Nuova Energia, il periodico dello sviluppo sostenibile

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1.2016

IL PERIODICO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE

€ 12 anno XIV bimestrale

LA SCUOLA IN BOLLETTA

Abbonamento a 6 numeri Italia € 60 Estero € 80

Dall’oro nero alla green vision

dossier innovazioneericerca GNL: storie di valore

Dopo il Dieselgate torniamo al mondo reale

Stefano Besseghini:

La ricerca chi

non la fa

logora ISSN 2036-8380 Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI


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Editoriale1.2016

Registrazione presso il Tribunale di Milano n.76 del 08.02.2003 ©Nuova Energia

direttore responsabile Davide Canevari redazione Paola Sesti – Massimo Ventura consiglio editoriale Carlo Andrea Bollino, Roberto Borghini, Paolo Bronzi, Alessandro Clerici, Vittorio D’Ermo, Ugo Farinelli, Giuseppe Gatti, Elio Smedile, Roberto Vigotti consiglio scientifico Pierangelo Andreini, Giovanni Azzone, Ausilio Bauen, Andrea Clavarino, Bruno Coppi, Maurizio Cumo, Luigi De Paoli, Giovanni del Tin, Andrea Ketoff, Alberto Pieri, Clara Poletti, Francesco Profumo, Giordano Serena, Giorgio Soldadino progetto grafico e impaginazione Fabio Lancini hanno collaborato a questo numero Romano Ambrogi, Delia Battistelli, Carlo Andrea Bollino, Marco Borgarello, Roberto Cingolani, Matteo Codazzi, Giovanni Battista Conte, Dario Cozzi, Vittorio De Martino, Vittorio D’Ermo, Nino Di Franco, Paola Faggian, Ugo Farinelli, Giuseppe Gatti, Marco Gilli, Michele Governatori, Fabio Inzoli, Francesco Madonna, Andrea Molocchi, Roberto Napoli, Agostino Re Rebaudengo, Marco Sanguineti, Elio Smedile, Giorgio Soldadino, Francesco Sperandini, Fabio Terni, Federico Testa, Riccardo Varvelli, Francesco Zippo traduzione Carolina Gambino fotografie Archivio di redazione, Imagoeconomica stampa GECA Srl | Industrie Grafiche Via Monferrato, 54 – San Giuliano Milanese (MI) pubblicità Editrice Alkes via Goffredo Mameli 17 – 20129 Milano tel. 02 36597127 – adv@nuova-energia.com ufficio abbonamenti Tel. 02 36597125 Prezzo di copertina: € 12 Abbonamenti 6 numeri:

Italia € 60 – estero UE € 80 – extra UE € 100 tutela della privacy La rivista viene inviata in abbonamento. È fatto salvo il diritto dell’interessato di chiedere la cancellazione

Il solo modo per non sbagliare le previsioni è farle sul passato Sono settantotto le candeline sulla torta di Nuova Energia. Per carità, non si tratta di anni – già averne 14 è una bella responsabilità; anche per l’editoria l’adolescenza è un periodo un po’ inquieto – ma di copertine, pubblicate dalla nascita di questa rivista. Quando abbiamo acceso la prima candelina, nel marzo 2003, stava per esplodere il conflitto USA-Iraq, era a rischio la continuità delle forniture di petrolio, si sentiva solo un debole mormorio in merito alle risorse shale, in Venezuela erano in agitazione i lavoratori del comparto oil (e questo agitava l’intero Pianeta), l’economia mondiale procedeva al piccolo trotto, Lehman Brothers era ancora ritenuta una istituzione finanziaria granitica e intoccabile. Con arguzia e mestiere, l’ottimo Drilling commentava: “Ogni notizia che implica un’accelerazione verso la guerra causa uno scivolamento in basso dei prezzi del greggio, ogni spiraglio di soluzione diplomatica della vicenda si traduce in un rialzo; esattamente l’opposto di quanto normalmente ci si aspetterebbe in casi del genere”. Mr. Oil aveva dunque tratti somatici radicalmente diversi rispetto ad oggi; eppure già mostrava una certa instabilità caratteriale. Ironia della sorte, il Brent quotava attorno ai 30 dollari il barile! Certi confronti andrebbero fatti a moneta costante, d’accordo. La coincidenza dei listini 2003 con la situazione attuale resta però quanto meno intrigante. Da allora, il barile sembra aver preso costantemente in giro chi ha cercato di prevederne l’andamento, e non solo con orizzonti estremi, a lungo o lunghissimo termine. Nel 2012 KPMG condusse un sondaggio su scala mondiale, interpellando 225 energy financial executive, in merito alle loro aspettative sull’evoluzione dei prezzi: ben il 43 per cento sostenne un imminente sfondamento di quota 141 dollari; il 6 per cento si spinse oltre, ponendo l’asticella a 161 dollari/barile. D’altra parte, sempre ai tempi della nostra prima candelina, gli scenari elaborati “a dieci anni” dagli esperti IEA stimavano per il 2010 un posizionamento tra i 15 e i 30 dollari. Nonostante l’ampia forbice concessa (il valore massimo doppio di quello minimo), nel corso del 2010 le quotazioni hanno poi oscillato tra i 60 e i 90 dollari. Si potrebbe a questo punto citare Giuseppe Gatti, che proprio su questo numero 1|2016 scrive: Coraggio signora Maria, anche gli esperti ne capiscono quanto lei. Ma sarebbe forse un po’ ingeneroso; dopotutto – da sempre – l’unico modo per non sbagliare le previsioni è farle sul passato. Ci sarà comunque molto da scrivere e da leggere nei prossimi mesi. Evitando, se possibile, i fondi di caffè. Nel suo piccolo, ne siamo certi, anche la luce di settantotto candeline può dare il suo contributo a rendere un po’ meno oscuro il complesso e imprevedibile mondo dell’energia.

o la rettifica dei dati ai sensi della legge (D.lgs 196/03)

Davide Canevari

NuOVA ENERGIA 1-2016

Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la direzione e la redazione di Nuova Energia

Numero chiuso in redazione il 16 febbraio 2016

Editrice Alkes s.r.l. via Goffredo Mameli, 17 20129 Milano Tel. 02 36597125 – fax 02 36597124 rivista@nuova-energia.com www.nuova-energia.com


Sommario1.2016 in copertina Stefano Besseghini, amministratore delegato di RSE

IL PERIODICO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE 6

Besseghini: “La ricerca logora chi non la fa” Davide Canevari

12 Coraggio, signora Maria!

72 Clerici: “Nella generazione la dimensione è (un problema) centrale”

Dario Cozzi

77 Spazio, ultima frontiera

Gli esperti ne capiscono quanto lei

Elio Smedile

Giuseppe Gatti

78 Serve davvero la rottamazione del termoelettrico? 13 Dall’oro nero alla green vision; i Paesi OPEC provano la svolta

Giorgio Soldadino

Carlo Andrea Bollino

79 Caro direttore...

Francesco Sperandini

14 Le sfide non mancano, urge un supplemento di coraggio

Roberto Napoli

80 La domanda di energia in Italia nel 2015

18 Il gas naturale risponde all’offensiva del greggio Vittorio d’Ermo

Vittorio D’Ermo, Delia Battistelli, Vittorio De Martino

87 LA SCUOLA IN BOLLETTA

20 Davvero sta finendo l’era del petrolio? Chiedetelo all’IPP...

Riccardo Varvelli

24 COP21 – Un vertice debole e imperfetto. Ma resto un punto fermo

Paola Faggian

27 Per guidare il clima... serve una Guida sugli effetti della CO2

68 Bolletta 2.0: benvenuta chiarezza!

Andrea Molocchi Francesco Zippo

rubriche 12 Fil di lama

Giuseppe Gatti

54 Storie di valore

Paola Sesti

13 L’appunto Carlo Andrea Bollino

60 Passato (quasi) prossimo

18 Il focus di VDE Vittorio d’Ermo

62 Finestre CESI sul mondo

48 MartaLiquiBlog

80 Dall’Osservatorio energia dell’AIEE

Michele Governatori

a cura di Giorgio Stilus Matteo Codazzi

Vittorio D’Ermo, Delia Battistelli, Vittorio De Martino

49 Chilowatt in cattedra

Roberto Napoli

84 Dalla Borsa elettrica

a cura di Energy Advisor

95 Codici e sentenze

Giovanni Battista Conte

52 Qui e là


dossier

innovazioneericerca 32 Che peccato! Siamo un’auto sportiva ma viaggiamo con il freno tirato 33 Non lasciamoci sfuggire l’opportunità dell’economia bianca Federico Testa 34 Una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile? Si può e si deve fare! Roberto Cingolani 36 Destinati a perdere, se scendiamo in campo con una squadra dimezzata 37 Anche il tessuto industriale deve fare la sua parte

Marco Gilli Fabio Inzoli

40 Facciamo innovazione nel contesto europeo

Romano Ambrogi

42 Dopo il Dieselgate occorre un ritorno al “mondo reale”

Ugo Farinelli

44 Come si misura (e confronta) l’efficienza di un processo produttivo

Nino Di Franco

49 Università: qualche timido raggio di sole nel plumbeo orizzonte

Roberto Napoli

54 “I miei primi 18 mesi a tutto GNL” 56 Come cambia il futuro dell’innovazione 58 Biometano: l’ennesimo treno che stiamo perdendo 59 Rinnovabili: il fai da te non paga... e si paga caro 62 Ruolo e evoluzione delle smart grid 66 “Italia, ponte strategico verso il Mediterraneo”

Paola Sesti Marco Sanguineti Agostino Re Rebaudengo Massimo Ventura Matteo Codazzi Fabio Terni


atrapoco

RICERCA

Quale profilo tracciano dell’Italia della ricerca i diretti protagonisti? Il quadro è certamente complesso e l’impressione

condivisa è quella di viaggiare a bordo di un’auto sportiva, ma con il freno tirato. Ovvero, di non essere in grado di giocare al meglio le pur notevoli opportunità. L’analisi dello stato dell’arte parte proprio dall’intervista cover a Stefano Besseghini (presidente e AD di RSE) a pagina 6 e prosegue con una sorta di tavola rotonda alla ricerca di ragioni e possibili soluzioni [da pagina 32]. C’è spazio anche per due elementi di incoraggiamento: la crescente presenza delle nostre strutture di eccellenza in ambito europeo [pagina 40] e la comparsa di qualche raggio di sole nel plumbeo orizzonte delle nostre Università [pagina 49].

Generazione

Meglio una maxi centrale o una produzione puntuale da pochi kW? L a risposta naturalmente

varia da caso a caso, da fonte a fonte, da continente a continente. Sul tema, a pagina 72, un’analisi della situazione su scala mondiale rivela che gli elefanti esistono anche nell’ambito delle rinnovabili. In Italia sembra che la rottamazione del termoelettrico sia quasi una strada obbligata; ma si tratterebbe di un errore [pagina 78].

Oil&Gas

Finisce non finisce, finisce non finisce... I nutile sfogliare la

margherita per cercare di capire se il petrolio stia davvero per terminare. È decisamente meglio affidarsi a modelli più scientifici, come nel caso dell’IPP [pagina 20]. Il settore è comunque in fermento, come dimostra la svolta in atto nei Paesi OPEC, pronti a gestire la transizione verso un’economia green [pagina 13], e il terremoto delle quotazioni che sta condizionando su scala planetaria anche tutte le altre fonti [pagina 18]. In Italia, intanto, il GNL comincia a farsi le ossa con alcune incoraggianti esperienze nel settore industry [pagina 54].

Clima

Non si è ancora spenta del tutto l’eco sulla COP21 di Parigi e un’analisi più a freddo

degli esiti conferma come, pur essendosi trattato di un vertice debole e imperfetto, resta pur sempre un punto fermo [pagina 24]. Ora occorre che i singoli Paesi facciano le cose sul serio; magari a partire da una più efficace analisi dei costi-benefici [pagina 27]. Intanto, in tema di emissioni l’Europa si trova di fronte a una nuova sfida. Dopo il Dieselgate occorre un ritorno al “mondo reale”, a partire dai test di omologazione [pagina 42].

INNOVAZIONE

Il tema, che è un po’ il filo conduttore di tutto il numero, v iene declinato secondo tre chiavi di lettura:

l’automazione e il ruolo crescente che avrà nel nostro vivere quotidiano [pagina 56], le smart grid [pagina 62] e la neonata bolletta 2.0 [pagina 68]. Anche il sistema energetico italiano, nel suo complesso, sembra meritare una profonda revisione: le sfide non mancano e urge un supplemento di coraggio [pagina 14].

GREEN ECONOMY

La scuola in bolletta atto secondo! A nche per tutto

Nuova Energia 1-2016

il 2016 prosegue infatti l’iniziativa varata da Nuova Energia per l’efficientamento degli edifici ad uso scolastico [pagina 87]. Il tema è cruciale anche per le imprese, e più in generale per i processi produttivi di un Sistema Paese. Fondamentale è poter contare su affidabili indicatori energetici [pagina 44]. Tanti gli spunti anche in tema di rinnovabili [da pagina 58], compresa una stimolante lettera aperta del presidente e AD del GSE, Francesco Sperandini [pagina 79].


FOTO: MICHAEL POLIZA/NATIONAL GEOGRAPHIC CREATIVE Venezia, Italia: una perfetta combinazione tra fattori naturali e antropici ha dato vita a una laguna tra le più importanti d’Europa. Una rete che dimostra l’importanza della sinergia tra uomo e ambiente.

Per fare grande la rete europea del gas, ci siamo ispirati alla natura. Portiamo il gas naturale dall’Italia all’Europa e dall’Europa all’Italia attraversando Paesi e frontiere. Garantiamo la sicurezza energetica nazionale con una rete di trasporto lunga oltre 32.000 km, 8 siti di stoccaggio, 1 rigassificatore, più di 52.000 km di rete di distribuzione cittadina. Con 6.000 uomini e donne presenti sul territorio, realizziamo e gestiamo un sistema fortemente integrato con il paesaggio e la natura. Perché solo costruendo una rete di valori progettiamo un grande futuro.

La rete che rispetta il futuro.


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L’AMMINISTRATORE DELEGATO DI RSE

Besseghini:

La ricerca chi

non la fa

di Davide Canevari

logora

to contributi anche di natura applicativa nel campo dell’energia. Non voglio poi dimenticare Riccardo Giacconi, se pure ha svolto la quasi totalità della sua attività di ricerca negli Stati Uniti”. “In realtà, in Italia possiamo identificare

insediato il nuovo direttore generale del CERN, Fabiola Gianotti”.

NuOVA ENERGIA 1-2016

Anno 1963. Karl Ziegler e Giulio Natta Effettivamente il tema della situazione ricevono il Premio Nobel come riconocontingente (e delle potenzialità) della scimento per le loro scoperte nel campo ricerca italiana è tra i più ampi e ampiadella chimica e della tecnologia mente trattati. Lei cosa aggiundei polimeri. Da allora sembra gerebbe al dibattito? passato molto più di mezzo secoÈ noto che il settore prelo e, soprattutto, sembra che l’Isenta luci e ombre. Da una L’importanza del presidio talia abbia combinato poco o nulla parte, una riconosciuta elevadel concetto di sistema nella ricerca. Ma c’è di più: oggi ta qualificazione degli addetti è cruciale. In tutti i contesti immaginarsi un “nuovo Natta”, nazionali alla ricerca (abbiamo matura chiaramente la necessità un ricercatore italiano in grado ottimi scienziati); dall’altra, una di volare a Stoccolma per ricevedi svolgere un’indagine sostanziale debolezza organizre il prestigioso riconoscimento che non sia agganciata zativa (il sistema della ricerca sembra ai limiti della fantascienalla singola tecnologia, ma presenta ampi spazi di miglioza. Due malignità, forse solo due che sappia sollevare lo sguardo ramento), una scarsa correlaziobanali luoghi comuni... per cercare di rispondere ne con il comparto industriale e Stefano Besseghini, amminia domande complesse una difficoltà generale a coordistratore delegato di RSE, sornarsi per raggiungere la necesride a queste provocazioni e saria massa critica. commenta: “È una visione forse un po’ ingenerosa. In fondo un Ma non è sempre stato così... Nobel per la fisica nel 1985 lo abbiamo un numero finito – ma non piccolo – di Vero, anche perché la ricerca italiana portato a casa, e con una personalità – personalità scientifiche di assoluto rilievo ha saputo unire ad eccezionali persoCarlo Rubbia – che oltre ai propri meriti nel panorama scientifico internazionanalità contesti industriali che ne hanno scientifici nel settore specifico ha apportale. Da poche settimane, ad esempio, si è decretato la leadership in molti settori


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The research sector in Italy is known to have bright as well as dark sides. RSE CEO Stefano Besseghini sums them up for Nuova Energia in this issue’s cover story. “On the one hand, our national researchers are highly skilled - we do have excellent scientists – on the other hand, however, the system is weakly organized - there definitely is much room for improvement - and poorly connected with industry; also, generally it is still too difficult to establish proper coordination to achieve the critical mass we need”. “We often long for the good old days when Mr. Natta was there. I think what mostly made the difference back then was the strong tie between industry and research. Polytechnic Universities were truly a school for industrial

Dei tanti argomenti che compongono la risposta a questa domanda proviamo a svilupparne uno specifico, che è quello della continuità delle risorse. Faccio volutamente riferimento al tema della continuità e non a quello della quantità, perché quest’ultimo è già ampiamente dibattuto. Un esempio che mi pare ben si adatti a sviluppare questo spunto è il fondo della Ricerca di Sistema (RdS) e dei progetti ad esso connessi.

entrepreneurs, I mean that they were like knowledge creation centres people turned to in order to find ideas for solutions with a competitive edge”. “Today, as never before - he adds - we are finally understanding how important the concept of system is; which is, by the way, RSE’s underlying attitude. In all areas, there is a deeply felt need for research not to be foolishly bound up with a given technology, but rather capable of looking further in space and time to try and respond to complex questions”. So, have any steps really been taken in the last few years? The answer is yes, but not all were necessarily good. “Sure new tools were developed and implemented to foster the growth of new companies - including possibly from research innovation – that were absolutely extraordinary. No decisive steps was taken instead insofar as establishing a merit system is concerned, and for a better identification of research threads. This last issue has mainly to do with the specificities of Ricerca di Sistema”. And, if he could send a message to political bodies, he would definitely target the European Commission. “That should be, at a minimum, the arena for the discussion on the development of a European energy system that can capitalize on the existing strengths while softening the impact of inefficiencies at the level of individual member states as much as possible”. And what would his message be, then? “Turn difficulties into opportunities by leveraging creativity. Solutions will not emerge from old schemes but from fresh enthusiasm”.

o che hanno connotato il nostro Paese come innovatore e anticipatore. In alcuni comparti abbiamo ancora una chiara eccellenza industriale; in altri, per motivi che la penna dello storico dovrebbe provare ad analizzare più a fondo, abbiamo perso il vantaggio competitivo che avevamo.

Nuova Energia 1-2016

Provi ad usare quella penna, anche se per poche righe. Mah, lei ricordava all’inizio i bei tempi andati di Natta. Credo che la differenza rispetto ad allora sia la mancanza – oggi – di quella profonda interconnessione che esisteva tra il settore industriale e il mondo della ricerca. Il Politecnico era la scuola degli industriali; intendo dire: un centro di produzione della conoscenza a cui si guardava per trovare spunti di vantaggio competitivo.

Qualche tempo fa ho visitato a Forlì la straordinaria esposizione della collezione Verzocchi, un tipico esempio di imprenditore con una visione. Mi ha molto colpito una serie di réclame, come si usava dire allora, in cui accanto alla promozione del proprio mattone refrattario si sollecitavano le aziende clienti ad impiegare i laboratori delle università. Al di là del caso specifico, l’evidente testimonianza di una solida reciproca alleanza... Come potremmo fare tesoro di quelle esperienze? Come spesso accade, non è possibile ricostruire le peculiarità che hanno determinato un passato successo; è però importante porsi la questione di quali passi andrebbero svolti per mettere in condizione il settore della ricerca di essere funzionale allo sviluppo del Paese.

Da dove nasce l’esigenza di un fondo dedicato? La Ricerca di Sistema è stata concepita per garantire il mantenimento e il continuo rinnovo e aggiornamento di quelle attività di studio, analisi tecnico-economica, sviluppo e sperimentazione di tecnologie, che in un regime di monopolio verticalmente integrato sono garantite dal monopolista stesso. La RdS incorpora al proprio interno le funzioni di progettazione, gestione, innovazione e ha quindi piena visibilità di ogni aspetto che può contribuire alle scelte strategiche. Nel mercato liberalizzato le informazioni e le competenze sono necessariamente frammentate – sia in senso orizzontale sia verticale – fra diversi operatori, mentre le scelte strategiche complessive e la regolazione del mercato stesso, a tutela dell’ambiente e degli utenti finali, sono affidate ad uno o più soggetti pubblici. Si determina quindi una sistematica situazione di asimmetria informativa, che può rendere meno efficaci le scelte che governano l’evoluzione del sistema. E la RdS ha come obiettivo primario il superamento di tale possibile limitazione? Sì, attraverso l’opera di un soggetto pubblico, indipendente e competente su tutti i settori del sistema elettro-energetico e che, grazie alle interazioni con tutti i soggetti del sistema (produttori, società di trasmissione e distribuzione, fornitori di tecnologia, costruttori di componenti e impianti), mantiene e accresce la propria esperienza su tutte le articolazioni del settore elettrico ed energetico, e attraverso il rapporto con la ricerca di base e la partecipazione ai progetti di ricerca comunitari acquisisce una visione prospettica dell’evoluzione tecnologica a medio-lungo termine. Lo svolgimento di questo essenziale ruolo di supporto tecnico nei confronti


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La ricerca chi

non la fa

logora

delle istituzioni non può prescindere da una diretta azione di sviluppo tecnologico, che garantisce una conoscenza approfondita e sempre aggiornata sulle tecnologie disponibili ed emergenti; ciò offre anche importanti opportunità di trasferimento di conoscenza a beneficio dello sviluppo e della competitività dell’industria di settore. Un’adeguata posizione di neutralità tecnologica e di terzietà rispetto ai legittimi interessi in gioco si persegue peraltro presidiando anche aree di competenza che non per forza implicano una leadership di innovazione, ma consentono comunque di interloquire in modo autorevole con le realtà industriali operanti sul mercato che avanzano istanze di evoluzione normativo/ regolatoria ritenute dal proprio punto di vista necessarie.

Si fa spesso riferimento ai bei tempi andati di Giulio Natta. Credo che la principale differenza rispetto ad allora sia la mancanza – oggi – di quella profonda interconnessione che esisteva tra il settore industriale e il mondo della ricerca. Il Politecnico era la scuola degli industriali; intendo dire un centro di produzione della conoscenza...

nuove tecnologie come l’accumulo e la mobilità elettrica, ma soprattutto l’inevitabile tendenza verso una visione integrata del tema energetico (elettricità-calore-gassistema idrico). Vanno peraltro delinenandosi nuovi elementi che avranno un’influenza forse

A proposito di Europa, davvero con Horizion 2020 siamo entrati in una nuova era? Quali sono i suoi punti di forza? Sul fatto che siamo entrati in una nuova era non saprei. Certamente la prima fase, diciamo il primo anno di H2020, è stata densa di sorprese spesso non piacevoli per il settore della ricerca italiana. Non sono più una novità i dati delle prime call in cui anche noi, che solitamente avevamo un tasso di successo prossimo al 45 per cento delle proposte presentate, abbiamo subito una forte (e dolorosa) contrazione. Solo un intenso lavoro di riesame delle proposte presentate e di rafforzamento delle partnership ci ha permesso di riguadagnare posizioni. Una cosa che abbiamo visto funzionare, almeno nelle call dello scorso anno (e speriamo di ripeterci nel 2016), è stato il lavoro di coordinamento all’interno di EERA, la European Energy Research Alliance. Sul tema delle smart grid, l’applicazione di una procedura per il confronto sin dalle prime fasi della costruzione del partenariato e la sistematica attenzione a evitare duplicazioni e sovrapposizioni sembra siano state apprezzate dai valutatori, tanto che tutte le proposte sono andate a segno. Una rondine non fa primavera, ma… Siamo a metà percorso e per ora ha fatto solo qualche cenno a RSE. Nello spazio di poche righe, ci racconti chi è oggi RSE e perché è una realtà indispensabile per il Paese. Mai come oggi si sta comprendendo l’importanza del presidio del concetto di sistema (che è il mood di RSE). In tutti i contesti matura chiaramente la necessità di svolgere una indagine che non sia stolidamente agganciata alla singola tecnologia, ma che sappia sollevare lo sguardo sia nella dimensione spaziale, sia in quella temporale per cercare di rispondere a domande complesse. Anche dal settore industriale, consapevole della propria forza

Nuova Energia 1-2016

Quest’ultimo punto è uno dei più difficili da digerire per i non addetti ai lavori. Sembra più che altro materia di confronto solo per burocrati... Non lo è affatto. Il ruolo di intelligence a supporto delle scelte strategiche relative al sistema elettro-energetico era una evidenza essenziale nella transizione fra monopolio e mercato, quando occorreva tradurre in modo per quanto possibile rapido le linee politiche di indirizzo generale in regole operative e soluzioni efficaci. L’esigenza resta oggi più che mai attuale ed è destinata a restarlo, come è reso evidente dal perdurare e dall’intensificarsi delle attività legislative e regolatorie relative al settore. Anche la presenza italiana nel contesto della normativa tecnica internazionale (IEC/CENELEC e ISO/CEN) rappresenta una risorsa che deve essere accuratamente preservata e se possibile arricchita. A questo proposito, il contributo di RSE è fondamentale, anche perché si basa su adeguate capacità tecniche derivanti dalla ricerca sperimentale condotta nei nostri laboratori, e garantisce poi un beneficio soprattutto a vantaggio delle PMI italiane che – proprio per la loro dimensione – non sempre hanno la forza e la coesione per presidiare autonomamente tali contesti.

Fra le forzanti che in tempi recenti hanno determinato la necessità di una frequente revisione delle regole che cosa citerebbe? Senza l’ambizione di stilare un elenco esaustivo: l’affermazione delle rinnovabili, la necessità di fornire nuove risposte al controllo di un sistema sempre più influenzato dalle risorse distribuite e aleatorie, l’affacciarsi nel sistema elettrico di

decisiva sull’evoluzione del sistema elettrico ed energetico italiano, come l’Energy Union, che pone sfide del tutto nuove al nostro sistema, travalicando i confini del settore elettrico e investendo il futuro dell’industria italiana.


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All’interno di EXPO abbiamo letto in chiave di sostenibilità le soluzioni smart che venivano proposte dai fornitori e ne è venuto un prodotto che ora stiamo implementando in un lighthouse project con Milano, Lisbona e Londra per misurare il grado di sostenibilità delle smart city. Queste metriche, questi indicatori, non sono importanti solo in sé: rappresentano una condizione necessaria per la comprensione e la corretta valutazione di progetti che rischiano di sfuggire ad una corretta valutazione per le loro inevitabili caratteristiche di ampiezza e varietà. Insomma, c’è parecchio lavoro da fare. E questo riporta il discorso sul tema delle risorse, e in particolare della continuità... Concordo. Non si confonda però continuità con certezza di finanziamento. Dobbiamo tenerci ben lontani da qualunque meccanismo di finanziamento a prescindere. È fondamentale la valutazione ma è altrettanto fondamentale sapere che esistono meccanismi stabili di finanziamento con processi stabili. Da questo punto di vista mi pare che l’enorme pregio del meccanismo dei Programmi Quadro sia proprio quello di offrire un agone competitivo stabile dove è anche possibile costruire esperienza.

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tecnologica, viene una richiesta più ampia, di visione. La stessa politica chiama a valutazioni che sappiano indicare l’impatto delle scelte di oggi nella evoluzione dei mercati, delle infrastrutture, delle città e delle comunità. Se il tema di questo periodo storico è una visione più matura del concetto di sostenibilità, è chiaro che affrontarlo in un’ottica di sistema è, perlomeno, il punto di partenza giusto. Purché a farlo sia un soggetto terzo, indipendente, credibile e competente, quale è appunto RSE. È chiaro che la proposta della sola tecnologia non è più in grado di rispondere ad una società che si pone domande più ampie, che ha maturato una visione complessiva della vita dei prodotti e si chiede (con scelte consapevoli di acquisto) da dove vengono le materie prime e dove andranno a finire i rifiuti. Proviamo a tradurre tutto ciò in qualco-

La richiesta del Governo di dare vita ad aggregazioni e razionalizzazioni delle utility può permettere anche alla tecnologia e all’innovazione di essere collanti per l’integrazione operativa di soggetti che operano nei servizi energetici o, più in generale, in quelli di pubblica utilità

sa di ancora più tangibile? Ho esempi precisi di questo approccio, ma penso sia semplice richiamarne due molto recenti: il lavoro fatto come RSE con ANIE sul Libro Bianco degli accumuli (un report che ha genuinamente interpretato i rispettivi ruoli e di cui stiamo curando una nuova edizione per il prossimo anno) e il progetto straordinario di Smartainability.

Come vive RSE la profonda transizione in atto nel settore delle utility? Certo non da spettatore. Il momento, come noto, è particolarmente rilevante per il mondo delle utility, specie per quelle pubbliche. La richiesta del Governo di dare vita ad aggregazioni e razionalizzazioni può, a mio avviso, permettere anche alla tecnologia e all’innovazione di essere collanti per l’integrazione operativa di soggetti che operano nei servizi energetici o, più in generale, in quelli di pubblica utilità. RSE può contribuire – grazie al suo know-how, alla sua visione dell’innovazione e alla sua capacità di guardare al sistema – alla creazione di piattaforme comuni, ad esempio per i sistemi di processo, di interoperabilità e di comunicazione, che possono semplificare e ottimizzare le fusioni e le aggregazioni delle utility. Torniamo ad una visione di insieme sul


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La ricerca chi

non la fa

logora

Sistema Italia. Lei è già stato ospite di queste pagine nel gennaio 2012. Allora aveva posto alcune questioni, tra cui il (mancato) riconoscimento della meritocrazia, la scarsa libertà lasciata ai ricercatori nella scelta dei temi sui quali fare ricerca, la valutazione e il trasferimento dei risultati. Pensa che sia cambiato qualcosa in questi quattro anni? Intanto considero che il tempo vola! Venendo al merito, sì penso che siano cambiate alcune cose. Ahimè, non sempre in meglio. Partiamo dal buono. Mi pare si debba dare atto che sono stati sviluppati e implementati strumenti assolutamente straordinari per favorire la

crescita di nuove aziende. Temo non siano conosciute come meriterebbero (anche se mi sembrano discretamente impiegate), ma ritengo tutte le politiche legate al fondo per le start-up e per le PMI innovative molto efficaci, concepite per poter essere effettivamente utili. Lo stesso sistema bancario le ha (pur un po’ timidamente) recepite. Si sta lavorando intensamente anche per implementare in Italia strumenti come il green public procurement o il pre-competitive procurement. Strumenti che, meglio dei finanziamenti, permettono alle start-up di emergere lavorando attorno alla proposizione al mercato del loro prodotto, che rimane pur sempre il modo migliore (forse l’unico...) per far sviluppare le aziende. È di recente attivazione anche un nuovo strumento a supporto della proprietà intellettuale, il patent-box. Forse è presto per trarne conclusioni, ma mi pare che vi sia parecchia attenzione; e questo è positivo, stante la tradizionale diffidenza verso lo strumento brevettuale.

Come ricercatore, c’è oggi un Paese che ritiene ideale o che vorrebbe fosse preso a modello dall’Italia? Penso siano due temi da affrontare singolarmente. Non necessariamente il Paese che ho in mente come “modello della ricerca” potrebbe essere utile per l’Italia, dato che la ricerca non vive in un mondo a sé, fissa e immutabile in un modello ideale, ma deve essere parte di un più ampio “modello Paese”. Penso, dunque, che un sistema della ricerca come quello tedesco, con una articolata organizzazione di soggetti che presidiano fasi diverse della terna “ricerca – sviluppo – innovazione”, possa essere un modello a cui tendere nel medio termine. Ne siamo ovviamente lontani ad oggi; non perché non ci siano gli elementi costitutivi, ma perché facciamo da sempre molta fatica a organizzare la filiera evitando duplicazioni e sovrapposizioni. Tuttavia, certamente, sarebbe il meccanismo più coerente con le caratteristiche delle nostre PMI. E il modello ideale in senso assoluto? Per la ricerca (che peraltro riguarda una specifica fase del complesso ecosistema dell’innovazione) io credo che in generale l’approccio anglosassone sia molto stimolante. La visione del ricercatore in qualche modo imprenditore di sé stesso e della propria attività mi sembra quella che meglio si sposa con le caratteristiche proprie della ricerca, che dell’eccellenza dell’individuo e di un ristretto team fortemente committed all’obiettivo non può fare a meno. Anche in questo senso, però, mi sembra di vedere segnali importanti, ancora una volta a livello europeo, con il meccanismo dei grant di ricerca comunitari. Un atteggiamento diverso, positivo, proattivo ad accaparrarsi i vincitori di questi grant

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Veniamo alle note meno incoraggianti. Sul lato della meritocrazia e del processo di definizione dei temi di ricerca – quest’ultimo aspetto principalmente connesso allo specifico della Ricerca di Sistema – non abbiamo invece visto miglioramenti decisivi. Nel corso del triennio 2012-2014 si era attivato il meccanismo dei bandi di “tipo A” per gli affidatari dei progetti (RSE, ENEA e CNR) ma, di fatto, non sono mai partiti. Una buona idea che non ha potuto (ancora) essere testata. Una cosa, invece, mi

pare sia peggiorata in maniera preoccupante: il sistema della ricerca pubblica si sta progressivamente, ma spero non inesorabilmente, irrigidendo in una visione da pubblica amministrazione. Resto profondamente convinto (e ne ho già parlato proprio su questa rivista...) che si dovrebbe fare uno sforzo di progettazione per immaginare una diversa organizzazione della ricerca pubblica, non legata solo ad un differente assetto degli organismi che se ne occupano, ma alla loro stessa natura e tipologia di azione.


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sarebbe una ottima strategia anche per il sistema ricerca nel suo complesso. Come manager di impresa, risponderebbe allo stesso modo? No! Ammesso e non concesso che io sia titolato a presentare questo punto di vista, direi che il modello tedesco non è proprio replicabile in Italia, perché diversi sono i percorsi storici di evoluzione e perché noi più o meno scientemente siamo stati capaci di annichilire interi settori industriali. Piuttosto, osservo con qualche curiosità il tentativo tedesco di “vendere” il proprio modello delle piccole e medie imprese nei contesti della cooperazione internazionale, ambito in cui forse noi avremmo qualche cosa in più da dire. Industrialmente non credo che abbiamo da imparare molto; siamo un Paese che ha dimostrato di sapere essere autorevole protagonista. Piuttosto Dobbiamo fare un grande sforzo dovremmo fare un grande sforzo per liberare il sistema per liberare il nostro sistema inindustriale; dobbiamo accelerare dustriale. Qualcosa si sta forse muovendo... È vero, ma non basta. Dobbiamo accelerare con ancora maggiore determinazione; la capacità di fare impresa deve trovare briglie più sciolte. Il rischio di impresa è una grande sfida anche umana che non si deve complicare oltre il necessario. Sono ben consapevole che la paura dell’illecito porta ad una ipertrofia normativa e regolatoria, ma credo che si dovrebbe rifondare un sostanziale patto di fiducia su cui costruire un rinnovamento industriale del nostro Paese. Sarà una banalità, ma poche norme, sanzioni certe e una giustizia rapida “il giusto” sarebbero assai più utili di incentivi sempre troppo inadeguati o nei tempi o nei modi.

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Efficienza, green economy e smart grid... Quanta sostanza e quanto marketing c’è, a suo avviso, dietro ciascuno di questi termini? Non credo sia un problema di marketing in senso negativo. Tutti i settori che cita hanno contenuti chiari e offrono opportunità concrete. Purtroppo temo ci sia invece nel loro uso, spesso a sproposito, una terribile necessità di

con ancora maggiore determinazione. La capacità di fare impresa deve trovare briglie più sciolte. Il rischio di impresa è una grande sfida anche umana che non si deve complicare oltre il necessario

semplificazione. Viviamo ormai in una società in cui la sintesi viene confusa con l’analisi, mentre la sintesi è frutto dell’analisi. C’è una bellissima frase che cito spesso: Scusa se ti ho scritto una lettera lunga, ma non ho avuto il tempo di scriverne una breve. Abbiamo un forte desiderio, forse una necessità, di identificare in una società che diviene sempre più complessa dei temi che possano essere la soluzione a problemi che invece non possono prescindere da soluzioni articolate e complesse. Nessuno dei temi che ha indicato sono la soluzione, per esempio, alle questioni portanti del sistema energetico. Ma tutti vi concorrono. Ecco, di nuovo, perché la visione di sistema è preziosa. È importante saper indagare le opportunità ma, soprattutto, i limiti, di ciascuna tecnologia.

