e allo scherzo

1 A. Corcella, Coricio di Gaza su retorica e verità (I, dialexis 4-5), in «MedAnt», XI, 2008, pp. 447-461. 2 Mi era a suo tempo sfuggito come un passo parziale in direzione dell’esatta costituzione del testo fosse già stato compiuto da I. Sykutris, in «DLZ» 1930, col. 1842, nel recensire l’edizione teubneriana di Coricio curata da R. Foerster e E. Richtsteig, Choricii Gazaei opera, Lipsiae 1929, da cui generalmente, salvo diversa indicazione, citeremo.


Serio e giocoso in Coricio di Gaza

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(gli ἀστειότεροι) hanno un che di serio (σεμνόν) e non danno quindi scandalo, né questa loro serietà (σεμνότης) è forzata come a Sparta, bensì spontanea e naturale: Ἀθήνησι μὲν οὖν ἐν ταῖς πομπαῖς ἄνευ προσώπου κωμάζειν ὄνειδος ἐνομίζετο καὶ σκώμματα εἰς ἀλλήλους αἰσχρὰ τῶν σοφωτάτων ἡ πανήγυρις ἦν∙ ἡμῖν δὲ τοιούτων οὐ δεήσει προκαλυμμάτων. οὐ γὰρ ἀναπεπταμένῃ τῇ γλώττῃ καλλωπιζόμεθα πρὸς ἀλλήλους, ἀλλὰ καὶ τοῖς ἀστειοτέροις τῶν πολιτῶν τὸ σεμνὸν ἐπανθεῖ, ὥστε κἂν αὐτῷ <τῷ> τρίβωνί τις εἰς μέσην παραβάλλῃ χορείαν, ἐκβαίνειν οὐ δόξει τοῦ τεταγμένου. λέγονται μὲν καὶ Σπαρτιᾶται κοσμίως πανηγυρίζειν ἐπιτρέπειν τε μηδενὶ περιττῶς ἀπολαύειν τῆς ἀπὸ τοῦ καιροῦ παρρησίας ἢ τὴν μεγίστην κατὰ τοὺς νόμους ὑπέχειν ζημίαν∙ ἡμῖν δὲ προσούσης ἐπιχωρίου σεμνότητος τῆς ἐκ νόμ‹ων› οὐ δεήσει διδασκαλίας (I or. 1, 91-92 [p. 25,11-23 F./R.])3. Con il consueto meccanismo della Überbietung, Gaza supera, in tal modo, la stessa Atene4. In questo primo encomio, peraltro, questa unione di serietà e grazia che contraddistingue la città si estende allo stesso vescovo Marciano, che viene così descritto: πυκναῖς ἀεὶ διδασκαλίαις πρὸς τὸ θεῖον παιδαγωγεῖ καὶ κοινὸς πρὸς ἅπαντας ἄνθρωπος καὶ σεμνότης αὐτῷ πρόσεστιν εὔχαρις ἐν ταῖς συνουσίαις, οὐ κεκομψευμένη καὶ βίαιος, προσώπου συναγωγαῖς καὶ σχήματος ἀλαζονείᾳ καὶ φωνῆς ὄγκῳ τὸν ὄχλον ἐξαπατῶσα, καίτοι μέγα φρονεῖν αὐτῷ παρεχούσης τοσαύτης πλεονεκτημάτων φορᾶς (I or. 1, 8 [pp. 4, 24-5, 4 F./R.]). L’idea di una σεμνότης che, nella sua naturalezza, è però nel contempo εὔχαρις ricorre anche altrove nell’opera coriciana. In particolare, nell’orazione in lode di Aratio e Stefano, è il governatore Stefano ad essere additato come modello di equilibrio. Nella festa da lui organizzata per inaugurare la chiesa fatta costruire a Gaza assieme al vescovo, Stefano non mostrò né l’eccesso di austerità di un Epaminonda né la τρυφή di Alessandro: σὺ δὲ τοῦ μὲν τὴν ἄκαιρον σεμνότητα καταγνούς, τοῦ δὲ τὸ περιττῶς ἁβροδίαιτον ἀστειοσύνην τινὰ σεμνότητι συνεκέρασας ἀμφότερα τῷ καιρῷ συμβαίνοντα πράττων τοῦ μὲν ὁσίου τῆς ἑορτῆς τὸ σεμνὸν βουλομένου, τοῦ δὲ λαμπροῦ καὶ φαιδρόν τι προσαπαιτοῦντος (III or. 3, 65, p. 65,14-18 F./R.). Qui Coricio conferma quale sia il suo ideale di festa 3

