Quel sabato di carnevale - Adriano Olivetti, la biografia (V. Ochetto)

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Valerio Ochetto

ADRIANO

OLIVETTI LA BIOGRAFIA

Edizioni di ComunitÃ


Quel sabato di Carnevale

Le prime settimane del 1960 Adriano le passa a Ivrea. Si sta preparando la quotazione in borsa delle azioni Olivetti, una operazione che non è stata decisa a cuor leggero. Pero va da anni ripetendo che occorre allargare la base finanziaria della Società, che è più che maturo l’ingresso nel listino ufficiale. La famiglia è reticente, forse teme in prospettiva un indebolimento del suo potere; una volta tanto, forse l’unica, Adriano e Arrigo concordano. Dopo dubbi, incertezze e rinvii, finalmente a febbraio la decisione è presa. Vi contribuisce indubbiamente la grande risonanza, che non si è spenta, della operazione Underwood e l’esigenza di liquidità, di nuovo capitale. Mai come in questo momento la ristretta base familiare appare una realtà inadeguata alle dimensioni aziendali. Si andrà dunque in borsa, ma con l’emissione di nuove azioni privilegiate, cioè senza diritto di voto. La messa a punto di questa innovazione richiede diverse riunioni e una modifica dello statuto, che portano via alcune settimane. Anche per questo Adriano resta fermo a Ivrea, cosa che non gli capitava da molto tempo. A gennaio è tornato dalle cure termali di Ischia, che sono ormai una tradizione, molto sbiancato in viso, quasi affaticato anziché riposato. Si sente però molto bene, ricaricato da quanto ha fatto con l’operazione Underwood e da quanto resta da fare per completarla. Così, non dà importanza ad alcuni segni che in altri momenti lo avrebbero colpito. L’orologio d’oro che gli hanno regalato i dipendenti per i suoi venticinque anni di azienda si è irrimediabilmente guastato. È costretto a comprarne uno nuovo, ma anche questo dopo pochi giorni si arresta. Allora scherzando dice alla segretaria: «Si vede che sono proprio io che non li faccio andare». 267


Intanto a Ivrea è arrivata una troupe cinematografica della televisione con Emilio Garroni e il regista Giorgio Moser, sbarcando, come documentano le immagini, dalla vaporiera ancora in servizio sulla linea Chivasso-Aosta. Adriano è ripreso e intervistato in più ambienti: a una riunione di Comunità, sull’auto mentre guida, dentro la biblioteca aziendale, in fabbrica mentre mette in moto un nastro trasportatore. Anche le riprese sono un simbolo del successo, tanto più se si tiene conto di programmi culturali televisivi appena all’inizio e di una Rai estremamente cauta. Le strade di Ivrea sono già invase dai cortei in preparazione del lungo Carnevale che rievoca memorie di libertà: la rivolta popolare contro i feudatari del Monferrato guidata da una bela mulinera che si è rifiutata al servaggio sessuale della prima notte, la rivoluzione francese arrivata sulla punta delle baionette napoleoniche. Adriano è ripreso mentre racconta a Garroni un aneddoto: subito dopo la guerra, un americano vedendo tutta questa gente girare in corteo con il rosso berretto frigio, credette di essere capitato nel bel mezzo di una vera rivoluzione. Alla moglie Grazia, descrivendo la pazienza con cui si è sottomesso alle lunghe riprese televisive per ricostruire i momenti della sua giornata, dice: «Mi hanno fatto fare la Lollobrigida, ma chissà dove sarò quando il programma sarà trasmesso». Per il futuro, ha infatti un’agenda molto movimentata. Giovedì 25 febbraio gli azionisti, riuniti in assemblea straordinaria nella sede di rappresentanza di Villa Casana, dove Adriano ha consumato alcune giornate del suo esilio, hanno plebiscitato l’operazione Underwood e approvato l’ingresso in borsa, che ne appare il naturale prolungamento. Sabato 27 febbraio è la grande giornata degli adempimenti formali e dei festeggiamenti. La vigilia, di sera, Adriano va a Milano in auto. L’autista Perotti ricorda un Adriano particolarmente disteso, visibilmente soddisfatto, lui che non ostenta i sentimenti. Al casello di Rho fa fermare l’auto e scende all’aperto: vuol appurare se è vero che la puzza 268