Ci è rimasto il tempo di un tweet: in questo momento lo indirizzerebbe alla Commissione Europea o al Ministero dello sviluppo economico? E cosa scriverebbe? Lo manderei certamente alla Commissione Europea, perchè quella è la dimensione minima con cui dovremmo ragionare per lo sviluppo di un sistema energetico europeo che sappia coniugare gli elementi d forza che ci sono, stemperando per quanto possibile le inefficienze dei singoli Stati. Mi sembrerebbe il messaggio più importante dell’Energy Union, anche se siamo consapevoli della difficoltà di un percorso cha va a toccare un settore così strategico e in cui le resistenze alla cessione di sovranità sono da sempre enormi. Devo anche dire che, vista la pragmatica stolidità di alcuni apparati di Bruxelles, le resistenze potrebbero avere anche un loro senso... E il messaggio? Turn difficulties into opportunities leveraging on creativity. Solutions will not emerge from old schemes but from new enthusiasms. Sono solo 130 caratteri, c’è ancora lo spazio per un hashtag... #complexityisavalue


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fildilama

di Giuseppe Gatti

Ci sono alcune cose che la signora Maria proprio non capisce. La signora Maria non è una sprovveduta; certo non ha particolari cognizioni di economia e di finanza, per lei un mezzanino è un piano con il soffitto ribassato, non ha ben chiara la differenza tra MW e MWh (ma in questo è in buona compagnia con parlamentari, ministri e anche amministratori delegati di società energetiche), però ha un solido buon senso e, a differenza dei millennial che gestiscono i trading desk, ha una buona memoria. La signora Maria, che ancora ricorda come negli anni ‘70 e ‘80 l’inflazione a due cifre fosse un flagello di Dio, ha qualche difficoltà a capire perché adesso la stabilità dei prezzi, che mantiene integro il potere d’acquisto della sua magra pensione, sia diventata un problema. Solo perché lo dice anche Mario Draghi, che le sembra tanto un bravo ragazzo, rinuncia a capire, ma non riesce a rammaricarsi se non c’è inflazione. Pressata da continue chiamate dai call center, che arrivano sempre quando è ai fornelli e proprio non è il momento per andare a cercare bollette della luce e del gas (e poi cosa mai vogliono sapere questi, da carte da cui lei ha sempre solo capito quanto doveva pagare?), ha rifiutato offerte a parole una più conveniente dell’altra ed è sempre rimasta sul mercato regolato. Qualche volta si è chiesta perché l’abbiano messa nel mercato di tutela per il gas e invece di maggior tutela per l’energia elettrica. Perché non le hanno dato la maggior tutela anche per il gas, che poi per il gas spende anche di più, perché ha la caldaietta? Ha provato a chiederlo alla ragazza di un call center che sembrava tanto gentile, ma questa le ha risposto che è la stessa cosa e si è sentita presa in giro. Maggiore vorrà pur dire qualcosa. La signora Maria è attenta ai suoi consumi e aveva capito che gli elettrodomestici è meglio usarli la sera e così aspetta dopocena per avviare la lavatrice, ma adesso il nipote, che sa l’inglese e studia ingegneria e quindi se ne intende, le ha spiegato che, per effetto delle rinnovabili, i prezzi alla sera sono più alti che nelle ore centrali e quindi è meglio far andare la lavatrice dopopranzo. La signora Maria non capisce bene cosa sia successo, ma si adegua. La signora Maria ha sempre pagato il canone della televisione, ma adesso si sente dire (almeno venti volte al giorno) proprio dalla televisione che non deve più andare alla posta. Lo pagherà insieme alla luce e a piccole rate: non capisce cosa c’entri la bolletta della luce con la televisione, ma l’idea di pagare a piccole rate le piace (rimarrà un po’ male quando scoprirà che la prima rata non è tanto piccola e si chiederà perché le hanno raccontato questa bugia). Sempre alla televisione ha sentito che le cose vanno male perché il prezzo del petrolio è troppo basso e questo lo scrive anche il suo giornale. Questo proprio la signora Maria non lo capisce. Ricorda ancora che in anni ormai lontani la benzina era sulle 100 lire al litro, quando la 600 costava 600.000 lire, e non le sembra che allora le cose andassero così male. Perché mai adesso è diventato invece un male che il petrolio costi poco? La signora Maria ha cercato di capirci qualcosa di più e così ha letto che tutto parte dagli arabi, per fare dispetto agli americani che adesso tirano fuori il petrolio dalle rocce, e insieme ai russi che appoggiano i persiani, nemici degli arabi per una storia sull’eredità di Maometto. La storia della successione di Maometto non le è molto chiara, ma fare un dispetto ai russi non le sembra una brutta cosa. Che invece gli arabi volessero far male agli americani non le sembra giusto: l’America non è sempre stata alleata dell’Arabia? Proprio vero che degli arabi non ci si può fidare. Già era chiaro quando era venuto fuori che la famiglia di quel Bin Laden era tanto amica dei Bush e poi quel disgraziato gli ha buttato giù le Torri Gemelle. Begli amici! Forse non ha tutti i torti suo marito, quando dice che di politica estera gli americani ci hanno sempre capito poco. Suo nipote le ha detto che però adesso anche gli arabi non se la passano bene, con il petrolio così a buon mercato e loro oltre al petrolio hanno solo la sabbia. Adesso ha capito che sono nei guai gli americani, i russi, i persiani e anche gli arabi, che hanno messo in moto tutta questa baraonda. Che poi sia un guaio pure per noi, continua a sembrarle strano. Sarà per quella strana storia della globalizzazione di cui le parla il suo fruttivendolo quando vuole venderle le fragole a gennaio. Coraggio, signora Maria, guardi che anche i cosiddetti esperti alla fine non ne capiscono molto più di lei.

Coraggio, signora Maria!

Gli esperti ne capiscono quanto lei

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l’appunto

di Carlo Andrea Bollino

“Si può lasciare al buio tutti per una volta o lasciare al buio uno per tutta la vita, ma non si può lasciare al buio tutti per tutta la vita”

L’anno appena trascorso ha davvero aumentato le incertezze dei mercati energetici di tutto il mondo. Il 2015 si è concluso con prezzi del petrolio eccezionalmente bassi, a causa di un livello mondiale di scorte che non ha riscontro con gli anni precedenti e che ha osteggiato i tentativi di recupero delle quotazioni. Nonostante questa instabilità del mercato, tradottosi in un differimento – quando non addirittura in una cancellazione – di investimenti in nuovi progetti, i Paesi produttori, con i Paesi OPEC in testa, hanno continuato a non modificare le proprie quote di produzione. Si tratta di una scelta che presenta diverse chiavi di lettura. Prima tra tutte, la volontà dell’Arabia Saudita di conservare per quanto possibile intatta la propria quota di mercato. In questo senso la strategia appare abbastanza chiara: massimizzare i livelli di produzione pur in presenza di bassi prezzi del petrolio, con lo scopo di spiazzare gli investimenti e l’intervento di nuovi possibili fornitori, sia Paesi non-OPEC come USA e Russia, sia OPEC come l’Iran. Una seconda chiave di lettura è quella di sfruttare l’occasione offerta dai bassi prezzi del petrolio per rivedere la struttura economico-sociale dei diversi governi, fornendo l’opportunità di avviare quelle riforme fiscali necessarie per una loro riconversione verso un green vision. Sotto quest’ultima chiave di lettura devono essere viste, infatti, le novità apportate da Paesi come Arabia Saudita e Qatar che per primi hanno annunciato tagli ai sussidi, sia per contenere i propri deficit che un prezzo del petrolio tanto basso comporta, sia per elaborare quelle riforme che altrimenti sarebbero più difficilmente accettate dalla popolazione. Proprio il Qatar ha annunciato a inizio 2016 di aver deciso di aumentare il prezzo interno della benzina del 30 per cento (approfittando del basso prezzo del petrolio a livello mondiale), con l’obiettivo di ridurre le sovvenzioni ai combustibili fossili. Nonostante ciò i prezzi della benzina rimarranno tra i più bassi al mondo, pur sopportando il verificarsi di un deficit stimato dell’8 per cento (oltre 12 miliardi di dollari) per l’anno fiscale 2015-2016, il primo dopo 15 anni. Il Qatar segue così l’esempio dell’Arabia Saudita che per il 2016 pare registrare un disavanzo di ben 98 miliardi di dollari. Il Paese, infatti, a fronte di una spesa pubblica pari a 260 miliardi di dollari, ha registrato entrate sostanzialmente ferme a 162 miliardi, entrate che sono legate per oltre il 98 per cento alle esportazioni di petrolio. Per far fronte al disavanzo, il Paese ha varato un programma di riforme la cui prima mossa è proprio il taglio dei sussidi energetici, che darà luogo a un innalzamento del prezzo della benzina nel mercato interno del 33 per cento, bollette elettriche più care per i cittadini più ricchi e rincari sui prezzi dell’acqua. Anche l’Iraq registrerà un deficit di 21,4 miliardi di dollari (entrate pari a 80,6 miliardi di dollari contro spese per 102 miliardi), giacché il bilancio iracheno si basa per il 95 per cento su entrate petrolifere, e si tratta del più elevato deficit della storia moderna irachena. La stima elaborata dal governo iracheno è stata calcolata con un prezzo del petrolio pari a 56 dollari/barile e un export pari a 3,3 milioni di barili/giorno, sebbene attualmente la produzione sia di soli 2,5 milioni di barili/giorno. Situazione non dissimile da quanto è in corso in Algeria, il cui deficit ha raggiunto la quota record di 52 miliardi di dollari (57,8 miliardi di entrate contro 109 miliardi di dollari di spese), a causa di un prezzo del petrolio fortemente basso. A rischio budget sono molti Paesi arabi non solo OPEC, come Egitto, Marocco e Tunisia, che sono stati così spinti a ridurre i sussidi per i combustibili e per alcune forme di assistenza a causa dell’aumento dei loro deficit. In tutti i Paesi il cui budget è fondamentalmente sostenuto dalle esportazioni di petrolio, il rischio deficit sta spingendo verso una complessa quanto inevitabile revisione del proprio sistema di sussidi interno e di bilancio, soprattutto alla luce della considerazione – condivisa da molti analisti internazionali – che non è prevedibile un rialzo imminente del prezzo del petrolio nel brevissimo termine. Le stesse stime contenute nell’ultima edizione dello Short-Term Energy Outlook (del 12 gennaio 2016) elaborato dell’EIA-DOE prevedono un prezzo del Brent ancora contenuto pari, in media, a 40 dollari/barile nel 2016 e a 50 dollari/barile nel 2017, con una quotazione del WTI rispetto al Brent inferiore di 2 dollari/barile per il 2016 e di 3 dollari/barile nel 2017. Chi sa?

Dall’oro nero alla green vision, i Paesi OPEC provano la svolta

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ITALIA

Le

sfide non mancano,

di

coraggio

urge un supplemento di Roberto Napoli

detto cartello petrolifero (sostanzialmente mediorientale), endemicamente piagato da conflitti dei quali non si intravvede la conclusione. Il mantenimento delle quote di mercato è la strategia prevalente del principale produttore (Arabia Saudita), a costo di abbassare drasticamente il prezzo del petrolio, ormai sceso dal picco dei 110 dollari al barile agli attuali 30 dollari. La discesa dei prezzi non appare destinata a cambiare in breve tempo. A parte le considerazioni geopolitiche sui rapporti di forza fra i Paesi produttori, la scoperta di nuovi giacimenti e le nuove tecniche americane di estrazione da sabbie bituminose e dai giacimenti in acque profonde rendono difficile prevedere un sostanzioso recupero dei prezzi del petrolio. Certo, ci si è abituati a repentini cambiamenti di mercato e le previsioni valgono quanto valgono...

È però un fatto che, oggi come oggi, l’andamento dei prezzi scoraggia gli investimenti nel settore petrolifero. Un simile scenario di incertezze e di previsioni negative si sposa perfettamente con l’inclinazione italica a muoversi controcorrente, in perenne ritardo con le opportunità di mercato e sempre tempestiva nell’avviarsi sulla strada delle nasate doloranti. In base a questa inclinazione, quale periodo migliore per spingere l’Italia nella direzione petrolifera? E quale occasione migliore per esibirsi nella solita guerra mediatica fra i sostenitori degli estremismi filo-ambientali e i biechi fautori del progresso a tutti i costi? La bellezza è un capitale, come ben sanno molte appartenenti al gentil sesso. Ciò vale anche per l’ambiente, che si vorrebbe incontaminato dalle perverse realizzazione tecnologiche. Tutto

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Guardando al passato, non è facile ricordare periodi nei quali il mondo dell’energia sia stato offuscato da un’incertezza pari a quella attuale. La mente corre subito allo shock petrolifero del 1973, dovuto all’improvvisa interruzione del flusso di petrolio proveniente dai Paesi OPEC. La similitudine però non regge. Quello shock fu causato da un evento militare (la guerra del Kippur fra Egitto e Israele). Le guerre hanno un termine e con il sopraggiungere della pace la situazione si normalizza. Oggi l’incertezza è molto più strutturale, perché si mescolano evoluzioni tecnologiche impensate e situazioni geopolitiche difficilissime da contenere. Le passate previsioni di mancanza di petrolio, figlie dell’eco-catastrofismo ideologico, hanno spostato assai avanti nel tempo le paure di indisponibilità. Oggi il mercato petrolifero globale è in forte squilibrio e si sta verificando una imprevedibile e imprevista saturazione, aggravata dalla stagnazione economica in cui vivono molti Paesi, a partire da quelli BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) per i quali è scattato il freno alla sperata avanzata economica. L’andamento dei prezzi del petrolio e del gas si sta rivelando un rebus del quale riesce molto difficile valutare la portata. I produttori petroliferi del cartello OPEC, con in testa l’Arabia Saudita, hanno radicalmente mutato la loro strategia. Anziché regolare la produzione petrolifera per controllare i prezzi, si pongono adesso come obiettivo il mantenimento delle proprie quote di mercato. Il mercato del gas e del petrolio è assediato dalle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dal disintegrarsi del coordinamento fra i membri del cosid-


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realistici. Il progetto ha visto coinvolti sotto l’egida ENTSO-E (European Network of Transmission System Operators for Electricity) tutti i principali operatori dei sistemi europei di trasmissione e diverse Università europee (fra cui il raggruppamento Ensiel, che raccoglie tutti i gruppi di ricerca accademici italiani del settore dei sistemi elettrici). I cinque scenari ipotizzati (Fossil & nuclear, Big & market, Large-scale RES, Small & local, 100% RES) definiscono il quadro entro il quale dovrebbero situarsi gli sviluppi futuri, secondo le scelte che saranno effettuate dai vari Paesi UE (vedi box a pag. 17). Il contesto italiano dal quale partiamo è ben noto e si caratterizza per un mix squilibrato, con grande dipendenza da gas e petrolio. Ma qual è la situazione verso la quale pensiamo di muoverci? E poi, ci muoviamo veramente verso una destinazione o seguiamo direzioni ondivaghe, come una scialuppa abbandonata in un oceano tempestoso? Certamente la tempestività non è il nostro forte; e la programmazione non

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ciò ha creato un’ottima occasione per dare il via ad un’italica guerra sulle trivelle petrolifere. La prospettiva governativa di permettere prospezioni petrolifere al largo delle coste italiane è balzata sulla scena. Alcune Regioni hanno minacciato un referendum contrario, indipendentemente dal loro colore politico. In risposta, il ministro dello Sviluppo economico (Federica Guidi) ha prorogato le prospezioni petrolifere già permesse. Risultato: siamo alle solite guerre ideologiche, che tanto danno hanno fatto all’Italia, peraltro sul tema del destino energetico per il quale negli ultimi anni abbiamo sempre dimostrato una singolare capacità di prendere decisioni quanto meno sfortunate. Forti dell’esperienza storica, il rinnovato interesse alle prospezioni petrolifere è confortante nel ritenere corretta la prospettiva opposta: ossia, rassegnarsi

Il contesto da cui partiamo è noto e si caratterizza per un mix squilibrato. Ma qual è la situazione verso cui pensiamo di muoverci? E ancora, ci muoviamo verso una destinazione o seguiamo direzioni ondivaghe, come una scialuppa abbandonata in un oceano tempestoso?

alla diminuzione del peso della generazione tradizionale da combustibili fossili e imboccare lealmente la strada della generazione distribuita e del controllo della domanda, prevedendo un più moderno e corretto quadro regolatorio. Recentemente, a conclusione del progetto europeo di ricerca eHighway-2050, sono stati prospettati cinque scenari elettro-energetici europei, estremi ma

a brevissimo termine è uno sport nel quale non abbiamo mai vinto medaglie. Oggi come oggi, la prospettiva più sensata appare quella di puntare decisamente sulla generazione distribuita, che richiede l’irrobustimento delle connessioni Nord-Sud e delle connessioni frontaliere. Sulla generazione distribuita pesa però un modello di business inadeguato e la mancanza di un op-


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Le

sfide non mancano,

di

coraggio

urge un supplemento

portuno quadro regolatorio. Ci vorrà ancora molto tempo prima che risulti conveniente coprire tutti i tetti del nostro Paese con celle fotovoltaiche. Non ci sono molte alternative per una generazione pulita, così come non ci sono alternative ad un efficiente controllo della domanda. L’incidente di Fukushima ha bloccato lo sviluppo dell’atomo. Adesso il Giappone ha rilanciato il suo programma nucleare, al pari della Francia e dei Paesi asiatici. Siamo stati i primi della classe a mettere la parola fine al nucle-

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Federica Guidi

Il controllo rapido della domanda e l’apertura agli utenti verso la generazione distribuita sono le due chiavi di volta per prospettare un futuro energetico ragionevole

sumi (euro/kWh). I costi fissi saranno gli stessi per tutti i livelli di consumo. I costi del passaggio da un livello all’altro saranno nulli. La grandissima parte degli utenti domestici ha contratti con una potenza impegnata da 3 kW. È ben noto che, con tutti gli elettrodomestici in casa, questa potenza è fortemente limitante ed è fonte di fastidi. Con un poco di audacia, si può quindi prevedere che aumenteranno considerevolmente le richieste di passaggio dal livello di consumo 3 kW a livelli superiori. Se questa previsione è azzeccata, i distributori avranno nuove gatte da pelare, perché la rete distributiva potrebbe entrare in crisi, soprattutto nelle città. Magari potrebbe essere il caso di prevedere qualche piccola misura, con margini che rendano compatibili gli aumenti di potenza impegnata e le capa-

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are con un referendum. D’altra parte (paure ambientali escluse), con mezzo Paese piagato da una criminalità organizzata e da una corruzione endemica, come si potrebbe mettere in piedi un’infrastruttura delicata come quella nucleare, aprendo a malversazioni e ricatti paurosi? Meglio aspettare e vedere come vanno le cose, confidando nell’italico stellone. Ogni tanto, comunque, qualche decisione si prende. È stata approvata la nuova versione della bolletta per l’energia elettrica per i clienti domestici. Siccome il mercato tutelato offriva maggiori risparmi del mercato libero, si è deciso di eliminare il mercato tutelato. Nella nuova bolletta elettrica, certamente meno criptica di quella precedente, si è giustamente scelto di ripartire i costi su due voci: una relativa ai costi fissi (euro/kWh/anno) e una relativa ai con-

cità delle reti. E l’unico modo realistico per farlo è favorire un controllo della domanda, con rapide comunicazioni bidirezionali fra utenti e distributori. Torna prepotente il problema di tariffazioni dinamiche un po’ più sofisticate, che invoglino l’utente a sfruttare la capacità delle reti, se disponibile, e a rinunciarvi se necessario. Ciò richiede contatori un po’ più intelligenti e comunicazioni fra utenti e distributori meno tartarughesche di quelle attuali. Purtroppo anche i nuovi contatori, che si sta progettando di implementare in sostituzione di quelli esistenti, allo stato attuale sono ben lontani dal consentire una tariffazione dinamica, che solleciti e sfrutti la collaborazione degli utenti in tempi rapidi. Il controllo rapido della domanda e l’apertura verso la generazione distribuita sono le due chiavi di volta per prospettare un futuro energetico ragionevole del nostro Paese. Resistenze oligopolistiche a parte, esiste una condizione preliminare per potere pensare di utilizzare le tecnologie moderne: abbiamo bisogno di una infrastruttura di comunicazioni per la banda larga, con fibra ottica. Qui sembra che qualcosa cominci a muoversi, ma non è la prima volta che il cuore si apre alla speranza, salvo rimanere delusi. Con una mossa furba, anche se poco


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giustificata dalla realtà ingegneristica, in qualche modo lo sviluppo della nuova generazione di contatori è stato legato allo sviluppo della fibra ottica, per cui il nostro distributore Enel, contestualmente alla posa dei nuovi contatori, dovrebbe farsi carico di posare anche una rete di fibre ottiche. Le due cose (contatori e fibra ottica) non sono ingegneristicamente collegate.

Ma si sa che il fine giustifica i mezzi e quindi ben venga il collegamento, se serve a dotare l’Italia di un’infrastruttura di comunicazione ormai vitale. Pensando alla rete a banda larga, bisogna anche guardare ad un’altra grandissima sfida che attende i sistemi elettrici: quella definita dall’acronimo CIM (Common Information Model). Se per la funzionalità delle reti bisogna scam-

biare tanti dati di tante realtà fra tanti soggetti, bisogna avere strutture di dati ben definite e universalmente accettate. Su questo terreno siamo solo agli inizi, ma non c’è dubbio che si tratta di un grossissimo problema con il quale dovremo misurarci. Insomma, le sfide non mancano. Sarà il caso di farsi venire qualche supplemento di coraggio.

I cinque scenari delineati dal progetto eHighway-2050 Domanda Ecco i cinque scenari elettro-

Large scale RES

energetici estremi previsti

100% RES

dal progetto europeo

Big & market

eHighway-2050. Per ogni

Fossil & nuclear

fonte energetica lo scenario 2050 ritenuto possibile sarà prevedibilmente compreso fra quelli indicati. Buon senso vuole che lo scenario più confortevole sia quello meno

Dal 100 al 160% rispetto alla domanda 2013

Small & local

Nucleare Da 0 al 25% della generazione europea

Rinnovabili Dal 50 al 100% della generazione europea

sbilanciato fra le varie voci. Il quadro attuale italiano è Nuova Energia 1-2016

estremamente sbilanciato su gas e petrolio. E quello previsto per il futuro (ammesso che qualcuno lo preveda)?

Cambiamenti Generazione da fossili con CCS Da 0 al 30% della generazione europea

Dal 10 all’80% dei fabbisogni nazionali


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ilfocusdiVDE

a cura di Vittorio D’Ermo

Il gas

naturale

risponde

Soure: ENI

all’offensiva del greggio

Tra le tante novità del 2015 spicca lo sconvolgimento dei rapporti di competitività tra le fonti primarie. Nel periodo 2010-2014 il prezzo del petrolio, in unità omogenee, aveva sempre occupato la prima posizione, seguito – a notevole distanza – dal gas naturale scambiato a prezzi di gran lunga inferiori che, tra l’altro, non riconoscevano le sue elevate caratteristiche ambientali. In ultima posizione il carbone, protetto da un differenziale particolarmente elevato che ne favoriva l’affermazione in molte aree del mondo, a partire dal continente asiatico. A partire dalla seconda metà del 2014 il prezzo del

petrolio, da diversi anni intorno ai 100 dollari per barile, ha cominciato a indebolirsi portando ad una forte riduzione dei differenziali tra le varie fonti. All’inizio del 2015 i segnali di cambiamento si sono fatti ancora più evidenti, con un prezzo del petrolio a quota 48,2 dollari/barile, addirittura sotto il prezzo del gas importato in Europa sulla base di contratti a lungo termine, scambiato a circa 52,3 dollari/barile, in netto contrasto con l’evoluzione degli ultimi anni caratterizzata da un vantaggio a favore del gas di circa 40 dollari/barile. A questa offensiva il gas naturale ha risposto con una

Competitività tra petrolio e gas $/barile

Fonte: elaborazioni Osservatorio energia AIEE

Brent

Gas importato Nord Europa

Gas importato Sud Europa

130 120 110 100 90 80 70 60

40 30 Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set

2012

Ott

Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set

2013

Ott

Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set

2014

Ott

Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set

2015

Ott

Nov Dic

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NuOVA ENERGIA 1-2016

Siamo forse alla vigilia di un terremoto che potrebbe portare ad una rinascita del petrolio su mercati da tempo abbandonati a causa della concorrenza di gas e carbone? La risposta è probabilmente negativa...

Soure: Navy-UMass

riduzione dei prezzi molto significativa, anche se non della stessa misura di quella del greggio. Alla fine dell’anno il gas riusciva a guadagnare competitività, con un prezzo di 32 dollari/barile e con il greggio a 48 dollari/barile. All’inizio del 2016 la situazione è di nuovo cambiata, con un nuovo calo dei prezzi del petrolio. Nel mese di gennaio, infatti, il prezzo di questa fonte è sceso intorno ai 30 dollari/barile, a poca distanza dai prezzi del gas che si è attestato intorno ai 28,4 dollari/barile, rimanendo comunque in vantaggio. Il carbone quotato a Rotterdam è stato scambiato invece intorno agli 11 dollari per barile, con un differenziale dal petrolio di circa 27 dollari/barile rispetto agli 85 di inizio 2014. Ci si chiede a questo punto: stiamo forse tornando indietro di sessant’anni, quando i prodotti petroliferi mossero alla conquista dei mercati degli usi termici, della produzione termoelettrica e dei trasporti, spiazzando il carbone e diventando la prima fonte energetica? La discontinuità con il passato è ancor meglio messa in risalto facendo riferimento ai prezzi dei prodotti petroliferi sui mercati di utilizzo. Sul mercato industriale e termoelettrico, dove gas e carbone sono in concorrenza con gli oli combustibili, che strutturalmente presentano un rapporto con il greggio inferiore all’unità, la situazione di inizio 2016 è di assoluto vantaggio per i derivati dal petrolio. L’olio combustibile ad alto tenore di zolfo, ad esempio, a gennaio è stato quotato ad un prezzo di 17 dollari/barile rispetto ai circa 80 del gennaio 2014 e ai 33,4 di inizio 2015. Nello stesso periodo il prezzo del gas è stato di circa 30 dollari/barile e quello del carbone di circa 11 dollari/barile. Siamo quindi alla vigilia di un terremoto che potrebbe portare ad una “rinascita” del petrolio su mercati da tempo abbandonati a causa della concorrenza di gas e carbone? La risposta è probabilmente negativa, sia perché la domanda di energia da parte del settore industriale è tendenzialmente in calo, sia perché gli impianti termoelettrici in grado di cambiare combustibile in poco tempo hanno un peso ormai marginale, dopo la grande conversione ai cicli combinati a gas. Esiste poi il fattore ambiente che non gioca a favore dei prodotti petroliferi e che ha avuto una solenne conferma nella recente conferenza di Parigi. È quindi poco proponibile un ritorno massiccio al petrolio in settori abbandonati anche dalle strategie delle compagnie petrolifere, che hanno riorganizzato gli impianti di raffinazione per la produzione di benzine e gasoli. Invece nei settori del riscaldamento e – soprattutto – dei trasporti, i prodotti petroliferi potrebbero tentare un rilancio. In questo caso, però, la competitività del petrolio è resa più difficile in quanto i prezzi dei gasoli e della benzina hanno un rapporto con il greggio ben superiore all’unità. In tal modo, sul mercato internazionale il gas rimane ancora competitivo rispetto al gasolio e alla benzina, anche se con differenziali molto ridotti rispetto al recente passato. C’è poi l’aspetto ambientale che può avere un ruolo decisivo: negli ultimi mesi le emissioni di particelle inquinanti nei grandi centri urbani hanno ampiamente dimostrato la necessità di una diversificazione dei carburanti

verso prodotti meno impattanti sull’ambiente. I blocchi della circolazione, che si sono resi necessari, sono però solo dei palliativi di scarsa efficacia rispetto a interventi strutturali. I media, impegnati a evidenziare la drammaticità del fenomeno, stanno pericolosamente trascurando l’indicazione delle alternative disponibili: tra queste, in primo piano, l’incremento degli impieghi di gas per il trasporto privato, per quello pubblico e per quello di merci, dove si utilizzano mezzi antiquati e particolarmente inquinanti. In conclusione, l’attuale fase di bassi prezzi del petrolio non deve far trascurare gli obiettivi di riduzione degli inquinanti e della CO2 attraverso una più articolata struttura delle fonti utilizzate che punti a soluzioni innovative, tra cui il ricorso al gas naturale. In fondo i bassi prezzi del petrolio e dei derivati appaiono più come un’operazione di difesa di un ruolo minacciato, che l’inizio di una grande offensiva alla riconquista di mercati perduti.


20

OIL

finendo l’era del petrolio? Sta

Chiedetelo all’IPP... di Riccardo Varvelli Politecnico di Torino

petrolio è andata man mano crescendo fino al valore del 46 per cento (anno 1971). Dopodiché ha iniziato a diminuire (44 nel 1981, 40 nel 1991, 38 nel 2001 e 35 nel 2011) per piazzarsi nel 2015, come detto, a quota 32 per cento. La riduzione nel tempo della incidenza percentuale del petrolio sul totale delle energie prodotte continuerà quasi certamente in futuro, per lasciare il posto ad altre energie e così aprire una nuova era. Forse – ma solo temporaneamente – quella del carbone, per un suo ritorno di fiamma; ma dopo il 2030-2035 quasi sicuramente quella del gas naturale e soltanto dopo il 2070-2080 quella delle energie rinnovabili. Per quanto riguarda il petrolio, inoltre, è opportuno precisare che pur essendo diminuito in percentuale, è aumentato in valore assoluto; sebbene in maniera meno che proporzionale rispetto all’aumento globale di tutte le energie. Le energie rinnovabili comprendono: eolico, solare, geotermico, idrico, biomasse e trattamento dei rifiuti. Nel 2011, quando la percentuale del pe-

trolio sul totale del prodotto energetico era pari al 35 per cento, la quantità prodotta di greggio fu di 84,6 milioni di barili al giorno. Quattro anni dopo, nel 2015, è salita in valore assoluto a 89,1 milioni di barili al giorno. Non c’è dubbio che prossimamente diminuirà anche il valore assoluto (forse dopo il 2030), mentre continuerà a calare ancora la percentuale sul totale del consumo energetico. Fino a quando Cina e India andranno prevalentemente a carbone, il maggior rivale del petrolio paradossalmente sarà proprio il carbone stesso, che ha visto passare la sua incidenza percentuale sul totale energetico dal 32 per cento del 1971 al 25 del 2001, per poi tornare a risalire al 29 per cento nel 2015. L’eventuale sorpasso (se ci sarà...) sarà solo temporaneo; tanto più breve quanto più Cina e India (ma soprattutto la Cina) rispetteranno gli impegni presi alla COP21. Dunque, il prossimo futuro sarà degli idrocarburi gassosi; probabilmente a partire dal 2030. Quel che è certo è che a tale data il petrolio continuerà ancora ad essere prodotto e consumato e, a

Incidenza delle fonti energetiche (%) sulla produzione mondiale Tabella 1 Fonte

1971 1981 1991 2001 2011 2015

Petrolio

46 44 40 38 35 32

Gas naturale

15 18 21 21 23 23

Carbone

32 28 27 25 26 29

Nucleare

1 5 6 6 5 5

Energie rinnovabili 6 5 6 10 11 11 TOTALE

100 100 100 100 100 100

Nuova Energia 1-2016

Alla chiusura della Conferenza delle Parti (COP21) che si è tenuta a dicembre 2015 a Parigi, alcuni giornali di tiratura nazionale hanno commentato l’evento con questa affermazione: è finita l’era del petrolio, inizia l’era delle energie verdi. Mai dichiarazione è stata fatta in maniera più azzardata e più sbagliata, creando nell’ingenuo e talvolta sprovveduto lettore attese inconsistenti e falsamente realizzabili nel breve termine. Nel linguaggio energetico, per “era” si intende il periodo temporale durante il quale una energia prevale in termini percentuali sulle altre. Con questa premessa possiamo dunque tranquillamente affermare che siamo ancora nell’era del petrolio; e per ora ci restiamo. Infatti, l’incidenza percentuale della fonte petrolifera nel 2015 ha ancora prevalso sulle altre per un valore pari al 32 per cento sul totale della produzione energetica mondiale (vedi Tabella 1). A una incollatura segue il carbone (30 per cento); terzo in classifica, il gas naturale con il 23 per cento. A grande distanza seguono le energie rinnovabili (11 per cento) e il nucleare (5 per cento). La percentuale sul totale della produzione energetica (calcolata sulla base di fattori di omogeneizzazione, tali da permettere di confrontare il valore assoluto di produzione, fra fonti misurate con unità di misura diverse) è l’indicatore ideale per effettuare un confronto. Con questo dato si può stabilire facilmente che è della fine degli anni Cinquanta del secolo scorso l’inizio dell’era del petrolio, quando la percentuale dei valori omogeneizzati di produzione del greggio ha superato quella del carbone. Nel 1959 le percentuali di entrambe le fonti erano del 40 per cento sul totale energetico. Da allora la percentuale del


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R/P – rapporto fra Riserve e Produzione espresso in anni E/I – Esportazione netta di petrolio espressa in barili/anno (E-I)/P – rapporto fra Esportazione netta e Produzione, espressa in percentuale.

L’incidenza del petrolio sul totale della produzione energetica mondiale ha raggiunto il picco nel 1971 – con un 46 per cento di share – per poi iniziare a diminuire fino alla soglia attuale del 32 per cento

Confrontando P ed R, nel tempo, si può inoltre comprendere qual è la vocazione allo sviluppo petrolifero del Paese analizzato, la sua disponibilità ad investire nella ricerca, nell’esplorazione e nella coltivazione dei giacimenti di petrolio e la sua capacità di trasformare nel tempo tali attività in risultati e cioè di trasformare il suo potenziale in potenza. Gli indicatori sono pertanto: la differenza della Produzione nel tempo espressa in percentuale e la differenza delle Riserve accertate nel tempo espressa in percentuale. Il periodo temporale, nel modello che si propone, è di 10 anni, in quanto questa è la durata media approssimativa nell’arco della quale gli investimenti diventano risultati operativi. Il modello IPP utilizza e omogeneizza i suddetti indicatori riducendoli a sette (vedi Tabella 2), perché il fattore E e il fattore I si possono leggere nel fattore E-I. Il modello IPP è qui applicato ai primi venti Stati produttori al mon-

do, ma può essere esteso a tutti i Paesi petroliferi. Per omogeneizzare i 7 fattori viene applicato il criterio delle balanced scorecard che trasforma in punteggio i singoli valori degli indicatori (ognuno con la sua unità di misura), in modo tale che sommando il punteggio dei sette indicatori si ottiene la classifica totale del potenziale petrolifero in punti. La scala di trasformazione in punti opera in un campo dove 1.000 è il punteggio massimo per ogni indicatore, mentre 100 è il punteggio minimo per ogni indicatore. I valori inferiori a 100 appartengono a tutti gli altri Stati produttori di petrolio esclusi i primi venti della Tabella 3. Essendo 7 gli indicatori, la scala finale e totale opera in un campo dove 7.000 è il punteggio massimo possibile del potenziale petrolifero e 700 è il punteggio minimo possibile dei venti Stati esaminati.

I – Importazioni di petrolio, espresse in barili/anno Combinando alcuni di essi si ottengono altri tre indicatori, e precisamente:

dispetto delle attese di molti, la totale decarbonizzazione dei consumi sulla Terra rimarrà un sogno irrealizzabile. Per veder partire e svilupparsi l’era delle energie rinnovabili (eolico, solare, geotermico, idrico, biomasse e trattamento dei rifiuti) si dovrà aspettare la fine del XXI secolo o più probabilmente l’inizio del XXII secolo. A fronte di queste affermazioni è lecito chiedersi se esista un modello matematico sufficientemente affidabile a supporto di queste previsioni. Il modello si chiama IPE (Indicatore del Potenziale Energetico). Nuova Energia ne ha già parlato più volte, a partire dal 2009. Il modello IPE può essere applicato alle singole fonti energetiche. In questo articolo, nello specifico, si parla dell’IPP e cioè dell’Indicatore del Potenziale Petrolifero.

Il calcolo del potenziale petrolifero

Nuova Energia 1-2016

P – Produzione di petrolio, espressa in barili/anno R – Riserve di petrolio accertate, espresse in barili E – Esportazioni di petrolio, espresse in barili/anno

Photo Harald Pettersen - Statoil

Si intende per potenziale petrolifero la quantità di energia derivata dal greggio che un Paese possiede ad un dato momento storico e che nel tempo futuro potrà trasformarsi in potenza erogata. Gli indicatori scelti per calcolarlo si basano su quattro fattori e precisamente su:


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finendo l’era del petrolio? Sta

I sette indicatori del potenziale petrolifero

Chiedetelo all’IPP...

I risultati del modello IPP sono riportati in Tabella 3, dalla quale si evince la classifica dei primi 20 Stati (che danno l’80 per cento della produzione mondiale) calcolata per l’anno 2015 e il confronto con l’analoga classifica del 2007 e del 2011.

Indicatore

Tabella 2

Simbolo Unità di misura

1 Produzione

P

Barili/anno

2

Riserve accertate

R

Barili

3

Variazione della Produzione

P2 – P1

(nell’ultimo decennio) P1

4

Variazione delle Riserve accertate

(nell’ultimo decennio) R1

5

Rapporto tra Riserve e Produzione R

%

R2 – R1

% Anni

P 6

Esportazione netta

7

Esportazione netta su Produzione E – I

E – I

Barili/anno %

P

Nelle pieghe dell’indice IPP Il potenziale dei primi venti Stati petroliferi in classifica è aumentato nel quadriennio 2011-2015 del 6,3 per cento, a dimostrazione che il petrolio in queste nazioni non si sta esaurendo e non si esaurirà nel prossimo imminente futuro. Diciannove dei venti Stati nella classifica 2015 (cioè tutti meno l’Azerbaijan) hanno aumentato il proprio potenziale rispetto al 2011. Tra i venti Stati della Tabella 3, undici appartengono all’OPEC il cui potenziale è aumentato dell’8,3 per cento (più del valore medio del gruppo dei 20 Stati), a dimostrazione della forza dell’organizzazione dei Paesi esportatori

e del loro predominio, ancora maggiore nel prossimo futuro rispetto al resto del mondo petrolifero. Primo in classifica nel 2015 si piazza il Venezuela (che era quinto nel 2007 e secondo nel 2011), con un punteggio pari a 5.334 e con un potenziale aumentato nell’ultimo quadriennio del 27 per cento e del 47 per cento rispetto al 2007, grazie alla scoperta negli ultimi anni del secolo scorso degli enormi giacimenti di petrolio ultrapesante dell’Orinoco. La posizione in classifica è merito soprattutto dell’aumento delle Riserve, pari a 300 milioni di barili, il cui va-

lore pone il Venezuela al primo posto davanti all’Arabia Saudita e al Canada, malgrado una contrazione della produzione del 25 per cento dal picco raggiunto nel 2000 a causa della crisi della società estrattrice PDSVA (la Petroleus de Venezuela, la compagnia di Stato). Ancora più significativo (più 51 per cento del potenziale rispetto al 2011) il balzo in classifica del Canada, grazie alla scoperta e messa in produzione dei giacimenti di sabbie bituminose dello Stato dell’Alberta: 17° nel 2007, 13° nel 2011 e 4° nel 2015 con 3.908 punti di potenziale. Questo balzo è merito dell’au-

Punteggio dell’Indicatore di Potenzialità

Tabella 3

ANNO

2007

2011

2015

Stato

Punti e classifica

Punti e classifica

Punti e classifica

Classe

Venezuela*

3.641 5°

4.214 2°

5.334 1°

Altissimo potenziale

Arabia Saudita*

5.154 1°

4.515 1°

4.893 2°

Russia

4.616 2°

3.958 3°

4.093 3°

Canada

2.364 17°

2.638 13°

3.908 4°

Kazakistan

3.208 8°

3.320 5°

3.840 5°

Iraq*

3.832 4°

3.234 7°

3.795 6°

Kuwait*

3.574 6°

3.314 6°

3.633 7°

Emirati Arabi Uniti* 3.380 7°

3.056 8°

3.557 8°

Iran*

4.376 3°

3.465 4°

3.478 9°

Qatar*

2.611 12°

2.990 9°

3.387 10°

USA

2.053 19°

1.632 19°

3.233 11°

Nigeria*

3.138 9°

2.818 12°

2.999 12°

Libia*

3.063 10°

2.864 11°

2.980 13°

Brasile

2.551 14°

2.364 15°

2.778 14°

Azerbaijan

2.387 15°

2.890 10°

2.742 15° Medio potenziale

Algeria*

2.572 13°

2.503 14°

2.638 16°

Angola*

2.624 11°

2.280 16°

2.493 17°

Norvegia

2.422 16°

2.269 17°

2.446 18°

Messico

2.262 18°

2.138 18°

2.357 19°

Cina

1.443 20°

1.570 20°

1.959 20° Basso potenziale

Medio-alto potenziale

Nuova Energia 1-2016

* Paesi facenti parte dell’OPEC

Alto potenziale


Fino a quando Cina e India andranno a carbone, sarà questa fonte il maggior competitor del petrolio. La sua incidenza è passata dal 32 per cento del 1971 al 25 del 2001, per poi risalire al 30 nel 2015

mento delle Riserve (a partire dalla fine del secolo scorso), della Produzione (a partire dal 2005) e dall’Esportazione netta, a partire dal 2010. La messa in produzione dello shale oil (ovvero dell’olio di scisto, peraltro già conosciuto e utilizzato da secoli in Europa) degli enormi giacimenti del Nord Dakota, della Pennsylvania, dell’Oklahoma e del Texas grazie alla tecnologia del fracking (e cioè della frantumazione delle rocce di giacimento) e quella della perforazione orizzontale dei pozzi, ha prodotto un notevole avanzamento degli USA nella classifica del potenziale. Da penultimi su 20 nel 2007 e nel 2011, a undicesimi nel 2015. Il salto in classifica proviene da tutti i 7 fattori del modello IPP. Grazie allo shale oil la produzione petrolifera USA è tornata ai picchi degli anni ‘70 del secolo scorso, quando nel 1973 estrasse dal suo sottosuolo 11 milioni di barili al giorno. Questo nuovo record – che tuttavia soddisfa soltanto il 60 per cento dei consumi interni – permette (almeno temporaneamente) agli Stati Uniti di piazzarsi

Photo Eva Sleire - Statoil

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primi nella classifica dei produttori, davanti all’Arabia Saudita (11,6 milioni di barili al giorno) e alla Russia (10,9 milioni di barili al giorno) dopo un decennio in cui occupavano costantemente la terza posizione (sempre alle spalle dell’Arabia Saudita e della Russia). Questo nuovo record annulla definitivamente il cosiddetto picco di Hubbert. Hubbert era un geologo americano che nel 1956 aveva previsto per gli USA un “picco” entro il 1971, dopo il quale sarebbe seguito un declino costante e inesorabile della produzione petrolifera. Tale “picco” avvenne realmente nel 1972. La previsione, sufficientemente azzeccata, produsse così una corrente di pensiero con molti seguaci e con molto rumore sui giornali statunitensi. Forte di questo successo, Hubbert nel 1977 dichiarò con certezza che un “picco” ci sarebbe stato anche in chiave mondiale nel 1995. Questa seconda previsione generò ancora più rumore sulla stampa internazionale, elevando Hubbert al ruolo di uno dei massimi futurologi petroliferi. Ormai

Nuova Energia 1-2016

a distanza di venti anni dalla “scadenza” della seconda previsione, durante i quali produzione e riserve sono invece costantemente aumentate, si può affermare con certezza che il mondo petrolifero ha ancora un potenziale di riserva. La Cina, fra i 20 Stati ad alto potenziale petrolifero pur essendo quarta nell’elenco dei produttori con i suoi 4,31 milioni di barili al giorno, è sempre stata ultima nella classifica. Ciò è dovuto alla modesta quantità di Riserve accertate di cui dispone, sia a terra sia in mare, e da un consumo interno che ormai la obbliga a importare il 60 per cento del fabbisogno. L’Iran nel 2015 si piazza nono con 3.478 punti, perdendo ben cinque posizioni rispetto al 2011 e sei posizioni rispetto al 2007. Ciò è dovuto alla riduzione della produzione, conseguenza del forte calo – attorno al 50 per cento – delle esportazioni a seguito dell’embargo che l’Occidente ha deciso nel 2012 per impedire il progetto nucleare dichiarato dallo Stato sciita. Pertanto (e temporaneamente), sulla base dei fattori della Tabella 2 il potenziale dell’Iran è diminuito ma potrebbe aumentare (comunque non prima di 12 mesi). A patto, però, che si verifichino due condizioni: un aumento delle esportazioni e una crescita delle sue riserve, penalizzate negli ultimi cinque anni dall’arresto della ricerca geofisica. Per tutti gli altri Stati della Tabella 3, negli ultimi otto anni non si evidenziano forti variazioni di posizione. Così come già avvenuto in passato – nel 2005 era successo a Gran Bretagna e Indonesia – alcune nazioni potrebbero uscire a breve dalla classifica del potenziale dei primi venti Stati. Attualmente i candidati sono Cina, Messico e Norvegia.


