«Chi ha rubato i cieli? Galileo, la “Lettera a Cristina” e...», a cura di E. Lupieri e P. Ponzio

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collana diretta da Costantino Esposito e Pasquale Porro

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© 2019, Pagina soc. coop., Bari

Questo volume è pubblicato grazie a un contributo del Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.

Chief Editors Costantino Esposito (Università degli Studi di Bari Aldo Moro) Pasquale Porro (Università degli Studi di Bari Aldo Moro / Sorbonne Université Paris) Editorial Board (Associate Editors) Olivier Boulnois (EPHE Paris) • Vincent Carraud (Sorbonne Université Paris) • Laurent Cesalli (Genève) • Catherine König-Pralong (AlbertLudwigs-Universität Freiburg i.Br.) • Dominik Perler (Humboldt-Universität Berlin) • Paolo Ponzio (Bari Aldo Moro) • Riccardo Pozzo (Verona)• Christof Rapp ( Ludwig-Maximilians-Universität München) • Jacob Schmutz (Sorbonne Université Paris) • Andreas Speer (Köln) • Giusi Strummiello (Bari Aldo Moro) Editorial Advisory Panel Giulia Belgioioso (Università del Salento, Lecce) • Enrico Berti (Padova) • Mario Caimi (Buenos Aires) • Mário Santiago de Carvalho (Coimbra) • Jean-François Courtine (Sorbonne Université Paris) • Alain de Libera (Collège de France, Paris) • Giulio d’Onofrio (Salerno) • Kent Emery, Jr. (Notre Dame) • Dimitri Gutas (Yale) • FriedrichWilhelm von Herrmann (Albert-Ludwigs-Universität Freiburg i.Br.) • Norbert Hinske (Trier) • Maarten J.F.M. Hoenen (Universität Basel) • Ruedi Imbach (Fribourg) • Alexei N. Krouglov (Russian State University for the Humanities, Moscow) • Jean-Luc Marion (Divinity School, University of Chicago) • Gregorio Piaia (Padova) • Stefano Poggi (Firenze) • Carlos Steel (Leuven) • Loris Sturlese (Università del Salento, Lecce) • Márcio Suzuki (São Paulo)


Chi ha rubato i cieli? Galileo, la Lettera a Cristina e le origini della modernitĂ A cura di Edmondo Lupieri e Paolo Ponzio Con testi di Galileo, Foscarini e Bellarmino


Ludovica Eugenio ha tradotto dall’inglese i saggi di George V. Coyne, John P. McCarthy, Dennis D. McCarthy e Asim Gangopadhyaya.

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma rivolgersi a: Edizioni di Pagina via Rocco Di Cillo 6 - 70131 Bari tel. e fax 080 5031628 http://www.paginasc.it e-mail: info@paginasc.it facebook account http://www.facebook.com/edizionidipagina twitter account http://twitter.com/EdizioniPagina instagram https://www.inst4gram.com/tag/edizionidipagina

ProprietĂ letteraria riservata Pagina soc. coop. - Bari Finito di stampare nel maggio 2019 da Services4Media s.r.l. - Bari ISBN 978-88-7470-684-6 ISSN 1973-977X


Indice

Edmondo Lupieri Introduzione 9 George V. Coyne, SJ Dov’è finito il cielo? Galileo e la nascita della scienza moderna

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Paolo Ponzio Galileo e le cosiddette “teologie amiche”: lo strano caso di Tommaso Campanella e Paolo Antonio Foscarini

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John P. McCarthy La lettera alla Granduchessa Cristina (1615): giustizia, reinterpretazione e pietà

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Mauro Pesce La lettera di Galileo a Cristina e la certezza culturale della Bibbia

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Dennis D. McCarthy Il telescopio di Galileo

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Asim Gangopadhyaya Il contributo di Galileo alla meccanica

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Edmondo Lupieri Indice

Testi Galileo Galilei Lettera a Madama Cristina di Lorena

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Paolo Antonio Foscarini Lettera sopra l’Opinione de’ Pittagorici e del Copernico

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Roberto Bellarmino Lettera al padre Paolo Antonio Foscarini

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Gli Autori

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Chi ha rubato i cieli? Galileo, la Lettera a Cristina e le origini della modernitĂ