Adotto l’emendazione da me proposta in Coricio di Gaza cit., p. 450 n. 8. Per Elio Aristide, al contrario, Atene era il luogo in cui la σεμνότης tragica e le χάριτες comiche armonicamente convivevano (Panath. 328, p. 117, 22-24 Lenz-Behr): un esempio fra i tanti di come Coricio, pur operando nel solco della tradizione, sia obbligato dalla novità dei tempi in cui vive a innovare. 4


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Aldo Corcella

pubblica, e di comportamento dell’autorità civile: troppa σεμνότης sarebbe inopportuna, ma non ci si può neanche abbandonare a indecenze; bisogna saper mescolare l’ἀστειοσύνη alla σεμνότης, come l’occasione di una festa gioiosa ma a carattere fondamentalmente religioso richiede. Nell’epitalamio per Procopio, Giovanni ed Elia, coerentemente, Coricio celebra la festa nuziale capace di «indurre la serietà a giocare» (ὅταν ἐρεθίσῃ τὴν σεμνότητα παίζειν: op. VI 1, p. 88, 5 F./R.). Né stupirà di vedere che il retore modello, il maestro Procopio, è σεμνός al punto che tutti lo rispettavano, ma sul suo volto erano le Cariti, sì che tutti si rallegravano alla sua vista, e in lui si realizzava l’unione di utile e dilettevole: ἦν μὲν οὖν οὕτω σεμνὸς τεταγμένα βαδίζων καὶ τὴν ὀρθήν, τὸ τοῦ λόγου, φυλάττων ὁδόν, ὅθεν ἐν ἀγορᾷ φαινομένου πᾶς εὐθὺς ὑπανίστατο καὶ πλείστην προσάγων τιμὴν ἐλάττω νέμειν ἡγεῖτο τῆς προσηκούσης. αἱ Χάριτες δὲ τὸ πρόσωπον ὅλον περιεκέχυντο, ὥστε καὶ εὐφραίνετό τις αὐτῷ μειδιῶντι προσβλέπων, ἐν δὲ ταῖς συνουσίαις μόλις μὲν ἅπας ἀναχωρεῖν ἐκαρτέρει, ὀψὲ δ’ οὖν ποτε τοῦτο ἐποίουν βελτίων ἕκαστος γενέσθαι νομίσας καὶ γεγονώς. εἰ γάρ τινα χρὴ καὶ εἰκόνα λαβεῖν τῶν προσόντων ἐκείνῳ καλῶν, φαίην ἂν αὐτοῦ τὴν ψυχὴν πηγὴν εἶναί τινα παντοίοις βρύουσαν νάμασιν ὠφελείᾳ τε καὶ τέρψει συγκεκραμένοις (op. VIII 19-20 [pp. 116, 21-117, 11 F./R.]). 2. L’idea che un autorevole uomo pubblico – il retore, il governatore, lo stesso vescovo – debba essere serio e dignitoso e però anche dotato di spirito e di affabile grazia non è naturalmente esclusiva di Coricio, ma ha una lunga tradizione; e gli stessi termini che Coricio usa per definire tali qualità hanno – come sempre nel nostro retore – una ricca storia. Evidenti sono, nei passi che abbiamo esaminato, alcuni echi senofontei di cui tra breve diremo; ma, in particolare, Coricio sembra essersi ispirato all’orazione Ad Nicoclem di Isocrate, dove si ha l’esortazione ἀστεῖος εἶναι πειρῶ καὶ σεμνός e quindi si spiega τὸ μὲν γὰρ τῇ τυραννίδι πρέπει, τὸ δὲ πρὸς τὰς συνουσίας ἁρμόττει, per poi aggiungere che bisogna cercare di essere dignitosi senza però divenire freddamente altezzosi, e gradevoli senza abbassarsi troppo (§ 34)5. Questo ideale di unione equilibrata ma non sempre facile da perseguire tra serietà e grazia percorre d’altronde tutto il mondo antico. Memorabile è il modo in cui Cicerone 5

Su σεμνός in Isocrate ved. da ultimo E. Alexiou, Der Euagoras des Isokrates. Ein Kommentar, Berlin-New York 2010, p. 134.