24 COP21

debole fermo

Un vertice e imperfetto. Ma resta un punto

1

Da sinistra, il presidente della Repubblica francesce Francois Hollande con Lauren Fabius, presidente della COP21, e il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon

di Paola Faggian | R SE

supportare i Paesi in via di sviluppo con operazioni concrete, attraverso la realizzazione e il trasferimento di tecnologie tese a rafforzare la resilienza dei sistemi sociali, ambientali ed economici, soprattutto nelle aree più vulnerabili ai cambiamenti climatici.

Emissioni di CO2 nel settore energetico dei maggiori Paesi emettitori

Figura 1 Fonte: IEA, 2015

Gt

USA

Unione Europea

Russia

Cina

India

Giappone

10

8

6

4

2

0

1990

1995

2000

2005

2010

2014

Nuova Energia 1-2016

Anticipata da manifestazioni in tutto il mondo e definita come ultima chiamata per trovare una risposta all’allarme legato al surriscaldamento del Pianeta, la COP21 di Parigi che si è svolta dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 è stata considerata un evento di portata storica. Infatti l’Accordo siglato, definito “giusto, sostenibile, dinamico, equilibrato e vincolante” da Laurent Fabius (ministro degli Esteri francese e presidente della Conferenza) è risultato ben più ambizioso rispetto a quello annunciato, ovvero il contenimento dell’aumento della temperatura media globale rispetto all’era preindustriale al di sotto di 2 °C. I 195 Stati membri delle Nazioni Unite hanno infatti affermato la necessità di limitare il riscaldamento sotto 1,5 °C e, per raggiungere tale obiettivo, tutti i grandi emettitori di gas serra (Cina e USA compresi, Figura 1) hanno dichiarato, su base volontaria, impegni rilevanti. I Paesi partecipanti si sono impegnati

a intraprendere strategie di mitigazione per la riduzione delle emissioni dei gas serra e azioni di adattamento alle future condizioni climatiche più severe, riconoscendo il ruolo delle foreste per l’assorbimento delle emissioni. In particolare, i Paesi più ricchi dovranno


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L’esito del negoziato induce qualche perplessità. Il testo non fornisce una chiara road map, né obiettivi a breve termine, ma si basa completamente sui cosiddetti Intended Nationally Determined Contributions (INDC) dei singoli Paesi, ovvero sulle manovre che i Paesi singolarmente stabiliranno per sé

1

Barack Obama

Nuova Energia 1-2016

La cerimonia ufficiale di firma si terrà tra il 22 aprile 2016 e il 21 aprile 2017 a New York. L’entrata in vigore del trattato avverrà 30 giorni dopo che un minimo di 55 parti, responsabili di almeno il 55 per cento delle emissioni di gas serra, lo avranno ratificato. Questo si prevede possa succedere non prima del 2020. Da un’analisi più approfondita, l’esito del negoziato induce qualche perplessità. In effetti, Joachim Schellnhuber, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, afferma che: “Seppure in linea con l’IPCC e le ultime ricerche scientifiche, l’Accordo non è coerente con l’obiettivo dichiarato”. Il testo infatti non fornisce una chiara road map, né obiettivi a breve termine, ma si basa completamente sui cosiddetti Intended Nationally Determined Contributions (INDC) dei singoli Paesi, ovvero sulle manovre che i Paesi singolarmente stabiliranno per sé. Anche se già nel 2018 è prevista una revisione degli impegni e verifiche periodiche saranno effettuate per fare il punto sui progressi compiuti, le misure attualmente dichiarate a Parigi non ba-

stano a contenere il riscaldamento nei limiti voluti, ma mettono il Pianeta in una traiettoria di aumento della temperatura compresa tra i 2,7 e i 3 °C. “Secondo le conclusioni dell’IPCC, per limitare il riscaldamento a 2 °C dobbiamo tagliare le emissioni rispetto al 2010 del 40-70 per cento entro il 2050. Per raggiungere il target di 1,5 °C, il taglio deve essere più sostanziale, tra il 70 e il 95 per cento entro il 2050”, ha dichiarato Steffen Kallbekken, direttore del Centre for International Climate and Energy Policy. Se nelle prime stesure dell’accordo si specificavano date e percentuali, nel testo definitivo si mira soltanto a ridurre il prima possibile le emissione di gas serra, senza entrare nello specifico di azioni concrete. Inoltre, come spiega Johan Rockström, direttore esecutivo dello Stockholm Resilience Centre, il concetto di decarbonizzazione, ovvero di totale abbandono dei combustibili fossili – presente nelle precedenti versioni – è stato sostituito, nell’accordo siglato, da obiettivi generali di bilancio tra

emissioni antropogeniche e rimozione di queste da parte dei cosiddetti sink biosferici (come oceani e foreste). Quindi è stata assunta una formula che implica la possibilità di continuare a usare questo tipo di carburanti. Mancano anche obiettivi in merito alle emissioni dovute ai trasporti internazionali per via area e marittima (citate nel testo di Copenaghen) il cui contributo al riscaldamento globale ha un’enorme responsabilità, come affermato da Kevin Anderson del Tyndall Centre for Climate Change Research. Per quanto riguarda il nodo chiave della diversa responsabilità storica tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo e il conseguente diverso impegno finanziario, il testo afferma che “i Paesi sviluppati devono fornire le risorse finanziarie per assistere i Paesi in via di sviluppo”. Oltre i 100 miliardi l’anno previsti entro il 2020, si prevedono ulteriori fondi. Mancano, tuttavia, i dettagli sulle effettive dimensioni di questi finanziamenti, su quando e su come saranno forniti. Inoltre, è esclusa la possi-


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È la prima volta che c’è piena consapevolezza della necessità di una risposta collettiva contro il riscaldamento globale. Tale opinione è stata condivisa da 195 capi di Stato a copertura di oltre il 90 per cento delle emissioni; l’accordo di Kyoto ne copriva solo il 12 per cento

debole fermo

raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Solo attraverso scelte di questo tipo si potrà arrivare alla prima verifica dell’Accordo del 2018 con numeri più sostenibili. Solo così ci saranno le condizioni, alla successiva COP di verifica fissata per il 2023, per una situazione non compromessa che renda possibile contenere l’aumento della temperatura del Pianeta entro 1,5 °C. È davvero molto il lavoro da fare per programmare e pianificare correttamente le politiche a tutti i livelli, considerando Parigi il punto di partenza.

Un vertice e imperfetto. Ma resta un punto imprese, optando per soluzioni energetiche smart, rinnovabili e pulite, in cui la scienza e la tecnologia sono chiamate con forza a dare il proprio contributo. Una strada da intraprendere è indicata dall’International Energy Agency (2015) che mostra nello scenario Bridge (Figura 2) come sia fondamentale investire sull’efficienza energetica se si vogliono

Emissioni globali di gas serra nello scenario Bridge in cui sono ipotizzati interventi di riduzione a confronto con le emissioni nello scenario INDC

Figura 2

Gt CO2-eq

Fonte: IEA 2015

38 37

10%

Riduzione delle emissioni di gas da upstream Riduzione della generazione inefficiente da carbone Investimenti nelle rinnovabili Riforma dei sussidi alle fonti fossili

49%

Efficienza energetica

15% 9%

36

17%

35 34 33 32

2014

2020

2025

2030

Nuova Energia 1-2016

bilità di individuare responsabilità civili o di stabilire risarcimenti specifici. Nei fatti, non si obbliga nessuno a rispettare ciò che promette. Dunque, è un accordo vincolante nelle sue parti generali ma senza sanzioni se non saranno rispettati gli impegni presi. Imperfetto e debole, il vertice di Parigi è, tuttavia, un punto di svolta. È la prima volta, infatti, che c’è la piena consapevolezza della necessità di una risposta collettiva contro il rischio del riscaldamento globale: si pensi che tale opinione è stata condivisa da ben 195 capi di Stato che coprono oltre il 90 per cento delle emissioni. L’accordo di Kyoto ne copriva solo il 12 per cento. “L’Accordo di Parigi mette l’industria dei carburanti fossili dal lato sbagliato della storia” ha dichiarato Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace. L’auspicio è che questa nuova consapevolezza faccia da volano per intraprendere azioni coerenti, finalizzate a raggiungere uno sviluppo sostenibile, con la decarbonizzazione entro il 2050. È però necessario fin da subito attivare politiche e misure più efficaci da parte di Governi, amministrazioni regionali, locali e


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ANALISI COSTI-BENEFICI

clima...

Per guidare il serve una Guida sugli effetti della

CO2

di Andrea Molocchi | E CBA Project

Nuova Energia 1-2016

Perché dopo l’accordo di Parigi è diventato imprescindibile stabilire un valore monetario di danno per la CO2 e gli altri gas serra? O, più precisamente, stabilire un quadro di riferimento convenzionale per la valutazione dei danni globali associati alle emissioni annue di CO2, da utilizzare nelle analisi costi-benefici delle politiche pubbliche e dei progetti di investimento? E perché questo quadro di riferimento per i danni della CO2 deve essere uguale per tutti, indipendente dagli Stati e dai settori di emissione, e da non confondere con i costi di riduzione delle emissioni, necessariamente diversi a seconda del livello di ambizione e delle tecnologie? Perché dopo Parigi siamo entrati in una nuova fase delle politiche climatiche. Dopo oltre vent’anni di negoziati internazionali in attuazione della Convenzione sul clima, l’ONU ha raggiunto un accordo finalmente globale, che coinvolge tutti gli Stati del Globo (sviluppati, in via di sviluppo, i meno sviluppati, quelli particolarmente vulnerabili agli effetti avversi dei cambiamenti climatici, ...) nel rispetto non solo dei diritti di tutti noi che viviamo oggi sulla Terra, ma anche nel rispetto dei non ancora nati. E l’accordo, proprio in quanto globale, rilancia sugli obiettivi di mitigazione climatica riconoscendo che questo ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti rispetto a quelli attesi: non più la stabilizzazione della temperatura media a 2 °C (oltre il livello preindustriale), ma una stabilizzazione ben al di sotto dei 2 °C e moltiplicando gli sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 °C. Se prima di Parigi l’incertezza costituiva un alibi per non valutare i danni della CO2, oggi non ce lo possiamo più

permettere. Infatti, ogni giorno, in tutto il mondo, sono prese importanti decisioni politiche, amministrative ed economiche che hanno conseguenze più o meno rilevanti sulle emissioni climalteranti presenti e future. Quando si decide di costruire una nuova infrastruttura di trasporto o energetica, quando si definisce un regolamento per la costruzione di edifici residenziali, quando si taglia una foresta vergine per fare spazio all’espansione antropica, quando si incentiva la ricerca e sviluppo in determinate direzioni, quando si promuove la diffusione di nuove tecnologie, sono tutti momenti in cui è essenziale tener conto delle conseguenze di queste decisioni per il clima (e non solo). In particolare, la mancata inclusione degli effetti climalteranti nelle decisioni di investimento, per la stessa natura degli investimenti di produrre effetti a lungo termine, rappresenta una delle lacune più importanti delle politiche pubbliche del nuovo millennio. Dopo l’accordo di Parigi, tutti gli Stati del Globo dovrebbero applicare strumenti di valutazione ex ante nelle decisioni d’investimento e, sotto il profilo ambientale, includere perlomeno la variazione delle emissioni di CO2 nella valutazione di fattibilità del progetto. Nella maggior

parte dei Paesi avanzati è già obbligatorio applicare lo strumento dell’analisi costibenefici per la valutazione ex ante degli investimenti pubblici. È questo anche il caso dell’Italia, salvo il fatto che la riforma avviata col Dlgs 221/2011 e del DPCM 3 agosto 2012 non è stata poi concretamente attuata dalle amministrazioni obbligate, in barba agli interessi collettivi. Fra i Paesi che applicano l’analisi costi-benefici, molti si sono dotati di linee guida di riferimento riguardanti anche la valutazione monetaria delle emissioni di CO2 di progetti o politiche, in maniera tale da conciliare le esigenze di trasparenza, uniformità e coerenza delle valutazioni di utilità collettiva dei progetti con quelle di accuratezza scientifica poste dalla questione climatica. La Guida che, mio parere, rappresenta l’esperienza più avanzata – anche se migliorabile in un’ottica di consensualità globale – su una materia complessa e spinosa come la valutazione economica dei danni dei cambiamenti climatici, è

Su questo tema: Sì alle infrastrutture, ma quando sono utili e sostenibili numero 6 | 2014 Nuova Energia


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Distribuzioni di frequenza delle stime di costo sociale delle emissioni di CO2 del 2020, a seconda del tasso di sconto (US$ 2007)

Figura 1

Fonte: Interagency Working Group on Social Cost of Carbon-USA, November 2013

2,5%

Frazione delle simulazioni

3,0%

5,0%

0,4

0,35 0,3

5,0% media = $12

0,25

3,0% media = $43

0,2 0,15

2,5% media = $64 0,1

3,0% 95th = $128

0,05 0 0

20

40

60

80

100

120

140

160

dollari/tonnellata

quella prodotta negli Stati Uniti dall’Interagency Working Group on Social Cost of Carbon, un comitato interistituzionale che vede la partecipazione dell’EPA e di una dozzina di Ministeri e Agenzie federali. Già nel 2010 questo Comitato federale aveva prodotto una prima Guida finalizzata a proporre un quadro consensuale di stime dei costi sociali del carbonio da utilizzare nell’analisi costibenefici delle misure di regolazione nei diversi ambiti di politica pubblica. A novembre 2013 la Guida è stata aggiornata per tener conto dei più recenti sviluppi dei tre modelli di simulazione dei danni su cui si basa (FUND, DICE e PAGE), per consentire una quantificazione il più possibile accurata e sistematica delle varie componenti di

danno, di mercato e non di mercato, e delle interazioni fra variabili. Uno dei principali fattori di “solidità scientifica” della Guida consiste nel fatto di aver fatto “girare” con ipotesi il più possibile omogenee i tre più noti modelli IAM (Integrated Assessment Models) finalizzati a una stima sistematica dei danni globali dei cambiamenti climatici, ipotizzando gli stessi scenari emissivi globali (sono stati considerati 5 scenari, ciascuno caratterizzato da specifiche ipotesi di crescita demografica e socio-economica) e tre diversi livelli del tasso sociale di sconto (2,5, 3, 5 per cento). Alla fine di un percorso di analisi e di condivisione interistituzionale di ipotesi e risultati, la Guida statunitense raccomanda un set di valori di danno unitario, associa-

33 per quanto riguarda gli investimenti nel settore dei trasporti, 18 dei 20

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La mancata inclusione degli effetti climalteranti nelle decisioni di investimento, per la stessa natura degli investimenti di produrre effetti a lungo termine, rappresenta una delle lacune più importanti delle politiche pubbliche del nuovo millennio

to alle emissioni di un dato anno, composto da quattro valori (vedi Figura 1), tre dei quali sono valori medi differenziati in base al tasso di sconto (3 per cento come valore “centrale”), mentre un quarto valore rappresenta un valore estremo, collocato sulla soglia superiore delle attese e associato ad una bassa probabilità di accadimento. Importante aggiungere che i valori di danno raccomandati dagli USA crescono in termini reali (con percentuali variabili tra 1 e 3 per cento l’anno) in funzione dell’anno di emissione, passando da 36 dollari/tonnellata per le emissioni del 2014 a 43 dollari per quelle del 2020 e a 71 per quelle del 2050 (valori a prezzi costanti del 2007), riflettendo quindi il principio del costo sociale marginale crescente delle emissioni climalteranti. Come si comportano l’Italia, la UE e gli altri Paesi sviluppati su questo tema? La risposta è contenuta in un recente paper dell’OCSE (Monetary Carbon Values in Policy Appraisal: An Overview of Current Practice and Key Issues), che riporta i risultati di un’indagine sul grado di diffusione dell’analisi costi-benefici nella valutazione delle politiche e dei progetti d’investimento (nei trasporti, nell’energia e in altri settori) e sulle pratiche di valutazione monetaria delle emissioni di gas serra in questo ambito. Dei 34 Paesi aderenti all’OCSE, sono 23 quelli che hanno risposto al questionario in maniera completa o parziale (vale la pena citarli: Canada, Cile, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Irlanda, Israele, Giappone, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti), più la Commissione Europea. Non hanno invece risposto: Australia, Austria, Belgio, Grecia, Italia, Islanda, Corea, Lussemburgo, Messico, Repubblica Slovacchia, Slovenia. I principali risultati dell’indagine OCSE, sono riassunti qui di seguito, con riferimento ai soli rispondenti. Partendo dalla domanda iniziale, se siano in vigore chiare regole e criteri per la conduzione dell’analisi costi-benefici (ACB):


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clima...

Per guidare il serve una Guida sugli effetti della

CO2

Stati che hanno risposto per questo settore ritengono che siano in vigore chiari criteri sulle modalità di conduzione dell’ACB dei nuovi progetti; 33 all’estero, la normativa sull’ACB sembra essere molto rispettata, dato che il 90 per cento degli Stati rispondenti ritiene che l’ACB sia applicata “in tutti” o “nella maggior parte” dei progetti di trasporto esaminati.

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Sul tema più specifico della valutazione monetaria delle emissioni di CO2, quasi due terzi dei rispondenti (12 Stati su 19) hanno dichiarato di disporre di chiare regole valutative per le emissioni di CO2 dei progetti nei trasporti, mentre la percentuale scende al 40 per cento (6 Stati su 15) per i progetti nel settore energetico e al 24 per cento (4 Stati su 17) per la predisposizione di nuove politiche. Per quanto riguarda i valori monetari raccomandati per le emissioni di CO2, molti Stati hanno definito un insieme di valori crescenti in funzione dell’anno di emissione, con tabelle che coprono un arco temporale che generalmente va fino al 2050. Per quanto riguarda i metodi che hanno portato all’individuazione dei valori monetari di riferimento per la CO2, l’indagine OCSE ha il merito di evidenziare la grande varietà e contraddittorietà degli approcci adottati dagli Stati. Il metodo della valutazione dei danni globali associati alle emissioni – a parere di chi scrive, l’unico rispondente alla definizione di esternalità e da raccomandare nell’analisi costi-benefici – che fornisce un valore monetario crescente in funzione dell’anno di emissione ma che è indipendente dai settori o dal luogo/ Stato di emissione, è alla base dei valori raccomandati da 3 Stati su 11 per i progetti nei trasporti (e di 3 casi su 6 per la valutazione ex ante delle politiche). In altri 3 Stati il valore monetario per le emissioni di CO2 nei trasporti è stato pragmaticamente desunto da altre politiche vigenti, come il livello di carbon tax nella fiscalità sulla benzina. In 2 Stati il valore monetario di riferimento è stato individuato col metodo del costo

Ha senso, dopo un accordo globale come quello di Parigi, che ogni Stato faccia per sé, stabilendo i migliori valori monetari della CO2 ognuno con criteri diversi e definiti in ambito esclusivamente nazionale?

di raggiungimento di un determinato obiettivo di riduzione della CO2, mentre in un solo Stato esso è stato individuato con una proiezione dei prezzi dei permessi nell’ETS (anche se a dire il vero i trasporti non rientrano nell’ETS). Interessante constatare che quasi tutti gli Stati OCSE che forniscono valori di CO2, raccomandano lo stesso valore indipendentemente dall’ambito/scopo della valutazione. L’unica eccezione è data dalla Germania, che raccomanda un valore di CO2 per i progetti di trasporto diverso da quello per le politiche, una conseguenza del metodo adottato per la valutazione monetaria, basato sul costo delle misure di riduzione. E per quanto riguarda il livello dei valori raccomandati? Qui veniamo al punto. Con l’accordo di Parigi ogni Stato del mondo si è assunto la propria responsabilità sul cambiamento climatico. Il danno è globale, ma per la sua valutazione gli Stati sviluppati applicano valori monetari unitari diversi: per le emissioni 2014 si va dai 19,6 dollari/tonnellata della Danimarca ai 170,4 dollari della Svezia (tutti i valori citati sono quelli originali dello studio OCSE, espressi in dollari 2014); con un valore monetario per Fran-

cia (53,1 dollari), UK (95,3 dollari) e Germania (113 dollari) che è notevolmente superiore al valore raccomandato dalla Commissione Europea (42,4 dollari). Ha senso, dopo un accordo globale come quello di Parigi, che ogni Stato faccia per sé, stabilendo i migliori valori monetari della CO2 ognuno con criteri diversi e definiti in ambito esclusivamente nazionale? Limitandoci all’Unione Europea, ha senso che gli Stati Membri abbiano valori nazionali diversi, e anche molto diversi, da quelli raccomandati dalla Commissione? Ha senso che i due principali manuali elaborati dalla Commissione Europea (il manuale per la valutazione dei costi esterni dei trasporti, della DG MOVE, e la guida per l’ACB dei grandi progetti di investimento co-finanziati dall’UE, della DG Regio) raccomandino valori di CO2 molto diversi fra di loro, fra l’altro basati su argomentazioni scientifiche poco trasparenti, se non insoddisfacenti? Ha senso che l’Italia, pur avendo dal 2012 una normativa obbligatoria sull’ACB, non abbia ancora varato le linee guida per la valutazione dei costi esterni ambientali dei progetti nazionali? Come vediamo, c’è molto lavoro – di condivisione e di valutazione – da fare.


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1.16 dossier

innovazioneericerca

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Che peccato! Siamo un’auto sportiva ma viaggiamo con il freno tirato

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Non lasciamoci sfuggire l’opportunità dell’economia bianca

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Una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile? Si può e si deve fare!

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Destinati a perdere, se scendiamo in campo con una squadra dimezzata

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Anche il tessuto industriale deve fare la sua parte

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Facciamo innovazione nel contesto europeo

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Dopo il Dieselgate occorre un ritorno al “mondo reale”

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Come si misura (e confronta) l’efficienza di un processo produttivo

Nino Di Franco

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Università: qualche timido raggio di sole nel plumbeo orizzonte

Roberto Napoli

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“I miei primi 18 mesi a tutto GNL”

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Come cambia il futuro dell’innovazione

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Biometano: l’ennesimo treno che stiamo perdendo

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Rinnovabili: il fai da te non paga... e si paga caro

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Ruolo e evoluzione delle smart grid

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“Italia, ponte strategico verso il Mediterraneo”

Federico Testa Roberto Cingolani Marco Gilli Fabio Inzoli Romano Ambrogi Ugo Farinelli

Paola Sesti Marco Sanguineti Agostino Re Rebaudengo Massimo Ventura Matteo Codazzi Fabio Terni


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dossier

innovazioneericerca

Che peccato!

Siamo un’auto sportiva ma viaggiamo con il freno tirato

La tentazione di rispondere con una sequenza di due “sì” e due “no” è forte. Ma a certe tentazioni è opportuno resistere, se non altro per non scadere nel banale. E allora, per andare un po’ più al fondo della questione abbiamo proposto questi spunti a sei realtà di eccellenza del panorama nazionale: RSE (a cui è dedicata l’intervista cover a pagina 6), ENEA, Istituto Italiano di Tecnologia, CNR, Politecnico di Torino e Politecnico di Milano. Abbiamo ottenuto l’83 per cento di redemption, che non è male... Ecco cosa hanno risposto. d.c.

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Quando si parla di ricerca e innovazione le statistiche internazionali ci cacciano in coda ai ranking mondiali. Ci possiamo consolare sapendo che con la libertà di stampa e la corruzione siamo posizionati ancora peggio. Ma, certo, è una consolazione piuttosto magra. Siamo dunque messi così male? L’Italia deve rassegnarsi a un ruolo da comprimario nello scenario mondiale, o possiamo ancora dire la nostra? Potrà mai nascere nel nostro Paese un altro Giulio Natta, o un filone rivoluzionario di ricerca e di applicazione industriale? Possiamo ancora dare, attraverso le nostre strutture di R&S, un contributo significativo e tangibile al Sistema Paese?


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Non lasciamoci

sfuggire l’opportunità dell’economia bianca di Federico Testa Commissario ENEA

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Secondo il Registro delle Imprese delle Camere di Commercio, a fine 2015 nel nostro Paese le startup innovative avevano raggiunto quota 5.143, con un aumento di oltre 400 unità negli ultimi tre mesi (più 9,3 per cento); un modesto anche se significativo segnale nella direzione dell’imperativo dell’innovazione, un must che deve primeggiare nell’agenda di ogni governo come motore per la competitività, la crescita e il benessere. In Italia, con un investimento in ricerca ai limiti dell’1 per cento del PIL, il sistema produttivo stenta a crescere in competitività e a capitalizzare i risultati positivi. Sappiamo però che non basta semplicemente riversare maggiori risorse finanziarie in attività di ricerca e, quindi, di innovazione. Occorre anche favorire il gioco di squadra, la crescita di relazioni virtuose, di collaborazioni tecnologiche; e si tratta di individuare forme operative che facilitino l’accesso alla ricerca e all’innovazione, soprattutto se si vuole raggiungere il tessuto delle medie e piccole imprese che rappresenta la gran parte del sistema produttivo italiano. In questo contesto, la fine del lungo commissariamento dell’ENEA, secondo ente di ricerca italiano, è un segnale positivo perché crea le condizioni per un nuovo inizio: la prospettiva che l’Agenzia possa tornare ad investire in attrezzature, a sviluppare nuove competenze, ad assumere giovani ricercatori ora è più concreta. Con i nostri 2.600 dipendenti, siamo un importante presidio pubblico su temi quali l’energia e l’ambiente, di rilevanza cruciale per il rispetto degli impegni recentemente assunti a Parigi nell’ambito della COP21. Ad oggi abbiamo registrato circa 850 brevetti e dato vita a 11 spin-off e stiamo attivando nuove strategie e strumenti per spingere ancora di più su quello che riteniamo possa essere un vero acceleratore di sviluppo e competitività: trasferire alle imprese, alla pubbliche amministrazioni e ai cittadini il nostro patrimonio di competenze, di eccellenze e di capacità di innovazione a sostegno alla competitività, della sostenibilità, della creazione di nuova occupazione. Per rendere più fruibile questo patrimonio abbiamo avviato un processo per dotarci di un’organizzazione più efficiente ed efficace, realizzato road show con incontri diretti, per portare i risultati dell’innovazione fuori dai laboratori, là dove possono essere utili sul territorio e pubblicato l’Atlante dell’innovazione tecnologica con oltre 500 servizi e prodotti della ricerca consultabili online. Abbiamo confermato l’adesione ai grandi network europei, perché consideriamo cruciali il sostegno

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Federico Testa - professore di Economia e gestione delle imprese all’Università di Verona e commissario ENEA

tecnico-scientifico all’internazionalizzazione delle imprese, alle filiere e ai cluster tecnologici nei progetti di espansione verso i mercati esteri. Collaboriamo quotidianamente con grandi e piccole imprese nell’alimentare, nelle green technology, nei beni culturali e grazie alle attività nella fusione nucleare oltre un miliardo di euro di commesse è confluito verso aziende nazionali. Ora abbiamo dalla nostra anche un altro strumento che può rivelarsi fondamentale per l’economia del Paese. È la grande occasione dell’efficienza energetica. Non a caso all’ENEA – siamo l’Agenzia per l’Efficienza Energetica... – la chiamiamo l’economia bianca, perché può rappresentare un grande stimolo per la competitività, un volano reale per la nostra economia, ma anche uno strumento di intervento in campi strategici. Vari spunti possono venire dal recente accordo con la Struttura di Missione della Presidenza del Consiglio per l’efficientamento e la messa in sicurezza di una parte delle 40 mila scuole italiane, dai corsi di formazione per l’edilizia green, dalle attività, per sostenere le imprese nell’esecuzione di diagnosi energetiche e nell’utilizzo degli strumenti incentivanti finalizzati all’installazione di tecnologie efficienti, come i Certificati


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dossier

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una crescita

intelligente,

inclusiva

Bianchi, dalla comunicazione alle famiglie sui benefici dell’efficienza. È l’inizio di un percorso ambizioso che affianca tecnologia e innovazione, ma anche conoscenza e informazione. Avere questo obiettivo è oggi, per l’ENEA e per l’Italia, straordinariamente rilevante, ma lo è altrettanto non sprecare occasioni preziose. Non basta dire che l’innovazione è importante e che sono necessarie maggiori risorse: bisogna anche intercettare i nodi ancora irrisolti, affinché la partnership tra ricerca pubblica e imprese diventi la base di una nuova progettualità dell’innovazione che consenta di consolidare e far crescere un Sistema Paese realmente competitivo.

Abbiamo dalla nostra uno strumento che può rivelarsi fondamentale per l’economia del Paese. È la grande occasione dell’efficienza energetica, che può rappresentare uno stimolo per la competitività, un volano reale per la nostra economia, uno strumento di intervento in campi strategici

e sostenibile? Si può e si deve

fare!

di Roberto Cingolani direttore IIT – Istituto Italiano di Tecnologia

L’attuale situazione dell’ecosistema planetario mostra in concreto l’effettiva necessità di un ridimensionamento e un riutilizzo delle risorse in termini quantitativi e di sostenibilità. Nell’analizzare alcuni processi globali causati per esempio dal riscaldamento, e cioè dai gas responsabili dell’effetto serra, si evidenzia una antropizzazione della superficie – riduzione del fosforo riversato nell’oceano, aumento dell’azoto atmosferico, e ulteriori valori di gas che sono destinati a superare di gran lunga i limiti di sostenibilità – rispetto ai valori pre-industriali. La parabola della biodiversità comprende uno squilibrio globale fortissimo: se da un lato la situazione odierna vede la Terra abitata da 7 miliardi di persone, dei quali il 20 per cento ha a disposizione l’80 per cento delle risorse energetiche e idriche, dall’altra le previsioni comprendono la cifra di 9 miliardi di popolazione per i prossimi decenni; aumento però

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che riguarderà i Paesi emergenti sempre più energivori. Se una centrale elettrica dovesse produrre la potenza equivalente del metabolismo di un essere umano, considerando la popolazione globale, il consumo totale sarebbe di circa 20 TW. Una situazione così squilibrata comporta dover ripensare in maniera diversa il nostro futuro e la vivibilità del nostro pianeta Terra, non ancora pronto per soddisfare il dispendio di energia e acqua cui l’aspettativa di vita è correlato. I valori da raggiungere rappresentano una enorme sfida, che ricadrà non solo nella razionalizzazione dell’utilizzo delle predette risorse con lo sviluppo di una cultura del risparmio ma, inevitabilmente, nelle sviluppo di nuove tecnologie manifatturiere che impieghino minor quantità di acqua ed energia. L’Istituto Italiano di Tecnologia sta promuovendo un piano scientifico basato su un approccio bioispirato umanocentrico. L’evoluzione della Natura è il modello cui ispirarsi: usa risorse rinnovabili non alterando l’equilibrio della biosfera, non spreca materiale, anzi lo economizza. I laboratori di IIT hanno già ottenuto i primi risultati: esistono prototipi di celle che sfruttano l’attività di digestione di materiale organico. A breve gli edifici potrebbero produrre elettricità per uso domestico grazie a pellicole fotovoltaiche capaci di sfruttare luce naturale e artificiale, i vestiti potranno tramutare il movimento del corpo in energia utile per smartphone o altri device. Una nuova generazione di celle solari di spessore infinitesimale, realizzate con materiale plastico trasparente e flessibile, permette di generare energia a basso costo producendo tecnologie per display flessibili e pannelli fotovoltaici pieghevoli, leggeri e trasparenti. Lo stesso vale per i sistemi energy harvester, dispositivi che trasformano vibrazioni, variazioni di pressione o turbolenze di un fluido in energia elettrica utilizzabile. Lo studio di nuovi materiali come il grafene ha permesso di ottenere una resa migliore in termini di costo, leggerezza, flessibilità ed efficienza: la prima batteria al grafene ha prestazioni superiori del 25 per cento rispetto ai dispositivi di accumulo di elettricità attualmente in uso e costi di produzione con un vantaggio competitivo rispetto alle batterie oggi in commercio. Le soluzioni nanotecnologiche sono trasversali e abbracciano tutti i campi applicativi.

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L’evoluzione della Natura è il modello cui ispirarsi: usa risorse rinnovabili non alterando l’equilibrio della biosfera, non spreca materiale, anzi lo economizza

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Roberto Cingolani

Uno studio recente sviluppato da IIT ha dimostrato che si possono cambiare le proprietà delle spugne in modo da renderle spugne tecnologiche oleofiliche e idrorepellenti: capaci di assorbire gli oli, separandoli dall’acqua e manovrabili con campi magnetici, per fornire per esempio nuove soluzioni al problema dell’inquinamento idrico. Le spugne sono realizzate con materiali economici e processi nanotecnologici facilmente riproducibili su scala industriale. Dagli scarti dei vegetali – ricchi di cellulosa – oggi potremmo già realizzare tutti i prodotti plastici che si realizzano con la lavorazione del petrolio, con le medesime prestazioni o migliorative. Le nanotecnologie possono aiutare dunque a realizzare materiali biodegradabili ed ecocompatibili, perfezionando i processi di manifattura e, rendendoli meno inquinanti, affinando la catalisi per salvaguardare e purificare l’ambiente e l’acqua. L’idea è quella di produrre fonti di energie innovative o ridurre il consumo di energia delle tecnologie tradizionali, sostenendo l’innovazione delle nanotecnologie con un sostanziale cambiamento delle politiche ambientali. Se l’Italia vuole tornare a competere con gli altri Paesi del mondo, deve creare una visione di sviluppo comune che assegni un ruolo centrale alla crescita economica trainata dall’innovazione e dalle nanotecnologie bio-ispirate; deve, inoltre, comprendere il ruolo chiave degli operatori e degli investimenti del settore pubblico e privato in tali processi di sviluppo, costruendo contesti istituzionali che consentano e promuovano collegamenti dinamici fra pubblico e privato, imprenditoria e ricerca. La crescita in Italia – ma anche nel resto d’Europa – avverrà solo quando guarderemo in modo nuovo alla dimensione pubblica dei risultati che le collaborazioni pubblico-private possono produrre, guidando il Paese verso una crescita che sia intelligente, inclusiva e sostenibile. Oggi più che mai necessaria. Non vi può essere competitività tecnologica di un sistema senza la permeabilità costante fra ricerca di base, ricerca tecnologica e comparto industriale.


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Destinati a perdere,

se scendiamo in campo con una squadra

dimezzata Marco Gilli rettore Politecnico di Torino

È ormai consolidata a livello internazionale la consapevolezza che la presenza di Atenei di prestigio rappresenti un fattore fondamentale per la crescita e lo sviluppo sociale ed economico dei territori. Ma esserci non basta. È richiesto alle università di integrarsi maggiormente con il tessuto socio-economico, promuovendo accordi di partnership con il sistema industriale che prevedano uno stretto coordinamento delle attività di trasferimento tecnologico e condivisione della conoscenza (knowledge sharing), comuni infrastrutture di ricerca, la partecipazione congiunta a progetti a livello regionale, nazionale e internazionale, percorsi di dottorato industriale e la progettazione di percorsi formativi professionalizzanti condivisi. In qualche caso, certo non guasta la presenza di centri R&D aziendali presso i campus delle Università! In tutti gli ambiti tecnologici emergenti (le cosiddette disruptive technology) è necessario integrare conoscenze e competenze diverse, con un approccio multi e inter-disciplinare; basti pensare al ruolo che le tecnologie dell’informazione stanno assumendo nell’ambito della manifattura avanzata, della mobilità e dell’automotive, delle scienze della vita e della salute, del settore building...

dell’Anno Accademico

Nel settore energy in particolare, che è forse uno degli ambiti più challenging per l’impatto non soltanto economico, ma anche e soprattutto sociale che avrà nei prossimi anni, è necessario creare presso gli Atenei centri interdisciplinari focalizzati sul trasferimento tecnologico, aperti al territorio, con stretti rapporti di partnership con i principali player industriali, solidi legami con gli Atenei e gli organismi europei di riferimento nell’ambito energetico. È quanto al Politecnico stiamo facendo con il costituendo Energy Center. Ecco dunque che l’attenzione torna su una variabile di valore assoluto, sebbene spesso trascurata: la formazione di risorse umane di qualità. In tutte le aree maggiormente competitive del mondo – si pensi alla Silicon Valley, alla Svizzera, alla Baviera – ci sono grandi Atenei (UCB, Berkeley, EPFL, ETH, TUM) capaci di formare studenti e ricercatori di talento e conseguentemente di attrarre investimenti strategici per il territorio. Questo succede in qualche misura anche in alcune aree del nostro Paese, che mantiene in ambito manifatturiero non solo un buon indice di competitività, ma anche un’apprezzabile capacità di innovazione. Il nostro Paese è agli ultimi posti OCSE in termini di percentuale di popolazione con formazione terziaria (il 24 per cento della popolazione tra 25 e 64 anni) a fronte di una media OCSE del 41 per cento. Aumentare significativamente questa percentuale garantendo una formazione di qualità è la principale sfida dei prossimi anni; non soltanto un tema di ordine sociale, ma anche e soprattutto una condizione irrinunciabile per la nostra competitività. Come noto, gli investimenti complessivi in R&D nel nostro Paese (i cosiddetti GERD – Gross domestic expenditure on R&D) sono circa la metà della media degli investimenti OCSE e conseguentemente la percentuale di ricercatori e più in generale di addetti alla ricerca nel nostro Paese è sensibilmente inferiore a quella registrata in Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Giappone e Corea e nella maggioranza dei Paesi OCSE.