Edmondo Lupieri Introduzione

Dopo aver rifiutato di baciare il crocifisso, con un bavaglio di ferro che gli impediva di aprire la bocca e con un uncino conficcato nella lingua, il 17 febbraio del 1600 Giordano Bruno, denudato e appeso a testa in giù, era stato arso vivo a Roma, in Campo de’ Fiori. Consultore del Sant’Uffizio dal 1597, il cardinale Bellarmino sembra avesse tentato di convincere l’imputato ad un’abiura totale che gli avrebbe forse salvato la vita. Imprigionata e stritolata nelle controversie fra cattolici e protestanti di varie tendenze, la teoria eliocentrica copernicana, variamente adattata, fa spesso capolino nei verbali dei processi e nelle condanne per eresia, empietà e ateismo che punteggiano sinistramente l’attività dei tribunali inquisitoriali alla fine del XVI secolo e agli inizi del XVII. La cultura ufficiale cattolica si avviava nel vicolo cieco delle proprie contraddizioni: dopo il 1609, anno in cui Galileo aveva puntato per la prima volta il suo perspicillum verso il cielo, gli astronomi romani, gesuiti e non solo, sapevano benissimo che i satelliti ruotanti attorno a Giove provavano l’impossibilità dell’esistenza delle volte celesti e causavano quindi la crisi di tutto il sistema tolemaico. Eppure il 9 febbraio del 1619 un altro figlio del Meridione d’Italia, frate anche lui, fuggitivo, fattosi anglicano e poi tornato cattolico, il pugliese Giulio Cesare Vanini, sotto falso nome, finisce sul patibolo nella cattolica Tolosa, in quanto empio, bestemmiatore, impenitente. Fra le molte colpe di cui era accusato (fra l’altro non credeva che il diluvio fosse stato universale, riteneva possibile il poligenismo invece della creazione secondo il narrato biblico, pensava a una parentela genetica fra uomini e scimmie e altri animali...) figurava anche l’idea che la terra non fosse al centro dell’universo. Anche lui rifiutò di baciare il crocifisso che un altro frate, ignaro dei suoi antichi voti, gli aveva porto. A lui, però, la lingua la strapparono, con apposita tenaglia. Poi


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gli fecero il favore di strangolarlo, prima di bruciarne il corpo e spargere le ceneri1. Quelli erano gli anni e l’atmosfera in cui si trovò a operare Galileo Galilei, il quale era perfettamente cosciente dei rischi che correva, soprattutto se avesse usato l’arma a doppio taglio dell’ironia all’interno di un testo fittiziamente dialogico – come avevano fatto Bruno e Vanini. Forte di protezioni politiche inusuali (la corte granducale di Firenze gli fu sempre scudo efficace, persino a fronte delle ire papali), Galileo si mostrò malleabile, accettando prima il “suggerimento” a tacere da parte di Bellarmino e poi, quando, morto Bellarmino, cercarono di distruggerlo, l’imposizione dell’abiura. Così non finì sul rogo, ma morì vecchio, per quegli anni, nella gabbia dorata del domicilio coatto in una villa di sua proprietà. Sarà spiaciuto a quanti avrebbero voluto vederlo distrutto, come a quanti, magari nei bollori del Risorgimento italiano, avrebbero voluto anacronisticamente catalogarlo fra gli “spiriti forti” anticlericali e anticristiani. Ma Galileo non fu anticristiano. Certi suoi comportamenti ci paiono oggi difficili da condividere, a partire da quelli della sua vita privata, come quando, dei tre figli avuti da una donna che non sposò mai, decise di legittimare solo il figlio maschio, chiudendo le due figlie femmine in convento; dobbiamo però credere nella sua sincerità quando poi cercò di trovare un modo per salvaguardare almeno un valore specifico al testo biblico e permettere allo stesso tempo di svincolare la ricerca scientifica dal cappio dell’inerranza biblica. Il conflitto tra le risultanze dell’esperienza sensibile, verificata con l’ausilio della nuova strumentazione scientifica, e l’interpretazione tradizionale del dettato biblico, sostenuta da una consolidata riflessione filosofica, di solito di stampo aristotelico, era infatti forse il principale ostacolo, ideale e metodologico, che si parava dinanzi alle riflessioni di studiosi e pensatori all’alba della modernità. Galileo decise di affrontarlo. E, dopo lungo lavorìo, ora confermato anche da recenti scoperte di autografi galileiani, nel 1615 produsse un testo (pubblicato solo nel 1636) che, anche al di là delle sue stesse intenzioni, diventerà fondante per l’esegesi biblica moderna: la Lettera a Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana. Il libro che ora consegniamo alle stampe ha una lunga storia alle sue 1 Per l’empietà di Vanini, testi e dati essenziali in Giulio Cesare Vanini, Confutazione delle religioni, a cura di R. Barcellona, prefazione di M. Sgalambro, Catania 1993. Per il recente ritorno allo studio di Vanini, cf. S. Apollonio, M. Carparelli, D.M. De Fazio, Giulio Cesare Vanini nella cultura filosofica francese del Seicento e del Settecento. Dal “libertinisme érudit” all’illuminismo, Napoli 2019.