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dipinge, per bocca di Antonio, la capacità unica che Crasso aveva di fondere le due qualità: esse quamvis facetum atque salsum non nimis est per se ipsum invidendum; sed cum omnium sit venustissimus et urbanissimus, omnium gravissimum et severissimum et esse et videri, quod isti contigit uni, [id] mihi vix ferendum videbatur (de orat. II 228). In età tardoantica, è soprattutto, naturalmente, il Proclo di Marino a incarnare il modello: καὶ γὰρ διὰ τὸ ἐν ταῖς κοιναῖς συνουσίαις καὶ ταῖς ἱεραῖς αὐτοῦ ἑστιάσεσι καὶ ταῖς ἄλλαις δὲ πράξεσιν ἀστεῖόν τε καὶ εὔχαρι, καὶ ταῦτα δὲ οὐκ ἔξω τοῦ σεμνοῦ, τοὺς συνόντας ἀεὶ ἐπήγετο καὶ εὐθυμοτέρους ἀπέπεμπεν (Vita Procli 5). Nella stessa Gaza, Procopio aveva del resto descritto Timoteo come ἡδὺς ... πείρᾳ γνωσθῆναι ἐν ἱππικοῖς ἀγῶσι καὶ λουτρῶν ἀφθονίᾳ e però nel contempo σεμνότερος τῇ τῶν ὑπάτων στολῇ τὴν φιλοτιμίαν βοῶν (Descr. imag. 42), mentre secondo Enea Socrate aveva filosofato esprimendosi χαριέντως καὶ σεμνῶς (ep. 2). Potemmo facilmente moltiplicare gli esempi, ma è più interessante è osservare qualcosa sui termini che, nel solco di questa tradizione, Coricio ha scelto. La dignità e serietà dell’uomo pubblico è la σεμνότης. Il termine esprime una autorità morale che genera rispetto; e soprattutto in riferimento a donne ne indica la verecondia e quindi l’onorabilità sociale (vari gli esempi di questa accezione in Procopio e Coricio)6. Il termine può però anche avere connotazioni religiose cristiane, al punto da essere talora usato in riferimento a vescovi7. Un uomo σεμνός è quindi un uomo socialmente riconosciuto come austero e irreprensibile, che non si abbandona a comportamenti sconvenienti dal punto di vista morale. La σεμνότης deve però essere, per Coricio, opportuna e commisurata alle circostanze (non ἄκαιρος), e bisogna saper riservare il giusto spazio allo scherzo e al divertimento. Per definire questi altri aspetti Coricio ricorre ad ἀστεῖος e alla sfera di χάρις: urbanità e grazia, insomma. Anche in questo caso i termini sono ben scelti: nella Ciropedia, Senofonte aveva infatti contrapposto agli ἀλαζόνες, che fingono e ingigantiscono per interesse, gli uomini che fanno sì ridere, nelle occasioni sociali, ma 6 Si veda in proposito quanto osserva E. Amato, Procope de Gaza, Discours et fragments, texte établi, introduit et commenté par E. A., avec la collaboration de A. Corcella et G. Ventrella, traduit par P. Maréchaux, Paris 2014, p. 413 n. 3. 7 Si veda la sintesi di W. Foerster in Grande Lessico del Nuovo Testamento. Fondato da G. Kittel, continuato da G. Friedrich, Edizione italiana a cura di F. Montagnini, G. Scarpat, O. Soffritti, vol. XI, Brescia 1977, coll. 1503-1518.