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Nel breve termine è necessario incrementare significativamente il numero dei ricercatori e degli addetti alla ricerca, rimuovendo i limiti di turn-over che impediscono un ricambio generazionale ormai irrinunciabile per evitare un progressivo e inarrestabile declino del sistema dell’alta formazione e della ricerca scientifica del Paese

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Marco Gilli durante la recente inaugurazione


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Anche il tessuto

industriale deve fare la sua parte

Fabio Inzoli direttore dipartimento di Energia Politecnico di Milano

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Questo spiega anche perché nell’ambito delle tecnologie emergenti – materiali avanzati, tecnologie dell’informazione di nuova generazione (Internet of Things, Big Data, Quantum computing) e tecnologie della salute – il nostro Paese non gioca un ruolo da protagonista. D’altra parte tutti i dati che abbiamo a disposizione mostrano che la qualità della ricerca svolta nel nostro Paese è di livello più che apprezzabile: il nostro problema è che giochiamo con una squadra che percentualmente ha la metà dei giocatori dei Paesi con cui ci confrontiamo. Come uscire, dunque? Il problema è complesso e credo che nel medio termine lo si dovrebbe affrontare rivisitando complessivamente il sistema della ricerca scientifica e tecnologica e dell’alta formazione nel nostro Paese. Da un lato, sarà necessario aumentare il numero di istituzioni che forniscono una formazione terziaria professionalizzante, per aumentare la bassa percentuale di laureati del nostro Paese, di cui si diceva prima; ma dall’altro occorrerà concentrare gli investimenti in ricerca e sviluppo in un numero limitato di istituzioni di ricerca, capaci di attrarre i migliori talenti da tutto il mondo. Nel breve termine, però, per giocare un ruolo significativo nell’ambito della ricerca è necessario incrementare significativamente il numero dei ricercatori e degli addetti alla ricerca, rimuovendo per le università e gli istituti di ricerca i limiti di turn-over che impediscono un ricambio generazionale ormai irrinunciabile per evitare un progressivo e inarrestabile declino del sistema dell’alta formazione e della ricerca scientifica del Paese. Occorre poi favorire una maggiore integrazione tra sistema universitario e sistema industriale, sul modello degli accordi di partnership che ho descritto, anche ricorrendo a misure di agevolazione fiscale e di finanziamento indiretto alla ricerca.

La Conferenza Internazionale sul clima di Parigi del dicembre 2015 ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica l’esigenza di individuare soluzioni che nei prossimi anni possano limitare il riscaldamento globale. In questi giorni il crollo del prezzo del petrolio e le tensioni sui mercati, con le ripercussioni a livello di politica internazionale, hanno riaffermato l’esigenza di un cambiamento di rotta nelle politiche energetiche. Sono segnali che evidenziano sempre di più, se ancora ce ne fosse bisogno, l’importanza che potranno avere in futuro

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Fabio Inzoli


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dossier

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nuovi modelli di sviluppo e nuova tecnologia in campo energetico. Le esigenze a cui si dovrà rispondere e le opportunità di mercato che si potranno aprire saranno condizionate dalla capacità di trovare e proporre innovazione; insomma dalla capacità di fare ricerca. Il sistema industriale italiano è caratterizzato da una rete di PMI, anche se non mancano nel settore energetico i grossi attori internazionali. È un sistema ancora oggi apprezzato per la qualità della nostra produzione industriale, in un mercato che vede l’esportazione come condizione necessaria per la competitività – e la sostenibilità – del sistema industriale nazionale. Viene ancora riconosciuto alle nostre aziende un alto livello di competenza, maturato dalla capacità di saper innovare e di saper fare. È spesso stata una innovazione incrementale, mentre paghiamo una scarsa propensione, come nazione, a innovazioni di breakthrough, che in ambito tecnologico richiedono investimenti importanti. Esiste una carenza di politiche di supporto alle start-up, una ridotta propensione a finanziamenti di venture capital, e ben noti limiti dovuti a una burocrazia eccessiva. Siamo come un’auto sportiva che nonostante disponga di un ottimo pilota, mantiene il freno a mano tirato.

Esiste una carenza di politiche di supporto alle start-up, una ridotta propensione a finanziamenti di venture capital, e ben noti limiti dovuti alla burocrazia. Eppure, abbiamo risorse umane di riconosciuta eccellenza

Nuova Energia 1-2016

I punti di forza rimangono comunque la qualità delle nostre risorse umane, che si trovano però ad operare in un mercato nazionale del lavoro incapace di stare al passo con uno sviluppo oggi più dinamico che mai. Alcune nostre Università tecniche si stanno attrezzando ad offrire centri di ricerca e sviluppo a supporto del tessuto industriale, nazionale e internazionale. E in questo sforzo difficilmente possono contare su un aiuto pubblico. Sul lato formativo è mantenuta la capacità di preparare persone con una qualificazione e una base scientifica-culturale di primissimo piano. La formazione che i nostri giovani hanno, a cominciare dalle scuole superiori per arrivare alle aule delle università, è apprezzata dal mercato internazionale, più di quanto riesca a fare il contesto nazionale. Sempre più giovani, che si laureano

in ingegneria, si muovono verso mercati del lavoro esteri per ragioni di opportunità professionale, per potersi confrontare con il contesto internazionale e perché hanno compreso che le loro aspettative potranno così essere soddisfatte. C’è spesso la voglia di mettersi in gioco e di scommettere sulle proprie capacità. I rapporti che da diversi anni un Ateneo come il Politecnico di Milano ha consolidato con le grosse imprese nazionali del settore energetico è una conferma della qualità dei nostri ricercatori e della qualità delle nostre infrastrutture di ricerca. Quello che come accademici, nel nostro ruolo anche di formatori, desideriamo è un maggiore investimento sulla formazione di terzo livello, i dottorati di ricerca. È uno sforzo che deve vedere insieme sia il pubblico sia il privato. La percezione che siano investimenti “per altri” deve lasciare spazio alla consapevolezza che potrà trarne vantaggio il Paese e l’intero comparto industriale nazionale. Non possiamo sottovalutare quello che è uno dei punti di forza della nostra Università. Ci si domanda spesso se l’Italia potrà ancora avere un ruolo nel contesto mondiale della ricerca. Il mondo della formazione (universitaria) sta sicuramente facendo enormi sforzi per poter competere a livello internazionale. Abbiamo continui riscontri che ricercatori italiani, formatisi in Italia, sanno giocare un ruolo importante nel settore della ricerca a livello internazionale. Ritengo che debba essere il mondo del lavoro, il mondo industriale, che non deve farsi sfuggire le opportunità di una formazione di qualità. Il mondo della ricerca italiana oggi soffre di una incapacità di essere attrattivo mentre il nostro tessuto industriale dovrebbe sfruttare meglio un potenziale importante quale quello disponibile in termini di risorse umane. Serve anche una maggiore flessibilità e maggiori opportunità, soprattutto per i più giovani. Quali sono le scelte politiche che possono promuovere una valorizzazione delle nostre capacità di fare ricerca? La risposta è semplice: maggiori investimenti e maggiore coordinamento. L’Italia è noto essere una delle nazioni industrializzate a minor investimento pubblico nella ricerca. In un momento come quello attuale, non semplice dal punto di vista economico, è fondamentale saper investire bene, valorizzare la capacità, ed evitare meccanismi di finanziamento a pioggia. Nei Paesi maggiormente industrializzati, così come nelle economie in forte sviluppo, le scelte strategiche mirano a creare poli di ricerca che siano attrattivi sia per chi vuole fare ricerca, sia per chi vuole fare investimenti in ricerca. La ricetta è quindi semplice, ma purtroppo non consueta per il nostro Paese.



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RSE

Innovazione concreta

nel contesto

europeo

di Romano Ambrogi | responsabile funzione sviluppo e pianificazione – RSE

A oltre 15 anni dalla riforma che ha aperto il settore elettrico al mercato, e dopo 10 anni dalla fondazione della nostra società, uno dei frutti più maturi e importanti è il posizionamento della ricerca di RSE nel contesto della ricerca europea. La partecipazione a numerosi progetti del 6° e 7° Framework Programme UE, diversi dei quali coordinati proprio da RSE, ha permesso di costruire una solida reputazione sia negli ambienti della Commissione (soprattutto nella DG Research e DG Energy) sia tra i partner, industriali e accademici. Un breve excursus attraverso alcuni dei progetti più significativi che hanno visto operare RSE permette di dare un cenno su quali possono essere i principali sviluppi del sistema elettrico, in un’ottica continentale, ribadendo la centralità della rete elettrica e delle sue tecnologie, principale fattore abilitante per l’evoluzione del sistema.

Le grandi interconnessioni su scala continentale

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Romano Ambrogi

cia con la Commissione e con le associazioni dell’industria e dei consumatori. Alcuni temi centrali del dibattito energetico sono stati al centro di progetti come REALISE-GRID, coordinato da RSE, sulla pianificazione delle interconnessioni tra Stati e sui criteri con cui definire le migliori alternative. Anche la possibilità di connettere alla rete la produzione eolica, grazie a strutture e a modalità innovative, è un punto di grande attenzione, specialmente per gli impianti realizzati nel Nord-Europa. RSE è una delle poche realtà italiane che ha garantito una costante presenza, a volte anche senza Terna, nei progetti TWENTIES, e-Highway e Best Paths, nei quali si sono sviluppati sistemi e concetti di gestione all’avanguardia con l’obiettivo di salvaguardare la sicurezza del sistema progetti interconnesso.

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Partiamo dalla roadmap della ricerca elettrica europea sviluppaSviluppiamo ta dal progetto ERMINE, coordinato da Michele de Nigris negli di ricerca con le Come portare sul mercato anni 2006-2008, che ha puntuacaratteristiche di utilità le smart grid lizzato il ruolo della generazione pubblica, vale a dire La rete di distribuzione nei distribuita e delle fonti non proa beneficio degli utenti vari Stati membri ha invece cagrammabili e la necessità di un del sistema elettrico, ratteristiche a volte assai diverse ripensamento della gestione degli e con robuste radici nella tra loro, sia come struttura sia coasset. E che ha raccolto, intorno realtà della generazione, me modalità di gestione. L’Italia è ad Eurelectric, il mondo delle utitrasmissione, sicuramente in una posizione di lity, con le quali si è avviato un distribuzione e usi finali avanguardia, grazie non solo alla dialogo – difficile ma fecondo – dell’energia elettrica diffusione capillare dei contatori sulla necessità di innovazione in elettronici, ma anche al sistema di un mondo altamente strutturato telegestione che consente un’autoe complesso, tradizionalmente lemazione assai spinta. gato a modalità gerarchicamente ordinate di funzionamento. L’impulso verso le fonti rinnovabili per la generazione eletLa rete di trasmissione europea, largamente interconnessa, pur trica e la crescente penetrazione delle FER non programmabili nell’indipendenza dei vari operatori di rete nazionali, è da tempo è stata la ragione prima per cui l’Unione Europea ha puntato oggetto di attenzione della Comunità, che punta ad un mercato sullo sviluppo delle cosiddette smart grid, che consentono dell’energia continentale, la cui infrastruttura fisica è appunto un’adeguata integrazione di tali fonti connesse alle reti di dicostituita dalla rete. Gli operatori hanno formato da tempo una stribuzione, mantenendo i requisiti di qualità del servizio. forte comunità, oggi rappresentata da ENTSO-E, che si interfac-


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Indipendenza e terzietà come valore aggiunto La cultura aziendale di RSE ha profonde radici nella ricerca applicata dell’utility da cui proviene e si è forgiata, dopo il passaggio in CESI e il successivo scorporo del ramo d’azienda “Ricerca di Sistema Elettrico”, nel rapporto privilegiato con l’azionista e gli stakeholder, in primis il Ministero dello sviluppo economico e l’Autorità per l’energia elettrica. Si è quindi consolidato un gruppo di ricercatori che hanno sviluppato progetti di ricerca con le caratteristiche di utilità pubblica, vale a dire a beneficio degli utenti del sistema elettrico, ma con robuste radici nella realtà della generazione, trasmissione, distribuzione e usi finali dell’energia elettrica. Grazie al carattere pubblico della proprietà di RSE, interamente detenuta da GSE, e alla piena indipendenza e terzietà da sempre riconosciute alle sue attività, RSE si è messo a disposizione del Ministero per le attività di competenza della direzione e dell’AEEGSI. La prospettiva di neutralità tecnologica che ne deriva consente di interfacciare con credibilità sia i gestori della rete sia i fornitori di tecnologia, nella prospettiva di un mercato dell’energia che sappia portare gli attesi benefici di convenienza e comfort agli utenti e all’intera società italiana.

no le possibilità di gestire adeguatamente le molteplici situazioni indotte da un flusso non più regolarmente monodirezionale e da un matching tra domanda e generazione sempre più difficile. Il contributo specialistico della ricerca di RSE non si ferma però alla realizzazione dei progetti; ha anche un risvolto organizzativo e di coordinamento, a supporto delle politiche comunitarie. L’implementazione del SET plan (Strategic Energy Technology) ha comportato la gestione di un gran numero di relazioni tra istituzioni degli Stati membri, associazioni delle utility e dell’industria, università e centri di ricerca. Sono state individuate, oltre alle Piattaforme Tecnologiche e alle Joint Undertaking, le Industrial Initiative e si è costituita EERA, la European Energy Research Alliance. Alcuni dei progetti sono stati legati a questi specifici ambiti. RSE ha avuto un ruolo di primo piano all’interno della European Electricity Grid Initiative (EEGI), in parte svolto partecipando al Progetto GRID+, valorizzando il contributo italiano alla dimostrazione delle smart grid. In questa sede sono stati sviluppati alcuni schemi di sicuro interesse per favorire misure di supporto al miglioramento della distribuzione, come la scelta dei più opportuni indicatori di performance (KPI) e la valutazione dei costi-benefici dei progetti di dimostrazione in corso. RSE ha inoltre costituito un nucleo di centri di ricerca europei sul tema delle reti elettriche, coordinando dalla fondazione il Joint Programme (JP) EERA Smart Grids. Dall’esperienza della collaborazione nel JP è scaturito il successo ottenuto con il finanziamento dell’importante progetto ELECTRA, attualmente in pieno svolgimento e il cui coordinatore è Luciano Martini di RSE. ELECTRA prevede tra l’altro un programma di scambio di ricercatori estremamente attivo.

Il forte contributo alla normazione tecnica

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In questo contesto RSE ha fatto nascere una forte partnership con un gran numero di attori della ricerca, sviluppatasi attorno alle facility di laboratorio presso le quali è stato possibile avviare le prime sperimentazioni di dispositivi e di logiche necessarie alle smart grid. Il coordinamento del progetto DERRI, con il seguito di azioni che ha portato a stabilizzare la rete di laboratori sulle smart grid in Europa, ha sicuramente segnato un punto importante. Più recentemente RSE è scesa in campo anche a fianco dei DSO per attività di dimostrazione su reti reali, nel grande progetto GRID4EU recentemente concluso, dove non solo ha affiancato il gruppo di imprese attorno ad Enel Distribuzione per il dimostratore italiano, ma ha anche lavorato nel Work Package dedicato alla scalabiltà e replicabilità dei progetti dimostrativi, passo indispensabile per il passaggio alla successiva fase di roll-out delle smart grid. Un altro aspetto estremamente critico nel nuovo contesto della distribuzione elettrica è costituito dall’interazione con gli utenti e con il contesto sociale, economico e territoriale, di cui si sta occupando il progetto Inspire Grid, sempre coordinato da RSE. Alla partenza del nuovo Framework Programme UE, è stato finanziato il progetto SmartNet, coordinato da RSE, che affronta l’importante problema dei rapporti tra il sistema della distribuzione e quello della trasmissione, all’interfaccia dei quali si gioca-

Numerosi sono stati gli appuntamenti che hanno favorito la diffusione del dibattito e delle iniziative in corso alla community italiana impegnata nella modernizzazione del nostro sistema di distribuzione, come anche le occasioni che hanno permesso di illustrare le capacità delle nostre imprese sullo scenario internazionale, grazie ai rapporti stabiliti da RSE. Non va trascurato infine il contesto della normativa tecnica, che è stato affrontato dai ricercatori di RSE impegnati in diversi comitati di CENELEC, l’organizzazione europea cui fa riferimento il Comitato Elettrotecnico Italiano e che a sua volta afferisce ad IEC. In particolare, sono stati seguiti i lavori dello Smart Grid Coordination Group, istituito da CENELEC ed ETSI (la corrispondente organizzazione per la standardizzazione delle telecomunicazioni) che su mandato della UE hanno compiuto un prezioso lavoro per identificare i “vuoti normativi” prioritari per lo sviluppo delle nuove funzionalità delle reti elettriche. La capacità di RSE di elaborare temi di ricerca altamente specialistici a un livello di eccellenza nel panorama europeo e di interloquire adeguatamente nel complicato sistema di relazioni che si muove attorno alla Commissione sono un asset estremamente importante per permettere una governance adeguata al sistema italiano.


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EMISSIONI

Dopo il Dieselgate

occorre un ritorno al “mondo

reale”

randone il carbone, olio o gas. Diverso è il caso degli ossidi di azoto, che non sono presenti nel combustibile ma nell’aria che usiamo per la combustione. Quindi, a meno di separare l’azoto dall’ossigeno (cosa possibile ma costosa) e usare ossigeno puro per la combustione, azoto e ossigeno sono destinati a reagire, sia pure in quantità modeste, e quindi a formare i famigerati ossidi. E si formeranno tanto più ossidi di azoto quanto più elevata è la temperatura. Ma una temperatura elevata è una condizione per avere un alto rendimento del sistema di trasformazione dell’energia e quindi ci troviamo di fronte a un dilemma: alte temperature per avere rendimenti elevati, o temperature limitate per creare pochi ossidi di azoto? Si deve praticare un compromesso tra le due esigenze. Per fortuna, la dipendenza della formazione di ossidi dalla temperatura è molto più che proporzionale, quindi il progettista del motore (o della turbina, secondo i casi) deve badare soprattutto a non creare zone con picchi di temperatura elevata, assicurando la migliore uniformità possibile in tutta la zona di reazione. Rimane comunque la necessità di arrivare a compromessi tra un rendimento più elevato del motore e una limitazione dello scarico in atmosfera di ossidi di azoto. Vi è però anche la possibilità di bloccare questi ossidi allo scarico e non rilasciarli in atmosfera. Per fare questo

è possibile utilizzare tecnologie quali la SCR (Selective Catalytic Reduction), tecnologia già dimostrata con successo, che richiede però anche l’iniezione di una limitata quantità di un composto chimico (urea) con un (modesto) costo incrementale ma anche con la necessità di provvedere periodicamente all’approvvigionamento della stessa urea. La Commissione Europea sta cercando di mettere ordine in tutta questa complicata vicenda, a cominciare dall’omologazione dei nuovi modelli di autovetture. Il principio da cui si era partiti era quello dell’equiparazione di questa omologazione in tutti i laboratori abilitati nell’Unione. Una volta ottenuta l’omologazione in un Paese della Comunità Europea, questa ha valore per tutti i Paesi dell’Unione. La vicenda Dieselgate ha mostrato l’esistenza di connivenze tra i controllori e i controllati. Attualmente è lo stesso costruttore che paga le autorità di omologazione per effettuare i test di controllo; e non sempre le cose procedono come dovrebbero. Con le nuove norme che la Commissione intende introdurre si dovrebbe scoraggiare questa connivenza, migliorando la qualità e l’indipendenza dei test effettuati sulle nuove vetture e introducendo l’obbligo di audit regolari dei servizi tecnici. Il secondo punto di debolezza delle norme attuali (e sul quale concorrono in varia misura tutti gli attori) è lo scar-

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Il 2 febbraio 2016 il Parlamento Europeo in seduta plenaria ha respinto la raccomandazione di veto della Commissione Ambiente sulla proposta dell’esecutivo UE di istituzione di nuovi test per le emissioni delle auto con motore diesel, aprendo così la strada alle proposte della Commissione Europea. Iniziato come un passo falso in una procedura di rilevamento delle emissioni allo scarico delle vetture a motore diesel della Volkswagen, quello che è diventato uno scandalo di gravi proporzioni meritando l’appellativo di Dieselgate rischia di compromettere ben di più di quello che sembrasse all’inizio e di mettere in discussione equilibri faticosamente raggiunti attraverso decenni. Vediamo di illustrarne alcuni aspetti che forse non sono stati messi sempre nella giusta evidenza. L’inquinante di cui si tratta è la famiglia degli ossidi di azoto, precursore dell’acido nitroso e dell’acido nitrico. Le conseguenze sulla salute, se è presente nell’aria che respiriamo, sono gravi e vi sono anche altri effetti (sulle acque dei fiumi e dei laghi, sulle foreste, sui manufatti e gli edifici d’arte, sui prodotti agricoli e così via) che derivano dalle piogge acide. In queste malefatte, gli ossidi di azoto non sono molto differenti dagli ossidi di zolfo (solforosi e solforici) che sono anch’essi presenti nei fumi di scarico dei motori diesel. Vi è però una differenza fondamentale tra ossidi di zolfo (già da tempo ben noti come inquinanti derivanti dalla combustione di carbone e di idrocarburi) e ossidi di azoto. Nel caso dello zolfo, questo si trova negli scarichi ma è già presente anche nel combustibile originale. È quindi possibile ridurne le emissioni depu-

Source: EC 2009

di Ugo Farinelli


Source: European Union 2015 - European Parliament

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so realismo dei test di omologazione, rire. Il non rispetto delle norme sulle ambientalisti rilanciano (con qualche che sono molto lontani dalle condizioni emissioni delle auto causerebbe nell’Ucedimento) gli obiettivi di protezione in cui si trovano effettivamente i veinione Europea qualcosa come 400 mila dell’atmosfera al di là del poco realismo coli nel traffico, distanti cioè – usando morti l’anno. L’equivalente di “una città dei processi di omologazione (il limite di un’espressione della Commissione – dal come Firenze ogni anno” ha un sapo80 mg/km sembra obiettivamente diffici“mondo reale”. Secondo una recente re vagamente terroristico che dovrebbe le da imporre). Interessante e certamente valutazione, i veicoli con motore diesel forse essere qualificato, ma l’effetto cerstrumentale la posizione presa da rapsu strada emetterebbero sette volte tanto esiste ed è molto consistente. presentanti del mondo produttivo come to quello che sarebbe previil CMTV (Comitato Tecnico sto dai risultati dell’omoloVeicoli a Motore) che, sottogazione (che richiede un’elineando la discrepanza tra I test attuali sono troppo lontani missione di ossidi di azoto i test di omologazione e il dalle condizioni in cui si trovano non superiore a 80 mg per comportamento reale dei effettivamente i veicoli nel traffico. chilometro). Questo è un riveicoli su strada, suggerisce Secondo una recente valutazione, i sultato che mette in discusdi concentrarsi su quest’ulsione la validità di tutto il mezzi con motore diesel su strada timo, ma introducendo dei processo. La Commissione emetterebbero sette volte tanto fattori che tengano conto di vuole introdurre una magrispetto ai risultati in fase di queste anomalie (cioè augiore sorveglianza sul meromologazione. Per questo la mentando sensibilmente gli cato, effettuando prove non Commissione vuole introdurre una attuali limiti di emissioni soltanto su veicoli nuovi maggiore sorveglianza sul mercato, inquinanti in condizioni di al momento dell’omologaeffettuando prove anche sul traffico reale) e in qualche zione, ma anche su veicoli circolante in condizioni di traffico modo facendo dimenticare il effettivamente circolanti in Dieselgate. condizioni di “mondo reaL’ultimo secolo (o secolo le” e anche su richiesta della e mezzo) che va sotto il noCommissione. Infine, intende svolgere Chi ha vinto (se qualcuno ha effettime di “età del petrolio” è stato caratteun compito diretto di sorveglianza sul vamente vinto) il braccio di ferro culmirizzato da un’alleanza strategica molto sistema di omologazione, per poter innato nel voto del Parlamento Europeo stretta tra due settori industriali, quello tervenire tempestivamente in caso di del 2 febbraio? La Commissione Europea petrolifero e quello automobilistico. È mal funzionamento. ha fatto il possibile per mettere ordine possibile che sotto la spinta di disastri A sostegno di un intervento sulle in una situazione oggettivamente diffiecologici, di scandali come Dieselgate e omologazioni molto più restrittivo, la cile, specie dopo il Dieselgate, puntando di pressioni per soluzioni di mobilità Commissione riporta dati (o meglio vasu una razionalizzazione degli intervenalternativa questa alleanza cominci a lutazioni) francamente difficili da digeti per un recupero della credibilità. Gli scricchiolare?


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INDICATORI ENERGETICI

Come si misura

(e si confronta) l’efficienza

di un processo produttivo di Nino Di Franco | ENEA Unità Tecnica Efficienza Energetica

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Nel definire la prestazione energetica di un processo, in termini di energia necessaria per erogare l’unità di prodotto o servizio, va innanzitutto chiarito se l’energia da conteggiare andrà considerata a livello di fonti primarie o di usi finali. Le politiche energetiche al più alto livello di aggregazione (nazionale e/o continentale), che devono stabilire le strategie di approvvigionamento e contenimento dei consumi energetici, considerano l’energia primaria; all’energia finale si riferiscono i programmi energetici a livello decentrato, che siano su scala territoriale o su scala puntiforme (singole aziende, stabilimenti o utilizzazioni). Quando si opera a livello di fonti primarie, il consumo specifico è misurato in tep/t o in unità di misura equivalenti (mentre l'efficienza energetica, inverso del consumo, sarebbe misurata in kg/ tep). In questo caso l’indicatore consumo specifico dà conto dello sforzo che il sistema energetico nazionale deve compiere per rendere possibile al consumatore finale la produzione dell’unità di quel tale prodotto o servizio. Tale indicatore può essere calcolato come valore medio (consumo totale di fonti energetiche in rapporto alla produzione totale annuale) o come valore marginale (consumo da affrontare per erogare l’unità in più di prodotto). Con la precedente accezione, l’energia elettrica, consumata per esempio a livello di stabilimento produttivo deve essere ricondotta alle fonti primarie utilizzate nelle centrali di produzione, comprese le perdite che si sono sopportate sulla rete di distribuzione, per rendere disponibile il singolo kWh.


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Per individuare in maniera precisa e priva di ambiguità l’efficienza di un sistema produttivo, è necessario riferirsi a due indicatori contemporaneamente: uno per gli usi finali elettrici e uno per gli usi finali termici

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Tale valore si modifica nel tempo al migliorare dell’efficienza del sistema elettrico nazionale. Ad oggi, può essere assunto pari a 7.830 kJ/kWh (AEEG, delibera EEN 3/08), assumendo così il significato di equivalente termico di II principio, tenendo esso in conto i rendimenti pesati dei vari cicli termodinamici utilizzati nei diversi impianti di produzione elettrica sul territorio nazionale e le perdite di trasmissione e distribuzione. Dato il particolare mix di fonti energetiche primarie (fossili e rinnovabili), il rendimento energetico di II principio del sistema sarebbe di conseguenza pari a 3.600/7.830 (dove 3.600 è l’equivalente termico dell’elettricità: 1 kWh sviluppa 3.600 kJ termici). Si ottiene dunque un valore del 46 per cento. L’energia termica viene invece prodotta in genere localmente (a meno che non sia fornita dall’esterno eventualmente tramite una rete di teleriscaldamento) secondo i relativi rendimenti di produzione del calore. A questo punto ci sono tutti gli elementi per calcolare il fabbisogno specifico, a livello di sistema energetico nazionale, legato alla produzione di 1 chilogrammo di un certo bene che necessita di 1 kWh elettrico e 10.000 kJ termici, avendo considerato, per la forma termica, una produzione locale con un rendimento di combustione di 0,85 e con un rendimento di trasporto del combustibile di 0,98 (comprendente anche i consumi per il pompaggio se si tratta di gas naturale). Il dato ottenuto dall’equazione 1) fornisce un’indicazione strategica al

1)

1

pianificatore nazionale, che può così conoscere preventivamente l’impatto in termini di richiesta di energia primaria che deriverebbe alla nazione dall’approvazione di un nuovo grande insediamento per la produzione di quel bene; o quando si voglia incentivare l’immissione sul mercato di un nuovo prodotto o di una nuova apparecchiatura di minor consumo specifico. Nel primo caso per valutare l’energia in più di cui si dovrebbe approvvigionare il Paese, nel secondo per valutare il risparmio energetico globale conseguente. A livello di pianificazione energetica locale, il precedente modo di conteggiare i consumi specifici è tuttavia inappropriato. Il problema risiede principalmente nella valorizzazione termica del kWh elettrico necessario alla produzione del bene/servizio. In uno stabilimento, il processo produttivo può essere considerato connesso alla rete elettrica e del gas semplicemente tramite due valvole: il processo produttivo sarà considerato più o meno efficiente in funzione delle modalità di uso dell’energia a valle delle valvole, mentre ciò che accade a monte risulta indifferente. Si supponga ora di voler confrontare il consumo specifico calcolato con l’equazione 1), supposto associato ad un certo operatore X, col consumo specifico di un altro operatore Y che necessiti sempre di 1 kWh elettrico e 10.000 kJ termici per unità di stesso prodotto, ma operante in un altro Paese nel quale si abbia un diverso mix di fonti primarie per la produzione elettrica. Poiché la valorizzazione del kWh in questo secondo Paese verrebbe eseguita

kJ kJ 1 1 kj (primari) kWh x 7.830 + 10.000 x x = 19.835 kWh kg 0,85 0,98 kg kg


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Come si misura

(e si confronta) l’efficienza di un processo produttivo

metterebbe sicuramente tutte le aziende sullo stesso piano di riferimento, ma non risolverebbe il problema dell’approccio alla pianificazione energetica locale. Gli operatori sono sensibili ai costi energetici, i quali rispecchiano i mix locali, e le politiche di miglioramento individuali sono indirizzate da simili costi: a parità di fiscalità, in un Paese dove costa molto il kWh perché prodotto da fonti pregiate (gas, petrolio) gli operatori manifesteranno sofferenza più sui consumi elettrici che su quelli termici, mentre il viceversa accadrebbe in un Paese in cui il kWh costasse di meno perché prodotto da fonti primarie meno care (ad esempio: carbone, biomasse, rinnovabili). Il problema è ineludibile poiché anche se nel futuro si realizzerà un sistema energetico integrato a livello continentale, che comporterà uguali prezzi energetici per tutti gli utilizzatori finali, non si potranno in ogni caso confrontare fra loro le prestazioni energetiche di imprese di diversi continenti (ad esempio: USA o Cina) sulla base di indicatori di II principio. Gli indicatori rendono possibili con-

fronti inter-aziendali (tra diverse aziende) o intra-aziendali (all’interno di una stessa azienda che abbia diverse sedi produttive, o per confrontare prestazioni energetiche di diverse annualità); allo scopo sarebbe allora sicuramente più corretto valorizzare il kWh per il suo contenuto termico di I principio, che è sempre e ovunque lo stesso, e corrispondente a 3.600 kJ/kWh. Questo approccio svincolerebbe le efficienze energetiche di aziende operanti in Stati diversi dai rispettivi mix di fonti primarie, ma conserverebbe in ogni caso una certa dose di ambiguità. Valorizzare il kWh a 3.600 kJ non farebbe infatti emergere l’azienda che consuma meno energia elettrica rispetto alla termica nel proprio ciclo produttivo, mentre indubbiamente l’energia elettrica (forma di energia coerente) vale – termodinamicamente ed economicamente – più dell’energia termica (forma incoerente). Esemplificando, si considerino gli stessi operatori X e Y che esibiscano uguali consumi specifici di I principio, pari a 10.000 kJ/kg. Se X consuma solo elettricità, questi corrisponderebbero (al ren-

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col locale rendimento di II principio, sicuramente diverso da quello italiano, si arriverebbe ad un preoccupante paradosso: due operatori X e Y, operanti in due diversi Stati, per produrre lo stesso kg di bene necessitano delle stesse quantità energetiche finali; tuttavia il rendimento di II principio renderebbe un operatore più efficiente dell’altro, indipendentemente dalle rispettive strategie puntuali di risparmio energetico. Il fatto che ad essere più efficiente è il proprio Stato, non significa che necessariamente lo siano anche gli utenti finali. L’approccio di II principio, finalizzato al confronto tra le efficienze dei diversi operatori, vale quindi solo per utenti finali di uno stesso Paese. In un mercato globale, le varie imprese si confrontano tra loro e necessitano di benchmark per poter posizionare le proprie prestazioni energetiche; ma essendo diverse le efficienze di produzione elettrica nei rispettivi Stati, l’approccio di II principio sarebbe fuorviante. Si potrebbe allora calcolare l’equivalente termico del kWh ad un livello superiore, per esempio europeo. Questo


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dimento di produzione elettrico globale del 46 per cento) a:

2)

kJ 10.000 = 21.739 primari kg 0,46

Se Y consuma solo calore, 10.000 kJ/ kg corrispondono (con un rendimento globale di produzione termica dell’85 per cento) a:

3)

kJ 10.000 = 11.765 primari kg 0,85

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Avremmo dunque due operatori che possono vantare lo stesso consumo specifico finale per unità di prodotto, cioè 10.000 kJ/kg; entrambi occuperebbero lo stesso posto in un ranking energetico di I principio. Tuttavia l’operatore Y, non consumando energia elettrica, è più efficiente e di questo sono testimonianza i consumi primari (11.765 < 21.739). Inoltre, si supponga che a fronte del consumo specifico finale di 10.000 kJ/kg si riscontri in letteratura un benchmark di 8.000 kJ/kg. In quale area andranno cercate opportunità di risparmio? Nell’area elettrica o nell’area termica? Non è dato saperlo a priori. Occorrerebbe analizzare tutte le fasi del processo e analizzare tutte le possibilità di risparmio. L’ambiguità è dunque massima: adottando un approccio di II principio basato sui consumi di energia primaria, non si possono confrontare realtà riferite a diversi mix di fonti primarie per la produzione elettrica. Adottando un approccio di I principio si perderebbe la capacità di discernere l’intrinseca efficienza di processi che utilizzano in diversa percentuale energia elettrica ed energia termica a parità di energia finale consumata e di volume produttivo. E in ogni caso sarebbe problematico il confronto coi benchmark in un’ottica di pianificazione delle misure di riallineamento da intraprendere. In conclusione, resta dunque irrisolto il problema della determinazione

dell’indicatore più efficace per rappresentare l’efficienza energetica di un processo, se si vuole utilizzare un solo indicatore. In realtà, per individuare in maniera precisa e priva di ambiguità l’efficienza di un sistema produttivo, è necessario riferirsi a due indicatori contemporaneamente: 33 un indicatore elettrico, tipicamente i kWh finali richiesti per unità di produzione (kWh/kg, kWh/t, eccetera) o per unità di servizio; 33 un indicatore termico, normalmente in kJ finali richiesti per unità di produzione o unità di servizio. Sulla scorta del doppio indicatore sono definitivamente risolti i problemi dei confronti tra processi che hanno luogo in stabilimenti diversi, poiché sarebbe disgiunta l’efficienza di produzione dei kWh elettrici rispetto alla produzione dei kJ termici, e si individuerebbe immediatamente l’area (usi termici o usi elettrici) su cui intervenire per recuperare eventuali inefficienze riscontrate a seguito di un confronto coi benchmark

(anche questi da definirsi separatamente per consumi termici ed elettrici). È utile chiudere con un esempio. In letteratura (documento Bref Production of Pulp, Paper and Board, 2015) viene fornito il dato di consumo aggiornato per la produzione di carta tissue a livello UE, pari a 3.150 kWh/t finali. Si supponga che una cartiera attualmente consumi, per produrre carta tissue, 3.600 kWh. Indubbiamente occorrerebbe un’opera di riallineamento individuando misure di risparmio energetico da implementare; ma tali misure andranno ricercate preferenzialmente in ambito termico o elettrico, o la collocazione è indifferente? Opportunamente, lo stesso Bref riporta anche i consumi finali separati. Sempre per la produzione di carta tissue si consumano, come energia finale, 1.050 kWh/t elettrici e 7,6 GJ/t (2.100 kWh/t) termici. Un qualunque operatore, calcolati i propri consumi specifici termici ed elettrici, avrebbe a questo punto gioco facile nell’individuare il proprio posizionamento rispetto alla media, e nell’individuare l’area di maggior “sofferenza” nella quale eventualmente intervenire.


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MartaLiquiBlog di Michele Governatori

Amici del liquiblog, quando un aiuto a un’azienda in difficoltà può considerarsi aiuto di Stato illegittimo? Ormai da un ventennio l’ex Commissione Europea (oggi CCCTE – Centro Consultivo per la Cooperazione Talvolta Economica) ha acquisito posizioni molto più tolleranti di quelle di un tempo. Per esempio, anche solo alla fine degli anni Novanta erano impensabili attuali clausole come quella della strategicità presunta:

Il fax inesistente e la clausola della strategicità (presunta)

Si presume strategica ogni attività economica per la quale il governo del Paese coinvolto non abbia mandato un fax alla CCCTE dichiarando che non è strategica.