Introduzione

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spalle. Nasce da un’idea di uno dei contributori, John McCarthy, della Loyola University di Chicago, che, all’approssimarsi del quadricentenario della Lettera, mi propose di organizzare almeno un convegno sull’argomento. Così, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura e le strutture consolari italiane in Chicago e con il patrocinio morale del Pontificio Consiglio della Cultura e della Fondazione Scienza e Fede – STOQ nell’anno accademico 2015-2016 demmo vita a una serie di eventi centrati attorno alla figura di Galileo e alla Lettera a Cristina. Con l’aiuto di molti e presso diverse sedi, le varie manifestazioni andarono dalla rappresentazione del Galileo di Brecht a concerti di musiche per liuto e coro, composte dal padre e dal fratello di Galileo, e a un concerto sinfonico con esecuzione de I Pianeti di Holst; da un colloquio su Bellarmino e il copernicanesimo e due conferenze su Galileo e il Vaticano a una discussione con Alice Dreger, autrice di Galileo’s Middle Finger2; da una dimostrazione pratica degli esperimenti originali galileiani nel campo della meccanica a un convegno internazionale sulla Lettera a Cristina. Cinque dei contributi presentati a quel convegno hanno visto la luce in inglese nel 20173.Questo volume è il risultato dell’incontro con Paolo Ponzio, Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Bari e storico della filosofia moderna, e vede la luce nel quadricentenario dell’esecuzione di Vanini. I cinque capitoli del volumetto in inglese vengono ora riproposti, tradotti e aggiornati, con una integrazione essenziale di Paolo Ponzio e un’appendice di testi originali che permetterà ai lettori di costruire un quadro preciso ed effettivo degli eventi e delle tensioni che si incrociarono in quegli anni e segnarono, in quell’inizio di secolo XVII, la svolta culturale fondante per la modernità, almeno nel mondo della cultura occidentale. Il primo capitolo, di George Coyne, SJ, già Direttore dell’Osservatorio Vaticano, introduce il lettore nel mondo personale e culturale di Galileo, mettendo a fuoco l’importanza della rivoluzione copernicana e galileiana. Agli inizi del Seicento, infatti, ancora non esisteva una “scienza” intesa in termini moderni. La riflessione filosofica era deduttiva e di solito non empirica, basata più sulla logica che sull’osservazione o il calcolo. Coyne ci accompagna a guardare dall’interno l’avventura di Galileo, destinato a muoversi come un equilibrista nei contrasti e negli scontri fra i vari gruppi di potere nella cultura italiana di allora, sino alle controversie degli Anni 2 A. Dreger, Galileo’s Middle Finger: Heretics, Activists, and the Research for Justice in Science, New York 2015. 3 J.P. McCarthy, E.F. Lupieri (eds.), Where Have All the Heavens Gone? Galileo’s Letter to the Grand Duchess Christina, Eugene (OR) 2017.


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Trenta, al contrasto con la Chiesa cattolica e al processo e alla condanna. Con una riflessione sul fatto che proprio la posizione di Galileo, dopo secoli, è quella adottata dalla Chiesa. Il nuovo contributo di Paolo Ponzio analizza le discussioni fra Campanella, Foscarini e Galileo, in modo da costruire quel quadro ideale di riferimento e quel contesto culturale e politico immediato in cui prese forma la Lettera a Cristina, ma anche analizzare – da punti di vista differenti – quelle teologie “filo-copernicane” più vicine allo scienziato pisano e, forse, proprio per questo, anche più pericolose per la curia romana dell’epoca. Il terzo contributo, di John McCarthy, già Direttore del Dipartimento di Teologia alla Loyola di Chicago, studia la preistoria letteraria e concettuale della Lettera a Cristina e mette a fuoco il significato del riferimento galileiano alla virtù civica della “pietà” nella discussione costruita da Galileo sul rapporto che deve intercorrere tra scienza (in senso moderno) e interpretazione biblica. Il richiamo alla “pietà” appare come un elemento fondante del tentativo galileiano di far avanzare la riflessione teologica sui due “libri” della rivelazione (la Bibbia e la natura), tentativo che, se compreso e accettato, avrebbe permesso di salvaguardare il magistero ecclesiale secondo i dettami del Concilio di Trento (che paiono accettati da Galileo in modo non formale) insieme con l’accoglimento dei dati che le osservazioni metodologicamente nuove stavano apportando alle conoscenze scientifiche. Emerge quindi una dimensione pre-moderna, ma non secondaria, del pensiero galileiano. Decisamente centrato sugli aspetti più evidentemente moderni di tale pensiero è il contributo di Mauro Pesce, già ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, il quale vede nell’ermeneutica biblica galileiana come espressa nella Lettera a Cristina lo strumento per spostare la “certezza culturale” dell’intera società occidentale da quella fondata sulla Bibbia, sostenuta dall’aristotelismo dell’epoca e controllata dalla Chiesa cattolica, alla certezza delle nuove scienze, fondata sull’esperienza e sulle osservazioni dirette, libera dalle pastoie ideologiche del mondo premoderno. Il crollo, anzi, l’abbattimento della visione del mondo tolemaica era un momento necessario nello spostamento epocale verso la razionalità moderna, verso l’adozione di un nuovo baricentro culturale, su cui costruire la modernità. Dennis McCarthy, Presidente della Commissione per il Tempo e la Rotazione della Terra presso l’Unione Astronomica Internazionale e già Direttore del Direttorato per il Tempo presso l’Osservatorio Navale degli Stati Uniti,