delle raffinerie arriva sin sul terreno dove dovrà sorgere il nuovo laboratorio elettronico, la Olivetti del futuro. Rimontato in macchina, fa qualche confidenza, inusuale per la sua riservatezza. Riferendosi ai parenti-antagonisti, commenta a Perotti: «Hanno rimediato al malfatto». Sabato, pranzo-banchetto al Savini, in Galleria. Invitati i dirigenti di prima grandezza, i rappresentanti dei rami familiari. Adriano è passato dal barbiere, e appare come ringiovanito, con i capelli tagliati. Il pranzo si trasforma, per alcuni, in kermesse gastronomica: Pero divora da solo un intero rognone, si conclude brindando a champagne. Per Adriano è una cerimonia cui non sottrarsi, ma anche tempo da recuperare: all’uscita, la sorella Silvia lo vede che si affanna a cercare un taxi. Al mattino è stato brevemente da Zorzi, alle Edizioni di Comunità, per consegnare un dattiloscritto che ha approvato per la pubblicazione. Si è fermato più a lungo al palazzo Olivetti di via Clerici. Ha fatto diverse telefonate: alla moglie a Ivrea, ad Astengo a Venezia per chiedergli se è d’accordo ad aumentare gli stipendi ai funzionari della rivista «Urbanistica». Particolarmente lunga la telefonata a Ferrarotti: vuole ricordargli di portare lo smoking per il gran ballo di Carnevale di martedì grasso a Ivrea. Aggiunge diverse considerazioni sulla Underwood: «Stia pronto per il 7 marzo, andremo insieme a Hartford. C’è un eccesso di lavorazioni, dovremo ridurle da diciotto a tre linee soltanto. Prenderemo dieci dei migliori ingegneri di Ivrea e li trasferiremo lì. Vedrà che nel giro di sei mesi tutto si metterà a posto». Dopo il Savini, Adriano ritorna brevemente alla sede di via Clerici. Una giornata fitta di impegni, faticosa, non solo celebrativa. Lo accompagna alla stazione Ottorino Beltrami, dirigente della Olivetti Bull. Nel tragitto, Adriano si mostra ottimista sulla operazione Underwood. Raggiunta la stazione centrale, sale sul direttissimo per Losanna, che allora partiva alle 17:55. Nello scompartimento di prima classe c’è solo un altro passeggero, un 269


giovane, con il quale scambierà un saluto di cortesia con la testa, entrando. Durante il viaggio, com’è suo solito, sfoglia una grande quantità di giornali e riviste che si è portato dietro. Al confine di Domodossola il treno fa una lunga sosta per il controllo passaporti, allora più pignolo di oggi, anche per il gran numero di emigranti. Adriano, irrequieto, scende sul marciapiede, e comincia a passeggiare nervosamente. Lì è scorto da Riccarda Ruberl, la segretaria delle Edizioni di Comunità che aveva incontrato la stessa mattina, e che sta andando a sciare in Svizzera con una comitiva di amici e amiche. Saluti, ed è Adriano a chiedere di sedersi con loro. La conversazione si avvia su argomenti da weekend, la montagna, lo sci. A Brig, in territorio svizzero, viene attaccato il vagone ristorante e Adriano propone di andare a cenare. Un menu leggero, dopo il banchetto del Savini. Ed è Riccarda a ricordare, ancora nei particolari, come il tempo si fosse fissato nella memoria, quell’ora passata conversando. Adriano sta splendidamente, è in ottima forma. È una di quelle occasioni che già conosciamo, di stato di grazia, quando annullata la soglia della timidezza vien fuori un parlatore amabile e vivace. Sollecitato da Riccarda, rompe un’altra delle sue barriere e si mette a raccontare particolari di quegli episodi sui quali è sempre stato riservatissimo anche con gli amici, la fuga di Turati, il carcere a Regina Coeli. Con un filo di humour dice che è stato lui a guidare una delle due auto prima a Torino, poi a Savona, perché gli altri erano tutti intellettuali, con scarsa dimestichezza con le macchine. Del carcere nel 1943 dice che è stata dura, ma ce l’ha fatta. Episodi che Adriano ha volontariamente seppellito dentro di sé, se non li ha mai citati né negli scritti né nei discorsi, ma che in un momento di euforia riemergono come i ricordi più significativi della giovinezza e della prima maturità. Riaccompagnando i commensali nel loro vagone di seconda classe, Adriano dimentica il paltò. A Martigny loro scendono. L’ultima immagine che Riccarda fissa è di Adriano che li aiuta a scaricare gli sci, poi li saluta dalla piattaforma del treno che prosegue. 270