Vi ricordo che il numero di fax non è mai stato reso disponibile e che se un’attività è strategica i trasferimenti di denaro pubblico verso di essa non sono censurabili nell’ambito della disciplina degli aiuti. Quindi perché polemizzare se Glencore, che ha comprato da Alcoa che a sua volta comprò dallo Stato Italiano le produzioni di alluminio del Sulcis, oggi chiede di essere pagata 40 euro/MWh (pagata, non di pagare) per ogni MWh di elettricità consumata? Nessun fax contro la strategicità dell’alluminio sardo è arrivato. Non possiamo auspicare la legalità e poi lamentarci, giusto? Vostra, Marta

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Chilowatt in cattedra di Roberto Napoli

UNIVERSITÀ

Qualche timido nel

raggio di sole

plumbeo orizzonte

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Nel plumbeo orizzonte universitario ogni tanto compare qualche timido raggio di sole. La buona notizia è che, dopo 10 anni di continuo calo delle iscrizioni (meno 20 per cento), è stata registrata un’inversione di tendenza, con circa 9.000 matricole in più (contro circa 250.000 immatricolati nel 2013/2014). Non è molto, ma è meglio di niente. Ancor più positivo è il fatto che l’aumento risulta diffuso su tutto il territorio nazionale. Accanto ai dati oggettivi, si riscontra un’atmosfera psicologica meno grigia. A furia di convivere con tagli e sberleffi, gli universitari hanno ormai ispessito le resistenze epidermiche e si arrangiano a convivere più armoniosamente con ciò che passa il convento. Eppure la situazione continua ad avere aspetti schizofrenici. Come produttività scientifica, la ricerca universitaria italiana si è arrampicata nelle classifiche internazionali, raggiungendo livelli quantitativi di tutto rispetto. Produciamo infatti circa il 4,5 per cento delle pubblicazioni scientifiche mondiali, nonostante gli impietosi raffronti sull’entità delle risorse. È una conferma che, quanto a capacità di barcamenarsi, non siamo secondi a nessuno, soprattutto quando si toccano le carriere personali. Consideriamo in particolare il settore dell’ingegneria. Non è proprio detto che all’aumentata produttività scientifica nazionale corrisponda un più spedito cammino verso le innovazioni tecnologiche. Da molti anni la ricerca universitaria ingegneristica italiana soffre di un male oscuro, conseguenza di una sottovalutazione politica, di confusione di obiettivi e di un tessuto industriale troppo frammentato. Ho provato a richiamare alla mente i più significativi contributi scientifici delle università italiane nel settore dell’energia negli ultimi trent’anni. Ne ho ricavato una spiacevole sensazione di ridotte capacità mnemoniche, magari segno di un inarrestabile declino anagrafico. Ho allora chiesto aiuto a destra e a manca, consultando i miei più illustri colleghi. Il vuoto di memoria è risultato largamente condiviso, confortandomi

sullo stato della mia memoria personale, ma lasciando l’amaro in bocca in termini generali. Le evidenze dimostrano che non è un problema di qualità dei ricercatori. C’è un problema semplicemente strutturale di carenza di volontà politica nello sfruttare le potenzialità universitarie, che si traduce in povertà di motivazioni e carenza di risorse. Con riferimento alle carriere universitarie, c’è qualcosa di perverso nel ricorso in esclusiva a indici numerici per valutare le pubblicazioni; la cosiddetta VQR, Valutazione della Qualità della Ricerca. Il concetto anglosassone del Publish or Perish è stato abbastanza digerito. È divenuto però ossessivamente preva-

Da anni la ricerca universitaria ingegneristica italiana soffre di un male oscuro, conseguenza di una sottovalutazione politica, di confusione di obiettivi e di un tessuto industriale frammentato. Non è dunque detto che all’aumentata produttività scientifica corrisponda un più spedito cammino verso le innovazioni tecnologiche


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Chilowatt in cattedra

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Giuliano Poletti

lente la finalizzazione a scopi carrieristici. Ed è un fenomeno non solo italiano che a un aumento vertiginoso della quantità delle pubblicazioni è corrisposta una altrettanto vertiginosa caduta della qualità dei contributi, con tante rimasticature e poche novità essenziali. Per fortuna i lavori scientifici ormai viaggiano su supporti informatici, per cui rimane sopportabile il contributo all’inutile depauperamento degli alberi. Se badiamo agli interessi generali e non solo carrieristici, la situazione italiana è in qualche modo peculiare nell’amputare le potenzialità scientifiche disponibili, costringendole ad un sostanziale vivacchiare. Senza risorse umane e materiali si possono produrre sofisticate elaborazioni matematiche a iosa e riempire gli archivi di file informatici: ma i benefici per il Paese sono assai ridotti. La classe politica, pur declinando con grande enfasi l’importanza dell’innovazione e della ricerca, nei fatti non si rende

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Il concetto anglosassone del Publish or Perish è stato abbastanza digerito. È divenuta però ossessivamente prevalente – e non solo in Italia – la finalizzazione a scopi carrieristici: a un aumento vertiginoso della quantità delle pubblicazioni è corrisposta una altrettanto vertiginosa caduta della qualità dei contributi

conto che per ottenere risultati concreti utili per il Paese (e non solo per le carriere personali) è necessario investire adeguatamente con continuità e con una visione strategica almeno di medio periodo. Non si coltiva l’eccellenza desertificando i campi in cui si dovrebbe crescere. E non si fanno buoni raccolti prendendo a schiaffi chi dovrebbe coltivare i campi. Per inciso, aumenta il malumore degli universitari per l’indegno trattamento a loro riservato in esclusiva, in attesa che il Governo si decida a trattare gli universitari almeno come gli altri lavoratori del settore pubblico, risolvendo dignitosamente la questione del mancato riconoscimento degli scatti economici pregressi, in armonia con quanto già riconosciuto a tutte le altre categorie del pubblico impiego, nessuna esclusa. Come mezzo di pressione sindacale, molti universitari si sono astenuti dal comunicare i dati sulle loro pubblicazioni. È un indubbio successo nella striminzita storia sindacale universitaria, che ha costretto anche i Rettori ad emettere qualche timido segnale al Governo, dopo le iniziali dissociazioni. Ricordiamo sempre che negli Atenei le risorse umane si sono già ridotte in un decennio di circa il 23 per cento. Il numero di giovani ricercatori a tempo indeterminato (circa 25.000) è ridicolmente basso, contro 15.000 attempati professori Ordinari e 17.000 professori Associati. Con la Legge di Stabilità c’è stata un’inversione di tendenza, per cui sono stati previsti circa 1.000 posti di nuovi ricercatori a tempo indeterminato. Piccoli interventi spot sono meglio di niente, ma non cambiano il quadro generale. Giustamente il nostro premier rileva che le Università non sono ASL e il loro modello di gestione deve fare riferimento ai migliori Atenei del mondo, dove il posto fisso (la tenure) arriva dopo adeguate prove prolungate nel tempo. E così la recente Legge di Stabilità ha dato il via a una sorta di liberalizzazione italica, per cui ogni Ateneo sarà libero di attivare posti precari senza altri limiti che quelli di bilancio. La precarietà, vituperata altrove, guadagna il posto d’onore negli Atenei. In astratto, se fossimo in un Paese normale, la precarietà negli ingressi universitari non scandalizzerebbe, a patto che si prevedano i giusti limiti e le giuste misure. A questo proposito, registriamo che si è innescata una delicata e intrigante questione: la ricerca scientifica universitaria è un lavoro o no? Il quesito non è peregrino. Se la ricerca scientifica è un lavoro, allora alla mancata stabilizzazione devono seguire i consueti ammortizzatori so-


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Qualche timido nel

raggio di sole

plumbeo orizzonte

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ciali, con chiare implicazioni economiche. Una volta posta la questione, dal governo sono pervenute risposte ineffabilmente discordanti. Da un lato il ministro Giuliano Poletti proclama deciso che l’attività dei precari universitari non costituisce lavoro, ma formazione. Dall’altro, con successive giravolte, il sottosegretario Davide Faraone ultimamente proclama che invece la ricerca scientifica è lavoro vero e pertanto occorre assumere l’impegno di prevedere adeguati ammortizzatori sociali. È un fatto che senza i precari oggi gli Atenei si troverebbero in grandi difficoltà. Conclusione: forse è il caso di darsi una regolata prima che la magistratura intervenga a gamba tesa sostituendosi al legislatore. Sul piano delle risorse materiali, il piatto piange drammaticamente. L’indicazione dall’alto è quella di darsi da fare con i fondi europei. Così è stato, con un certo successo. Bisogna però avere chiaro che un conto è la ricerca europea, un altro conto è la ricerca nazionale. I fondi europei tendono a finanziare megaprogetti, con una miscellanea di tanti partner di differenti Paesi, universitari e non. I fondi nazionali dovrebbero invece aiutare la ricerca di base, non necessariamente articolata su megaprogetti. Invece Il nostro Paese ha scimmiottato nelle formalità la burocrazia europea, sposando la teoria del gigantismo pur con fondi lillipuziani. È sintomatico quanto sta accadendo con il bando PRIN 2015 (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale) recentemente emesso dal ministero MIUR. C’è stata un’esplosione di domande: in tutto 4.431, con un incremento del 25 per cento rispetto all’anno precedente. Peccato che il bando PRIN metta a disposizione solo 92 milioni di euro per tutti i settori disciplinari: praticamente una goccia nel mare delle necessità. Permane la richiesta di megaaggregazioni per la presentazione delle domande. In pratica le Università italiane sono così tagliate fuori dalla ricerca veramente applicata, non potendo certo muoversi con le risorse assegnate. Le capacità tecnologiche del Paese lamentano drammatiche sofferenze non solo per la ricerca, ma anche per la formazione, sia universitaria sia secondaria. Il Paese ha bisogno di giovani tecnici. Purtroppo nel sentire comune la formazione tecnologica secondaria è vista come una formazione di serie B, riservata a chi non ha i mezzi materiali o intellettuali per

Se il Paese vuole veramente cambiare verso, bisogna stringere la cinghia da qualche altra parte e rivedere alla base la struttura della ricerca applicata universitaria e della formazione tecnologica secondaria e universitaria, investendo come non mai. Ogni altra alternativa ci costringe al lento declino

formarsi nei più nobili licei. E così il Paese ha sfortunatamente smantellato l’istruzione tecnologica secondaria, che pure costituisce uno dei tasselli fondamentali sui quali altri (ad esempio la Germania) hanno costruito i loro successi economici. Se il Paese vuole veramente cambiare verso, bisogna stringere la cinghia da qualche altra parte e rivedere alla base la struttura della ricerca applicata universitaria e della formazione tecnologica secondaria ed universitaria, investendo come non mai. Ogni altra alternativa ci costringe al lento declino.


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quielà EDISON PULSE Cari giovani sognatori, stupiteci! “L’Italia sta dimostrando di avere molto da dire sull’innovazione e sulla ricerca; per questo abbiamo deciso di lanciare una sfida ai giovani e ai sognatori”. È il commento di Andrea Prandi, direttore relazioni esterne e comunicazione di Edison, al progetto Edison Pulse, concorso che “premia le iniziative più innovative d’Italia”, giunto quest’anno alla sua terza edizione. Il contributo di Edison è tutt’altro che simbolico, visto che nel complesso in palio ci sono 195 mila euro. Tre le categorie prese in esame: 33 Internet of Things (IoT) che raccoglie i progetti che fanno dialogare tra loro in modo intelligente strumenti e oggetti di tutti i giorni; 33 Low Carbon City per le proposte volte a migliorare la vivibilità delle città attraverso l’efficienza energetica, lo snellimento del trasporto urbano o il riutilizzo delle risorse; 33 Sharing Economy per i progetti che promettono di creare nuove piattaforme social (tipo Airbnb e Uber) o di sfruttare in modo originale quelle esistenti, al fine di mettere in contatto le persone per condividere, scambiare o vendere beni e servizi generando benefici economici o sociali per la collettività.

Per la Generazione Z la mobilità sostenibile è una questione di APP Ebbene sì: esiste anche una Generazione Z. Almeno per gli esperti di marketing, a ben vedere, si meriterebbe una bella “A” e non l’ultima lettera dell’alfabeto. Trattasi, infatti, dei giovani europei con età compresa tra i 18 e i 25 anni: i lavoratori (e presunti pendolari) di domani e i consumatori (per eccellenza) di oggi, almeno per quanto riguarda le diavolerie del settore tlc e dintorni. Le uniche che sembrano funzionare sempre e comunque, nonostante la crisi. Ebbene, alla Generazione Z è stata recentemente dedicata una dettagliata ricerca (promossa da Xerox) che ha riguardato un campione di ben 1.200 soggetti, in 12 città europee dislocate tra Regno Unito, Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi. Oggetto dell’indagine, il futuro (previsto o auspicato) del settore trasporti nel 2025. La ricerca sembra partire con il piede giusto, affermando che la metà del campione ritiene che “l’accesso ai mezzi di trasporto diventerà un criterio di selezione determinante nel decidere in che area vivere e lavorare”. Fantastico! Una bella assunzione di responsabilità. Ma quale sarà il punto di forza del trasporto pubblico locale del futuro? La comodità dei mezzi? La pulizia, la silenziosità, il basso tasso di inquinamento, la sicurezza a bordo, la transizione da vecchi e puzzolenti diesel Euro 0 a modernissimi veicoli alimentati a idrogeno o elettricità? Niente affatto. Per quattro utenti su dieci il punto di svolta sarà la possibilità di non dover usare denaro contante per pagare i mezzi di trasporto. Nel frattempo Parigi è stata eletta come la più “smart” tra le città prese in esame. E per quale motivo? Semplice: quasi la metà del campione interpellato usa smartphone e tablet come strumento principale per programmare i propri spostamenti. Sarà che noi apparteniamo a una generazione precedente (diciamo “M” o “N” vista l’età) ma ci pare che la qualità di un sistema di trasporto pubblico e la sostenibilità di un modello di mobilità non possa essere misurata solo in termini di APP, di touch e di clic. Sob!

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Il bando è rivolto a start-up innovative e a team informali che non si sono ancora costituiti in società, formati da almeno tre persone tra i 18 e i 30 anni. Le iscrizioni sono aperte fino al 20 aprile sul sito www.edisonpulse.it. L’annuncio dei 15 finalisti (5 per categoria, selezionati dalla giuria e dal web) sarà dato il 31 maggio; i vincitori saranno proclamati nel mese di giugno durante l’Innovation Week. Oltre ai 195 mila euro, i progetti vincitori riceveranno in premio una settimana di incubazione presso un partner di Edison, la disponibilità a usare uno spazio di co-working presso un incubatore di Milano e una campagna di comunicazione a cura di Edison per dare visibilità ai progetti. “Vorremmo che queste idee, queste intuizioni – ha aggiunto Prandi – diventassero motore di sviluppo per il nostro territorio. Nella passate edizioni abbiamo premiato realtà provenienti dalle più diverse aree del Paese e che col tempo sono diventate aziende di grande successo. Vi invitiamo a stupirci proponendo nuove idee e modelli di imprenditorialità”.


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La metà del solare USA splende sulla California

La NATO si schiera a favore della green energy L’energia verde veste la mimetica e sembra vincere senza dover sparare nemmeno un colpo! Anche la NATO, infatti, si è schierata a favore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Nel suo rapporto annuale l’Alleanza Atlantica ha evidenziato come le energie verdi potranno – e dovranno – avere un ruolo crescente e strategico nei suoi piani d’azione. “I cambiamenti climatici non influenzano solo l’ambiente, ma anche

Almeno da un punto di vista energetico gli USA rappresentano la più limpida dimostrazione che si può ragionare oltre le logiche del contro e delle sterili contrapposizioni tra fonti (buone per definizione e presunte cattive) considerando il mix come un’opportunità e non una condanna. Il Paese che negli ultimi anni ha fatto notizia per il suo ritorno all’oil&gas, che ha lanciato l’economia shale, che non ha ceduto alla tentazione del fuori tutto sul nucleare, ha saputo – nel frattempo – sviluppare anche le fonti rinnovabili. Manco a dirlo, senza trascurare un minimo di logica industriale. L’Energy Information Administration rende noto che a fine novembre 2015 risultavano installati 20 mila MW di generazione elettrica da fonte solare. Non è una cifra pazzesca se si fa un confronto con

i risultati dell’Italia; tutto sta però a vedere se davvero la corsa tricolore va considerata come un modello virtuoso. Negli Stati Uniti, attualmente, prevalgono le cosiddette utility scale fotovoltaiche (>1 MW) che coprono il 52 per cento della capacità installata, mentre gli impianti domestici (rooftop solar) si aggiudicano una fetta prossima al 40 per cento del totale. Il restante 8 per cento riguarda il solare termico su larga scala. La situazione è estremamente diversa da Stato a Stato. La California fa il pieno di sole con 9.976 MW installati, una buona metà del totale. Seguono a grande distanza l’Arizona (2.103 MW), il New Jersey, il North Carolina, il Nevada (tutti sopra la soglia del GW). Il resto è poca cosa. La California è stata anche la prima (e per ora unica) realtà a superare la soglia del 5 per cento di energia elettrica generata dal sole e immessa in rete.

la sicurezza. La NATO sta lavorando per incrementare l’efficienza energetica delle sue truppe e l’utilizzo delle energie rinnovabili in campo militare. In particolare, innovazioni

Ambiente: c’è cicca e cicca (che si tratti di filtri o caramelle)

quali i pannelli solari roll-up non

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solo ci permetteranno di ridurre

Con la pubblicazione in GU della legge sulla green economy (numero 221 del 28

l’impronta ambientale delle attività

dicembre 2015) dallo scorso 2 febbraio, chi abbandonerà in strada micro-scarti di varia

militari, ma anche di ridurre i rischi

natura sarà sanzionabile con una bella multa. È l’articolo 40 della suddetta legge che

in termini di vite umane, nelle zone

si occupa della materia. “Chiunque viola il divieto

operative”. L’attenzione si concentra,

(di dispersione incontrollata nell’ambiente di

in particolare, sul “pericolo crescente

rifiuti di piccolissime dimensioni n.d.r.) è punito

legato al trasporto di carburanti nelle

con la sanzione amministrativa pecuniaria da

aree a maggior rischio”.

euro trenta a euro centocinquanta. Se l’abbandono

Il NATO’s Smart Energy Team,

riguarda i rifiuti di prodotti da fumo, la sanzione

appositamente costituito per studiare

amministrativa è aumentata fino al doppio”.

il problema, ha condotto un’indagine

Conforta sapere che la maleducazione dei tabagisti

in numerosi Paesi appartenenti

è considerata doppiamente sanzionabile (e

all’Alleanza, rilevando lo stato

deleteria per il decoro urbano) rispetto a quella di

dell’arte della military energy

chi getta per strada scontrini, fazzoletti di carta,

efficiency e facendo specifiche

gomme da masticare. C’è cicca e cicca, insomma, a

raccomandazioni “per una maggiore

seconda che si tratti di filtri o caramelle...

cooperazione multilaterale sul tema”.

Conforta un po’ meno apprendere che su questi

“Ridurre i consumi di fonti

temi – che dovrebbero essere di semplice civiltà –

tradizionali è diventato un

è previsto venga promossa “una apposita campagna di sensibilizzazione nei confronti

imperativo; le soluzioni smart non

dei consumatori”. Chiamati in causa in quest’opera di recupero dell’ABC del decoro

solo potranno contenere i costi ma

urbano sono solo i produttori del settore tabacco. Saranno (solo) loro, in collaborazione

anche le perdite di soldati”.

con il Ministero, a doversi far carico della suddetta sensibilizzazione. Si attende ora un collegato alla legge per affrontare anche la scivolosa questione delle deiezioni canine.


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storiedivalore A partire da questo numero e per tutto il 2016, Nuova

ottenuti dal gas naturale liquefatto, nonostante la sua

Energia presenterà una serie di case history dedicate alle

giovane età (almeno per quanto riguarda gli usi finali).

applicazioni del GNL in ambito industry. Realizzato in

L’opzione tecnologica del GNL non rappresenta dunque

collaborazione con Liquigas, questo spazio vuole essere

una soluzione futuribile: è già oggi in grado di stare sul

portavoce e vetrina di storie di valore e dei consensi già

mercato, con indubbie ambizioni da protagonista.

EFFICIENZA ENERGETICA

I miei primi 18 mesi

a tutto

GNL

TRA LE INDUSTRIE ITALIANE HA SCELTO IN ANTEPRIMA IL GAS NATURALE LIQUEFATTO COME SOLUZIONE PER I PROPRI FABBISOGNI ENERGETICI. A UN ANNO E MEZZO DAL TAGLIO DEL NASTRO DEL PRIMO RIFORNIMENTO, IL CASEIFICIO COSTA DI NOVARA RACCONTA LA SUA ESPERIENZA. CHE POTREBBE FARE SCUOLA PER ALTRE AZIENDE DELL’AGROALIMENTARE INTERESSATE A CONCILIARE LA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA E QUELLA AMBIENTALE

di Paola Sesti

Partiamo dalla carta di identità. Chi è oggi il caseificio Costa? Siamo un’azienda casearia con quasi un secolo di storia – la nostra produzione di gorgonzola è iniziata nel 1919 – che ha ancora oggi una gran voglia di crescere e di innovare. Recentemente, dunque, abbiamo inaugurato il nuovo stabilimento di Casalino, al confine tra le province di Novara e Vercelli. L’impianto occupa una superficie di 6 mila metri quadrati e ha la capacità di lavorare dai 700 ai 750 quintali di latte al giorno, che si “traducono” in circa 700 forme. Poiché il processo di stagionatura può superare i due mesi – e questa lavorazione può coinvolgere fino a 50 mila forme contemporaneamente, che

vanno mantenute ad una temperatura compresa tra 0 e 4 gradi – si tratta di una fase particolarmente energivora! Dunque, quali sono le vostre principali esigenze e i profili di consumo da un punto di vista energetico? Premetto che l’impianto di Casalino è di recentissima realizzazione e quindi concepito, fin dalle fasi progettuali, secondo i più moderni parametri di uso efficiente delle risorse. Ciò vale, ad esempio, anche per quelle idriche, dato il nostro fabbisogno (100 metri cubi/ giorno di acqua potabile). In termini di produzione energetica il cuore del sistema è la centrale frigorifera, con un doppio circuito: il primo da 560 kW per la produzione di acqua gelida; il secondo da 280 kW per la produzione di acqua glicolata a meno 7 gradi. Poi, c’è la centrale termica con una potenza di 2.600 kW destinata alla produzione di acqua calda (85-90 °C). Infine, un impianto di tri-generazione

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Chi mastica un po’ di Tep e kWh sa che non occorre essere un’acciaieria o un gigantesco cementificio per dover riscontrare nella bolletta energetica uno dei fattori di costo più significativi. Le industrie agroalimentari rappresentano un altro tipico esempio di realtà energy intensive. In particolare, quelle impegnate in processi produttivi fortemente legati al territorio e alla tradizione si trovano oggi a dover affrontare una sfida non facile: contenere al massimo i costi, senza però scadere nelle soluzioni più a buon mercato che possono produrre un impatto maggiore in termini di emissioni. Ovvero, dosare nella maniera migliore gli ingredienti della sostenibilità economica e ambientale. “Nel nostro settore ogni azienda è gelosa delle proprie ricette – dichiara

Federica Fileppo Zop, titolare del caseificio Mario Costa – ma in questo caso pensiamo di non svelare nessun segreto dicendo che il GNL ha rappresentato per noi la risposta migliore a questa duplice esigenza”.


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Montorfano: “Ecco l’energia giusta per alimentare il settore food&beverage” Non è un caso se le prime realtà ad essersi interessate concretamente al GNL appartengono in buona parte al comparto food&beverage. Si tratta di clienti

con una potenzialità di 140 kW elettrici e 210 kW termici. Quest’ultimo concorre alla copertura del fabbisogno elettrico (per una quota pari a circa il 32 per cento dei nostri consumi) e termico (fino al 17 per cento). Il dimensionamento è stato calcolato per un funzionamento ottimale di 4.700 ore/anno. Grazie a questa soluzione abbiamo valutato un risparmio economico pari a 65 mila euro/anno, cosa che ci permetterebbe di rientrare nell’investimento in poco più di tre anni!

per i quali il rispetto per l’ambiente è un elemento irrinunciabile, anche in termini di comunicazione. Fa un po’ a pugni, ad esempio, raccontare ai propri consumatori che si utilizzano solo ingredienti naturali, magari bio e a chilometro zero... ma che si brucia ancora olio combustibile – dal curriculum ambientale non proprio immacolato! – per generare elettricità e calore. “Da questo punto di vista il GNL può vantare delle performance decisamente migliori”, commenta Massimiliano Montorfano, sales manager industrial di Liquigas. “Le emissioni di NOx sono nettamente inferiori rispetto agli altri combustibili, quelle di anidride carbonica si riducono del 20-30 per cento e l’anidride solforosa è assente rispetto all’olio combustibile e al gasolio”. Si tratta di due combustibili ancora molto diffusi? Sì, soprattutto per quelle unità produttive che hanno un costante ed elevato fabbisogno energetico e non sono allacciate alla rete del gas. È a loro, in primis, che si rivolge l’alternativa del GNL.

Come è nata l’esperienza con il GNL? Avendo l’esigenza di rifornire sia la centrale termica, sia il cogeneratore, abbiamo fatto una scelta forse pionieristica per il contesto italiano, ma nella quale abbiamo creduto da subito proprio perché era in sintonia con la nostra filosofia aziendale. Il GNL ci ha convinto per le sue caratteristiche naturali, di efficienza e di pulizia, di rispetto dell’ambiente e di ridotto impatto ambientale o rischio di inquinamento. Dopotutto il nostro caseificio è pur sempre ospitato in mezzo alle risaie del novarese.

Queste caratteristiche si ritrovano piuttosto ricorrenti in particolare nelle

Quali sono le principali caratteristiche del vostro impianto a GNL? Un serbatoio criogenico di stoccaggio pari a 60 metri cubi e due evaporatori da 500 metri cubi/ora.

Ad esempio?

Oltre alle buone caratteristiche dell’ingrediente, conta anche la pasta del fornitore. Come descriverebbe – nello spazio di un tweet – una realtà come Liquigas? La professionalità incontra un combustibile verde.

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Quale bilancio a un anno e mezzo di distanza dal primo rifornimento? La chiarezza e trasparenza delle informazioni fornite in fase progettuale si sono tramutate in un servizio puntuale e collaborativo, che ha rispettato in pieno le attese e ci ha permesso di coniare l’espressione “un Gorgonzola due volte verde”.

realtà del comparto lattiero-caseario che, proprio per la specificità delle produzioni, sono spesso dislocate nel cuore di aree a forte vocazione agricola non raggiunte dai metanodotti. Un altro pregio del GNL? Ha un potere calorifico superiore a quello degli altri derivati del petrolio e una elevata densità. Ciò consente di stoccare elevati quantitativi di energia in spazi e volumi relativamente contenuti. Ecco un altro importante vantaggio per realtà produttive che vogliono rendere meno invasiva la loro presenza sul territorio. Altra variabile da tenere in considerazione, il GNL è particolarmente adatto per la produzione di vapore, indispensabile per molti processi del settore come ad esempio il lavaggio e la sterilizzazione dei contenitori. E qui entra in gioco tutta la filiera del beverage.

Posso citare tutti i nostri attuali clienti nel settore, ovvero San Pellegrino/ Levissima, Calizzano, Norda, Forno Bonomi e altri in fase di realizzazione, come un'azienda produttrice di marmellate.


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dossier

innovazioneericerca

TECHNOLOGY TREND

Come cambia il futuro

dell’automazione di Marco Sanguineti | technology manager Global BU Power Generation ABB

Fino a ieri il mestiere di chi si occupa come noi di produrre innovazione nel settore dell’automazione era più “semplice”. La richiesta era piuttosto lineare: rendere sequenziali e automatici gesti e azioni che, altrimenti, si sarebbero comunque fatti – con un maggiore dispendio di tempo, fatica (e anche denaro!) – così da poter rispondere all’evoluzione dei bisogni indotti dall’evoluzione sociale. Rispetto a quella prospettiva siamo ora a un punto di svolta: l’esigenza non è più quella di fare “meglio e più velocemente”, bensì di integrare tra loro soggetti, processi, azioni, realtà sempre più numerose e complesse, in una logica di interdipendenza sistemica. La rivoluzione è in atto e non riguarda solo i processi industriali più avanzati. Nel nostro quotidiano, più o meno consapevolmente, la vita di ognuno di noi ha già a che fare con concetti quali Big Data, Internet of Things, Places and People... Il mondo sempre più interconnesso che questi sistemi promettono di creare ha messo in moto grandi cambiamenti, che – come detto – coinvolgono in prima persona proprio il settore dell’automazione. Alcuni di questi trend possono già essere considerati strategici, in quanto capaci potenzialmente di portare impatti significativi nelle organizzazioni nel breve periodo, dai tre ai cinque anni.

fondo di questa tecnologia nelle nostre vite quotidiane creerà ovunque punti di contatto per gli utenti, ponendo le basi per un business prevalentemente digitale. Le opportunità si moltiplicano, ma si moltiplicano di pari passo le esigenze in termini di sicurezza e la necessità di operare una scelta oculata, nell’uso della tecnologia, al fine di ottenerne il massimo valore. Questo richiederà lo sviluppo di forme più innovative di valutazione della sicurezza (basata sul rischio) e dei sistemi di protezione. La velocità del passaggio all’Internet of Things dipenderà dalla disponibilità del mercato all’adozione di questi modelli, ma già da ora i fornitori di automazione sono pronti a muoversi in questa direzione.

Big Data È dunque chiaro che un’enorme quantità di informazioni, strutturate e non strutturate, generate sia all’interno sia all’esterno di un’organizzazione, renderanno essenziali capacità analitiche sempre più avanzate. Non basta più, quindi, capire il singo-

Non lo sai? Let’s google it!

1

Marco Sanguineti

NuOVA ENERGIA 1-2016

Internettizzazione. Il termine originale inglese (internetization) tradotto in italiano suona piuttosto male, ma è tuttavia di immediata comprensione: significa connessione e condivisione, portate fino all’estremo, delle informazioni più disparate. E significa, di conseguenza – o meglio, a monte – un nuovo paradigma di produzione e progettazione del software. Ed eccoci ad un altro neologismo altrettanto dissonante ma ugualmente significativo: googolare. Il termine riassume in sé le potenzialità, quasi illimitate, che oggi ci sono di accedere a dati e informazioni. Negli States è ormai diventato quasi un modo di dire: “Non lo sai? Let’s google it!”. Come a dire che là fuori la risposta c’è, basta cercarla o saperla cercare. Effettivamente, attraverso apparati sempre più complessi, una moltitudine di informazioni prima segregate diventano ora accessibili e correlate in una vera logica di sistema; l’uso del cloud, coinvolge milioni di dati e utenti contemporaneamente, che si muovono oltre le barriere delle macchine e dei siti. In proiezione futura, anche a brevissimo termine, l’Internet of Things non può che crescere; il radicamento ancora più pro-


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I driver dell’evoluzione sociale Sopravvivenza dell’individuo

Sopravvivenza delle comunità

Crescita sostenibile delle comunità

Prosegue la crescita alla ricerca del benessere

Globalizzazione (e internettizzazione)

Da un milione a 10 mila anni avanti Cristo

Dal 10 mila avanti Cristo al 1800

Dal 1800 al 1960

Dal 1960 al 2010

Dal 2010 al …

Caccia/Sopravvivenza

Agricoltura

Industria

Information Technology

Nano&Virtual

Evoluzione tecnologica

lo processo e definire le azioni più opportune per controllarlo, ma – ancora una volta – ragionare in termini di integrazione. Ecco un semplicissimo esempio. Oggi, di fatto, è possibile realizzare un’auto on demand (è un po’ il principio di Amazon...) con le caratteristiche specifiche e i tempi “dettati” dal cliente. Questo significa, per il produttore, non potersi limitare alla scelta di una tecnologia in grado di ottimizzare il singolo processo produttivo industriale (la catena di montaggio dell’auto), dovendo gestire nel contempo aspetti – ad esempio – logistici e

Straordinaria flessibilità, facilità delle operazioni, sicurezza informatica all’avanguardia. Sono questi i punti di forza irrinunciabili nell’era dei Big Data e dell’Internet of Things

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operativi enormemente più complessi. Ma torniamo, ancora una volta, alla nostra vita quotidiana. Cambiano le situazioni, non i presupposti. La maggior parte di coloro che sa utilizzare un computer, sa anche come acquistare una APP; le persone stanno diventando sempre più consapevoli delle informazioni che le circondano, in che modo accedervi, come cercarle e condividerle. Un’area realmente supportata da questa tecnologia riguarda ad esempio il ripristino dei software. Oggi si scaricano e ripristinano i software in pochi minuti; eppure non sono in pochi a ricordare quanto difficile e doloroso fosse una volta (non un secolo fa!) installare un software su un computer. Su scala più ampia, ma con meccanismi non dissimili, queste tecnologie consentono di aggiornare i componenti di campo senza fermare un impianto e sono in grado di fornire

aggiornamenti automatici continui, senza che l’operatore se ne renda conto. La tecnologia Symphony Plus di ABB è già a questo punto in termini di capacità tecniche, il che significa che gli operatori possono operare in un’infrastruttura locale o remota. In entrambi i casi, la tecnologia è orientata alla capacità di aggiungere nuove informazioni ed espandere l’ecosistema di una specifica applicazione per includere nuove caratteristiche e funzionalità, senza disturbare quello che è già installato. L’assoluto valore aggiunto dei prodotti di maggiore qualità è quello di poter rispondere alle realtà small così come all’extra large. Per esempio, un ecosistema Symphony Plus è totalmente flessibile e in grado di supportare da un lato la piccola generazione eolica o idrica (al limite del MW), dall’altro l’unità di generazione la cui potenza si misura in GW. Metodi di sviluppo così agili forniscono agli operatori la flessibilità necessaria per consentire ai digital business di funzionare, passando agevolmente da un modello statico a uno dinamico. Spingendo oltre lo sguardo, non è azzardato prefigurare la nascita di macchine intelligenti. Algoritmi avanzati condurranno a sistemi che imparano da loro stessi e agiscono in base a quanto hanno imparato, portando a veicoli autonomi, a robot avanzati, assistenti personali virtuali e consulenti intelligenti. Già in un futuro a breve termine (i prossimi tre anni...) il costo della stampa 3D scenderà, portando a una rapida crescita del mercato di queste macchine il cui uso industriale continuerà a espandersi rapidamente offrendo nuove opportunità nella progettazione, nelle prototipizzazioni ottimizzate e nelle produzioni a ciclo breve.

Conclusioni In tutto ciò c’è un apparente paradosso. Quanto più il mondo diventerà complesso, quanto più dovrà essere semplice, intuitiva, immediata, la sua fruizione per l’utente. Il singolo utilizzatore dovrà essere per così dire “protetto” e non esposto alla complessità; la tecnologia dovrà essere in grado di tradursi in un linguaggio comprensibile a tutti. Questa è la direzione verso cui l’automazione di controllo si sta muovendo: straordinaria flessibilità, facilità delle operazioni e sicurezza informatica all’avanguardia.


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dossier

innovazioneericerca BIOMETANO

L’ennesimo

treno

che stiamo

perdendo

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Agostino Re Rebaudengo

di Agostino Re Rebaudengo | p residente assoRinnovabili

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“Ci permettiamo di indirizzare questa lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri perché sono passati 7 anni dall’approvazione della Direttiva Europea sulle fonti rinnovabili 2009/28/CE e quasi 5 dal recepimento della medesima in Italia e gli operatori italiani aspettano, con motivata impazienza, che si completi il quadro normativo e regolatorio per la produzione di biometano, per poter iniziare la costruzione degli impianti, che daranno anche importanti opportunità di lavoro qualificato”. Inizia così la lettera che a inizio febbraio ho indirizzato al Presidente del Consiglio Renzi a nome di tutti gli operatori che rappresento all’interno di assoRinnovabili affinché intervenga, “sollecitando” gli enti coinvolti, e intraprenda in tempi brevi un tavolo di lavoro con l’obiettivo di recuperare il ritardo fino ad oggi accumulato, consentendo finalmente l’avvio del settore. Siamo alle solite: ancora una volta burocrazia e normative impossibili ci stanno facendo perdere l’ennesima opportunità di sviluppo e di crescita. Nel caso specifico del biometano, dopo 7 anni dall’approvazione della Direttiva Europea, la sua produzione in Italia non è semplicemente possibile. Mentre gli altri Paesi europei hanno sostenuto e promosso questo settore, creando opportunità, mercato e lavoro, l’Italia ancora una volta resta in panchina, spettatrice di una partita che potrebbe e dovrebbe giocare da titolare. Il MiSE usa, a nostro avviso impropriamente, la “scusa” del cosiddetto standstill, dovuto al processo di normazione M/475, per continuare a impedire il concreto avvio di iniziative. Lo standstill non impedisce agli Stati membri di emanare norme tecniche, ma al contrario ne consente espressamente l’adozione a condizione che queste non siano in contrasto con una norma tecnica europea (se) esistente. Infatti, l’articolo 7, comma 1, della Direttiva 98/34/CE1 prevede che gli Stati membri adottino le disposizioni necessarie affinché,

durante l’elaborazione di una norma tecnica europea, i loro organismi di normalizzazione “non intraprendano alcuna azione che possa recare pregiudizio all’armonizzazione prevista e, in particolare, nel settore in questione essi non pubblichino una norma nazionale nuova o riveduta che non sia interamente conforme a una norma europea già esistente”. In questo modo, anziché porre finalmente rimedio a questo ritardo, il MiSE ha espressamente vietato l’immissione in rete di biometano derivante da biogas da discarica o dalla frazione organica dei rifiuti urbani (art. 8, comma 9, DM 5 dicembre 2013); allo stesso tempo, l’AEEGSI ha consentito l’immissione in rete del biometano soltanto a condizione che sia “assolutamente puro”, cosa peraltro impossibile anche nel metano fossile, e che – oltre ad essere tecnicamente non realizzabile – non è richiesta negli altri Paesi europei. Purtroppo il biometano è l’ennesimo treno che stiamo per perdere. L’introduzione di assurdi divieti e ostacoli appare del tutto incomprensibile; l’unica cosa evidente è che si sta impedendo, come spesso capita nel nostro Paese, la realizzazione di molte iniziative e la creazione di nuovi posti di lavoro. Se la situazione non si sbloccherà in tempi brevi saremo costretti ad importare dall’estero tecnologia e know-how sviluppati da altri. Quello che vorremmo ora è che, in attesa di stabilire un quadro normativo completo e adeguato, venisse individuata una misura che “salvi” le iniziative pronte a partire. Alcuni operatori, infatti, hanno già investito nello sviluppo di questi progetti, in alcuni casi sono stati aggiudicatari di gare d’appalto e, avendo quindi assunto obblighi nei confronti della pubblica amministrazione, stanno aspettando con ansia un quadro regolatorio chiaro. Abbiamo la tecnologia, abbiamo le opportunità per sviluppare una filiera virtuosa, abbiamo ancora degli imprenditori che, nonostante tutto, credono sia possibile investire in innovazione nel nostro Paese. Al nostro Governo il compito di non demolire, ma incoraggiare queste iniziative!


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innovazioneericerca

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RINNOVABILI

Il fai da te non paga... e si paga caro MARTIN SCHNEIDER, MANAGING DIRECTOR DI METEOCONTROL, DELINEA I PUNTI DI FORZA DI UNA GESTIONE PROFESSIONALE DEGLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI. CHE PARTE GIÀ DALLA FASE PROGETTUALE...

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Martin Schneider

di Massimo Ventura

Anche le rinnovabili, a loro modo, partecipano alla corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Ne è convinto Martin Schneider, managing director di Meteocontrol, che racconta a Nuova Energia quali potranno essere le aree del Pianeta più baciate dal sole. “Dal nostro punto di vista – commenta Schneider – il mercato più sostenibile su scala mondiale per le renewable è quello statunitense. Qualora Hillary Clinton vincesse le prossime elezioni, tale potenziale sarebbe persino superiore”. C’è ancora tanta voglia di crescere, quindi, nonostante il fotovoltaico – almeno per il momento – abbia perso l’abbrivio degli anni migliori. “In effetti nel breve periodo non ci aspettiamo un significativo sviluppo del mercato fotovoltaico in Europa. Vari studi, invece, dimostrano che nel medio periodo le energie rinnovabili avranno un ruolo fondamentale, fotovoltaico compreso”.

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Ormai anche il settore solare comincia ad avere un po’ di storia alle spalle. Quanto è importante per le installazioni più datate una gestione adeguata e un supporto tecnologico in termini di monitoraggio delle prestazioni e verifica della produttività? Negli impianti fotovoltaici la gestione professionale è essenziale. Il funzionamento non è infatti visibile ad occhio nudo, come succede ad esempio con gli impianti eolici. In più, non è possibile verificare istantaneamente se il rendimento è ad un livello ottimale. Nell’ambito dei nostri servizi di controllo qualità, affianchiamo sia i costruttori sia i gestori degli impianti fotovoltaici e frequentemente riscontriamo in loco che molti impianti senza manutenzione e controllo hanno prestazioni davvero scarse. Di che ordini di grandezza stiamo parlando?