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Aldo Corcella

non lo fanno né per interesse né per malizia e meritano di essere chiamati ἀστεῖοι ... καὶ εὐχάριτες (2, 2, 12); e dello stesso Ciro aveva detto che, dopo essere stato un bambino espansivo e irruente come un cucciolo, crescendo ἡσυχαίτερος μὲν ἦν, ἐν δὲ ταῖς συνουσίαις πάμπαν ἐπίχαρις (1, 4, 4). La sfera del divertimento, della rilassatezza, di un atteggiamento più leggero nei confronti della vita è insomma da Coricio descritta con termini che già di per sé evocano affabile socialità e moderazione, e escludono gli aspetti più volgari, eccessivi e sguaiati. Le parole scelte contribuiscono quindi esse stesse a evocare una situazione di equilibrio, senza eccessi: un uomo serio che sappia, nelle circostanze della vita sociale che lo richiedono, scherzare e divertirsi non può che essere civile, e promanare grazia. Procopio, Stefano, lo stesso Marciano sono così, e rappresentano quindi al meglio quella comunità gazea che sa celebrare feste gioiose ma non immorali. 3. Alla luce di quanto abbiamo fin qui visto, è ora possibile tentare una lettura più attenta dell’Apologia mimorum, da sempre oggetto di interpretazioni divergenti. Il mimo era, come è noto, oggetto di aspre critiche da parte di alcuni ambienti ecclesiastici e però continuava, nell’età di Giustiniano, ad essere una vitale forma di spettacolo, spesso presente nelle feste8. Coricio lo difende dagli attacchi, sostenendo che il divertimento offerto dai mimi è sano e innocuo, e non si collega a corruzione morale; ma in che spirito lo fa? Secondo alcuni interpreti, l’Apologia mimorum addirittura proverebbe un fondamentale paganesimo del retore, in polemica con gli scrupoli cristiani9; altri hanno voluto invece 8

Oltre l’introduzione all’edizione di I.E. Stefanis, Χορικίου σοφιστοῦ Γάζης Συνηγορία μίμων, Thessaloniki 1986, si vedano in particolare G.J. Theocharidis, Beiträge zur Ge-

schichte des byzantinischen Profantheaters im IV. und V. Jahrhundert, hauptsächlich auf Grund der Predigten des Johannes Chrysostomos, Patriarchen von Konstantinopel, Diss. München, Thessaloniki 1940; O. Pasquato, Gli spettacoli in S. Giovanni Crisostomo: paganesimo e cristianesimo ad Antiochia e Costantinopoli nel IV secolo, Roma 1976; L. Lugaresi, Il teatro di Dio. Il problema degli spettacoli nel cristianesimo antico (II-IV secolo), Brescia 2008. 9 Così specialmente T. Barnes, Christians and the Theatre, in Roman Theater and Society, ed. by W.S. Slater, Ann Arbor 1996, pp. 161-180 (nella ristampa in Beyond the Fifth Century. Interactions with Greek Tragedy from the Fourth Century BCE to the Middle Ages, ed. by I. Gildenhard and M. Revermann, Berlin-New York 2010, pp. 315-334,