Il direttissimo è ormai lanciato, corre parallelo al fiume Rodano, verso il lago Lemano. Tutto avviene e si conclude nel giro di una manciata di minuti. Il compagno di viaggio di Adriano vede il suo viso farsi paonazzo, poi sbiancare all’improvviso. Più tardi, per scusarsi di non essere intervenuto, dirà che è stato trattenuto dal carattere distinto e riservato del passeggero. Adriano si alza come se stesse soffocando, apre la porta, esce in corridoio. Comincia a risalire il treno: avanza barcollando, poi si aggrappa alle maniglie, quasi con disperazione. Così si trascina per uno, due vagoni. Un altro giovane, uno studente parigino, che lo vede passare, esce per sorreggerlo, appena in tempo per riceverlo fra le braccia. Lo adagia sul sedile, Adriano sta mormorando delle parole incomprensibili. Altri passeggeri si fanno intorno, pochi istanti e hanno l’impressione dell’irreparabile. Il treno si arresta ad Aigle alle 22:14, qualche minuto dopo. Il corpo di Adriano è condotto in ospedale in autolettiga. Il medico non può che constatare la morte e stendere il referto: trombosi cerebrale. Nello stesso tempo, a Ivrea ferve il Carnevale. Al teatro Giacosa inizia il veglionissimo al quale partecipa la “vezzosa mugnaia” che è stata appena proclamata. Tradizionalmente converge al galà tutta la società bene della piccola capitale, è presente naturalmente anche Grazia, che è stata lei stessa bela mulinera quattro anni prima. Alle cinque del mattino il telefono squilla a casa di Camillo Prelle: è il commissario di polizia Battegazzorre, che è stato avvertito dalla gendarmeria svizzera. Inizia un affannoso giro di telefonate: Prelle avverte Dino, Dino avverte Elena, che solo verso le nove raggiunge villa Belli Boschi. In quel momento Grazia sta vestendo la figlia Lalla, nove anni, da damina della vezzosa mugnaia. Senza dirle niente, Grazia esce subito di casa. La notizia si diffonde con grande rapidità. A Monte Navale si sta preparando la distribuzione di fasoi grass, fagioli e cotechino, un altro simbolo della festa egalitaria. I fuochi si spengono, la banda ripone gli strumenti. Intorno a mezzogiorno Ivrea già sa: dal 271


balcone del palazzo civico viene steso il gonfalone a mezz’asta, mentre il Generale, un’altra figura simbolo che per lo spazio del Carnevale, accentra tutti i poteri, proclama il lutto cittadino accanto al sindaco Rossi. È la prima volta dal 1808, in periodo di pace, quando non ci sono guerre o battaglie, che viene annullata la sfilata e la ludica battaglia delle arance. Un giorno, Adriano aveva detto a Grazia: «Quando muoio, voglio i pifferi del Carnevale al mio funerale». Accorrono ad Aigle Galassi, che già si trovava in vacanza a Gstaad, Grazia e Dino con la moglie Posy, Pero, poi Roberto che arriva da St. Moritz. Sempre a Grazia, Adriano aveva chiesto di non essere chiuso nella bara prima di quarantotto ore: così il suo corpo rimane esposto domenica e lunedì nella improvvisata camera ardente dell’ospedale di Aigle. Il lungo viaggio di ritorno occupa tutto il martedì 1° marzo. Un breve corteo di macchine prima, il passaggio del Sempione bloccato dalla neve nella galleria con il treno, poi di nuovo in corteo giù da Domodossola. Le autorità attendono al casello autostradale di Rho. Il corpo di Adriano rientra in fabbrica chiuso in una bara di rovere chiaro, a sera. La bara è portata nel Salone dei Duemila, la grande hall delle assemblee di fabbrica, e posata ai piedi della statua a mosaico del padre Camillo. Un vetro permette di scorgere il viso, nella rigidità della morte. Per ornamento, un solo cuscino di rose rosse e la sciarpa tricolore di sindaco. Tutta la notte dura la veglia funebre. Il funerale non avrà la semplicità desiderata da Adriano. Mercoledì 2 marzo, in una luminosa giornata di sole che annuncia la primavera e fa risplendere le nevi delle montagne, il lungo corteo si muoverà per due ore da un capo all’altro della città, sostando nei luoghi delle glorie civiche e religiose: in piazza del Municipio, in piazza del Duomo. Familiari, amici, ammiratori e falsi estimatori si alternano nel corteo e nelle orazioni funebri: in fabbrica parlano Pero, Roberto, Ferrarotti, l’operaio comunista Giuseppe Grosso e il sottosegretario al commercio estero Giovanni Spa272