Introduzione

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definisce in primo luogo la funzione dell’astronomia nel mondo culturale in cui Galileo si trovava ad operare. Quindi traccia una breve storia delle percezioni del cosmo e della disposizione dei pianeti nei sistemi tolemaico, copernicano e di Tycho Brahe. Infine analizza una per una le scoperte apportate dal telescopio galileiano (dalla superficie della luna ai satelliti di Giove, dalle fasi di Venere all’aspetto di Saturno, dalle macchie solari al numero illimitato delle stelle non visibili ad occhio nudo nel cielo notturno) ed esamina le conseguenze sulle cosmologie preesistenti. Dopo Galileo non sarebbe più stato possibile spiegare la natura facendo appello a un’autorità che non fosse quella dettata dall’evidenza scientifica. L’ultimo saggio, di Asim Gangopadhyaya, già direttore del Dipartimento di Fisica alla Loyola di Chicago, analizza il contributo spesso sottovalutato di Galileo allo studio della meccanica e delle sue leggi. Gli esperimenti e gli studi sul pendolo, sull’inerzia, sulla relatività, sull’accelerazione uniforme e sul moto su un piano inclinato mostrano con chiarezza quanto Galileo abbia innovato, giungendo a intuizioni che saranno riprese da Newton e all’elaborazione di una “teoria galileiana della relatività” (per spiegare, fra l’altro, perché il movimento della terra non sia percepito dai suoi abitanti) che precorre quella di Einstein. Anche in questo campo, Galileo abbandona completamente una filosofia naturale su base deduttiva per approdare alla scienza basata sull’osservazione sperimentale e il calcolo matematico. In Appendice, infine, abbiamo riprodotto l’edizione della Lettera a Cristina di Galileo, a cura di Franco Motta, la Lettera sopra l’opinione de’ Pittagorici e del Copernico di Foscarini, nonché la Lettera del cardinale Bellarmino a Foscarini, a cura di Paolo Ponzio, così che il lettore possa confrontarsi direttamente con i testi, tutti prodotti o pubblicati nel 1615, che esprimono e rappresentano le principali posizioni delle discussioni di allora. Mi sia concesso in conclusione un breve ringraziamento a quanti hanno reso questa pubblicazione possibile. Desidero ricordare il paziente lavoro di traduzione in italiano dei testi originariamente in inglese e la prima elaborazione editoriale a opera di Ludovica Eugenio; la rilettura precisa e puntuale dei testi classici posti in appendice da parte di Tommaso Sgarro; l’appassionata e immediata e costruttiva collaborazione ad ogni livello, teoretico e pratico, dell’amico Paolo Ponzio; nonché la sapiente disponibilità di Piero Cappelli e delle Edizioni di Pagina, che brillano nel quadro spesso deprimente dell’editoria italiana.


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Un doveroso ringraziamento va alla Loyola University di Chicago che, con un finanziamento elargito tramite il suo Office of Research Services, ha reso possibile la copertura parziale delle spese necessarie per preparare la presente edizione italiana del nostro lavoro. Un ringraziamento specialissimo, infine, ai Direttori della Collana, Costantino Esposito e Pasquale Porro, che hanno deciso di accogliere, con immediata cortesia, il nostro lavoro quale ventinovesimo volume nella “Biblioteca Filosofica di Quaestio�.


Asim Gangopadhyaya Il contributo di Galileo alla meccanica

Galileo viene generalmente ricordato per gli straordinari progressi nelle osservazioni astronomiche e per la brillante difesa della teoria eliocentrica del nostro sistema solare. Allo stesso tempo, però, egli diede anche un enorme contributo, spesso trascurato, alle fondamenta della meccanica. Oggi definiremmo Galileo un fisico teorico e sperimentale. Oltre che per i suoi esperimenti, condotti in modo meticoloso, Galileo è conosciuto anche come maestro di esperimenti Gedanken, o concettuali. In questo capitolo discuteremo alcuni dei suoi esperimenti concettuali, ma il massimo rilievo sarà dato agli esperimenti che egli condusse e alle deduzioni teoriche che influenzarono profondamente Newton. In una recente traduzione dei Principia, gli autori affermano che Newton attribuì a Galileo sia la prima sia la seconda legge del moto, che formano gran parte della base della meccanica classica1. Esaminerò qui il suo contributo alla meccanica, ivi compreso il suo lavoro sul pendolo, la teoria galileiana della relatività − che precorre quella einsteiniana −, le ricerche sugli oggetti uniformemente accelerati, compresi i corpi in caduta libera, gli oggetti su piani privi di attrito e inclinati, nonché le sue avventure con la “nuova macchina”. Per una descrizione esauriente del suo lavoro ad ampio raggio in questo campo rimandiamo i lettori all’opera di Roberto Vergara Caffarelli2.

Galileo e la meccanica Le ricerche sperimentali sui sistemi meccanici richiedono uno studio attento delle evoluzioni temporali delle posizioni, ad esempio la tracciatura di una 1 2

Cohen / Whitman 1999. Vergara Caffarelli 2009.