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vedervi un semplice lusus fondamentalmente disimpegnato10; per altri ancora, ed è certo posizione più equilibrata, Coricio rivendicherebbe uno spazio secolare di fiction non espressamente cristiana anche se con il cristianesimo compatibile11. La risposta non può essere univoca, e Coricio stesso aveva in fondo previsto, e per certi versi programmato, le diverse reazioni. Il punto può ben essere illustrato a partire dalla dichiarazione programmatica che si legge alla fine della θεωρία, dove ritroviamo la coppia σεμνός/ἀστεῖος. Dopo aver dichiarato, con echi simonidei e platonici ben illustrati da Eugenio Amato12, che nell’affrontare un tema delicato non si farà indurre dalla prudenza a violare la verità, Coricio conclude: οἷς μὲν οὖν ἦθος ἀστεῖον καὶ χάρις ἔμφυτος ἐπανθεῖ, τούτοις ἔστω μοι συνηγορία μίμων ὁ λόγος∙ ὅτῳ δὲ φίλον κατὰ τὴν ποίησιν ἀναίτιον αἰτιάσασθαι καὶ σεμνότερος εἶναι δοκεῖν ἐθέλει τοῦ δέοντος, οὗτος γυμμνάσιον καλείτω μοι τὴν ὑπόθεσιν (op. XXXII th. 4 [pp. 344, 15-345, 3 F./R.])13. Il senso è, più o meno, «per chi ha spirito ed è naturalmente provvisto di grazia questo mio discorso valga come una difesa dei mimi; chi si compiace – come dice il poeta14 – di incolpare chi non ha colpa e vuol far vedere di essere più serio del dovuto chiami pure il mio soggetto una esercitaziol’autore ha però corretto la sua posizione in un Addendum a p. 331); si veda anche Lugaresi, Il teatro di Dio cit., pp. 217-218, mentre pensa a una posizione neutrale di Coricio verso la religione V. Malineau, L’apport de l’« Apologie des mimes » de Chorikios de Gaza à la connaissance du théâtre du VIe siècle, in Gaza dans l’Antiquité Tardive. Archéologie, rhétorique et histoire. Actes du colloque international de Poitiers (6-7 mai 2004), éd. par C. Saliou, Salerno 2005, pp. 149-169, praes. 168-169. 10 Così ad es. D. Westberg, Celebrating with Words. Studies in the Rhetorical Works of the Gaza School, Diss. Uppsala Universitet 2010, pp. 141-142. 11 In questo senso soprattutto B. Schouler, Un ultime hommage à Dionysos, in «CGITA», XIV, 2001, pp. 249-280 e R. Webb, Rhetorical and theatrical fictions in Chorikios of Gaza, in Greek literature in late antiquity : dynamism, didacticism, classicism, ed. by S.F. Johnson, Aldershot 2006, pp. 107-124. Per una più ampia discussione delle diverse posizioni sull’argomento rinvio alla rassegna della bibliografia coriciana (1929-2010) da me curata per «Lustrum». 12 E. Amato, Une nouvelle allusion à Simonide chez Chorikios de Gaza, in «Mouseion», IV, 2004, pp. 121-125. 13 Adotto la correzione συνηγορία μίμων proposta da Stefanis, Χορικίου σοφιστοῦ cit., pp. 34, 54, 147. 14 L’espressione è iliadica (XIII 775) e Coricio la usa altrove per indicare, non senza una certa ironia, l’atteggiamento del maestro severo sempre pronto a punire, a suon di frusta, i suoi scolari (op. V 9 [p. 83, 15-17 F./R.]): significativo parallelo con il moralisti-


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ne»; ma solo il confronto con i passi che abbiamo elencato in precedenza rende davvero chiaro il senso di questa affermazione15. Coricio sa bene che il suo pubblico potrà reagire, di fronte alla difesa dei mimi, in due maniere. Da un lato vi è «chi vuole sembrare più austero del dovuto», e su questa base è sempre pronto a trovare colpe anche laddove non vi sono: proprio come nel caso di Epaminonda descritto nell’encomio per Aratio e Stefano, vi è una serietà inopportuna, ancor meno condivisibile se meramente esibita (se insomma si ha, diversamente dal Crasso ciceroniano, solo il videri e non anche l’esse). Coricio non è, chiaramente, dalla parte di costoro, bensì dalla parte degli uomini di mondo dotati di naturale grazia e leggerezza. Per questi ultimi non vi sarà problema ad accettare l’Apologia mimorum come un vero λόγος scritto e recitato, con piena convinzione, in difesa dei mimi. Gli altri, i rigoristi o coloro che vogliono apparire tali, ne sarebbero indignati e turbati; prendano allora il soggetto dell’Apologia come un mero esercizio, un γυμνάσιον. Per meglio comprendere il termine γυμνάσιον si farà volentieri ricorso a un aneddoto su Cicerone menzionato da Plutarco: Μᾶρκον δὲ Κράσσον ἐγκωμιάζων ἀπὸ τοῦ βήματος εὐημέρησε, καὶ μεθ’ ἡμέρας αὖθις ὀλίγας λοιδορῶν αὐτόν, ὡς ἐκεῖνος εἶπεν «οὐ γὰρ ἐνταῦθα πρώην αὐτὸς ἡμᾶς ἐπῄνεις;» «ναί» φησι, «μελέτης ἕνεκα γυμνάζων τὸν λόγον εἰς φαύλην ὑπόθεσιν» (Cic. 25, 2). Ritroviamo, ancora, Crasso, qui considerato – per battuta, beninteso – un soggetto di cui non si potrebbe di norma parlar bene, sicché chi affronti questa impresa altro non farà che esercitare la sua capacità oratoria su un tema contrario alla verità e su cui è difficile argomentare, per mettersi alla prova. Si avrà, in tal caso, una μελέτη su un tema irreale – e γυμνάσιον, o γύμνασμα, è anche in effetti un sinonimo di μελέτη16. È proprio questo il punto su cui Coricio, nella θεωρία, gioca;