Studi interni dimostrano che impianti gestiti in modo professionale in media hanno un rendimento superiore del 4 per cento. Più grande è l’impianto, più le perdite finanziarie ammontano a migliaia o decine di migliaia di euro. Inoltre, dagli studi emerge in modo chiaro che gli errori si estendono dai difetti degli inverter fino alla scoperta di imperfezioni nei moduli. Per questo, l’analisi dell’effetto PID (Potential Induced Degradation, degradazione del potenziale indotto) ha un ruolo davvero importante. Per verificare se vi sono errori, il controllo dei dati dei contatori non basta: è necessario un sistema di monitoraggio efficiente, che fornisca dati meteo da sensori molto precisi, così come informazioni sui diversi componenti dell’impianto. E per quanto riguarda le nuove installazioni, magari al momento in attesa di un finanziamento... Un chilowattora generato dal sole è perso per sempre se non può essere convertito in energia a causa di un errore. È dunque cruciale prestare attenzione fin dall’inizio alla qualità dell’impianto in fase di realizzazione e monitoraggio. Tutti parlano di retrofit, ma il potenziamento dell’impianto non è sempre facile da realizzare. Meglio quindi “attrezzarsi” già in fase di progettazione, appoggiandosi fin dall’inizio ad un partner competente. Si evitano così errori, si riducono i costi e si raggiungono risultati ottimali. Può riassumere in poche righe, anzi, nello spazio di un tweet, quello che ritiene essere il punto di forza dell’offerta di Meteocontrol? Il know-how di Meteocontrol potrebbe essere riassunto così: conosciamo il vostro target, vi mostriamo diverse possibilità, realizziamo la vostra soluzione su misura. In altre parole, come consulente indipendente, da molti anni Meteocontrol

supporta le aziende dalla fase di progettazione alla messa in funzione per progetti in tutto il mondo. Per chi offre un servizio come il vostro, quanto è importante avere una banca dati o un “parco clienti” di spessore? Quali sono i numeri attuali di Meteocontrol? Con oltre 40.500 impianti monitorati con il nostro portale, disponiamo di una banca dati incredibilmente estesa. Apprendiamo continuamente dalle informazioni che provengono da tali impianti e ottimizziamo con precisione le nostre pratiche di monitoraggio. Da ciò, infine, traggono profitto i nostri clienti: con anni di esperienza, profondo know-how basato su un gran numero di perizie tecniche, siamo in grado di garantire un’assistenza altamente professionale. A parte Europa e USA, quali sono le aree emergenti del Pianeta? Il mercato cresciuto di gran lunga più velocemente nel 2015 è stato quello cinese, che anche in futuro continuerà ad offrire un grande potenziale per Meteocontrol. Tendenzialmente qui la domanda si sta spostando dalle grandi centrali solari agli impianti industriali su tetto. Nella regione MENA, soprattutto Egitto, Giordania e Emirati Arabi Uniti, sono in fase di realizzazione impianti fotovoltaici molto grandi, ma sono all’ordine del giorno anche progetti su immobili residenziali. Non bisogna poi perdere di vista l’India, che offre sviluppi molto interessanti; tuttavia il mercato indiano non è di facile ingresso, per via delle elevate barriere all’entrata per le aziende europee. Il trend di crescita in tutti questi mercati è significativo, ma non è comunque paragonabile al periodo d’oro del fotovoltaico in Germania...


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passato(quasi)prossimo a cura di Giorgio Stilus

Gennaio febbraio

1996 1996, appello ai naviganti: occorre costruire un deposito nazionale. Anno 2016: ancora si sta cercando faticosamente di decidere non dove si potrebbe eventualmente localizzare lo stesso, ma come si potrebbe trovare il modo di comunicarlo alle comunità direttamente interessate senza creare come immediata reazione a catena la nascita di duecentocinquanta comitati del no. Tornando indietro di vent’anni, va comunque rilevato che la questione energetica era ancora declinata ampiamente in termini politici. A inizio gennaio in casa dell’Ente nazionale esplode una bella grana tariffaria: Enel, le bollette gonfiate finiscono in Parlamento. Bollette troppo salate. Rinviati a giudizio due dirigenti Enel (Corriere della Sera, 9 gennaio). La vicenda, secondo un italico costume, coinvolgeva a vario titolo una pletora di attori. Ovviamente l’Enel, che proclamava la sua assoluta innocenza (abbiamo solo applicato le tariffe decise dal governo), poi il Comitato interministeriale prezzi (che aveva dato il via libera agli aumenti di tariffa), varie municipalizzate (che a seguito delle decisioni del CIP erano ricorse al TAR), il Consiglio di Stato, la Procura della Repubblica di Roma, il Parlamento, Codacons e Legambiente. Questi ultimi due soggetti, come scriveva in quei giorni il Sole 24 Ore, “avevano promosso una causa collettiva coinvolgendo circa 200 mila utenti” (Bollette Enel, piovono 200 mila

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Che tempi! Venti anni fa l’Italia sembrava ancora vivere uno strascico del famoso boom. Termini quali globalizzazione, delocalizzazione, deindustrializzazione, overcapacity, coloured economy (nelle varie sfumature green, white, blue), erano assenti dalle pagine dei quotidiani e forse anche dai pensieri dei futurologi. L’economia tirava, e lo faceva soprattutto grazie al settore secondario; le utility non avevano da far altro che emettere bolletta (quella vecchia, in versione 0.0). Consumi boom per l’energia. Nell’anno appena concluso l’industria ha trainato la richiesta di elettricità (più 3,1 per cento) e di gas (più 6 per cento). Le importazioni di metano sono aumentate del 10 per cento mentre sono diminuiti gli acquisti Enel dall’estero (Sole 24 ore, 3 gennaio). Leggendo tra le righe emergono alcuni interessanti spunti. La produzione nazionale di gas naturale era evidentemente già (allora) in declino, costringendo ad incrementare più che proporzionalmente le importazioni rispetto ai consumi. Le analisi sulla produzione industriale evidenziavano i primi segnali di rallentamento e di stagnazione. L’Italia si collocava, tuttavia, al primo posto tra i Paesi europei in termini di crescita, con una salita del 5 per cento rispetto al 3,3 della Germania, o all’1 per cento scarso di Francia e Regno Unito. Si farebbe cambio volentieri, oggi. Il grande idroelettrico - che nel 1996 copriva il 20 per cento della domanda, la quota più alta tra i Paesi industrializzati - era considerato una fonte ormai sfruttata a pieno e molto difficile da incrementare. L’Enel stesso sembrava però spingere i privati “allo sfruttamento intensivo dei piccoli corsi d’acqua”, pur in presenza, rilevava il Sole 24 Ore, “di parecchie resistenze di carattere burocratico legate soprattutto al lungo e defatigante iter richiesto dalle autorizzazioni”. Sul tema delle fonti fossili, si segnalava un mix ancora sbilanciato e si prendeva come simbolo di questo squilibrio lo scarso ricorso (in termini relativi) al carbone. Insomma, si navigava a vista, spinti da un vento ancora sostenuto, intravvedendo piccoli scogli e grandi iceberg lungo la rotta (quale?) ma procedendo con la certezza che in qualche modo la navigazione sarebbe proseguita senza troppi scossoni. Il nucleare, a quel punto, era ormai un capitolo chiuso per sempre. Anzi… Un rapporto della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Massimo Scalia “fa sobbalzare quanti ritenevano che con la vittoria del referendum antinucleare e la chiusura delle poche centrali italiane ogni pericolo interno fosse finito” (Corriere della Sera). Lo studio rivelava infatti come negli anni precedenti si fossero verificati “almeno quattro incidenti nucleari in provincia di Matera con la fuoriuscita di materiale poi recuperato nel centro Enea di Trisaia”. Ma la notizia bomba è un’altra. Dalle colonne del Corriere della Sera, Mario Signorino (allora presidente fresco di nomina dell’Agenzia ambientale Anpa) si sbilanciava con un appello: “Di emergenza e pericolo immediato per la popolazione ancora non parlerei. Tuttavia riteniamo urgente trattare e mettere in sicurezza tutti i rifiuti nucleari”.


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ricorsi). Mancavano solo la Croce Rossa e la Protezione Civile! Un bel pasticciaccio brutto (non di Via Merulana) che, al di là della questione di specie e delle evoluzioni che poi ha avuto, la dice lunga su come era (è) straordinariamente macchinoso il nostro amato Paese. Situazioni del genere, tra l’altro, inevitabilmente invitano a pensar male… Da parecchie settimane, forse mesi, si parlava della necessità di cambiare pelle all’Enel, di privatizzazioni, di nuovi assetti energetici. Il percorso verso la meta continuava ad essere travagliato e disseminato di continue frenate e cambi di prospettiva. Vuoi vedere che serviva proprio una accelerazione? Una di quelle notizie-scandalo che fanno presa anche sull’opinione pubblica alla quale tutto sommato frega ben poco se gli si parla di Autorità e concorrenza; ma sulla bolletta guarda anche a poche centinaia di lire… Semplici illazioni? Forse. Eppure, scriveva il Corriere della Sera “Sotto la pressione della nuova ondata di polemiche sul caso Enel il ministro dell’industria Alberto Clò stringe i tempi per le nomine dell’Authority elettrica”. Sul fronte hardware si muove poco, a parte l’annuncio definitivo della realizzazione della centrale elettrica API, con un investimento pari a 1.300 miliardi di lire. Integrata nel ciclo produttivo della grande raffineria di Falconara (4 milioni di tonnellate di greggio trattate ogni anno), nasceva per convertire in gas di sintesi i rifiuti bituminosi della raffineria. Per i promotori dell’iniziativa: Energia pulita e tanti benefici energetici e ambientali (Corriere della Sera). Per il WWF un’opera troppo vicina agli abitanti di Ancona e Falconara (ma dove altro poteva essere posizionata, dovendo essere realizzata a bocca di raffineria?!?), autorizzata in assenza di un programma energetico regionale e priva di un accurato studio di impatto ambientale. Su scala mondiale, il 1995 si guadagna il primato di anno più caldo di sempre (Corriere della Sera, 3 gennaio) o perlomeno degli ultimi 139 anni, ovvero da quando si effettuano regolari registrazioni delle temperature. Vale la pena anche in questo caso leggere alcuni passaggi dell’articolo: “Che la causa di tutto sia da ricercare nelle attività dell’uomo pare ormai certo (…) ma la relativa labilità delle conoscenze della macchina atmosferica e la spesso selvaggia diffusione di dati scientifici sempre più sofisticati, hanno finito per creare nel pubblico più confusione che chiarezza”. Parole sante! È lo stesso Corriere (28 gennaio) a

confermarlo, pubblicando a piena pagina un altro articolo dal titolo: “Polveri cosmiche scaldano la Terra. Ogni centomila anni il nostro pianeta attraversa nubi di pulviscolo che sarebbero all’origine dei periodici aumenti di temperatura. Dal fondo degli oceani arrivano notizie che mettono in crisi le più accreditate teorie sul clima”. Come come? Selvaggia diffusione a chi? Ma compito dei quotidiani non era quello di cercare di evitare la confusione nel pubblico? Del tutto disinteressato alle cause, il petrolio sembra però molto sensibile agli effetti del cambiamento climatico, come visto già allora in atto. Dopo la conferma dell’ONU all’embargo delle importazioni di greggio dall’Iraq, l’anno inizia con un forte rialzo dei prezzi del brent (che quota 19 dollari a Londra) arrampicandosi ai massimi livelli dal giugno 1995. Ma già nei giorni successivi il pallino delle operazioni sembra passare proprio a termometro e barometro. Un inatteso picco di freddo in Europa e una ondata di bufere di vento negli USA (con un conseguente rallentamento delle consegne di greggio dal Golfo del Messico) causano qualche tremore alle quotazioni; poi, basta qualche segnale di “anticipo di primavera” per causare una forte sterzata al ribasso. Greggio in precipitosa ritirata dopo i rialzi dettati dal clima (Sole 24 Ore). In pochissimi giorni si passa dai massimi dell’ultimo biennio ai minimi mensili (17,60 dollari a barile). E anche sulla spinta delle stime AIE – di un’offerta crescente da parte dei Paesi non OPEC – per i mesi a venire si ipotizza un prezzo medio attorno ai 17 dollari. Restando in clima... di clima, Bruxelles punta sull’auto verde! La Commissione prevede accordi con i fabbricanti per la produzione di veicoli più puliti e sgravi fiscali per incentivare i consumatori a scegliere vetture con minore impatto ambientale. Le case produttrici manifestano disponibilità nei confronti di riduzione dei gas di scarico. Il nemico da combattere era la CO2 e il Dieselgate era qualcosa di semplicemente inimmaginabile. Poi, molte cose sono cambiate. Invitiamo, dunque, i lettori ad andare a pagina 42 di questo stesso numero per avere gli ultimi aggiornamenti sul caso. In attesa degli eventi, nell’inverno 1996 le principali metropoli italiane restavano ostaggio dell’alto tasso di inquinamento (e pure dei rifiuti, per non farsi mancare nulla). Roma cala l’asso (o il due di picche?) del blocco del traffico nella fascia oraria 15-20, con tanto di proteste dei sindacati per il danno arrecato da una simile decisione al loro diritto di sciopero: che diamine, lo smog non può certo fermare l’alba della rivoluzione proletaria, anche a pomeriggio inoltrato! Milano tentenna sul piano urbano del traffico, che viene ulteriormente rimandato a primavera, ma in compenso promette già a partire da febbraio le carrozzelle trainate dai cavalli all’interno dell’isola pedonale. E se fosse questa la soluzione? Dopotutto le emissioni di un quadrupede dovrebbero essere più difficili da taroccare...


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Finestre

sul mondo

INNOVAZIONE

Ruolo e evoluzione delle smart grid Dopo la positiva esperienza dello scorso anno, prosegue anche nel 2016 l’iniziativa Finestre sul mondo. Questa rubrica nasce da una collaborazione tra CESI e Nuova Energia, con l’intento di aprire uno spazio di approfondimento sul complesso mondo dell’energia, riproponendo alcuni spunti del magazine Cesi Energy Journal.

di Matteo Codazzi amministratore delegato, CESI

Il principale obiettivo dell’intelligenza applicata alla rete è quello di aumentare l’osservabilità e la controllabilità della rete elettrica stessa e dei relativi componenti. L’atto stesso di elencare le caratteristiche di una smart grid, per altro, fa luce sul fatto che le reti estremamente complesse – come lo sono le reti di trasmissione europee e nordamericane – sono state da sempre dotate di sistemi e funzionalità comunemente associati proprio alle smart

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Quello di smart grid è un concetto nato essenzialmente nell’ambito della distribuzione elettrica, per affrontare numerose sfide. Stiamo parlando di integrazione della generazione distribuita, di efficienza energetica, di gestione della domanda, di applicazione delle tariffe del mercato libero, di formazione dei prezzi quasi in tempo reale, di riduzione delle perdite, in particolare di quelle non tecniche. Da qualche tempo, e in molti Paesi, i regolatori e la tendenza alla liberalizzazione stanno spingendo i servizi di pubblica utilità a ridurre i costi, inclusi quelli associati alle infrastrutture di trasmissione, in termini tanto di CAPEX quanto di OPEX. Sono stati di conseguenza concepiti nuovi metodi basati su nuove tecnologie in grado di gestire il sistema elettrico, al fine di conseguire una fornitura di energia elettrica sostenibile, sicura, competitiva. L’evoluzione delle smart grid si basa su alcuni key driver:

33 aumento dell’utilizzo di fonti da energia rinnovabile, al contempo tenendo conto della loro imprevedibilità; 33 risposta a una sempre più diffusa generazione distribuita di piccola taglia, unita alla tradizionale generazione centralizzata di larga scala; 33 sostenibilità; 33 prezzi dell’energia competitivi; 33 sicurezza e qualità della fornitura; 33 invecchiamento delle infrastrutture e della manodopera.


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sicurezza e qualità del servizio, e con minori perdite. Il tutto, sia chiaro, massimizzando l’efficienza economica. Tutto ciò viene raggiunto in un ambiente molto dinamico in cui un gran numero di fonti intermittenti da energia rinnovabile deve essere integrato nelle reti, assicurando allo stesso tempo scambi bi-direzionali tra la rete di trasmissione e la rete di distribuzione all’interno di un più ampio contesto di evoluzione del mercato, concorrenza e regolamentazione. Un’ampia parte dell’infrastruttura elettrica dei Paesi industrializzati è in procinto di raggiungere la fine del proprio ciclo di vita: gran parte degli impianti sono stati installati oltre quarant’anni fa. Lo sviluppo di tecnologie legate alle smart grid all’interno delle ampie e interconnesse reti europee e nordamericane ha avuto un’accelerazione a causa di una serie di blackout gravi che hanno portato gli operatori dei sistemi di trasmissione a pensare ad opportune contromisure basate su nuove tecnologie e strumenti. Va notato inoltre come un numero sempre crescente anche di Paesi in via di sviluppo stia investendo oggi in smart grid, spinti da una rapida crescita nei consumi e una necessità di far affidamento su reti di trasmissione proporzionate ai propri obiettivi di espansione ed evoluzione. In sintesi oggi i sistemi e i dispositivi per la costituzione di una rete che si possa definire realmente smart grid sono evidenziati nel seguito di questo articolo.

Il principale obiettivo dell’intelligenza applicata alla rete è quello di aumentare l’osservabilità e la controllabilità della rete elettrica stessa e dei relativi componenti

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grid. Tali funzionalità hanno a che vedere con la capacità di assorbire energia elettrica prodotta da un punto qualunque, trasferire flussi energetici bi-direzionali da aree di surplus ad aree in deficit, riconfigurare in maniera dinamica la topologia di rete in esercizio, soddisfare le diverse esigenze sia dei carichi che della produzione, ottenere un’ottimizzazione tecnica ed economica attraverso l’uso intelligente delle risorse e realizzare in tempo reale il bilanciamento tra produzione e carico, sfruttando i sistemi di comunicazione diffusi. Fin dalla loro fase iniziale queste reti erano già considerate intrinsecamente smart, tanto da disdegnare la definizione stessa di smart grid associata alle fasi evolutive recenti. Oggi la situazione è cambiata in maniera significativa e il concetto di smart grid ha acquisito un significato ben preciso all’interno del contesto dei sistemi di trasmissione energetica. Nelle reti attuali, il termine smart grid si riferisce alla capacità di sfruttare l’energia disponibile nella maniera più efficiente, garantendo allo stesso tempo adeguati livelli di

Dispositivi per la valutazione, in tempo reale esteso, della portata delle linee Si tratta di dispositivi elettronici intelligenti che includono la misurazione e previsione a breve termine delle condizioni ambientali locali e la misurazione e il controllo di parametri elettrici, termici e meccanici dei conduttori aerei in alta tensione. Tali componenti sono solitamente installati nelle campate più critiche delle linee elettriche da controllare, benché siano comunque garantite condizioni sicure per l’intera linea.

Sistemi di rilevamento fulmini Questi sensori rilevano segnali elettromagnetici generati da fulmini e sono in grado di fornire la geolocalizzazione precisa dei fulmini stessi e di valutare i parametri della corrente di fulmine. I dati prodotti in tempo reale per i servizi di allerta servono poi anche a valutare i rischi che i fulmini


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Finestre

sul mondo

Ruolo e evoluzione delle smart grid possono causare all’infrastruttura elettrica, consentendo inoltre il miglioramento di ingegneria e design delle linee e delle stazioni per il loro comportamento alle fulminazioni (CESI possiede e gestisce il SIRF – Sistema Italiano Rilevamento Fulmini).

Connessioni in corrente continua ad alta tensione (HVDC) per la trasmissione L’utilizzo di connessioni HVDC all’interno delle reti di trasmissione è diventato sempre più importante. Poiché tutte le reti di distribuzione così come le reti di trasmissione operano in corrente alternata (AC), tali connessioni HVDC vengono integrate all’interno dei sistemi AC tradizionali attraverso stazioni di conversione posizionate agli estremi delle linee DC, siano esse in cavo o aeree. Per lungo tempo tali convertitori sono stati del tipo a commutazione naturale LCC (Line Commutated Converter) facendo loro uso di valvole a tiristori. Oggi, oltre agli LCC tuttora in uso specie per grandi potenze, viene spesso applicata una tecnologia relativamente nuova basata su altri tipi di valvole (solitamente IGBT), che avrà una diffusione sempre maggiore in futuro anche per potenze notevoli: questi convertitori sono a commutazione forzata e definiti a tensione impressa, VSC (Voltage Source Converter). L’HVDC-VSC presenta interessanti caratteristiche, tra le quali la possibilità di funzionare efficacemente anche in presenza di potenza di cortocircuito molto bassa lato AC, possibilità di consentire frequenti inversioni rapide del flusso di potenza anche attraverso la linea in cavo, maggior flessibilità di regolazione della potenza reattiva scambiata con la rete, minor ingombro delle stazioni di conversione, capacità di black-start (avvio della trasmissione) anche verso reti AC totalmente passive, minor sensibilità alle interferenze e ai disturbi provenienti dalle reti. Tutto ciò rende l’HVDC-VSC particolarmente adatta alla connessione di fonti di energia remote alla rete di trasmissione esistente (ad esempio in caso di parchi eolici).

Sistemi di immagazzinamento dell’energia Alcuni anni fa sono comparsi sul mercato sistemi di stoccaggio elettrochimico (batterie) connessi alla rete attraverso specifici convertitori elettronici di potenza. Solo di recente sono diventati realmente efficienti e a costi più ragionevoli, grazie allo sviluppo tecnologico di nuove soluzioni e all’utilizzo di materiali avanzati. La flessibilità di tali sistemi li rende utili per affrontare problemi di esercizio della rete e soprattutto per integrarsi e cooperare con fonti da energie rinnovabili intrinsecamente non dispacciabili, rendendo più efficace anche la gestione dei picchi di potenza, sia quella richiesta che quella generata.

Nelle reti attuali, il termine smart grid si riferisce alla capacità di sfruttare l’energia disponibile nella maniera più efficiente, garantendo allo stesso tempo adeguati livelli di sicurezza e qualità del servizio, e con minori perdite; il tutto, massimizzando l’efficienza economica

L’APPROCCIO STRATEGICO ALLE SMART GRID

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Al fine di definire un piano d’azione integrato per l’implementazione di una smart grid, è importante scegliere un approccio che tenga in considerazione contemporaneamente tutti gli aspetti tecnici, economici, normativi, sociali e ambientali riguardanti lo sviluppo di un sistema elettrico. Ogni progetto di smart grid – e in particolare di Smart Transmission Grid – va progettato su misura in base alle specifiche necessità del Paese/Mercato in oggetto. Si rende necessario porre l’attenzione sia sul breve termine (verificando la compatibilità con le iniziative di sviluppo approvate e in corso di realizzazione) che sul lungo termine, valutando sia i migliori esempi già realizzati così come le più nuove tecnologie e le applicazioni emergenti. Successivamente è necessario eseguire un’analisi costi-benefici per poter scegliere le giuste iniziative da sviluppare al momento opportuno, al fine di progettare un piano d’azione articolato in varie fasi che tenga in conto i principali aspetti del processo di sviluppo di un sistema elettrico. Infine, e sempre all’interno di un preciso processo di pianificazione, vanno analizzati gli aspetti normativi e regolatori e le modalità più efficaci per monitorare l’implementazione di un progetto di smart grid.


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Aspettando Power-Gen

Italia, ponte strategico verso il Mediterraneo Dal 21 al 23 giugno si svolgeranno a Milano PowerGen Europe e Renewable Energy World Europe, eventi di caratura internazionale tra i più importanti in calendario per il 2016. Nuova Energia sarà presente in forze a queste iniziative e per i prossimi tre numeri ha predisposto un percorso di avvicinamento, che intende presentare nel dettaglio i contenuti e le peculiarità della manifestazione. In questa prima puntata, in particolare, abbiamo dato la parola a Nigel Blackaby, director of conferences PennWell Global Power Group, società che opera nell’organizzazione di eventi e conferenze nel settore

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dell’energia in tutto il mondo.

Nigel Blackaby

di Fabio Terni

Nuova Energia ha incontrato Nigel Blackaby, director of conferences PennWell Global Power Group, per inquadrare la manifestazione Power-Gen nello scenario energetico attuale, in rapida e profonda evoluzione. Sembra che il mondo dell’energia abbia una gran voglia di rimettersi in moto. Quali sono le aree più dinamiche del Pianeta? Effettivamente, l’uso dell’energia – e in particolare di quella elettrica – continuerà a crescere su scala mondiale. Il rapporto IEA, pubblicato recentemente, predice un aumento globale della domanda del 32 per cento per il periodo 2013-2040. Questa crescita sarà affiancata da una transizione verso l’energia verde e da un sistema energetico sempre più interconnesso e decentrato. La maggior parte dello sviluppo interesserà i Paesi non appartenenti all’OCSE, e in particolare – secondo le ultime stime disponibili – tutta l’Asia.

Dunque le opportunità non sembrano proprio mancare. Certo. Naturalmente gli investitori devono poter fare affidamento su segnali chiari di mercato, per poter effettuare le proprie scelte. Sempre guardando all’Europa, sembra che ormai ci sia spazio solo per le rinnovabili. O forse no... Non necessariamente. Le attuali indicazioni ci dicono che l’Europa orientale e il Regno Unito offrono le migliori opportunità per una nuova produzione di energia nucleare; mentre la Polonia e la Turchia continuano nella loro politica di crescita nei confronti del carbone pulito. Power-Gen sarà a Milano. Perché questa scelta? Power-Gen Europe e Renewable Energy World Europe da sempre hanno programmato una presenza periodica in Italia. Con la sua storia, l’architettura, lo shopping, i ristoranti eleganti, Milano con-

Le aziende italiane hanno una reputazione di lunga data per la competenza nel settore energetico e molte di loro sono importanti fornitori di servizi e attrezzature in tutto il mondo

Nuova Energia 1-2016

E il Vecchio Continente? L’Europa sarà comunque un’importante protagonista, aprendo la strada alla ristrutturazione del settore energetico e abbracciando l’opzione del carbon zero. Nei Paesi europei, infatti, il più grande potenziale di crescita è stimato nella costruzione di una nuova infrastruttura energetica, in sostituzione delle vecchie centrali elettriche del passato. Nel futuro a breve e medio termine dell’Europa si può prevedere più energia generata a livello locale (comprese le singole installazioni in ambito domestico), una maggiore integrazione tra energia e riscaldamento (sarà fondamentale, per questo, il ruolo delle utility!), la diffusione delle centrali ibride, che possono essere

alimentate da diverse fonti e incorporano lo stoccaggio di energia, un sistema di connessioni di rete che si basa su tecnologie intelligenti per ottimizzare l’incontro tra offerta e domanda.


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La carta d’identità di PGE 2016 Come e quando è nato Power-Gen Europe In seguito al successo del lancio di Power-Gen International negli Stati Uniti, PennWell ha lanciato Power-Gen Europe a Parigi nel 1993 come fiera dedicata all’industria energetica. Il binomio PowerGen Europe e Renewable Energy World Europe ha

solida la propria reputazione di “città Expo”, opportunamente collocata al servizio della prima regione produttiva d’Italia. D’altra parte, le aziende italiane hanno una reputazione di lunga data per la competenza nel settore energetico e molte di loro sono importanti fornitori di servizi e attrezzature in tutto il mondo. Tutto questo rende Milano la migliore scelta possibile per i professionisti interessati al settore energetico in Europa. Una location ideale per fare network e business.

debuttato a Madrid nel 1997. Che cosa rappresenta questa iniziativa Power-Gen Europe si tiene ogni anno in una diversa città europea. Accanto all’ampia proposta fieristica, presenta una qualificata offerta di conferenze e workshop. In questo modo, fornisce un alto livello di confronto e una piattaforma di networking per il settore internazionale energetico, affrontando le

Quindi anche l’Italia può essere considerata un mercato attrattivo? L’Italia rimane pur sempre la quarta economia d’Europa, e l’ottava più grande in termini di PIL del mondo; certo che si tratta di un mercato interessante per gli sviluppatori di infrastrutture! La contrazione del PIL negli ultimi anni, e una decisa spinta nei confronti dell’efficienza energetica, hanno permesso all’Italia di riequilibrare la sua economia energetica, diminuendo drasticamente i consumi di energia (scesi ai livelli più bassi degli ultimi 18 anni). Allo stesso tempo, l’Italia ha aumentato la quantità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili al 43,3 per cento, attraverso una massiccia installazione da fonti solare ed eolica e, in parallelo, la chiusura di molti impianti tradizionali. L’Italia può quindi vantare di aver raggiunto gli obiettivi energetici fissati dall’Unione Europea con netto anticipo rispetto alla scadenza del 2020; ed è ora molto meno dipendente dall’importazione di fonti primarie rispetto al suo recente passato.

questioni cruciali che preoccupano i professionisti dell’industria di settore. PGE e Milano Quest’anno Milano ospiterà la 24a edizione di PowerGen Europe. In precedenza l’evento si è già svolto nel capoluogo lombardo altre 5 volte. Per l’edizione 2016 si prevede la presenza di oltre 400 espositori e la partecipazione di oltre 10.000 visitatori. In calendario ci sono anche più di 50 conferenze, che fanno parte di un programma multi-track con il coinvolgimento di 200 eminenti relatori provenienti da tutto il mondo. La linea guida dell’evento La conferenza e la fiera si concentreranno sul modo in cui l’industria sta rispondendo ai segnali che emergono dall’accordo COP21. Con il loro potenziale di strumenti strategici e tecnici daranno enfasi alle risposte relative

NuOVA ENERGIA 1-2016

Quale ruolo potrebbe avere il nostro Paese nello scenario del Mediterraneo? L’Italia ha buone relazioni con i suoi vicini del Mediterraneo come la Grecia, l’Algeria, l’Egitto e la Tunisia. In questi Paesi le società di ingegneria energetica italiane hanno avuto un significativo successo nella fornitura e nella manutenzione di centrali elettriche nel corso degli anni. Sono notevoli anche i successi nella promozione di una cooperazione regionale tra le nazioni che si affacciano al Mediterraneo. L’Association of Mediterranean Energy Regulators (MEDREG), con sede proprio a Milano, attualmente conta 24 membri e sta promuovendo la collaborazione tra le realtà energetiche interessate a questo bacino. L’obiettivo dichiarato è quello di realizzare le condizioni per la nascita di una futura Comunità Energetica del Mediterraneo. Se poi i progetti di energia solare su larga scala previsti in Tunisia si dovessero realizzare – vorrei ad esempio ricordare che la società Nur Energie prevede di utilizzare l’energia solare concentrata per generare un potenziale da 2,5 GW di energia elettrica nel deserto tunisino entro il 2018 – l’Italia avrebbe un ruolo ancora più strategico. Sarebbe, infatti, il canale fondamentale di transito dell’e-

ai cambiamenti nel settore, allo stoccaggio di energia, alla finanza e all’energia idroelettrica.

lettricità prodotta, dal Nord Africa alla rete di trasmissione europea, attraverso un cavo DC di 1.000 chilometri ad alto voltaggio. Se dovesse convincere una società a partecipare come espositore a Power-Gen Europe a Milano, quali aspetti enfatizzerebbe? All’incirca 400-500 aziende saranno presenti a Power-Gen Europe e Renewable Energy World Europe, spinte dalla volontà d’incontrare la maggior parte degli addetti ai lavori in un unico luogo, nell’arco di 3 giorni. Molte trattative saranno raggiunte e avviate a Milano; e già da tempo, siamo in contatto con tutte le principali aziende italiane e le associazioni del settore al fine di garantire la loro presenza. Power-Gen Europe e Renewable Energy World Europe potranno davvero consentire ai professionisti del settore in Europa di comprendere meglio le nuove dinamiche del mercato e di cogliere le opportunità derivanti dal cambiamento in atto.


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acontifatti

di Francesco Zippo

Realizzata in collaborazione con Axopower, giunge al suo quarto appuntamento questa rubrica nata per monitorare e commentare l’evoluzione dei costi di dispacciamento e degli oneri di sistema.

BOLLETTA 2.0

Benvenuta chiarezza!

utilizza. Analizzando le fatture di un panel di imprese di vendita, si possono trovare frazionamenti di diversa natura. Alcune componenti, come per esempio le perdite di rete, possono fluttuare da una sezione ad un’altra e si possono trovare: 33 all’interno dell’approvvigionamento energetico; 33 sotto l’uso della rete; 33 addirittura inglobate nel prezzo dell’offerta commerciale. La tipologia di calcolo è una delle classificazioni alternative utilizzate: solitamente si distinguono tipologie di calcolo in base al consumo (centesimi di euro/kWh – euro/MWh), in base alla quota fissa (euro/cliente/mese – euro/ punto/mese) o alla potenza (euro/kW potenza impiegata/mese). Un’altra ag-

gregazione utilizzata fa riferimento alla “parte di filiera” (distribuzione, trasmissione e dispacciamento). Ora, se prendiamo in esame l’ormai noto dispacciamento, ci possiamo rendere conto del livello di entropia che si può raggiungere lavorando sulle varie possibilità di visualizzazione dei corrispettivi pubblicati da Terna (parametri relativi agli articoli 44, 44bis, 45, 46, 48, 73 della delibera 111/06, 15.2 e 25bis del TIS). Sotto la voce dispacciamento si possono trovare anche otto righe di corrispettivi, il che rappresenta il massimo della trasparenza per l’utente; meno trasparente sarà il dispacciamento evidenziato con una riga singola che informa solamente sul totale addebitato; oppure due sole righe che raggruppano i parametri per la tipologia di calcolo descritta in precedenza (quota fissa e quota

Nuova Energia 1-2016

Le bollette – nello specifico quelle power e gas – sono il più delle volte uno spauracchio per le piccole imprese e soprattutto per gli utenti domestici. Molti consumatori hanno da sempre riscontrato varie difficoltà nella lettura di una classica bolletta dell’energia elettrica, evidenziando così la necessità di una maggiore chiarezza delle voci di costo presenti; questo anche al fine di poter ricercare soluzioni alternative al proprio fornitore e risparmiare sul bilancio casalingo globale. Gli utenti finali faticano a comprendere i numerosi corrispettivi applicati, non riuscendo a capire, ad esempio, le motivazioni di un continuo aumento dei costi o, più semplicemente, il consumo energetico – che sia gas o elettricità – effettivamente sostenuto nell’arco di un anno. Oggi, quando analizziamo una fattura per la fornitura di energia elettrica, ci troviamo di fronte effettivamente ad un labirinto di voci il cui numero e la cui descrizione dipende dal fornitore preso in considerazione. La ragione dell’enorme complessità delle bollette non è però attribuibile al singolo venditore, ma dipende dalle stringenti regole che a suo tempo imposero un livello di dettaglio eccessivo; questo, unito a complesse questioni settoriali (imposte, gestione della rete e trasporto, oneri aggiuntivi, …), ha reso il contenuto delle bollette davvero difficile da capire. Il vero problema risiede nella logica di aggregazione che ogni fornitore


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Nuova Energia 1-2016

variabile) ma, alternativamente, applicando l’incremento percentuale dovuto alle perdite di rete, o al corrispettivo unitario, oppure all’energia consumata nel periodo. L’esempio è riportato per far comprendere che già per questa sola macrovoce sono evidenti le difficoltà in cui si incappa nel tentativo di controllare l’esattezza degli importi fatturati presenti in bolletta. Se entriamo ancora più nel dettaglio e prendiamo in considerazione il valore del corrispettivo dell’articolo 44 delibera 111/06, esso viene pubblicato contemporaneamente sia come somma di quanto previsto dalle varie lettere di cui l’articolo è formato (articolo 44, comma 44.1; articolo 44, comma 44.1, lettera a–b–c; articolo 70, comma 70.6), sia come aggregato (quindi da applicare in fattura).

Indipendentemente dal fatto che sia il numero dei corrispettivi pubblicati a diminuire o il numero delle voci in fattura ad aumentare, potrebbe risultare una reale innovazione quella che si otterrebbe allineando tra loro il numero dei corrispettivi pubblicati e il numero delle voci presenti in fattura. La corrispondenza biunivoca tra i coefficienti pubblicati dagli organi preposti e quan-

to evidenziato in termini di righe fattura non genererebbe una fattura leggera (nel 4° lustro del 3° millennio, in cui la digitalizzazione regna sovrana, cosa importa?), ma gli obiettivi di chiarezza e leggibilità che si stanno cercando di perseguire risulterebbero comunque raggiunti. E il meglio deve ancora arrivare... Scorrendo la “vecchia” bolletta 1.0 (la “mamma” della nuova nata), la difficoltà aumenta quando si passa all’analisi della correttezza delle altre voci, quali ad esempio gli oneri di sistema. Non entro nello specifico, poiché l’argomento è già stato affrontato ampiamente con la rubrica pubblicata sul numero 5|2015. Ma qualcosa al riguardo va detta ugualmente. Nella bolletta 2.0, sarà data evidenza alla spesa “oneri di sistema”, una voce che oggi viene pagata all’interno dei servizi di rete ma non evidenziata in modo adeguato. Nel settore elettrico ci sono, ad esempio, gli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate (A3), alle imprese manifatturiere energivore (AE), i fondi necessari alla messa in sicurezza delle centrali nucleari (A2) o per la ricerca (A5). Tutte voci che incidono per il 25 per cento circa sulla spesa finale del cliente medio aderente al Mercato di Maggior Tutela. Con il passaggio al nuovo anno sono finalmente iniziati i cambiamenti. L’AEEGSI, dopo la consueta consultazione pubblica durata parecchi mesi, ha imposto delle modifiche alle regole vigenti e ha stabilito che la nuova bol-

Frutto di un travagliato percorso consultativo, durante il quale l’Autorità ha coinvolto associazioni, imprese e consumatori, la nuova bolletta ha avuto buoni riscontri anche tra gli opinion maker, gli esperti di comunicazione e i giornalisti


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acontifatti

Benvenuta chiarezza!