gnolli, a nome anche del ministro che ha sabotato Adriano in vita, Togni. La cassa è sollevata e avanza lentamente, portata a spalla da “anziani Olivetti” e da militanti comunitari, in mezzo a una grande folla, 40.000 persone, il doppio degli abitanti d’Ivrea. In Duomo, la messa è celebrata da mons. Eligio Adamini, un amico di famiglia di vecchia data. Dopo il discorso di Umberto Rossi al Comune, al cimitero l’orazione ufficiale è tenuta dallo scrittore Salvator Gotta, che non è mai stato fra gli intimi di Adriano. Sembra l’abbia deciso la famiglia, per non caratterizzare politicamente il commiato. L’ultimo saluto è però più personale, più vicino alla volontà di Adriano. Sempre a Grazia aveva detto: «Voglio una cassa di legno che sia deposta nella nuda terra». Così avviene, con la fossa scavata a guardare verso levante. Cominciando da Grazia, familiari e amici gettano sulla cassa ormai calata un pugno di terra, con un rituale non comune in Italia. Alla fine, sul tumulo è infissa una semplice croce in legno. Nei giorni e nelle settimane che seguono, si terranno le commemorazioni dei comunitari, di Pampaloni, Zorzi, Ferrarotti, che sono una ricapitolazione di vita, una promessa di fedeltà. Su «Notizie di fabbrica» esce l’ultima intervista di Adriano con l’annuncio di nuove assunzioni a Ivrea e nel Canavese come effetto dell’operazione Underwood. La Rai si è affrettata a montare il programma e a mandarlo in onda ancor prima del funerale, inaugurando una nuova serie dal titolo: “Ritratti contemporanei”. Nei bagagli di Adriano viene trovata una copia di Città dell’uomo, la raccolta dei suoi più recenti scritti e discorsi, fresca di edizione. Secondo una voce insistente, diffusa fra i comunitari, anche un nuovo appunto riguardante quello che è stato un suo caposaldo e il progetto più contrastato: la fondazione proprietaria, da creare trasferendo parte della proprietà ai lavoratori. La voce non è sicura: ad ogni modo, se non nelle tasche o nei bagagli di Adriano, nella sua scrivania a villa Belli Boschi rimane un bigliettino, di quelli tipo agende tascabili, con una annotazione 273