co censore, che ha nei confronti del prossimo un analogo atteggiamento acerbamente pedagogico. 15 Un ulteriore interessante confronto per il modo in cui sono descritte le diverse reazioni di due tipi di pubblico si ha in Giovanni Crisostomo, De S. Babyla 21 Schatkin: di fronte ad assurdità quali quelle proclamate dai pagani gli ἀστειότεροι rideranno, i σεμνότεροι piangeranno. 16 Si vedano, ad es., Siriano, Comm. in Herm. π. στάσεων, p. 58 Rabe, o la Hypothesis all’Archidamus di Isocrate. Notevole è anche un passo in cui Giovanni Crisostomo, nell’addurre un esempio scabroso, spiega καθ’ ὑπόθεσιν τὸν λόγον γυμνάσωμεν· μὴ γὰρ δὴ


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e si comprende allora meglio perché abbia composto quest’opera in una forma «sperimentale»17 e difficile da classificare, donde il dubbio – già nella tradizione manoscritta e poi tra gli studiosi – se andasse posta tra i λόγοι o tra le μελέται18. Lo scolio iniziale la definisce in effetti λόγος; e però, diversamente dai λόγοι e alla pari delle μελέται, essa presenta una θεωρία. Allo stile della declamazione d’altra parte appartengono tratti formali come la replica a un innominato accusatore o l’invocazione agli dei, in particolare a Dioniso, che potrebbero essere presi per innocua finzione classicistica se non fosse per il fatto che, diversamente dalle normali μελέται, l’Apologia non è ambientata nell’immaginaria Sofistopoli ma fa esplicito riferimento alla realtà dell’impero e all’orizzonte della Gaza e della Palestina contemporanee, alludendo a personaggi e situazioni specifiche note all’immediato pubblico gazeo e citando anche tratti autobiografici che ben si attagliano allo stesso Coricio (si pensi soprattutto al riferimento alla personale visione di mimi prima di diventare retore del § 4). In tal modo, le tesi sostenute assumono un valore attuale: al di là del velo della finzione diviene possibile riconoscere Coricio stesso come persona loquens19 ed emerge, inconfondibile, la fisionomia non più di una fittizia declamazione o γυμνάσιον bensì di una vera orazione o λόγος. Proprio questo vuol dire la θεωρία: Coricio difenderà i mimi parlando in prima persona, ma lo farà nella forma di una fittizia declamazione, sicché, fermo restando che omnia munda mundis, chi si fa scrupolo di apparire più σεμνός del dovuto ed è sempre pronto ad accusare il prossimo potrà prenderla come tale, e ritenere che il parlante non sia Coricio ma un retore immaginario che esprime idee appropriate al suo ethos di cui l’autore non risulterà quindi responsabile. L’ambiguità dell’Apologia mimorum non è, insomma, il frutto delle incertezze dei moderni, ma ha una ragione profonda nella divisione

γένοιτο ἐπὶ τῆς ἀληθείας αὐτῆς εὐπορῆσαι παραδείγματος τοιούτου (hom. in ep.I ad Cor. 44,

3, in PG LXI, col. 378). 17 La definizione è di A. Kaldellis, Hellenism in Byzantium. The Transformations of Greek Identity and the Reception of the Classical Tradition, Cambridge 2008, p. 175. 18 Anche per questo punto rinvio alla discussione nella rassegna della bibliografia coriciana (1929-2010) da me curata per «Lustrum». 19 È notevole, tra l’altro, come la perorazione finale (op. XXXII 158 F./R.) ricordi quella della theoria dello Spartiates (op. XXIX th. 5 F./R.), dove il parlante è naturalmente lo stesso Coricio.