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sequenza di posizioni parametrate con valori crescenti di tempo. Tutte queste misurazioni richiedono la raccolta di dati accurati sia per la posizione che per il tempo. Mentre la misurazione delle posizioni può essere condotta in modo molto preciso e coerente, lo stesso non può dirsi di quella degli intervalli temporali. Per misurare il tempo, fin dall’antichità si è utilizzata la meridiana con le sue varianti, ma si tratta di strumenti preziosi soltanto quando il sole è visibile. Le clessidre, che utilizzano il flusso di una determinata quantità di sabbia, e gli orologi ad acqua hanno rappresentato un grande progresso nella misurazione del tempo, grazie alla loro trasportabilità e al fatto di poter essere utilizzati di notte. Tuttavia, è quando sono entrati in uso i sistemi oscillatori che la misurazione del tempo è stata rivoluzionata.

La misurazione del tempo L’uso della meccanica oscillatoria per misurare gli intervalli di tempo esisteva in Europa già prima di Galileo. Per quanto ne sappiamo, però, molte di queste misurazioni venivano effettuate con un metodo che procedeva per tentativi ed errori. È noto che Galileo, quando era studente a Pisa (1583-85), condusse il primo studio scientifico controllato di un pendolo semplice, un dispositivo che consisteva in una sfera appesa a una corda flessibile. Una variabile che interessa il periodo di un pendolo è la sua lunghezza; il periodo è proporzionale alla radice quadrata della lunghezza l (τ ∝ √l) quando tutte le altre variabili sono fisse. Alcuni autori hanno affermato che Galileo non scoprì questa dipendenza funzionale che molto più tardi, nella sua vita, dal momento che non ne scrisse prima dei suoi Discorsi. Ma è difficile crederlo, considerando l’analisi approfondita che Galileo condusse sull’isocronismo dei pendoli; ad esempio, la parità di frequenze per tutti i pendoli di uguale lunghezza3. Egli scoprì anche che due pendoli semplici di uguale lunghezza, ma con masse sospese differenti (della stessa misura), avranno esattamente lo stesso periodo, ma quello con massa minore si esaurirà prima, fenomeno, questo, che oggi possiamo agevolmente spiegare con le leggi di Newton4. Ci sarebbero voluti quasi altri cento anni prima che Christian Huygens facesse derivare la dipendenza del periodo di tempo τ da l e g (accelerazione dovuta alla gravità ≈ 9,81m/s2): τ = 21π gl e costruisse un orologio basato sul pendolo composto.

Vergara Caffarelli 2009. Due sfere di uguale dimensione e velocità subiranno la stessa forza resistente dovuta all’aria. Per la seconda legge di Newton, ciò comporta che la sfera con massa minore abbia una maggiore decelerazione e dunque rallenti più velocemente. 3 4


Il contributo di Galileo alla meccanica

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Relatività galileiana Uno dei principi fondamentali della relatività è che le leggi della fisica appaiono le stesse per tutti gli osservatori inerti5: osservatori che si muovono con velocità costanti6 l’uno rispetto all’altro e rispetto alle stelle distanti. A fini pratici, i quadri che si muovono con velocità costante rispetto alla superficie della Terra possono essere considerati quadri inerziali. Come tutti sappiamo, possiamo bere senza problemi una tazza di caffè allo stesso modo su un aereo o su un treno che viaggia a velocità costante o che è fermo a una stazione: tutti e tre esempi di quadri inerziali. Tuttavia, bere lo stesso caffè in un sistema accelerato come un’automobile che sta aumentando la velocità o un otto volante è molto diverso. Nel 1632 Galileo introdusse questo principio di relatività: ossia, l’equivalenza di tutti i quadri inerziali, allo scopo di affermare che il movimento della Terra intorno al Sole, o la rotazione della Terra sul proprio asse, non dovrebbe fare, sulla caduta libera dei corpi terrestri, più differenza percepibile di quanto ci si attenderebbe su una Terra immobile. Questa affermazione mirava, ovviamente, a sostenere il sistema eliocentrico copernicano. In particolare, Galileo introdusse un esperimento concettuale nei Dialoghi sopra i due massimi sistemi del mondo, dove ipotizzò che una sfera lasciata cadere dalla cima dell’albero di una nave avrebbe toccato la base dell’albero indipendentemente dal fatto che la nave fosse ferma o in movimento a velocità costante. Un moto uniforme della nave non avrebbe fatto cadere la sfera dietro all’albero. La sua tesi non era priva di fondamento. Aveva constatato l’indipendenza dei moti verticali e orizzontali di un proiettile e aveva spiegato che il moto orizzontale uniforme della nave non avrebbe avuto alcun effetto sulla sfera in caduta. In altre parole, un esperimento condotto sotto il ponte di una nave non sarebbe riuscito a determinare se la nave fosse ferma o se si stesse muovendo a velocità costante. Questa affermazione, a quanto pare, fu suffragata anche dall’amico di Galileo, Giovanni Francesco Sagredo, matematico e appassionato viaggiatore, e verificata sperimentalmente dall’empirista e matematico Pierre Gassendi7. Nessuno, prima di Galileo, aveva affermato questo principio con la stessa chiarezza. L’impatto di questo principio sugli sviluppi della meccanica, dell’elettrodinamica e soprattutto della relatività non può essere sovrastimato. Chiamati anche quadri di riferimento inerziali. Con velocità intendiamo il regime e la direzione del moto. Un oggetto che si muove a velocità costante si sposta lungo una linea retta con regime costante. 7 Gassendi 1642. 5 6