di suo pugno, “non è chiaro se tutti daranno il loro 18/mo”, che può facilmente riferirsi al rovello inesausto della sua vita, a una riflessione quasi in codice scritta poco prima di partire per l’ultimo viaggio, a un simbolico appello rivolto ai parenti. Lo studio, da quel giorno, rimane intatto, fisso nel tempo: con i mobili d’ufficio, gli scaffali ripieni di libri, riviste, classificatori, sul grande piano della scrivania due colombe in ceramica portate dal Messico e poi un portafoto con le immagini femminili dei familiari, accanto alla sedia-poltrona un mastodontico refert, prototipo di un registratore da ufficio che appartiene già all’archeologia tecnologica, e ancora una minuscola clessidra ferma. Poche settimane dopo si vota in fabbrica per le commissioni interne e Autonomia aziendale che nel 1959, al momento del temporaneo ritiro di Adriano e dei tagli, era stata battuta dalla Cgil, riconquista la maggioranza assoluta, anche fra gli operai. È l’ultimo trionfo, l’omaggio dei lavoratori alla memoria di Adriano. Il tentativo di Ferrarotti di rilanciare la Lega delle Comunità di fabbrica, dentro e fuori la Olivetti, non ha successo e il sindacato comunitario va alla fusione con la Uil alla quale era già legato sul piano nazionale. Anche il Movimento comunitario non sopravvive alla morte del suo fondatore e nel settembre 1961, a Ivrea, decide di sciogliersi come organizzazione politica. L’anno seguente, su iniziativa dei comunitari più vicini e di alcuni familiari, viene istituita la Fondazione Adriano Olivetti per garantire continuità alle attività di Adriano e a quelle del Movimento in campo sociale e culturale, e tutelarne l’attività morale. Oggi è guidata dalla figlia Lalla, una sede a Roma e una a Ivrea, proprio a Villa Belli Boschi. Ferrarotti, unico deputato comunitario, si allontanerà gradatamente dalla politica attiva, per concentrarsi sugli studi e sull’insegnamento della sociologia. I centri comunitari chiudono uno dopo l’altro, mentre biblioteche e servizi sociali sono talvolta incorporati dalle amministrazioni comunali, come i centri modello di Palazzo Canavese e Terracina. 274


Nell’estate 1960 il premio ferie per lavoratori della Società Olivetti è ancora legato a una percentuale degli utili (il 58%), ma la direzione ammonisce che sarà l’ultima volta, che in futuro diventerà una normale voce in cifra. La lunga agonia dell’I-Rur, la pupilla di Adriano, il modello di pianificazione regionale, si trascina con vicissitudini e rimodellamenti sin verso la fine degli anni Sessanta. Il Consiglio di gestione, anche se mortalmente indebolito rispetto ai fini strategici per cui era stato concepito, sopravvive sino al 4 aprile 1971, quando verrà travolto dalla generale contestazione verso gli organismi rappresentativi. Quel che si conserva più a lungo è curiosamente l’appendice maggiormente discussa e contestata, la sigla Autonomia aziendale del sindacato comunitario, assunta dalla Uil dopo la fusione, che è mantenuta sino al 1981. Le immediate eclissi del progetto politico e di quello sociale erano prevedibili, perché troppo direttamente legati alla personalità e all’impegno di Adriano. La trasformazione dei servizi assistenziali è invece fisiologica, dipende dalla ripresa di lotte sindacali in Italia a partire dal 1962, che muta in conquiste quanto sino allora era stato elargizione di un padrone illuminato. È in una prospettiva analoga che si colloca il passaggio agli enti locali degli interventi sul territorio, delle realizzazioni comunitarie extra moenia, fuori dalle mura di fabbrica. Meno prevedibile è la parabola della gestione aziendale, che coinvolge progressivamente le fortune della famiglia Olivetti. Dopo la morte di Adriano, Pero viene investito dei maggiori poteri, assumendo la presidenza insieme con la delega di amministratore. Arrigo lo affianca come amministratore, Lizier sale alla vicepresidenza accanto a Dino e Arrigo. Montato al vertice, “l’uomo della lesina e del profitto”, come era definito Pero, subisce una repentina trasformazione. Diventa il propugnatore dello sviluppo a tutti i costi, quasi che ora voglia rivaleggiare con la grande ombra di Adriano, per lasciare una propria immagine. Lo scam275