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esistente all’interno del pubblico di Gaza, e nella conseguente prudenza del retore. Coricio l’avrà recitata nelle stesse circostanze in cui di solito proponeva le sue consuete μελέται; ma ha scelto di presentare al suo θέατρον un discorso molto particolare, che gli ἀστεῖοι avranno apprezzato come esposizione di tesi sostenute dallo stesso autore, mentre di fronte a quanti fossero voluti apparire più σεμνοί del dovuto era possibile sostenere che si trattasse di una sofistica μελέτη su un fittizio turpe genus, e sfuggire così alle polemiche – anzi, ed è precisazione alquanto inquietante, alle accuse. 4. Insomma, nel mentre Coricio difende l’elemento giocoso dalle critiche dei severiores rivela come diverse fossero, nella comunità, le posizioni in proposito. Nonostante l’uscita di sicurezza della possibile interpretazione come γυμνάσιον, l’Apologia chiaramente testimonia di una presa di posizione netta in favore del mimo e della comicità, nonché di una polemica contro gli eccessi dei rigoristi da parte di Coricio. Nel lodare Stefano per come organizzò e condusse la festa di inaugurazione della chiesa gazea, il retore sembra confermare, con qualche prudenza, questa prospettiva in fondo tollerante: il governatore sarà stato, anche per il suo ruolo, piuttosto ἀστεῖος che σεμνός a sproposito, e avrà saputo salvaguardare, nella festa religiosa, aspetti più mondani, e forse anche momenti di spettacolo. Negli encomi per il vescovo Marciano, e soprattutto nel secondo, emerge però un atteggiamento un po’ meno aperto. Nella prima dialexis, si è visto, Coricio sostiene che, mentre ad Atene non tutto era pienamente σεμνόν, a Gaza si preservano solo τὰ σεμνότερα, e nel corpo del discorso dichiara che, a Gaza, questa presenza del σεμνόν anche nei più inclini al gioco impediva il κωμάζειν e gli σκώμματα; ma l’ideale di conciliazione tra serio e giocoso è comunque in qualche misura presente, al punto che lo stesso vescovo Marciano vi viene coinvolto. Più netto, e più fosco, al confronto, mi pare il quadro tracciato nel secondo e successivo encomio, dove come elementi negativi delle feste antiche che a Gaza mancano sono indicati, in serie, δυσέριδες ἆθλοι καὶ δημώδεις φωναὶ καὶ χορεία τις ἀπειρόκαλος καὶ πρέπουσα ταῖς Διονύσου σκηναῖς (II or. 2, 70 [p. 45, 11-13 F./R.]). Beninteso, Coricio non sta qui dicendo che nelle feste gazee manchino gli spettacoli, e la critica alla χορεία riguarda più la pantomima che il mimo. Pure, questa definizione tutta negativa degli elementi «convenienti alle scene di Dio-


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niso» costituisce comunque un apprezzamento che non ci aspetteremmo dall’autore dell’Apologia mimorum; e nel primo encomio, lo si è visto, si era invece evocata, sia pure per paradosso, la possibilità che i cittadini gazei mantenessero intatta la loro naturale dignità anche se si fossero messi a danzare in mezzo alla strada. Si tratta, certo, di sfumature, ma a leggere tra le righe si ha l’impressione che il secondo encomio sia stato pronunciato in un momento in cui più forte era il sospetto contro alcuni elementi delle feste tradizionali (soprattutto i giochi scanditi da intermezzi scenici, con le risse tra tifosi che ne conseguivano) e in cui il vescovo, e forse la stessa autorità civile, saranno stati costretti a intervenire; Coricio, di conseguenza, avrà sentito il bisogno di marcare la propria approvazione per tale linea repressiva, forse anche per chiarire che il suo apprezzamento per i mimi non implicava condiscendenza per certi aspetti discutibili e pericolosi delle feste e degli spettacoli, e per confermare che tra scena e vita doveva pur sempre esservi una chiara differenza. Sospetterei, insomma, che il secondo encomio risalga a un momento in cui, nella comunità gazea, si era verificata una qualche crisi, sì da favorire la tendenza dei rigoristi a essere σεμνότεροι τοῦ δέοντος e da porre qualche problema agli ἀστεῖοι come Coricio. Sono ben conscio del fatto che si tratta di un’ipotesi ben difficile da suffragare con elementi circostanziali più forti, data l’impossibilità di datare ad annum le opere coriciane. Quanto abbiamo fin qui esposto può forse comunque aiutare a comprendere in maniera meno generica la posizione ideologica e culturale di Coricio nella Gaza del suo tempo. È idea ampiamente diffusa che l’opera di Coricio, e in generale dei retori gazei, testimoni di un equilibrio tra cultura pagana e cultura cristiana che, nella Gaza del tempo, si sarebbe armonicamente realizzato. Secondo Yakov Ashkenazi, ad esempio, nella città palestinese, tra V e VI secolo, «sophists and priests, Hellenistic heritage and Christian devotion, Christian worship and pagan festivals, and perhaps even Chalcedonians and anti-Chalcedonians, existed alongside each other in a harmony»20; e un giudizio analogo si può leggere in vari altri studi21. 20 Y. Ashkenazi, Sophists and priests in late antique Gaza, as reflected in the writings of the Rhetor Chorikius, in Christian Gaza in Late Antiquity, ed. by B. Bitton-Ashkelony and A. Kofsky, Leiden-Boston 2004, pp. 195-208, praes. 207. 21 Ad es. in R. Van Dam, From Paganism to Christianity at Late Antique Gaza, in