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Corpi in caduta libera Quando gli oggetti si muovono esclusivamente per la forza di gravità, il moto che ne deriva viene chiamato caduta libera. Questo è probabilmente un settore della meccanica in cui i contributi di Galileo sono ben noti. Le sue osservazioni sulla caduta libera hanno formato la base delle leggi sulla gravità di Newton e Einstein. Egli avrebbe fatto cadere due oggetti di massa differente dalla cima della torre di Pisa, i quali avrebbero toccato terra nello stesso momento8. A partire da questo esperimento, egli osservò che tutte le masse, con la gravità, accelerano allo stesso ritmo. Esperimenti del genere vengono oggi effettuati in classe, portando ogni volta alle medesime conclusioni. Questa osservazione sulla caduta libera contraddiceva l’ipotesi aristotelica secondo cui le velocità degli oggetti in caduta sono proporzionali alle loro masse9, ad esempio un oggetto che pesa il doppio di un altro si muoverà a una velocità doppia e raggiungerà la Terra in metà tempo. Galileo fondò la sua osservazione sperimentale su uno degli esperimenti concettuali più efficaci della storia della fisica. Per comprendere le sue argomentazioni, supponiamo che Aristotele avesse ragione, cioè che un oggetto più leggero cadesse più lentamente di uno più pesante, e che ci mettesse più tempo a toccare terra rispetto a uno più pesante che partisse dalla stessa altezza. Se leghiamo questi due oggetti insieme e li lasciamo cadere, il più pesante trascinerà il più leggero accelerandone la caduta, e allo stesso tempo il più leggero tratterrà il più pesante rallentandone la caduta. La combinazione dunque porterà a una velocità comune che si collocherà tra quella dell’oggetto più leggero e quella dell’oggetto più pesante, se fossero caduti autonomamente. Ma allora la combinazione dei due avrebbe un peso maggiore di quello di entrambi gli oggetti, e in base al principio aristotelico dovrebbe cadere con velocità persino maggiore rispetto a quella di ognuno dei due. Così si arriva a un rompicapo. L’unico modo di risolverlo è che ognuno di essi cada alla stessa velocità e accelerazione, indipendentemente dalla loro massa10. Il secondo principio della dinamica di Newton afferma che l’accelerazione dipende dal rapporto tra la forza e l’inerzia del corpo, chiamata “massa inerziale”; cioè: a = _mF_1. La forza gravitazionale aumenta in virtù dell’interazione tra l’oggetto 8 È opinione comune che si sia trattato solo di un esperimento concettuale e che Galileo non lo abbia in realtà mai compiuto. 9 Oggetti più pesanti cadono più velocemente di oggetti più leggeri delle stesse dimensioni, a causa della resistenza opposta dall’aria. 10 Nella realtà spesso vediamo corpi che cadono a velocità differenti. Ciò è dovuto alla resistenza opposta dall’aria (frizione), e fu il genio di Galileo a eliminare quella variabile.


Il contributo di Galileo alla meccanica

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e la Terra, ed è proporzionale a mg, un altro attributo proprio dell’oggetto che possiamo chiamare “massa gravitazionale”, ovvero F= mg g. L’accelerazione, per m un oggetto in caduta libera, è dunque a = _mF_1 = (__ mi )g. Questa accelerazione a sarà indipendente dalla massa se mg = mi. Questa affascinante uguaglianza è la base della legge di gravità di Newton e del principio di equivalenza di Einstein, punto di partenza della Teoria generale della Relatività. g