Le nuove fatture garantiranno una maggiore chiarezza anche in caso di eventuali rettifiche di consumo, ovvero i tanto amati conguagli. Questi saranno messi in particolare evidenza all’interno di un apposito box

messi, controllando i dati direttamente sul proprio contatore. Ma non fermiamoci alla trasparenza; la bolletta 2.0 agisce anche nel senso della semplificazione. Innanzitutto la bolletta non sarà più composta da numerose pagine; chiunque voglia conoscere i dettagli dei propri consumi lo potrà fare online sul portale che metterà a disposizione ogni impresa venditrice. Il nuovo layout prevederà, invece, una o due pagine con grafici illustrativi

che forniranno informazioni in merito all’andamento dei propri consumi. In primo luogo verranno elencati i consumi, i dati anagrafici dell’utente e la cifra da pagare; in seconda battuta sarà presentato un grafico dettagliato con la previsione delle singole spese così suddivise: 33 spese per l’energia; 33 IVA; 33 imposte; 33 spesa per il trasporto dell’energia;

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letta dovrà apparire in un’unica pagina. Frutto di un travagliato percorso consultativo, durante il quale l’Autorità ha coinvolto associazioni, imprese e consumatori, la bolletta 2.0 ha avuto buoni riscontri anche tra gli opinion maker, gli esperti di comunicazione e i giornalisti. Gli ostacoli da superare non sono certo pochi e irrilevanti, ma la strada intrapresa sembra essere questa. Un ulteriore passo avanti potrebbe essere compiuto qualora si pubblicasse la somma totale di quanto dovuto, suddivisa ovviamente per scaglioni di consumo, tipologia contrattuale e potenza così come avviene oggi, accanto ai vari corrispettivi previsti dalla normativa utili alla comprensione del peso del singolo parametro sull’importo totale della fattura. Avendo a disposizione queste informazioni l’utente finale, o chi per esso, potrà quindi verificare se ciò che gli viene fatturato corrisponde effettivamente a quanto è dovuto. Come anticipato poco sopra, questa rivoluzione interesserà sia le bollette gas sia quelle relative all’energia elettrica. La trasparenza troverà la sua massima manifestazione grazie all’applicazione delle nuove regole per la realizzazione delle bollette che saranno obbligatorie per tutte le aziende venditrici. Questi criteri comuni consentiranno finalmente agli utenti di valutare con attenzione i costi e le opportunità che i singoli fornitori cercheranno di offrire. A coadiuvare tutto ciò sarà predisposto un sistema online che aiuterà a trovare la migliore offerta in base alla quantità di energia/gas prelevati e al comune di residenza. Sempre nell’ottica della trasparenza è previsto anche l’obbligo di riportare sulla bolletta il valore effettivo del consumo fatturato, in questo modo sarà immediato per l’utente poter verificare eventuali errori com-


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sintetico”; il conguaglio sarà quindi inserito in un box separato. Si è scelto di procedere in questo modo per cercare di ovviare ad una delle voci meno comprensibili di una bolletta legata alle utility. Le nuove fatture garantiranno quindi una maggiore chiarezza anche in caso di eventuali rettifiche di consumo, ovvero i tanto amati conguagli: questi saranno messi in particolare evidenza all’interno di un apposito box qualora il distributore locale dovesse registrare modifiche ai consumi misurati in precedenza, ad esempio per errori di telelettura/fatturazione. I cambiamenti si avranno anche sul fronte dei canali di invio delle bollette per i servizi domestici; anche qui si giocherà una reale “partita” che avrà come oggetto il risparmio dei costi da sostenere. Chi deciderà di effettuare il relativo pagamento con carta di credito, o con una classica domiciliazione bancaria (ex RID oggi SDD – Sepa Direct Debit) o postale, riceverà la bolletta direttamente per via telematica,

ottenendo l’eliminazione del cartaceo (che potrà essere comunque richiesto) e guadagnando degli sconti sul costo finale della fornitura. Chi non condivide il fatto che, in tempi di crisi, anche un piccolo risparmio sulla bolletta può essere un fattore non trascurabile? L’utente finale, anzi, vive in una continua ricerca di piccoli accorgimenti per poter ridurre le bollette. Sono previsti poi altri strumenti di servizio che completano l’operazione bolletta 2.0, fra i quali la Guida interattiva della bolletta che l’AEEGSI provvederà a rendere disponibile on-line sul proprio sito. Essa conterrà la spiegazione di tutte le voci di spesa (per un cliente servito in Maggior Tutela) anche sulla base dei termini utilizzati nel Glossario della bolletta. Bene, per adesso benvenuta bolletta 2.0... Per la valutazione e i commenti a caldo rimandiamo ai prossimi numeri, dove cercheremo di raccogliere opinioni e considerazioni sulla nuova nata.

33 costi di gestione del contatore; 33 oneri di sistema.

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Tutto questo sarà racchiuso in un unico foglio con tutti gli elementi essenziali di spesa e di fornitura in evidenza, in un formato moderno, chiaro e soprattutto comprensibile. Nella prima pagina della bolletta sarà anche indicato il costo medio unitario del kilowattora/ standard metro cubo, ottenuto dal rapporto tra la spesa totale e i consumi fatturati. Per approfondire le diverse voci di spesa si potrà far richiesta al proprio fornitore degli elementi di dettaglio, cioè delle pagine con la descrizione analitica delle componenti che hanno determinato la spesa complessiva. Anche le voci saranno semplificate per capire la spesa finale. La presenza di eventuali conguagli, inoltre, sarà oggetto di una particolare distinzione rispetto al box del “quadro

Bene, per adesso benvenuta bolletta 2.0... Per la valutazione e i commenti a caldo sulla nuova nata rimandiamo ai prossimi numeri


72 MODELLI DI SVILUPPO

Clerici:

Nella generazione la dimensione

è (un problema)

centrale di Dario Cozzi

Ci sono un elefante, una tigre e una mosca... Può sembrare l’inizio di una classica barzelletta da asilo, ma in realtà si tratta di una questione molto, molto seria. Stiamo infatti parlando di generazione e di possibili modelli di sviluppo, anche in relazione alle aree emergenti del Pianeta (la scelta degli animali non è casuale!) dove spesso l’energia elettrica deve ancora fare la sua comparsa. Dunque? Nuova Energia ha incontrato Alessandro Clerici (presidente onorario WEC Italia e presidente del gruppo internazionale WEC Integrazione delle rinnovabili) per esaminare nel dettaglio la questione. A chi spetta oggi il titolo di centrale “elefante”? Direi “super elefante” viste le dimensioni in gioco: è l’impianto idroelettrico delle Tre Gole, in Cina, da 22.500 MW. È interessante notare come, nel tempo, sia sempre stato l’idroelettrico a puntare sulle taglie forti. Analizzando i dati riportati in varie pubblicazioni si può verificare che anche in passato la centrale più grande in servizio è stata sempre idroelettrica. Considerando i grandi salti, si è passati dai 450 MW di Niagara Falls in Canada nel lontano 1922, ai 5.400 MW del 1971, sempre in Canada, e poi nel 1984 ai 14.000 MW di Itaipú in Paraguay/Brasile, per arrivare nel 2012 alla fase finale della centrale cinese delle Tre Gole. Dunque, a fine 2014 le cinque più grandi centrali in servizio nel mondo erano tutte idroelettriche, e con potenze superiori agli 8,4 GW ciascuna.

A fine 2014 le cinque più grandi centrali in servizio nel mondo erano tutte idroelettriche, e con potenze superiori agli 8,4 GW ciascuna

Nel mondo c’è ancora chi usa massicciamente olio combustibile per la generazione elettrica? Come no! Il primato appartiene all’Arabia Saudita, con la centrale di Shoaiba da 5.600 MW, seguita da 2 centrali in Giappone da 4.400 e 3.800 MW rispettivamente. Volendo completare la panoramica delle fonti fossili, ci sarebbero da citare anche lo shale oil (l’Estonia detiene le due più grosse centrali rispettivamente da 1.600 e 700 MW) e la torba (la Russia ha una centrale da 1.500 MW e un’altra da 300 MW, seguita da 3 centrali in Finlandia da 150 a 200 MW e da 3 in Irlanda da 100 a 150 MW). Capitolo a parte, e si presume in grande evoluzione, quello delle rinnovabili. Oltre all’idroelettrico di cui si è già par-

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Veniamo alle altre fonti. Nel settore nucleare la più grande centrale costruita è quella di Kashiwasaki-Kariva con 8.000 MW di potenza (7 reattori attualmente fermi in attesa di ripartenza per le revisioni imposte sia dopo il terremoto locale sia a seguito del disastro di Fukushima), seguita dalla centrale di Bruce in Canada (6.300 MW) e da 6 centrali con potenze superiori ai 5.400 MW, installate in Ucraina (1), Sud Corea (2) e Francia (3). Nel caso del carbone, la soglia massima si posiziona a ridosso dei 5 GW. A Taiwan opera un impianto da 5.500 MW, seguito

dai 5.400 MW di una centrale polacca. In Cina sono addirittura 5 le centrali con potenze superiori ai 5.000 MW ciascuna. Infine, per quanto riguarda le centrali alimentate a gas (senza scendere nel dettaglio delle diverse tecnologie: vapore, turbogas in ciclo semplice o combinato), la Russia ha costruito il più grosso impianto ad oggi esistente, per complessivi 5.600 MW. A seguire gli Emirati Arabi con 5.200 MW e 3 centrali in Giappone con potenze superiori ai 4.600 MW. In Arabia Saudita, a Qurayya, è stata da poco completata la più potente centrale solo a ciclo combinato (4 GW).


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Record in termini di potenza installata (MW) per singolo impianto e per le diverse fonti Tabella 1 Tecnologia Sito

1

La diga Gibe III in costruzione in Etiopia

lato... È in effetti un capitolo ricco di spunti. Nel settore eolico offshore il Regno Unito ha realizzato i 3 più grandi parchi, con potenze da 500 a 630 MW, mentre per quanto riguarda l’eolico onshore la Cina ha un megaparco da oltre 6.000 MW a Gansu; in India sono operativi due parchi da 1.500 e 1.000 MW, mentre gli Stati Uniti possono vantare cinque wind farm di dimensioni interessanti (da 660 a 1.000 MW). Stati Uniti protagonisti anche nel campo geotermico. È a stelle e strisce il più vasto campo al mondo (The Geysers) con una potenza complessiva pari a 1.800 MW. A seguire, il Messico (960 MW) e l’Italia con Lardarello (760 MW). Il record nel settore biomasse spetta alla UK. Il Regno Unito ha infatti realizzato le 3 più grosse centrali rispettivamente da 1.300, 750 e 600 MW alimentate a wood pellet. Per quanto concerne lo sfruttamento delle maree siamo ancora in una fase embrionale, ma già si registrano dei risultati significativi: il maggior impianto attualmente in esercizio si trova in Sud Corea (250 MW) e batte di un nulla il sito francese di La Rance (240 MW). Limitatamente allo sfruttamento delle onde, è difficile parlare di “elefante” o “tigre”. Per ora, infatti, la massima taglia raggiunta (in Portogallo) è di soli 2,25 MW!

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E non abbiamo ancora aperto il Guinness dei primati alla pagina solare. Vero, anche perché in questo caso entrano in gioco varie tecnologie. Nel fotovoltaico convenzionale gli Stati Uniti hanno i 3 più grandi impianti, con potenze unitarie da 550 a 580 MW. Anche il concentrated solar thermal (CSP) gioca in casa negli States. È qui che ha sede la centrale attualmente detentrice della potenza record (380 MW), seguita da 3 impianti nel range da 250 a 350 MW. Infine, la tecnologia Concentrated Photovoltaic (CPV) vede i 2 “elefantini” in Cina, con potenze da 60 e 50 MW rispettivamente. Guardando al futuro, quali sono gli impianti più imponenti

Potenza

Idroelettrico

Tre Gole (Cina)

Nucleare

Kashiwasaki-Kariva (Giappone)

8.000

Eolico onshore

Gansu (Cina)

6.000

Olio combustibile

Shoaiba (Arabia Saudita)

5.600

Gas naturale

Russia

5.600

22.500

Carbone Taiwan

5.500

Geotermico

The Geysers (USA)

1.800

Oil shale

Estonia

1.600

Torba Russia

1.500

Biomasse

Regno Unito

1.300

Eolico offshore

Regno Unito

630

FV convenzionale

USA

580

Solare CSP

USA

380

Maree

Corea del Sud

250

Solare CPV

Cina

Moto ondoso

Portogallo

60 2

in costruzione o in fase di analisi? Nel settore idro la più grossa centrale in costruzione è sempre in Cina per 16.000 MW, seguita da quella di Belomonte per 11.000 MW in Brasile su un affluente del Rio delle Amazzoni. Nel nucleare gli Emirati Arabi stanno completando una centrale (fornita dalla Corea del Sud) con 4 gruppi da 1.400 MW per totali 5.600 MW. Centrali di taglia similare sono in costruzione o pianificate in Cina; mentre i grandi parchi da 10.000 MW ciascuno in India hanno subito una stasi legata ai costi e all’attribuzione delle responsabilità in caso di eventuale incidente tipo Fukushima. Passando al carbone, sono in costruzione in Sud Africa centrali con 6 gruppi da 800 MW, mentre in India è stata pianificata una centrale da 6.800 MW e in Siberia una da 8.000 MW è in fase di discussione tra russi e cinesi. Se sarà realizzata, fornirà poi l’energia elettrica prodotta direttamente alla Cina, grazie a lunghi sistemi DC. Nel campo eolico lo sviluppo in essere è, per molti versi, ancora più impressionante: per il megaparco cinese di Gansu è prevista una estensione dagli attuali 6.000 MW a 22.000. E spingendosi ancora di più nel mondo dei sogni... Citerei due progetti più o meno futuribili per i quali si dovrebbe scomodare un nuovo termine di classificazione: supermegacentrale. Il primo è un impianto da 70 GW localizzato in Siberia e pensato per sfruttare le maree in una baia della penisola di Kamchatka (maree da 9 a circa 15 metri). Poi, c’è la più volte menzionata centrale di Inga, per circa 40.000 MW


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L’evoluzione della capacità installata negli ultimi dieci anni

Tabella 2 Fonte: CESI elaborations from REN 21, 2015, Bloomberg 2015 and EIA 2015

Fonte

2004 Capacità

2014 Capacità

2004-2014

2014

Ore equivalenti

[GW]

[GW]

Capacità addizionale [GW]

Produzione [TWh]

anno*

Idroelettrico

715

1.055

340

3.907 3.703

Eolico

48

373

325

730 1.956

Biomasse

39

93

54

424 4.556

Solare

3

177

174

212 1.197

Geotermico

9

13

4

94 7.242

Totale rinnovabili Totale convenzionali (oil, gas, carbone, nucleare) Totale

814

1.711

897

5.366

3.136

2.658

3.638

980

18.171 4.995

3.877

5.700

1.823

23.537 4.129

* Ore di funzionamento alla massima potenza necessarie per fornire l'energia totale prodotta in un anno

complessivi nella Repubblica Democratica del Congo. Megacentrale=megarete. Molti di questi grandi impianti in costruzione sono localizzati lontano dalle aree di maggior consumo. Si tratta quindi di prevedere grandi investimenti anche sul fronte della trasmissione. Qual è la situazione attuale? Effettivamente lo sviluppo dei sistemi di trasmissione nel mondo è stato fortemente stimolato da queste megacentrali e attualmente la corrente continua è una tecnologia che consente la trasmissione su lunghissime distanze di potenze

Torniamo con i piedi per terra. Qual è stata, sinteticamente, l’evoluzione registrata negli ultimi anni per gli impianti di

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1

La centrale elettrica di Shoaiba, in Arabia Saudita

nell’ordine delle migliaia di MW. La Cina risulta il leader assoluto con vari sistemi in servizio a +/-800 kV su distanze fino a circa 2.500 chilometri per 6.000-8.000 MW per linea, e con un sistema in definizione da circa 13.000 MW a +/-1100 kV su 3.500 chilometri. Brasile e India sono gli altri due Paesi dove sistemi similari sono stati appena realizzati o sono in fase di realizzazione.


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Il possibile scenario energetico dell’Africa Figura 1 Fonte: CESI

Attuali impianti “elefante” a basso costo di generazione

Nella generazione la dimensione

è (un problema)

centrale

Linee di trasmissione Impianti virtuali

Etiopia (idroelettrico a basso costo)

Guinea Guld (gas) Inga - Repubblica Democratica del Congo (idroelettrico a basso costo) Mozambico (carbone/gas a basso costo)

generazione da rinnovabili e da centrali a combustibili fossili e da nucleare? Nel 2013 sono stati messi in servizio nel mondo 120 GW di rinnovabili, pari al 60 per cento della potenza totale installata nell’anno, sorpassando per la prima volta la potenza installata in centrali alimentate da combustibili fossili e nucleari. Lo stesso è avvenuto nel 2014 con 131 GW addizionali di rinnovabili. Si può notare, al riguardo, il fortissimo incremento medio annuale dell’eolico e in particolare del solare. Sulla potenza totale di 5.700 GW di centrali in servizio nel mondo a fine 2014, le rinnovabili rappresentano il 30 per cento con grande preponderanza dell’idroelettrico. Ciò detto, in termini di energia prodotta, rappresentano meno del 23 per cento (con l’eolico al 3 per cento e il solare allo 0,9 per cento, date le ridotte ore equivalenti anno di produzione). Nel complesso, il nucleare fornisce un apporto pari a 382 GW e 2.410 TWh/ anno. La Tabella 2 riporta nel dettaglio l’evoluzione dei vari tipi di fonte rinnovabile, entrati in servizio dal 2004 al 2014, comparata con quella delle centrali convenzionali e nucleari.

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C’è pochissima Africa in tutti i casi fino a qui menzionati. Questo continente vive in effetti una pesante contraddizione: ha enormi risorse energetiche, eppure ha circa 600 milioni di persone ancora prive di elettricità e costrette a vivere in condizioni disastrose. L’Africa può realmente essere il grande campo di applicazione delle varie tecnologie, pur considerando i rischi politici e i problemi di corruzione esistenti in vari Paesi. La situazione attuale è davvero critica, come ho avuto modo di

evidenziare in un precedente articolo pubblicato su questa stessa rivista (Africa sub sahariana, come dare elettricità a chi non ce l’ha). Il 50 per cento della popolazione mondiale che non ha accesso all’elettricità vive nell’Africa sub Sahariana dove il consumo medio di elettricità per persona, in varie nazioni, è dell’ordine dei 100-200 kWh/anno, con valori che precipitano a 50 kWh in Eritrea ed Etiopia, rispetto ai circa 5.000 di noi italiani. Dopo tanto parlare di “elefanti”, potrebbe essere proprio l’Africa a premiare un modello “tigre” o “mosca”? Se sì a quali condizioni e per quali ragioni? L’Africa con le sue grandi risorse idroelettriche (vedi Repubblica Democratica del Congo, Angola, Camerun, Etiopia), di gas (vedi ENI in Mozambico ed Egitto), di carbone, di sole, vento, biomasse e geotermia, potrebbe essere il banco di prova per l’integrazione di tutte le tecnologie e dimensioni di centrali, dagli “elefanti” idro o a ciclo combinato per migliaia di MW, alle “tigri” di biomasse, solare, eolico, geotermico per varie decine o per centinaia di MW, fino ad arrivare ad impianti “mosca” con microreti in aree isolate o, addirittura, il singolo pannello fotovoltaico per ogni casa/capanna. Gli studi effettuati (ad esempio: Large Interconnectors Between Countries and from Bulk Electricity Generation) per il trasporto di elettricità in Africa da possibili grosse centrali, con basso costo dell’energia prodotta, hanno dimostrato un notevole effetto scala sul costo del kWh in funzione della potenza trasportata da sistemi in corrente continua ad altissima tensione (da +/-500 kV a +/-800 kV).

Nel campo eolico lo sviluppo in essere resta impressionante. Il megaparco cinese di Gansu dovrebbe crescere dagli attuali 6.000 MW ai 22.000 previsti per il completamento del progetto

Come possono essere letti questi dati? Vi è la possibilità di avere – a distanze fino a circa 3.000 km dalla centrale di produzione effettiva – una nuova centrale virtuale “elefante” a basso costo, dalla quale irradiare energia ai carichi dell’area interessata. Proviamo a fare qualche conto? Per costi di produzione di 3 centesimi di dollaro/kWh, cosa possibile per grosse centrali idroelettriche, si hanno costi all’estremo della linea in corrente continua di 4-4,5 centesimi di


76

Nella generazione la dimensione

è (un problema)

centrale

dollaro/kWh per 1.000 MW a 1.000 chilometri o per 4.000 MW a 3.000 chilometri. Con una produzione a circa 4,5 centesimi di dollaro/kWh, ad esempio da cicli combinati che sfruttano gas locali a basso costo, si hanno centrali virtuali da 5,5-6 centesimi di dollaro/kWh a 1.000 chilometri di distanza per 1.000 MW e a 3.000 chilometri di distanza per 4.000 MW. Si tratta di valori interessanti per varie regioni africane, rispetto agli attuali elevati costi di produzione. Solo un sogno o una possibile realtà? Occorre notare che in Africa sono stati sviluppati negli Anni ‘70-‘80 i primi sistemi di trasmissione in corrente continua a 500 kV da centrali idroelettriche (Repubblica Democratica del Congo e Mozambico) e su distanze di circa 2.000 chilometri; ed è iniziata da poco la costruzione di una linea in corrente continua a +/-500 kV che trasporterà in Kenya 2.000 MW da una centrale distante 1.000 chilometri in Etiopia. La Figura 1 mostra a livello esemplificativo un’Africa costellata da centrali virtuali alimentate da sistemi di trasmissione provenienti da grandi impianti caratterizzati da bassi costi del kWh prodotto.

L’Africa continua a vivere una pesante contraddizione: ha enormi risorse energetiche, eppure ha circa 600 milioni di persone ancora prive di elettricità e costrette a vivere in condizioni disastrose

Se il gigantismo, dunque, non è sempre la risposta più efficace, lo stesso si può dire dell’estremo opposto, il modello “mosca”? In effetti, per l’alimentazione di un singolo villaggio o più villaggi contigui in aree isolate bisognerà verificare di volta in volta se la tendenza del piccolo e bello sia davvero la migliore. La soluzione degli impiantini “super mosca” (pannello, inverter e batteria in ogni singola casa/capanna... ) non è necessariamente più efficiente rispetto ad una centralina posizionata nel baricentro dei carichi, con linee a bassa tensione (o prima a media e poi bassa tensione) impiegate per alimentare le varie utenze. Sono molteplici le variabili da tenere, di volta in volta, in considerazione: i fattori economici (minor costo al kW al crescere della potenza), i costi di intervento manutentivi (su vari pannelli/inverter e batterie sparsi per ogni casa rispetto ad interventi su centralina locale), le conseguenze legate all’inevitabile espansione della potenza disponibile all’aumentare dei carichi. L’esperienza mostra infatti che appena si fornisce l’accesso all’elettricità nascono piccole falegnamerie e officine, bar con illuminazione della piazza, eventuale acquisto di frigoriferi, e via dicendo. Piccoli singoli impianti presentano inoltre problemi tecnici come quelli all’avviamento anche di un singolo motore (vedi pompe per acqua, per officine, eccetera) che richiedono una elevata potenza allo spunto iniziale. Insomma, la tecnologia offre un ampio spettro di soluzioni in rapida evoluzione; e queste vanno inquadrate e impostate al fine di ridurre il costo dell’elettricità agli utenti finali in un’ottica di medio periodo. Se potesse chiudere con un commento e appello finale? Direi che la priorità è quella di evitare (anche) nel caso dell’Africa un approccio di tipo colonialistico o ideologico. L’importante è muoversi e farlo in fretta. Se l’Europa non si muove con tali investimenti di elettrificazione finalizzata allo sviluppo, sarà l’Africa o la parte più povera di essa che si muoverà. E lo farà per invadere l’Europa. Anzi, lo sta già facendo!

Nuova Energia 1-2016

Questo non significa affatto dover adottare come unica soluzione ottimale per l’Africa quella di poche mega centrali... Il modello “elefante”, chiaramente non è l’unica strada percorribile e non è detto che il gigantismo (ormai in termini di GW) paghi sempre o sia facilmente finanziabile e realizzabile in tempi accettabili. Arrivando all’estremo opposto di impianti “quasi mosca” o “mosca” per l’alimentazione di aree isolate, la dispendiosa produzione attuale con motori diesel (il costo del combustibile trasportato da lunghe distanze incide anche per l’80-90 per cento sul costo finale del kWh prodotto) può essere ridotta con l’integrazione del solare. E in futuro, con il binomio solare + impianti di accumulo elettrico, se i loro costi scenderanno fortemente. Impianti di produzione “tigre” con kWh a basso costo,

che alimentano con linee elettriche funzionanti a bassi carichi anche di qualche centinaio di chilometri differenti aree isolate, risultano in vari casi una soluzione interessante anche per il coinvolgimento nella loro costruzione di manodopera locale. Incidentalmente possiamo aggiungere che il costo di realizzazione di linee elettriche ad alta, media e bassa tensione nell’Africa sub Sahariana è meno della metà di quello di equivalenti linee in Europa...


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ANNO 2100

Spazio

ultima frontiera

Nuova Energia 1-2016

Cosa possiamo attenderci in tema di risorse energetiche negli orizzonti remoti di fine secolo? Ovviamente nessuno di noi può predire accuratamente in anticipo il futuro, ma se con un pizzico di fantasia provassimo a intravvedere i possibili scenari energetici e gli interconnessi potenziali sviluppi delle innovazioni tecnologiche, riusciremmo forse a immaginare una ipotesi credibile nel mondo energetico che verrà. Quel che sembra certo è che, nelle decadi che ci separano dalla fine del secolo presente, diverrà cogente la necessità di attuare le profonde trasformazioni indispensabili per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale, in grado di garantire alle generazioni future il mantenimento di una soddisfacente qualità di vita. L’alternativa del non fare è drammatica. Sulla base di queste inquietanti stime è legittimo interrogarsi su quali potranno essere nei prossimi 80-100 anni le fonti energetiche alternative disponibili per un mondo sempre più affollato e affamato di energia. Attualmente, come noto, otteniamo la nostra energia da molte fonti diverse. Dalle nuove rinnovabili ai combustibili fossili, dal mega-idroelettrico al nucleare, il nostro secolo (come quello precedente) ha un ricco buffet di fornitori di energia. I combustibili fossili come carbone, petrolio, gas, sono per definizione destinati ad esaurirsi o comunque a divenire marginali (visti i vincoli ambientali); il che è inevitabile. Ma queste fonti, va ricordato, costituiscono attualmente – e costituiranno a lungo – quasi l’80 per cento della nostra energia. Che cosa si creerà dunque per sostituire (in toto o in gran parte) tali fonti? Negli ultimi decenni si sono registrati significativi progressi nel miglioramento dei sistemi rinnovabili già in uso, come il vento e l’energia solare, o di potenziale futuro sviluppo come le risorse marine. Tuttavia, per una serie di motivazioni sembra a parer mio assai difficile che esse possano sostenere, da sole o con il supporto dell’attuale nucleare, l’umanità del futuro. Rimangono alcune risorse immaginifiche quali i reattori nucleari a fusione, l’economia dell’idrogeno, lo sfruttamento degli idrati di metano presenti nelle profondità oceaniche, le risorse derivanti dallo sfruttamento energetico massivo dei deserti del mondo, e altre ancora; tutte cose di cui si discute da decenni ma che sembrano non concretizzarsi mai. Ed è forse, anche sulla base della esistenza di promettenti progetti di generazione solare relativi al deserto del Sahara, che alcuni scenari stimano per la seconda metà del nostro secolo un mix energetico globale in cui il solare

NASA

di Elio Smedile

abbia un ruolo preminente. Si tratterebbe tuttavia sempre di sistemi “tradizionali” di raccolta dell’energia solare che hanno tutti i limiti dell’essere collocati sulla superficie terrestre, condizionati dall’alternanza giorno-notte, dalla copertura nuvolosa, dall’atmosfera, dalla stagionalità... Un sistema promettente ma per certi versi futuristico che potrebbe cambiare il volto all’attuale concezione di generazione energetica è l’idea fascinosa di catturare l’energia solare direttamente dallo spazio, dove il sole splende sempre e non c’è l’atmosfera che riduce l’intensità dei raggi solari. Si tratta di un’energia pulita, illimitata, ubiquitaria, che potrebbe tra l’altro risolvere definitivamente il problema delle emissioni dei gas serra alla cui mitigazione sono destinate ingenti risorse finanziarie. D’altro canto non può dirsi un’idea nuova; essa è stata studiata lungamente negli ultimi decenni del secolo passato e giudicata non praticabile soprattutto per i costi elevati e la carenza di tecnologie di trasmissione adeguate. In tempi più recenti vi è stato tuttavia un revival di interesse e oggi la tecnologia è oggetto di investigazioni da parte di numerosi centri di ricerca dislocati in diversi Paesi. Se ne sono occupati, tra gli altri, il Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti, (DOE), la NASA, l’Accademia delle scienze cinese, l’Agenzia giapponese Aerospace Exploration. Ed è proprio il Giappone il primo Paese che potrebbe far diventare realtà concreta un “sogno” lungamente accarezzato. Da qualche anno infatti l’Agenzia spaziale giapponese JAXA e il colosso Mitsubishi hanno unito le forze per mandare in orbita una stazione spaziale dotata di enormi pannelli fotovoltaici; l’elettricità così generata verrebbe convertita in microonde e trasmessa alle stazioni riceventi site sulla superficie terrestre. I promotori non nascondono che sul cammino del progetto pesano alcune incognite sia di natura tecnica sia economica. Se verranno superate, l’impianto potrà diventare realtà già nel 2031. Comunque vada, la strada sembra essere tracciata: l’energia dallo spazio potrà essere il futuro venturo dell’energia.


78

Gentile direttore,

1

Francesco Sperandini presidente e amministratore delegato GSE

Nuova Energia 1-2016

Le scrivo in merito agli articoli dell’avvocato Giovanni Battista Conte ospitati dalla sua prestigiosa e apprezzata rivista. Li ho letti con particolare interesse. Mi sento però in dovere di farle pervenire alcuni minimi rilievi su quanto riportato negli stessi. Riferendomi all’articolo pubblicato sul numero 5|2015 – Rinnovabili, produttori alle prese con la PAS – non risponde al vero che recentemente il TAR Calabria (Catanzaro) si è trovato ad analizzare un provvedimento di decadenza dagli incentivi adottato dal GSE. È noto nel settore, sicuramente lo è alla classe forense, che per i ricorsi avverso i provvedimenti del GSE la competenza è riconosciuta esclusivamente al TAR Lazio. Il giudizio amministrativo citato dall’avvocato Conte, infatti, non vede in alcun modo coinvolto il GSE, avendo ad esclusivo oggetto alcune note dell’Ente Locale che si era espresso rilevando l’assenza del titolo autorizzativo in capo al titolare di un impianto eolico. Norme e sentenze a sostegno di quanto sia corretto il comportamento del GSE nel caso di specie sono facilmente riscontrabili da chiunque abbia tempo e interesse a cercarle. Mi limito invece a partecipare con lei e con i lettori quale obbrobrio giuridico si genererebbe ipotizzando, per assurdo, che il GSE, in presenza di un Ente Locale che dichiari l’assenza di autorizzazione, se ne disinteressi e continui ad erogare incentivi pubblici. Quale figura anomala di Società per Azioni (tale è infatti il GSE) avrebbe creato il nostro ordinamento giuridico se conferisse alla stessa il potere di prevaricazione rispetto agli atti di un Ente Pubblico in materia di autorizzazioni? Lasciamo che sia l’ordinamento giuridico a stabilire se gli atti degli Enti siano legittimi o meno e lasciamo fare al GSE quello che gli compete. Riferendomi invece all’articolo pubblicato sul numero 6|2015 – Tariffa onnicomprensiva, un caso interessante – trovo scritto Il Gestore infatti aveva erroneamente ritenuto che l’energia incentivata non doveva essere quella immessa in rete”. Mi limito a segnalare che è recentemente intervenuta sul caso la Sentenza 204 del 2016 del Consiglio di Stato con controparte lo stesso avvocato Conte. La Sentenza ha accolto l’appello del GSE. L’erroneamente riportato dall’Avvocato Conte risulta quindi erroneamente riportato, all’attuale stato del giudizio. Approfitto per rappresentare ai lettori ed anche all’ottimo avvocato Conte che la verifica della corretta allocazione delle risorse che il Sistema preleva in modo forzoso dai titolari delle bollette è ispirata dalla volontà di massimizzare gli obiettivi di sostenibilità, non certo dalla volontà di minimizzare l’impatto sulla bolletta. È un tema etico ed economico insieme. Grazie per l’attenzione, con i migliori saluti


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PRODUZIONE

Serve davvero la rottamazione del termoelettrico? di Giorgio Soldadino

Nuova Energia 1-2016

costante incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili vere e proprie: sole e vento. Ciò costringe il parco termoelettrico, invece di funzionare secondo le caratteristiche Le considerazioni svolte da Chicco Testa su un recente nudi progetto, a lavorare secondo un diagramma che consenta di mero della nostra rivista e le decisioni prese poco tempo fa modulare tale produzione in modo tale da rendere compatibili dall’amministratore delegato di Enel di smantellare un certo il diagramma di carico proprio dell’utenza e il diagramma di numero di centrali termoelettriche ormai obsolete vanno nella produzione proprio delle fonti rinnovabili discontinue. giusta direzione; quella di rendere sempre più efficiente il parTutto questo, a lungo andare, può ridurre la vita utile delle co di produzione di energia elettrica da fonti convenzionali. macchine, proprio perché non vengono usate come prescritto Questo efficientamento, però, non può prescindere da quandai costruttori. Non resta che sperare che il carico di base posto descritto nei libri di elettrotecnica e nei manuali d’uso che le sa aumentare più di quanto crescerà la quota da fonti rinnosocietà costruttrici forniscono. Ovvero, la necessità, per ottimizvabili. In questo modo, le macchine termiche potranno essere zare al massimo l’uso delle centraindirizzate verso un tipo di funli, di farle funzionare ad un regizionamento sicuramente idoneo a me vicino a quello massimo e con prolungare la loro vita utile... modalità il più possibile costante. A mio giudizio, però, la vera soLa promozione Proprio per questo ogni macchiluzione sta nel promuovere la proe lo sviluppo della na è stata ordinata con caratteristiduzione distribuita di tipo convengenerazione distribuita che tecniche tali da poter realizzare zionale, con una condizione di base. è la strada da percorrere. – con il tipo di uso previsto – la La “GD” deve essere gestita in moTenendo ben presente, relativa ottimizzazione. Credo che do tale da poter ottimizzare il parco però, la necessità di il 99,99 per cento delle macchine di produzione termoelettrico, facentermoelettriche attualmente funzioottimizzare l’uso delle dolo funzionare in modo ottimale. nanti sia stato ordinato e costruito centrali convenzionali, In un recente numero della noseguendo queste indicazioni. per farle funzionare a un stra rivista anche il professor RoIl fatto però è che oggi – e regime vicino a quello berto Napoli indicava questa via, sempre più lo sarà nel futuro – la massimo e con modalità come quella che può veramente previsione di un funzionamento il più possibile costante risolvere il problema della vita di questo tipo è quanto mai difutile del parco di produzione terficile e improbabile, a causa del moelettrico.


SEI COSE CHE CI PIACE FARE

123456 PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DI NUOVI PRODOTTI EDITORIALI Dal foglio bianco al numero pronto per la stampa. Analisi comparata dei prodotti editoriali similari; definizione dei target, del linguaggio, degli obiettivi; predisposizione del progetto grafico e del piano editoriale. Dalla newsletter, all’house organ aziendale... fino al periodico patinato.

CORSI E CONVEGNI Di base e professionali nelle aree ambiente, energia, accettabilità sociale, comunicazione.

EDITING DI LIBRI SERVICE SONDAGGI E PUBBLICAZIONI GIORNALISTICO DI OPINIONE Trasformiamo Fornitura Nuova Energia il “manoscritto” di contenuti monitora in un libro nella giornalistici costantemente sua veste finale, per la carta l’evoluzione pronta per la stampata e il web. delle opinioni stampa: revisione Dal singolo sui temi del materiale, articolo dell’energia uniformazione al dossier e dell’ambiente. del linguaggio, “chiavi in mano” Siamo in grado selezione (testi, foto, di condurre immagini, impaginato inchieste, correzione bozze, finale). a partire realizzazione dalla redazione del progetto dei contenuti grafico, del sondaggio impaginazione alla raccolta e realizzazione dei dati, fino di tabelle all’elaborazione e grafici secondo e commento un format comune, dei risultati, traduzione e alla diffusione. in lingua inglese.

PROMOZIONE DELL’IMMAGINE Per i settori energia e ambiente, realizzazione del piano di comunicazione, immagine coordinata, promozione attraverso i media (periodici, agenzie stampa).

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Dall’OsservatorioenergiaAIEE Direttore: Vittorio D’Ermo

La domanda di energia in Italia nel 2015: si interrompe un decennale

ciclo negativo Vittorio D’Ermo, Delia Battistelli, Vittorio De Martino

Il 2015 ha segnato un netto cambiamento nel clima economico del Paese, con segnali di recupero significativi che hanno interessato molti settori produttivi e le attività dei servizi. Anche i consumi privati sono tornati a crescere dopo un lungo periodo di stagnazione, lasciando intravvedere un ciclo di sviluppo per i prossimi anni. La riduzione del costo dell’energia importata, anche se trasmesso solo in parte ai prezzi finali a causa della fiscalità e delle rigidità del sistema, è stato un fattore importante per la ripresa, in passato frenata dagli alti prezzi energetici. Nel 2015 i prezzi di tutte le fonti energetiche primarie e dei prodotti derivati hanno registrato sensibili riduzioni, aumentando quindi la capacità di spesa dei consumatori finali e la capacità competitiva dell’industria. Il mutato contesto economico e produttivo ha espresso una domanda di

energia in aumento del 2,8 per cento rispetto al 2014, in termini grezzi, interrompendo il ciclo negativo iniziato dieci anni fa.

Il recupero è stato favorito da un clima più freddo rispetto allo scorso anno, ma il trend di aumento ha riguardato anche gli altri mesi, creando le pre-

DOMANDA DI ENERGIA IN FONTI PRIMARIE NEL 2014-2015 (Mtep) Fonte: Osservatorio energia AIEE

var. %

gen-dic

dicembre

2014

Combustibili solidi

13,7 -3,3

13,69 13,51

-1,3 1,23 1,22 -1,1

Gas naturale

50,7

-11,6

50,71

55,29

9,0

6,22

6,88

10,6

Importazioni di energia elettrica

9,6

3,7

9,62

10,20

6,1

0,85

0,95

12,1

Prodotti petroliferi

57,3 -1,8

57,27 59,35

3,6 5,02 5,29 5,5

Fonti rinnovabili

34,7

34,67

-6,9

32,26

gen-dic 2014

var. %

2014 2014/13

2,5

2015

var. %

2,63

2015 dicembre

2,04

-22,3

di cui: idroelettrico

13,1 10,2

13,11 9,85

altre rinnovabili

21,6 -1,7

21,56 22,42

4,0 1,72 1,60 -7,0

165,97 170,62

2,8 15,94 16,38 2,7

310.535

1,5

TOTALE

166,0 -4,1

Elettricità richiesta sulla rete (GWh) 310.535

-2,5

315.234

-24,9 0,91

25.652

0,45 -51,1

25.818

0,6


82

Dall’OsservatorioenergiaAIEE

La domanda di energia in Italia nel 2015: si interrompe un decennale

ciclo negativo

messe per un consolidamento nel 2016. Tenendo conto della componente climatica e dei giorni lavorativi in meno rispetto al 2014, l’incremento dei consumi di energia è stato però meno accentuato. Il quadro complessivo delle fonti primarie nel 2015 è stato caratterizzato da un netto recupero della quota del gas naturale, che si è collocata al 32,4 per cento contro il 30,6 del 2014, un lieve recupero del petrolio al 34,8 per cento contro il 34,5 dell’anno precedente, e da un ridimensionamento del ruolo delle rinnovabili, al 18,9 per cento rispetto al 20,9 del 2014. Il peso specifico dei combu-

stibili solidi è sceso sotto l’8 per cento, mentre le importazioni nette di elettricità sono salite al 6 per cento. Il gas naturale ha trainato l’aumento dei consumi complessivi con una variazione del 9 per cento e punte a due cifre, sostenuto in particolare dalla domanda del settore termoelettrico (più 16,6 per cento) e dal recupero della domanda per usi civili (più 9,6 per cento). La domanda industriale, su base annua, ha registrato una variazione negativa del 3,1 per cento, compatibile con il nuovo modello di sviluppo del settore, con un ruolo ridotto per le produzioni energy intensive.