bio di ruoli sortisce effetti disastrosi. L’operazione Underwood è spinta all’eccesso, senza quei limiti che lo stesso Adriano, proprio alla vigilia della sua morte, si proponeva di definire e controllare. La Olivetti rastrella e sottoscrive la maggioranza delle azioni della Underwood, espandendo oltre misura la rete commerciale e assorbendo le consociate estere della casa americana. Il settore elettronico, che è il settore del futuro ma richiede agli inizi grandi risorse, viene potenziato fondendolo con la Olivetti Bull sul piano commerciale, e puntando sulla produzione dei grandi calcolatori tipo Elea che costano da 500 a 800 milioni dell’epoca. Tutti questi investimenti portano ad accrescere oltre misura l’indebitamento, e la crisi, che potrebbe ancora essere dominata se esistesse una unità di indirizzo, scoppia alla morte di Pero. Adriano, anche per i continui prelievi dovuti alle sue iniziative politiche e per la confidenza sul proprio stato di salute, non è riuscito a destinare a suo figlio Roberto quella base societaria e quel trasferimento di poteri che il padre Camillo aveva delegato a lui, dieci anni prima della morte. Roberto ha avuto via libera sull’elettronica, che però ha bisogno di forti investimenti per esser sviluppata adeguatamente. E questo, che in altra situazione gli sarebbe stato ascritto a merito, diventa invece un fattore negativo nel momento di grave crisi finanziaria dell’azienda. Il consiglio di famiglia non riesce a mettersi d’accordo su una candidatura interna, si decide di passare la mano a una soluzione esterna. La proposta di un adrianista di diffondere le azioni fra i dipendenti non ottiene praticamente risposta. Per risanare la situazione verso le banche è accettata nel 1964 l’offerta di un gruppo d’intervento formato da Fiat, Pirelli, IMI, Mediobanca, Centrale. Le azioni che dopo la quotazione in borsa del 1960 erano lievitate a livelli parossistici, sino a superare le 15.000 lire, crollano, rovinando anche tanti ex dipendenti che vi avevano investito risparmi e liquidazione. La famiglia cede una parte delle sue azioni al gruppo d’intervento al valore nominale di 276


1000 lire. Bruno Visentini, che ha patrocinato l’operazione, diventa presidente, Aurelio Peccei amministratore delegato. Roberto resta nel comitato esecutivo della Società con poteri ridotti, mentre la partecipazione azionaria complessiva dei vari rami familiari scende a un terzo, con un altro terzo al gruppo d’intervento e un terzo ai restanti azionisti. La conseguenza più grave della svolta del 1964 è l’abbandono della grande elettronica, contro il parere del solo Roberto, nel nome dei risparmi, e la cessione all’americana General Electric. Il ragionier Valletta, a nome della Fiat, dichiara: «La Società di Ivrea è strutturalmente solida... sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare». D’altra parte, anche dall’interno dell’azienda, è forte la corrente di chi, per convinzione propria o per ragioni personali di potere, continua a puntare sull’ulteriore sviluppo dell’ormai super-complicata linea dei calcolatori meccanici ad alte prestazioni, pensando che avrebbe continuato a fare la fortuna della Olivetti, come per il passato. Il nostro paese è così privato di una possibilità di autonomia tecnologica nel settore trainante del nuovo sviluppo industriale, e ciò avviene nella indifferenza sia del governo che dell’IRI. La Olivetti non rinuncia però a un più prudente approccio al futuro elettronico e nel 1965 fa uscire un calcolatore da scrivania che può essere considerato il primo modello commerciale di personal computer. È la P101, Programma 101 ufficialmente, la Perottina aziendalmente, dal nome del suo inventore, Pier Giorgio Perotto. La situazione finanziaria della Società rimane tuttavia precaria, nonostante il piano di risanamento a metà del guado di passaggio e di riconversione da azienda elettromeccanica ad azienda elettronica. Le ambizioni, in questo campo, vengono nuovamente ridimensionate, a nulla vale il tentativo di Roberto, che batte alla porta delle società affini europee come la Siemens, la Bull, la Philips, 277


l’ICT, per creare un polo europeo capace di fronteggiare, come dimensioni, i giganti americani. Nel 1978 avviene così una nuova svolta: Carlo De Benedetti, vista la depressione del titolo in borsa, prende il controllo della Olivetti attraverso la CIR, una vecchia azienda di pellami che ha trasformato in una finanziaria. Già poco prima di questa svolta, Roberto aveva lasciato la vicepresidenza, solo onoraria. La partecipazione azionaria globale dei rami familiari scende a un 5%. L’azienda subirà da allora varie vicende, in un giro abbastanza serrato di passaggi di proprietà e di varianti produttive, ma in costante discesa, sino al delisting dalla borsa valori nell’estate 2003. Lungo tutto questo arco di tempo, in controtendenza rispetto alle vicende aziendali, l’interesse per la figura di Adriano Olivetti ha continuato a vivere, e invece che affievolirsi è cresciuto. Ha attraversato i decenni come un fiume carsico accompagnato dall’attività della Fondazione, nascondendosi per un po’ e improvvisamente ricomparendo, ogni volta portando in dote nuove suggestioni. Le orme lasciate sul terreno dal suo passaggio diventano sempre più chiare, le traiettorie delle sue attività più decifrabili, alcuni semi della sua azione sono maturati in frutti. In modo quasi simbolico, proprio nell’anno in cui scoppia la crisi finanziaria internazionale, il 2008, si celebra il centenario della fondazione della Olivetti di Camillo. E in un contesto profondamente segnato dall’incertezza e dalla sfiducia nelle ricette economiche tradizionali, la figura e l’opera di Adriano incontrano l’interesse di un pubblico ampio ed eterogeneo. La sua storia esce finalmente dai confini della comunità degli studiosi e da quella dei nostalgici per essere raccontata con linguaggi nuovi, soprattutto liberi da quell’alone di utopia che ha per lungo tempo soffocato le ricostruzioni intorno alla storia olivettiana. A coronamento di tutto questo, il modello di città industriale realizzato a Ivrea – che delle idee e dei valori di Adriano rappresen278