Moto rettilineo uniformemente accelerato Nell’ultimo capitoletto, abbiamo visto la fondamentale influenza delle osservazioni di Galileo sulla caduta libera sul lavoro di Newton e Einstein. Tuttavia, la caduta libera verticale era troppo rapida per essere misurata con le tecnologie del XVI secolo. Una rilevazione accurata del tempo e delle posizioni di un oggetto in caduta era praticamente impossibile. Quindi, egli aveva bisogno di rallentare il movimento degli oggetti, e lo fece in due modi ingegnosi: 1. lasciando scivolare gli oggetti su un piano inclinato; 2. usando una macchina appositamente inventata che bilanciava in parte il peso di un oggetto in caduta con un contrappeso. Innanzitutto discutiamo l’utilizzo da parte di Galileo dei piani inclinati per ridurre l’accelerazione degli oggetti. I piani inclinati consentivano a Galileo di misurare con precisione le posizioni degli oggetti in accelerazione come funzioni del tempo. Una delle più importanti osservazioni che fece è che la distanza percorsa in un tempo t lungo un piano inclinato aumenta del quadrato del tempo trascorso, ovvero: d ∝ t2. Ciò significava che la velocità dell’oggetto aumentava a ritmo costante lungo il piano, e questo ritmo dipendeva dall’inclinazione. Da questi esperimenti e grazie al ragionamento teoretico, egli dedusse la legge che governa il movimento degli oggetti sui piani inclinati. Sappiamo che se collochiamo una sfera su un piano orizzontale, questa non si muove, poiché il suo peso è controbilanciato da una forza uguale ma opposta esercitata dal piano. Che cosa accadrebbe se il piano fosse inclinato? Galileo risponde con l’argomentazione che segue. Su un piano inclinato, la gravità della sfera sarebbe parzialmente bilanciata da una forza perpendicolare al piano. Quale forza parallela al piano sarebbe dunque necessaria per essere certi che la sfera non rotoli? Egli affermò che, perché la sfera non si muova, i momenti della forza peso (che chiamiamo “momento torcente”) e della forza bilanciante11 devono neutraliz11

È importante ricordare che la storia dei momenti delle forze risale ad Archimede.


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zarsi. Mostrò poi come ciò richiedesse che la proporzione tra forza bilanciante e gravità fosse la stessa che esiste tra altezza e lunghezza del piano inclinato. In altri termini, la forza bilanciante deve essere uguale a (altezza/lunghezza)×peso. L’altezza e la lunghezza sono mostrate nella Figura 6.1. Nel linguaggio odierno si scriverebbe: F = W×sin ϑ

Figura 6.1. Un blocco scivola su un piano inclinato di altezza H e lunghezza L.

dove ϑ è l’angolo di inclinazione del piano, e sin ϑ = (altezza/lunghezza). Da ciò Galileo dedusse che le distanze percorse da un oggetto su piani inclinati di inclinazioni diverse all’interno di un intervallo di tempo fisso Δt erano direttamente proporzionali al rapporto tra le loro altezze e loro lunghezze. In realtà, stava sfiorando il secondo principio della dinamica di Newton. Dai principi di Newton sappiamo che la distanza percorsa su un piano inclinato è data da d = ½a(Δt)2 = ½g sin ϑ (Δt)2 Pertanto, il rapporto tra le distanze percorse nel tempo Δt su piani di diverse inclinazioni sarebbe dato da ½ g sin ϑ1 (Δt)2 sin ϑ1 H1/L1 d1 = = = d2 ½ g sin ϑ2 (Δt)2 sin ϑ2 H2/L2 che è esattamente quanto ricaviamo dall’applicazione dei principi di Newton.

Moto bidimensionale di un proiettile Come il diagramma qui sotto mostra (cf. Figura 6.2), Galileo lanciò proiettili con differenti velocità iniziali da un lanciatore orizzontale su un piano verticale bidimensionale. Con l’aumentare della velocità iniziale, aumentava anche la gittata del proiettile12, in un rapporto di proporzionalità diretta tra l’una e l’altra (R ∝ v). Galileo fu tra i primi a scoprire uno degli aspetti più importanti del

12 Ossia la distanza alla quale questi proiettili toccavano terra dal punto di lancio lungo un asse orizzontale, denotata da cifre come 800, 1172 e 1320 unità di lunghezza.


Il contributo di Galileo alla meccanica

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Figura 6.2. Traiettorie di proiettili con diverse velocità iniziali (manoscritti galileiani, 1608). Figura 6.3: combinazione di un moto lineare su un piano inclinato e un moto oscillatorio trasversale. Per gentile concessione di Harvard Natural Sciences Lecture Demonstrations e del prof. Owen Gingerich. Per ulteriori dettagli, cf. http://sciencedemonstrations.fas.harvard.edu/ presentations/scantling-and-ball.

moto bidimensionale: il moto lungo la direttrice orizzontale era completamente indipendente dal moto lungo la direttrice verticale. Egli osservò, inoltre, che la velocità uniforme lungo la direttrice orizzontale e la caduta libera lungo la verticale portavano a una traiettoria parabolica. Presentiamo ora un altro esempio in cui si sovrappongono due moti indipendenti. In questo esperimento ingegnoso, una sfera viene lasciata cadere decentrata su una canalina inclinata. Se questa viene mantenuta in posizione orizzontale, la sfera compie un movimento rotatorio con un periodo fisso determinato dalla curvatura. Quando la sfera viene lasciata cadere su una canalina inclinata (cf. Figura 6.3), essa scende lungo l’asse con velocità crescente e oscillazione trasversale. Quando questo esperimento viene compiuto in laboratorio, si rileva che il punto più a destra di ogni oscillazione ci fornisce posizioni lungo il piano a intervalli regolari, e la distanza di questi punti13 dalla posizione iniziale aumenta in proporzione del quadrato di numeri naturali, ovvero 13

La distanza dell’ennesimo picco a destra dalla posizione iniziale è denotata da dn.