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Non manca, in questa posizione, una certa verità; e, come abbiamo visto, l’equilibrio fra antico e moderno, fra tradizione pagana e morale cristiana, fra serio e giocoso è un ideale che Coricio espressamente teorizza e proclama. Pure, non sono mancati studiosi che hanno messo in luce come questo ideale equilibrio si riveli, nella realtà, instabile e animato da una tensione continua: in tal senso si è espresso, in particolare, Jan R. Stenger, che ha notato come le stesse citazioni del mito siano spesso accompagnate, in Coricio, da riserve e formule relativizzanti, tali da far intravedere un certo «unease about myths» e un atteggiamento difensivo rispetto a critici della cultura classica che non dovevano a Gaza, evidentemente, mancare22. L’analisi fin qui condotta dei passi in cui Coricio descrive l’equilibrio tra serio e giocoso mi pare rafforzi questa seconda prospettiva. Da un lato, certo, Gaza è il luogo nel quale, in una rappresentazione ideale, σεμνότης e ἀστειόσυνη si conciliano; ma la stessa insistenza con cui Coricio ripropone questa visione si presta ad essere intesa come la volontà di diffondere un messaggio non per tutti ovvio più che come l’affermazione di una sicura e indiscussa verità. E, in effetti, lo stesso Coricio, nel proprio commento d’autore alla Apologia mimorum, puntualmente rivela che il pubblico cui si rivolge è almeno potenzialmente diviso tra persone più inclini ad accettare il lato giocoso della vita senza troppi problemi ed altre pronte, invece, a vestirsi di una estremistica serietà sulla base della quale muovere critiche e accuse al prossimo. La tensione poteva restare latente, e allora si può ben immaginare che il governatore, e anche lo stesso vescovo, tranquillamente accettassero, a fianco o addirittura all’interno o di una festa religiosa, elementi non immediatamente riconducibili alla morale e alla sensibilità cristiana. In alcuni momenti, però, e in alcune specifiche situazioni, il contrasto poteva invece scoppiare, e il retore doveva allora tenerne conto. Il suo mestiere consi-

«Viator», XVI, 1985, pp. 1-20 o in J.H.W.G. Liebeschuetz, The Decline and Fall of the Roman City, Oxford 2001, pp. 229-230; ma anche per questo punto si rinvia alla più ampia discussione nella rassegna della bibliografia coriciana (1929-2010) da me curata per «Lustrum». 22 Si veda specialmente J. Stenger, Chorikios und die Ekphrasis der Stephanoskirche von Gaza: Bildung und Christentum im städtischen Kontext, in «JbAC», LIII, 2010, pp. 81-103. La cautela coriciana rispetto al mito era stata del resto già ottimamente notata da A. Stock, De prolaliarum usu rhetorico, diss. Regimonti 1911, p. 98.


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steva, in fondo, nell’amministrare la cultura classica, nonostante tutte le mediazioni pur sempre pagana, in un mondo cristiano, e bisognava saper sempre trovare parole adatte alle mutevoli circostanze. Da ciò dipende, con ogni probabilità, il fatto che Coricio, pur restando sostanzialmente fedele a sé stesso e a un ideale di tollerante equilibrio, mostri però, nelle varie occasioni in cui parla del rapporto tra serio e giocoso, differenti sfumature, che ci rivelano una realtà più dinamica e complessa di ogni raffigurazione ideale, e refrattaria a troppo facili semplificazioni.


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