ta oggi la testimonianza più evidente – è candidato a diventare patrimonio UNESCO. Ad Adriano, per fortuna, non è stato eretto nessun monumento. Solo un semplice traliccio di ferro a forma di croce che dall’alto di Torres Cives è rivolto verso il Canavese, come una di quelle torri di vedetta che, in altri tempi, erano poste a difesa delle testimonianze di civiltà. Il suo Canavese, il mondo.

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2 Adriano Olivetti, L’ordine politico delle Comunità a cura di Davide Cadeddu

3 Adriano Olivetti, Città dell’uomo a cura di Alberto Saibene

4 Adriano Olivetti, Dall’America: lettere ai familiari VIA JERVIS 1 Giuseppe Berta, Le idee al potere 2 F. Ferrarotti, G. Gemelli, Un imprenditore di idee 3 Giancarlo Liviano D’Arcangelo, Il Gigante trasparente 4 Umberto Serafini, Adriano Olivetti e il Movimento Comunità 5 Giancarlo Lunati, Con Adriano Olivetti alle elezioni del 1958 6 Geno Pampaloni, Poesia, politica e fiori 7 Camillo Olivetti, Tre scritti sulla fabbrica, la formazione e la solidarietà 8 F. Bilò, E. Vadini, Matera e Adriano Olivetti a cura di Francesca Limana

9 Movimento Comunità, Statuto e Dichiarazione politica 10 Giuseppe Lupo, La letteratura al tempo di Adriano Olivetti 11 Davide Cadeddu, «Humana Civilitas» Profilo intellettuale di Adriano Olivetti 12 AA.VV., Per un’economia più umana. Adriano Olivetti e Jacques Maritain 13 Alberto Saibene, L’Italia di Adriano Olivetti FUORI COLLANA 1 Valerio Ochetto, Adriano Olivetti. La biografia 2 Pier Giorgio Perotto, P101. Quando l’Italia inventò il personal computer 3 Sottsass Olivetti Synthesis. Sistema 45 a cura di E. Morteo, A. Saibene, M. Meneguzzo, M. Carboni

4 Marco Peroni, Ivrea. Guida alla città di Adriano Olivetti


Valerio Ochetto, Adriano Olivetti. La biografia © 2013, 2015 Comunità Editrice, Roma/Ivrea © 1985, 2000, 2009 Valerio Ochetto ISBN 978-88-98220-29-8 prima ristampa febbraio 2017 In copertina: Adriano Olivetti a metà anni Cinquanta. © Fondazione Adriano Olivetti/Archivio privato famiglia Olivetti Le immagini contenute nell’inserto fotografico sono protette da copyright. In ordine di citazione nelle didascalie, per le foto 1-19, 21, 22, 30: © Fondazione Adriano Olivetti, Roma-Ivrea/Archivio privato famiglia Olivetti; per le foto 20, 23-29: © Associazione Archivio Storico Olivetti, Ivrea L’Editore, acquisiti i diritti di riproduzione delle immagini, è comunque a disposizione di quanti avessero a vantare ragioni in proposito Direzione editoriale: Beniamino de’ Liguori Carino Progetto grafico: BeccoGiallo Lab Redazione: Angela Ricci facebook.com/edizionidicomunita twitter.com/edcomunita www.edizionidicomunita.it info@edizionidicomunita.it


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