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dn = n2d1. Pertanto, constatiamo che il moto lungo l’asse della canalina obbedisce alle leggi del piano inclinato; è completamente indipendente dalle oscillazioni trasversali. Anche se Galileo, forse, compì questo esperimento, non ne troviamo alcuna menzione nella letteratura14.

I principi della dinamica di Newton: l’inerzia Secondo Aristotele, per mantenere un oggetto in movimento a velocità costante, c’è bisogno di una forza esterna sull’oggetto. Galileo mise alla prova questo principio. Nella Figura 6.4, una sfera rilasciata da un punto A raggiunge un punto B su un secondo piano. Se l’inclinazione del piano venisse diminuita, essa raggiungerebbe il punto C. Ogni volta raggiunge la stessa altezza del punto di partenza A. Se continuassimo a diminuire l’inclinazione del secondo piano, essa percorrerebbe uno spazio molto più lungo per raggiungere la stessa altezza. E se il secondo piano fosse orizzontale? In questo caso, la sfera percorrerebbe una distanza molto lunga nell’inutile tentativo di raggiungere l’altezza di A: è il principio dell’inerzia. Vale a dire: non dobbiamo spingere un oggetto per tenerlo in movimento a velocità costante su una superficie orizzontale priva di attriti. È quanto afferma il primo principio di Newton che lo stesso Newton attribuì a Galileo.

Figura 6.4

La macchina nuova di Galileo Descriviamo ora un esperimento effettuato da Galileo nei suoi ultimi anni, che ci porta molto vicino ai principi della dinamica come li conosciamo oggi. Un allestimento simile fu costruito da George Atwood 150 anni più tardi ed è noto ora come la macchina di Atwood. Ne abbiamo mostrato schematicamente l’ap14

Colloqui con i professori Roberto Vergara Caffarelli e Paolo Palmieri.


Il contributo di Galileo alla meccanica

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parato nella Figura 6.5. Due masse, m1 e m2, sono sostenute da carrucole. La ricostruzione di Caffarelli dell’allestimento mostra una sola carrucola; noi abbiamo scelto di usarne due per essere certi che potessero essere di piccole dimensioni e che avessero un effetto relativamente modesto sui movimenti verticali dei pesi. Galileo condusse gli esperimenti con masse di valore relativo diverso. Scegliendo masse uguali, dimostrò che non c’è bisogno di spingere questi oggetti perché abbiano velocità costante: un’affermazione del principio di inerzia, ma questa volta applicato al movimento verticale. Portò anche a compimento studi quantitativi di masse diverse (ecco, forse, perché Newton gli attribuì il secondo principio della dinamica, Figura 6.5. La macchina di F = ma). Galileo. Soprattutto, Galileo effettuò su questo apparato un esperimento interessante, che avrebbe prodotto la legge di conservazione della quantità di moto. Pose una massa (che chiamiamo m2) su un supporto e sollevò l’altra massa m1 a una determinata altezza h, allentando la fune che le univa. Quando rilasciò la massa m1, essa venne giù a velocità crescente. Alla fine la fune si tese e la seconda massa si mise in movimento con quello che definì un “moto violento”. Galileo scoprì che la velocità v1 di m1 appena prima che la fune si tendesse è in rapporto con la velocità comune V della combinazione appena dopo che la fune si è tesa: m1 v1 = (m1+m2)V. Si tratta proprio dell’affermazione della conservazione della quantità di moto per un urto totalmente anelastico, corollario del secondo e del terzo principio della dinamica di Newton.

Osservazioni conclusive Facciamo ricorso all’espressione “figura del Rinascimento” per descrivere un individuo che eccelle in molti campi contemporaneamente. Galileo fu non solo, dal punto di vista storico, una figura del tardo Rinascimento europeo, ma anche un personaggio il cui intelletto e le cui realizzazioni riguardarono molteplici ambiti: fisica, astronomia, meccanica, religione e politica. Benché spesso messo in ombra dalle controversie in cui fu coinvolto, i suoi contributi alla comprensione


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del movimento, dell’inerzia, dell’accelerazione e della gravità sono straordinari. Spiegare tanto i suoi esperimenti reali quanto quelli concettuali in meccanica ci offre un altro modo per apprezzare i suoi contributi di valore perenne alla fisica e all’umanità.

Ringraziamenti Quest’articolo non avrebbe potuto essere portato a termine senza l’immenso aiuto che ho ricevuto dai miei colleghi Jeffry V. Mallow e Thomas T. Ruubel. A loro va la mia riconoscenza.

Bibliografia P. Gassendi, De Motu Impresso a Motore Translato, New World Encyclopedia, 1642. http:// www.newworldencyclopedia.org/entry/Pierre_Gassendi. I. Newton, The Principia: Mathematical Principles of Natural Philosophy, translated by I.B. Cohen and A. Whitman, assisted by J. Budenz, University of California Press, Berkeley 1999. R. Vergara Caffarelli, Galileo Galilei and Motion: A Reconstruction of 50 Years of Experiments and Discoveries, Springer, Berlin 2009.


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