Il petrolio, dopo le incertezze dei primi tre mesi, ha imboccato un netto sentiero di recupero collegato alla ripresa economica e alle riduzioni dei prezzi dei prodotti finiti, anche se attenuate dalla forte fiscalità. L’aumento su base annua è stato pari al 3,6 per cento. La domanda è stata sostenuta non solo dal settore dei trasporti, che comunque rimane il più importante, ma anche dalla petrolchimica (più 26,3 per cento), a conferma dell’entità del cambiamento di clima economico. Nel 2015 le fonti rinnovabili, protagoniste degli ultimi anni, hanno complessivamente perso terreno a causa

Variazioni % cumulate della domanda di energia sullo stesso periodio dell’anno precedente Fonte: Osservatorio energia AIEE

4

2

0

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2015

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-8


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della sensibile riduzione dell’apporto idroelettrico, soggetto a forte variabilità lungo l’intero corso dell’anno. Il bilancio delle altre rinnovabili è stato invece positivo, con un incremento complessivo del 4 per cento determinato da un aumento dell’eolico nella misura del 9,6 per cento e del fotovoltaico nella misura del 2,3 per cento, influenzata dalla riduzione degli incentivi. I combustibili solidi hanno registrato una riduzione dell’1,3 per cento, sensibilmente inferiore a quella dell’anno precedente, pur in presenza di persistenti difficoltà dell’industria siderurgica. Nel 2015 la domanda elettrica è aumen-

tata, in termini grezzi, dell’1,5 per cento rispetto al 2014; si tratta di un incremento inferiore a quello dell’energia in complesso, in conseguenza della profonda trasformazione del tessuto produttivo provocata dalla crisi e, in misura minore, dalla maggiore efficienza delle apparecchiature. L’evoluzione dei consumi elettrici è risultata abbastanza in sintonia con l’andamento dell’indice della produzione industriale ISTAT (IPI, disponibili fino a novembre 2015) che è aumentato dell’1,1 per cento. La parte non spiegata è attribuibile alla richiesta, più vivace, del settore domestico e terziario. Per quanto riguarda gli impieghi di

combustibili per la produzione termoelettrica, il 2015 è stato un anno di sensibile cambiamento rispetto al 2014: i consumi di gas naturale sono infatti aumentati del 16,6 per cento, quelli di rifiuti, biomasse e altri prodotti dell’8,5 per cento; per contro, nonostante il sensibile calo dei prezzi, gli impieghi di prodotti petroliferi sono diminuiti del 3,6 per cento e quelli del carbone di un marginale 0,2 per cento. Le iniziative per la riduzione delle emissioni di CO2 e per contenere gli effetti dell’impatto dei rifiuti sul territorio sono dietro le scelte, in qualche caso obbligate, degli operatori del settore.

Variazioni % cumulate mensili della domanda di petrolio sullo stesso periodio dell’anno precedente Fonte: Osservatorio energia AIEE

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dallaBorsaElettrica

a cura di Energy Advisors

Gli indici dell’IPEX

nel IV trimestre 2015

L’ANDAMENTO SU BASE TRIMESTRALE DELLA BORSA ELETTRICA ITALIANA (IPEX) ATTRAVERSO I PRINCIPALI INDICATORI STATISTICI

Andamento indice Energy Advisors

Grafico 1

200 189,4

180 168,6

160 140

190,4

179,2

175,5

167 160

159 153,8 139,6

138,2 123,3

120

135,4

142,9

130,5

133,7

123,8

131

145

124

117,3 107,8 96,6

80

128,3

120,7

123,1

122,9

100

129 132

104,9 101,5

119,8 103,8

108,4

98,2 88,5

91,8

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107,2

90,5 85,7

38,4

60

2004

2005

2006

2007

2009

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2011

2012

Prezzi medi IPEX: ore piene

2013

2014

2015

Grafico 2

€/MWh

100 90 80 70 60 50 40 NuOVA ENERGIA 1-2016

Gli elementi salienti dell’ultimo trimestre 2015 sono rappresentati sostanzialmente da un inizio di ripresa della domanda e da un andamento contrastante dei prezzi, influenzati da due fattori contrapposti. Per quanto riguarda la domanda, a prima vista sembra non in crescita, ma in caduta, perché sul trimestre precedente abbiamo una contrazione del 6,24 per cento, un dato che però esprime solo un andamento stagionale dei consumi. L’estate del 2015 è stata infatti caratterizzata da temperature particolarmente elevate, con una conseguente impennata dei carichi sulla rete. Appare fisiologico che al venir meno del condizionamento con la stagione autunnale, ci sia una flessione della domanda.

2008

30 20 10 0 Ottobre

Novembre

Dicembre


85

Andamento orario prezzi IPEX e quantità Sistema Italia Grafico 4 [lunedì-venerdì] Prezzi IPEX

MW

Quantità SISTEMA ITALIA €/MWh

45.000

90 80

40.000

60

35.000

50 40

30.000

30 20

25.000

10 20.000

0

[sabato]

Grafico 5

40.000

70 65 60

35.000

55 50 45

30.000

40 35

25.000

30 25 20

20.000

[domenica]

Grafico 6

35.000

140

30.000

120

25.000

100

20.000

80

15.000

60

10.000

40

5.000

20

Prezzi medi IPEX: ore vuote 80 70 60 50 40

Nuova Energia 1-2016

30 20 10 0 Novembre

Dicembre

dalle 23 alle 24

dalle 22 alle 23

dalle 21 alle 22

dalle 20 alle 21

dalle 19 alle 20

dalle 18 alle 19

dalle 17 alle 18

dalle 16 alle 17

dalle 15 alle 16

dalle 14 alle 15

dalle 13 alle 14

dalle 12 alle 13

dalle 11 alle 12

dalle 10 alle 11

dalle 8 alle 9

Grafico 3

�/MWh

Ottobre

dalle 9 alle 10

dalle 7 alle 8

dalle 6 alle 7

dalle 5 alle 6

dalle 4 alle 5

dalle 3 alle 4

dall’1 alle 2

0 dalle 2 alle 3

0 dalle 00 all’1

Più significativo, sotto il profilo congiunturale, il confronto con il IV trimestre del 2014, rispetto al quale la domanda sale del 4,11 per cento. Non vi sono particolari ragioni climatiche che possano motivare questo incremento, anzi l’autunno scorso è stato caratterizzato da temperature superiori alle medie stagionali, elemento che ha frenato la crescita della domanda, interamente riconducibile quindi ad un più elevato livello dell’attività produttiva. Abbiamo pertanto una conferma che l’Italia sta uscendo dalla lunga recessione iniziata con il secondo trimestre del 2008, prima ancora che precipitasse la crisi economicofinanziaria su scala globale, esplosa nella tarda estate di quell’anno e il cui inizio può essere simbolicamente ricondotto al fallimento della Lehman Brothers. Quanto ai prezzi, sono risultati in discesa del 6,24 per cento sul III trimestre, ma in aumento del 16,96 per cento su quelli del 2014. Su questo versante hanno agito, come dicevamo, due spinte diverse. Verso la discesa ha giocato la progressiva diminuzione dei prezzi del gas, un percorso che si è via via accentuato e che ha assunto dimensioni particolarmente significative tra gennaio e febbraio 2016, quando le quotazioni sul

70


86

dallaBorsaElettrica

Gli indici dell’IPEX

nel IV trimestre 2015

Le fasce dei prezzi IPEX [lunedì-venerdì]

Grafico 7

€/MWh

90 80 70 60 50 40 30 20 10

Rapporto prezzi/fascia 1 ottobre - 31 dicembre 2015

dalle 23 alle 24

Tabella 1

IPEX

F1 F2 F3

€/MWh

64,01 58,81 43,54

su F3

1,47

Peak – off peak prices

1,35

1

ore piene

ore vuote

€/MWh

63,97 45,82

su Ore vuote

1,40

1,00

Min/max prezzi 1 ottobre - 31 dicembre 2015

€/MWh min

Tabella 2 €/MWh max

min/max

min/media

F1

41,85

120,00

34,87% 65,38%

F2

33,97

101,22

33,56% 57,76%

F3

22,05

79,00

27,91% 50,64%

Prezzo medio

36,63

76,52

47,88% 66,15%

Scostamenti prezzi da media 1 ottobre - 31 dicembre 2015

Tabella 3

F1 F2 F3 Totale

Ore con prezzo < 20% alla media

146 89 136 371

% ore

20,74% 17,38% 13,70% 16,79%

% volumi

19,23% 15,22% 12,58% 15,84%

Ore con prezzo < 30% alla media

28

37

47

112

% ore

3,98% 7,23% 4,73% 5,07%

% volumi

3,51% 6,34% 4,39% 4,53%

Nuova Energia 1-2016

PSV sono scese a 14 euro/MWh. In senso opposto hanno giocato sia la scarsa idraulicità degli ultimi mesi del 2015, sia la minore insolazione, per banali ragioni stagionali. Abbiamo avuto quindi una contrazione della produzione idroelettrica rispetto al 2013 e al 2014 (anche se siamo sulla media degli ultimi vent’anni) e un minore apporto del fotovoltaico. Questi due fattori insieme hanno ridato spazio al termoelettrico, con un conseguente sostegno ai prezzi. L’effetto di queste dinamiche è plasticamente rappresentato nel Grafico 4, nel quale si vede come la curva dei prezzi nelle ore centrali della giornata, quando normalmente maggiore è l’apporto delle rinnovabili, approssimi maggiormente la curva della domanda rispetto ai trimestri precedenti, e si muova quindi in una logica più rispondente ai fondamentali di mercato e meno condizionata dalle distorsioni degli incentivi. Prezzo dell’energia quindi relativamente più alto, ma bolletta finale meno cara, perché alleggerita nella componente A3 (sostanzialmente incentivi alle rinnovabili) e per i consumatori è poi questo che conta.

dalle 22 alle 23

dalle 21 alle 22

dalle 20 alle 21

dalle 19 alle 20

dalle 18 alle 19

dalle 17 alle 18

dalle 16 alle 17

dalle 15 alle 16

dalle 14 alle 15

dalle 13 alle 14

dalle 12 alle 13

dalle 11 alle 12

dalle 10 alle 11

dalle 9 alle 10

dalle 8 alle 9

dalle 7 alle 8

dalle 6 alle 7

dalle 5 alle 6

dalle 4 alle 5

dalle 3 alle 4

dalle 2 alle 3

dall’1 alle 2

dalle 00 all’1

0


I

LA SCUOLA IN BOLLETTA 2.0

UNA NUOVA PROPOSTA DIVULGATIVA SUI TEMI DELL’EFFICIENZA ENERGETICA

L’AULA IN CLASSE A VAL BENE TRE LIM! Nel febbraio 2011 l’Unione Europea ha varato il progetto School of the future. Finanziato nell’ambito del VII Programma Quadro, prevedeva una durata di 60 mesi (dovrebbe quindi essersi ufficialmente concluso in questi giorni...) e aveva stabilito il seguente obiettivo: “Creare, dimostrare e rendere pubbliche le opportunità per la costruzione di

scuole con elevate prestazioni energetiche, con quattro scuole riqualificate dimostrative in tutta Europa, ubicate in situazioni climatiche differenti (in Danimarca, Germania, Italia e Norvegia). Le finalità sono, per così dire, del tutto allineate con quelle della Scuola in bolletta, anche se il confronto tra un programma comunitario da 4,9 milioni di euro e la nostra piccola iniziativa editorialedivulgativa può – a ragione – strappare un sorriso. Lo studio School of the future ha già prodotto risultati interessanti che possono essere consultati direttamente sul sito del progetto (www.school-of-the-future.eu). Uno, in particolare, colpisce: “Con un investimento inferiore a 100 euro per metro quadrato si può ottenere una

riduzione del 75 per cento nell’energia usata per il riscaldamento”. Vuol dire che per un’aula trilussiana di dimensioni medie (50-60 metri quadrati) secondo le valutazioni di School of the future basterebbero meno di 5-6 mila euro per una decisa svolta in termini di efficienza. Considerando il prezzo a listino di una LIM di quelle belle e di ultima generazione – oggi sembrano essere un must irrinunciabile per ogni classe e grado di studio – verrebbe da dire: “Con il costo di tre lavagne elettroniche posso ridurre a un quarto il fabbisogno termico di un’aula”. Ovviamente, una scuola non è fatta solo di spazi didattici che galleggiano nel vuoto: ci sono corridoi, atri, servizi igienici, laboratori, biblioteche, spazi comuni... Quindi i metri quadrarti crescono e anche le eventuali spese correlate.

Le stime della UE sono per altro forse un po’ troppo al risparmio, almeno per quanto riguarda il caso italiano. “Se si considera un intervento strutturale di efficienza energetica sugli edifici scolastici – precisano gli esperti di RSE – operando cioè una riqualificazione dell’intero sistema edificio-impianto, nell’ipotesi di conseguire l’obiettivo NZEB (riduzione all’80 per cento del fabbisogno energetico di partenza) mediamente vanno considerati costi nell’ordine di 250/300 euro/m2. Va precisato, a tal proposito, che il Conto Termico riconosce un costo massimo ammissibile di 500 euro/m2 ”. “Se, viceversa, si considera di fare interventi di efficienza energetica sul solo impianto e sul sistema di regolazione, l’importo di 100 euro è più ragionevole, in quanto il valore di riferimento è di circa 150 euro/m2 (160 euro/m2 per il Conto Termico)”. Il pregio dello studio europeo è comunque quello di fornire un ordine di grandezza, una sorta di “preventivo” di massima. È la dimostrazione che, certo, occorre investire e non si tratta di spiccioli, ma le cifre in gioco non sono necessariamente proibitive o insostenibili. E proprio di efficacia termica, declinata in vari aspetti, parla questo primo numero del 2016 della Scuola in bolletta.

IN QUESTO NUMERO NUOVA ENERGIA 1-2016

Che emozione, inizia un nuovo anno di scuola Anche la Franciacorta si iscrive alla scuola in bolletta Facciamo di conto con il Conto Termico La pompa di calore supera l’esame “efficienza” I gemelli diversi

Davide Canevari Davide Alberti Marco Borgarello Francesco Madonna Marco Borgarello

II III IV-V VI-VII VII-VIII


II LA SCUOLA IN BOLLETTA 2.0

CHE EMOZIONE, INIZIA UN NUOVO ANNO DI SCUOLA! di Davide Canevari

Può sembrare un’affermazione un po’ fuori tempo, considerando il calendario: siamo quasi in primavera e non all’inizio dell’autunno! La nostra, però, è una scuola particolare. Stiamo infatti parlando della proposta divulgativa lanciata a inizio 2015 da Nuova Energia per la promozione dei temi dell’efficienza energetica applicata all’edificio scuola. Con questo numero, l’iniziativa entra nel suo secondo anno di vita (scolastica). Giusto dodici mesi fa la rubrica debuttava, “entrando in punta di piedi” all’interno del patrimonio dell’edilizia scolastica italiana (quasi 50 mila edifici, per intenderci), facendo una prima analisi dell’ABC dei consumi e delle macro voci di spesa che incidono sulle bollette elettriche e termiche su scala nazionale. Poi – per rendere più concreto e propositivo il progetto – grazie alla sinergica collaborazione con la multiutility LGH e con RSE abbiamo selezionato un panel di “scuole-campione” presenti in una porzione di territorio della Lombardia, procedendo ad una prima analisi dei loro fabbisogni e consumi energetici. Si è anche dato voce ai diretti interessati – studenti dalla III elementare alla III superiore – con l’obiettivo di capire come, dai banchi di scuola, è “visto” il mondo dell’energia e soprattutto quanta consapevolezza c’è sul fatto che le “quattro mura” all’interno delle quali si trascorre buona parte della giornata sono un soggetto altamente energivoro. Il passo successivo è stato quello di entrare fisicamente (con tanto di termocamere) in alcuni istituti scolastici, per studiare la situazione sul campo.

La scuola in bolletta ha anche scelto di presentare alcuni casi virtuosi di strutture in Classe A, recentemente costruite o ristrutturate in giro per l’Italia, a conferma che il salto di qualità si può effettivamente fare. E veniamo al 2016. L’obiettivo adesso è quello di approfondire e completare la raccolta dei dati, di elaborare un quadro e un modello della situazione generale (lo stato dell’arte del patrimonio di edilizia scolastica nel territorio preso in esame) e di definire alcune indicazioni alternative per un possibile intervento di efficientamento. Nello spirito della proposta (che fin dall’inizio si è voluto connotare con l’aggettivo divulgativa) tutte le tracce raccolte saranno poi messe a disposizione del corpo docenti e degli studenti. Giusto per non parlare sempre e solo in astratto dei massimi sistemi dell’energia...

NUOVA ENERGIA 1-2016


III

ANCHE LA FRANCIACORTA SI ISCRIVE ALLA SCUOLA IN BOLLETTA di Davide Alberti | direttore generale Linea Energia

Cosa ci riserverà questo 2016? Spetta a me il compito di rappresentare che cosa accadrà durante quest’anno al nostro progetto La scuola in bolletta e di traguardare anche alcune aspettative. Con vigore posso senza ombra di dubbio confermare l’impegno di LGH (con i partner storici) allo sviluppo del progetto, giunto ormai in una piena fase operativa e molto concreta. La buona notizia, di queste settimane, riguarda l’ampliamento territoriale del progetto stesso, con l’adesione del territorio della Franciacorta attraverso la significativa collaborazione della Fondazione Cogeme Onlus. L’accrescersi del numero degli istituti coinvolti nell’iniziativa, oltre a dare una maggiore “oggettività” ai risultati ottenuti, rappresenta in modo evidente l’interesse che sta suscitando l’argomento. È una bella conferma e un altrettanto significativo sprone ad andare avanti. Lo scorso anno ho incontrato il professor Gabriele Archetti – presidente della Fondazione Cogeme – ad un convegno nella sede dell’Expo: ci siamo piaciuti

Davide Alberti, direttore generale Linea Energia

Gabriele Archetti, presidente della Fondazione Cogeme

subito, pur essendo molto diversi. Un colto professore di storia medioevale e un ingegnere nucleare si sono trovati a chiacchierare su un tema comune, e quel tema era proprio La scuola in bolletta. Da allora sono passati alcuni mesi, durante i quali si sono definiti gli ambiti di un processo comune che ha visto ora l’adesione del territorio della Franciacorta.

Nel frattempo, stiamo progettando l’evento 2016 a Rimini perché possa diventare un appuntamento fisso di sintesi e di confronto, dopo i più che positivi riscontri dello scorso anno. Ma non è tutto. Si sta pensando già, insieme a RSE, al modo con cui poter intervenire in particolari Istituti, individuati quali maggiormente significativi e interessanti... Ma questo accadrà nel 2017.

La Fondazione al servizio del territorio_Layout 1 03/08/2015 18:07 Pagina 1

FONDAZIONE COGEME, UNA ONLUS DA DIECI IN PAGELLA Origine

Profilo

Finalità

ambientale, energetico, sociale,

Cogeme Onlus è una Fondazione Fondazione Cogeme Onlus è stata fondata nel 2002 da Cogeme Spa (www.cogeme.net), una delle prime Società per Azioni dei Comuni in Italia, nata nel 1970 per metanizzare la Franciacorta, nel 2006 costituisce insieme ad altre utilities lombarde Linea Group Holding (www.lgh.it)

Fondazione Cogeme Onlus è nata per scopi di solidarietà sociale a favore dei territori di riferimento. Sviluppa progetti di carattere ambientale, energetico, sociale, educativo e culturale secondo il modello dell’economia circolare

Fondazione Cogeme Onlus promuove in ogni forma il tema della qualità della vita, favorendo progettualità diffuse sul territorio in sinergia con le comunità locali, il mondo dell’associazionismo, le realtà produttive e le istituzioni

operativa nata per scopi di solidarietà

educativo e culturale secondo il modello

sociale a favore del territorio. È stata

dell’economia circolare. Promuove in

fondata da Cogeme, società a totale

ogni forma il tema della qualità della

capitale pubblico, costituita da 69 enti

vita, favorendo progettualità diffuse sul

Via XXV Aprile, 18 - 25038 Rovato (Brescia - Italy) tel. +39.030.7714643 - fax +39.030.7714374 segreteria.fondazione@cogeme.net PEC: fondazione.cogeme@legalmail.it http://fondazione.cogeme.net

ff Fondazione Cogeme Onlus T FondCogeme Y

NUOVA ENERGIA 1-2016

locali bresciani e bergamaschi. A servizio delle comunità La Fondazione non ha scopo di lucro e sviluppa progetti di carattere

Rovato

Lodi

Crema

Pavia

Cremona

territorio in sinergia con le comunità locali, il mondo dell’associazionismo, le . . . AMBIENTE

C U LT U R A

realtà produttive e le istituzioni.

FORMAZIONE

S V I LU P P O S O S T E N I B I L E


IV LA SCUOLA IN BOLLETTA 2.0

FAR DI CONTO CON IL CONTO TERMICO di Marco Borgarello | RSE

energetica: proprio le Pubbliche Amministrazioni, in virtù del valore esemplare che esercitano, dovranno contribuire in modo significativo al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei consumi energetici previsti per il nostro Paese. In tal senso, il Conto Termico appare particolarmente “utile” proprio per il settore dell’istruzione che, oltre a rappresentare un potenziale di efficientamento di tutto rilievo (circa 45.000 edifici), più di altri comparti può cogliere questa tipologia di incentivi per l’efficienza energetica come “una leva moltiplicativa”. Questo significa poter mettere in cantiere interventi, non solo in grado di ridurre i consumi, e quindi partecipare a ridurre i costi di gestione, ma anche migliorare il funzionamento, il decoro e la sicurezza dell’edificio stesso. Quale è dunque l’anima vera di questo provvedimento? Essere lo strumento per dare avvio a progetti di qualità, che siano in grado di integrare e risolvere molti dei problemi strutturali. Infatti, il nuovo Conto Termico non solo riconosce, per gli interventi che consentono di raggiungere i requisiti di edificio a consumo quasi zero (NZEB), il 65 per cento delle spese sostenute, pur nei limiti di spesa previsti dal decreto; ma incentiva anche semplici interventi di isolamento dell’involucro opaco (muri e

coperture) e trasparente (sostituzione finestre), caldaie a condensazione, sistemi efficienti di illuminazione, e altri fino al 40 per

CHI PUÒ ACCEDERE E COME Il meccanismo di incentivazione è rivolto a due tipologie di soggetti – le amministrazioni pubbliche e i soggetti privati – entrambi relativamente alla realizzazione di uno o più interventi definiti dal decreto. Ai fini dell’accesso degli incentivi i soggetti ammessi possono avvalersi dell’intervento di una ESCO mediante la stipula di un contratto EPC nei termini definiti dal decreto.

processo di riqualificazione energetica delle strutture pubbliche nazionali, missione che è

Ai fini dell’accesso agli incentivi di cui al presente decreto, il

sempre stata nei suoi obiettivi. D’altra parte, ben chiari sono anche gli auspici della Commissione Europea, e più nel dettaglio della Direttiva 2012/27 sull’efficienza

la scheda-domanda, resa disponibile dallo stesso GSE

soggetto responsabile presenta domanda al GSE attraverso tramite il PortalTermico.

NUOVA ENERGIA 1-2016

Lo scorso 27 gennaio il Ministro Guidi ha firmato il decreto di aggiornamento del Conto Termico, che è finalizzato a promuovere l’efficienza energetica e le rinnovabili termiche, mettendo a disposizione ogni anno per la pubblica amministrazione 200 milioni di euro in termini di incentivi. Il testo definitivo non è ancora stato pubblicato (al momento di andare in stampa, n.d.r.) in attesa che si completi l’iter approvativo. Occorre quindi attendere per una valutazione di dettaglio, ma molte indiscrezioni ne fanno già cogliere lo spirito. È ad esempio ben chiaro a che cosa serve: favorire il


V

INTERVENTI INCENTIVABILI: C’È SOLO L’IMBARAZZO DELLA SCELTA Sono incentivabili, alle condizioni e secondo le modalità definite dal decreto nei diversi allegati, i seguenti interventi

di incremento dell’efficienza energetica in edifici esistenti, parti di edifici esistenti o unità immobiliari esistenti di qualsiasi categoria catastale, dotati di impianto di climatizzazione:

3 isolamento termico di superfici opache delimitanti il volume climatizzato;

3 sostituzione di chiusure trasparenti comprensive di infissi delimitanti il volume climatizzato;

3 sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti di climatizzazione invernale utilizzanti generatori di calore a condensazione;

3 installazione di sistemi di schermatura e/o

ombreggiamento di chiusure trasparenti con

esposizione da Est-Sud-Est a Ovest, fissi o mobili, non trasportabili;

3 trasformazione degli edifici esistenti in “edifici a energia quasi zero”;

3 sostituzione di sistemi per l’illuminazione d’interni e delle pertinenze esterne degli edifici esistenti con sistemi efficienti di illuminazione;

3 installazione di tecnologie di gestione e controllo

automatico (building automation) degli impianti termici

di sistemi per la contabilizzazione del calore nel caso di impianti con potenza termica utile superiore a 200 kW;

3 sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti o di riscaldamento delle serre e dei fabbricati rurali esistenti con impianti di climatizzazione invernale dotati di

ed elettrici degli edifici, ivi compresa l’installazione di

generatore di calore alimentato da biomassa,

sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore.

unitamente all’installazione di sistemi per la contabilizzazione del calore nel caso di impianti con potenza termica utile

Sono incentivabili, alle condizioni e secondo le modalità definite dal decreto nei diversi allegati i seguenti interventi di piccole dimensioni di produzione di energia termica da fonti rinnovabili e di sistemi ad alta efficienza in

superiore a 200 kW;

3 installazione di impianti solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria e/o ad integrazione dell’impianto di climatizzazione invernale, anche abbinati

edifici esistenti, parti di edifici esistenti, unità immobiliari

a sistemi di solar cooling, per la produzione di energia

esistenti di qualsiasi categoria catastale, dotati di impianto di

termica per processi produttivi o immissione in reti di

climatizzazione:

teleriscaldamento e teleraffreddamento. Nel caso di superfici del campo solare superiori a 100 metri quadrati è richiesta

3 sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti di climatizzazione invernale, anche combinati per la produzione di acqua calda sanitaria, dotati di pompe di calore, elettriche o a gas, utilizzanti energia aerotermica, geotermica o idrotermica, unitamente all’installazione

NUOVA ENERGIA 1-2016

cento delle spese sostenute e anche di più, fino 50-55 per cento in specifiche condizioni. E poiché per essere efficace il meccanismo deve essere user friendly, oltre ad una generale semplificazione, è stato fatto un intervento di manutenzione straordinaria alla procedura di

l’installazione di sistemi di contabilizzazione del calore;

3 sostituzione di scaldacqua elettrici con scaldacqua a

pompa di calore;

3 sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con sistemi

ibridi a pompa di calore.

prenotazione (che nella versione precedente aveva creato non pochi problemi alle amministrazioni), consentendo l’accesso con modalità nuove che prevedono anche un anticipo dell’incentivo all’avvio dei lavori e il saldo alla conclusione degli stessi. Non ci resta dunque che aspettare, ma chi ben comincia...


VI LA SCUOLA IN BOLLETTA 2.0

LA POMPA DI CALORE SUPERA L’ESAME “EFFICIENZA” di Francesco Madonna | RSE

L’inefficienza non è una strada senza via di uscita. Appurato che nel complesso il patrimonio dell’edilizia scolastica italiana è piuttosto “sbadato” in termini di consumi energetici – e siamo sicuramente indulgenti con un giudizio del genere – esistono oggi numerose opzioni tecnologiche in grado di migliorare la situazione, anche in maniera radicali. Spesso si tratta di soluzioni consolidate, ampiamente diffuse sul mercato e che non richiedono necessariamente investimenti milionari. È il caso della pompa di calore. La pompa di calore è un’apparecchiatura in grado di rigenerare

con un input energetico ridotto il calore catturato da una sorgente a bassa temperatura, rendendolo idoneo a riscaldare un ambiente a temperatura più elevata. La presenza della pompa di calore in Italia è principalmente legata alla sua versatilità, che consente l’erogazione del doppio servizio, di riscaldamento e di condizionamento, con un solo apparecchio. Ciò comporta un indubbio vantaggio, che accompagnandosi ai risparmi attesi sui costi di esercizio, possibili grazie alla sua efficienza energetica, la rendono un dispositivo di sicuro interesse per la climatizzazione di buona parte degli edifici situati sul territorio nazionale.

Pompa di calore reversibile con funzionamento invernale (sopra) ed estivo (sotto)

Energia

Calore riversato all’ambiente interno

Pompa di calore

Calore prelevato dall’ambiente esterno

Energia

Calore sottratto all’ambiente interno

Pompa di calore

Calore riversato all’ambiente esterno

In modalità riscaldamento, come illustrato in Figura 1, una pompa di calore cattura il calore all’esterno (dall’aria, dalle acque superficiali o di falda, dal terreno) e lo scarica all’interno dell’edificio. Le macchine reversibili, grazie alla possibilità di inversione del ciclo, possono funzionare anche in raffrescamento, in questo caso il calore viene prelevato dall’interno dell’edificio e trasferito all’aria esterna, all’acqua o al terreno. L’efficienza è una delle doti principali delle pompe di calore. Si è soliti quantificare l’efficienza di un apparecchio come il rapporto tra l’effetto utile e l’energia spesa per ottenere tale effetto. Poiché in modalità riscaldamento l’effetto utile è rappresentato dall’energia termica fornita, mentre in raffrescamento è l’energia termica sottratta all’ambiente climatizzato, si utilizzano due indicatori differenti: rispettivamente il COP (Coefficient Of Performance) e l’EER (Energy Efficiency Ratio). Per fare un paragone, nei nostri climi, è normale avere installazione con COP superiori a 3; questo vuol dire un consumo di energia

primaria più che dimezzato rispetto a una caldaia tradizionale. Oggi sul mercato troviamo una grande varietà di prodotti consolidati, che originano in gran parte da tre poli di aggregazione industriale: quello asiatico (Giappone, Corea e Cina), quello statunitense e quello europeo, all’interno del quale, per numero di aziende e volumi produttivi, spicca l’industria italiana. E se nel corso degli anni gli sforzi dei costruttori si sono concentrati sul miglioramento tecnologico dei prodotti, dando vita a macchine con prestazioni più vicine a quelle teoriche, è rimasto compito di progettisti, installatori e gestori fare in modo che i fattori impiantistici non


VII

I GEMELLI DIVERSI di Marco Borgarello | RSE

Quanta energia consuma una scuola per il riscaldamento?

La scuola Antonietti di Iseo utilizza una pompa di calore geotermica da 109 kW dedicata alla palestra e agli spogliatoi, con sistema a circuito aperto, che fa ricorso al calore dell’acqua emunta dalla falda e re-immessa nella stessa

siano di pregiudizio al loro regolare funzionamento. Ciò si ottiene attraverso quattro accorgimenti:

Installazioni di pompe di calore in edifici scolastici cominciano a diffondersi anche nel nostro Paese. La scuola

3 il dimensionamento corretto; 3 la scelta della sorgente

Antonietti di Iseo ne è un esempio. In particolare, in questo istituto è presente una pompa di calore geotermica da 109 kW dedicata alla palestra e agli spogliatoi. L’interesse per la sorgente geotermica nasce dalla possibilità di ottenere prestazioni estremamente elevate grazie allo sfruttamento del calore naturale del terreno. Si è soliti suddividere tali impianti in due categorie: sistemi a circuito aperto, che fanno ricorso al calore dell’acqua emunta dalla falda e reimmessa nella stessa (come il caso della scuola Antonietti) e sistemi a circuito chiuso, che estraggono calore direttamente dal terreno mediante un complesso di sonde inserite nel terreno, sviluppate in senso verticale o orizzontale, le quali costituiscono il cosiddetto “campo geotermico”. Entrambi i sistemi presentano vantaggi e svantaggi e la scelta è da farsi in maniera ragionata in funzione dei costi e delle caratteristiche del terreno e della falda.

termica più idonea;

3 l’osservanza delle specifiche

di installazione;

3 l’adozione di modalità di

gestione appropriate.

Solo così le pompe di calore potranno funzionare nelle migliori condizioni operative, cioè per la maggior parte del tempo il più vicino possibile a quelle per le quali sono state costruite, conseguendo il duplice risultato di minimizzare i consumi e conseguire il tornaconto economico per l’utilizzatore. La pompa di calore però non significa solo “più efficienza e minori consumi”. La Direttiva Europea 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili considera infatti rinnovabile anche l’energia catturata dalle pompe di calore, qualificandola come contributo ammissibile al raggiungimento degli obbiettivi nazionali.

È una domanda semplice solo in apparenza, alla quale è tuttavia impossibile rispondere in assenza di qualche ulteriore elemento. Sarebbe come domandarsi chi è l’assassino di un libro giallo senza neppure aver sfogliato le prime pagine, senza sapere dove è ambientato e chi sono i personaggi principali. Non può certo essere sempre stato il maggiordomo! Abbiamo quindi posto

direttamente questa domanda all’Istituto tecnico Antonietti di Iseo – entrando nelle sue aule, visitando i suoi spazi comuni, studiandone la planimetria – proprio per raccogliere il maggior numero possibile di indizi prima di dare una risposta. L’edificio si trova in zona climatica E ed è composto da due corpi: una prima parte costruita tra il 1987 e il 1993, e l’altra più recente, costruita tra il 2002 e il 2003. Realizzato su tre livelli fuori terra accoglie circa 1.400 studenti. Mediamente i circa 8.600 metri quadrati di superficie netta sono riscaldati da lunedì a sabato, per 8 ore giornaliere, dal 15 ottobre al 15 aprile, con esclusione dei periodi di chiusura per festività e vacanze, secondo il calendario scolastico.

Complessivamente sono stati considerati 136 giorni. Assumendo che la temperatura di set point all’interno dei locali sia di 23 °C per otto ore al giorno, è stato stimato che la scuola consuma ogni anno, per il solo riscaldamento, circa 74.300 metri cubi di gas. A questi risultati si è giunti facendo riferimento ad un programma di calcolo sviluppato da RSE nell’ambito delle attività della Ricerca di Sistema (RdS), che implementa la procedura descritta nella norma UNI EN ISO 13790:2008.


VIII LA SCUOLA IN BOLLETTA 2.0

L’ESPERIENZA DELLA SCUOLA ANTONIETTI DI ISEO DIMOSTRA COME DUE EDIFICI CONTIGUI, DESTINATI AL MEDESIMO IMPIEGO (LA FORMAZIONE) MA REALIZZATI CON DIFFERENTI SOLUZIONI PROGETTUALI E TECNOLOGICHE, POSSANO AVERE LIVELLI DI CONSUMO PROFONDAMENTE DIVERSI, CON PUNTE DEL 50 PER CENTO. DETERMINANTI SONO ANCHE I COMPORTAMENTI DEGLI STUDENTI

Mediamente, la parte di più recente costruzione consuma per ogni metro quadrato circa 55,3 kWh, mentre la parte più datata è assai meno risparmiosa, con un valore di circa 82 kWh/m2. Quest’ultimo risulta essere un dato in media con le scuole dell’area. Ma è un altro il valore su cui vale la pena porre l’attenzione. Tra il giovane e il vecchio si rileva una differenza di ben 26,7 kWh. In termini percentuali l’edificio meno virtuoso consuma quasi il 50 per cento in più; e i due corpi sono realizzati uno a fianco dell’altro! Nell’ambito della simulazione è stato anche effettuato uno studio di sensibilità per valutare l’impatto di alcuni più importanti parametri, sul calcolo dei fabbisogni. Curioso è notare – ad esempio – quanto possono incidere, da un punto di vista energetico, i comportamenti assunti dagli studenti. Aprire o chiudere la finestra nelle classi, con maggiore e minore frequenza rispetto alle prescrizioni normalmente previste per i ricambi d’aria (nella fattispecie, vale il Decreto 5796 del 11/06/2009 della Regione Lombardia) può portare a consumi significativamente diversi da quelli calcolati.

Andamento stagionale dei fabbisogni energetici per riscaldamento della scuola Antonietti. In blu la parte vecchia e in verde la parte nuova Fabbisogno di riscaldamento kWh

Edificio 1

Edificio 2

90.000 80.000 70.000 60.000 50.000 40.000 30.000 20.000 10.000 0 Mesi Anno

1

3

5

7

Se ad esempio gli studenti non aprissero mai le finestre , il consumo si ridurrebbe di circa il 40 per cento; viceversa, se fossero calorosi – anche per via di una cattiva regolazione termica e non solo per una questione comportamentale – aprendo le finestre

9

11

il doppio delle volte... la scuola dovrebbe mettere in conto di pagare il doppio della bolletta. Quindi, ancora una volta appare chiaro che il miglior combustibile è quello che non si consuma.

I DUE EDIFICI A CONFRONTO

Anno di costruzione Superficie netta zona termica [m2] Volume netto zona termica [m3]

EDIFICIO 1

EDIFICIO 2

1987-1993

2002-2003

4.860

3.765 13.805

683

686

Numero giorni accensione riscaldamento

136

136

Ore giornaliere accensione riscaldamento con temperatura di set point 23 °C

8

8

Ore giornaliere attenuazione con temperatura di set point 17 °C

2

2

398.205,7

208.262,2

Fabbisogno riscaldamento annuale [kWh] Fabbisogno riscaldamento annuale [kWh/m2] Consumo annuale gas metano [m3]

81,9

55,3

48.799,7

25.522,3

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Nuova Energia entra nel suo quattordicesimo anno di vita. E lo fa dedicando un ringraziamento particolare ai tanti naviganti che anche lo scorso anno sono approdati sulle nostre pagine. Dall’esordio sul web, nel maggio 2003, il sito www.nuova-energia.com ha superato la soglia di 8,4 milioni di pagine visionate e di 2,2 milioni di visitatori. In un giorno lavorativo medio (febbraio 2016) sono oltre 900 i visitatori singoli e 3.500 le pagine visionate.

Questi risultati sono stati raggiunti grazie ai contenuti. Il sito web di Nuova Energia ospita un abstract degli articoli apparsi sulla versione cartacea della rivista, le pubblicazioni della casa editrice, l’archivio delle news aggiornate a cadenza quotidiana.

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codiciesentenze

a cura di Giovanni Battista Conte avvocato in Roma

La Regione Veneto ha emanato una nuova delibera per regolare la concessione di acque a scopo idroelettrico (DGR 1988/2015 pubblicata sul BUR del 15 gennaio 2016) la quale, oltre a balzare all’occhio perché chiaramente diretta a restringere la possibilità di ottenimento di un tale tipo di concessione, appare a prima vista anche foriera di plausibili vizi di legittimità delle limitazioni introdotte. Tale delibera premette alla novella normativa introdotta che, in base alla direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE anche detta WFD), gli Stati membri non violano le norme ivi stabilite quando “l’incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato a un buono stato di un corpo idrico superficiale sia dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano, purché ricorrano le seguenti condizioni: a) è fatto tutto il possibile per mitigare l’impatto negativo sullo stato del corpo idrico; b) le motivazioni delle modifiche o alterazioni sono menzionate specificamente e illustrate nel piano di gestione del bacino idrografico (...); c) le motivazioni di tali modifiche o alterazioni sono di prioritario interesse pubblico e/o i vantaggi per l’ambiente e la società risultanti dal conseguimento degli obiettivi (…) sono inferiori ai vantaggi derivanti dalle modifiche o alterazioni per la salute umana, il mantenimento della sicurezza umana o lo sviluppo sostenibile”. Partendo da tale presupposto, la Regione decide di limitare la possibilità di conferire nuove concessioni ad uso idroelettrico, così evidentemente chiarendo subito il vero illegittimo intento della deliberazione, ossia quello di ridurre il solo utilizzo dell’acqua a scopo idroelettrico. Appare chiaro che la disciplina comunitaria citata dalla stessa normativa riguarda qualsiasi intervento realizzato sui corpi idrici e non solo ed esclusivamente quello con finalità energetica, mentre la delibera trascura tutte le altre derivazioni per regolare, e in modo molto restrittivo, quelle idroelettriche. La probabile irragionevolezza della nuova normativa appare di maggior evidenza esaminando il merito delle limitazioni introdotte. In primo luogo si stabilisce che il rapporto fra tratto di corso d’acqua sotteso da derivazioni idroelettriche e lunghezza del medesimo non possa superare il coefficiente 0,7. Ebbene, sembra sinceramente evidente che una disposizione che intenda tutelare lo stato del corpo d’acqua non possa riferirsi soltanto ad un tipo di derivazione e non ad altre. Perché, o la sottrazione di acqua ad un corso d’acqua ha un effetto negativo, e allora l’effetto si produce indipendentemente dall’uso che si fa dell’acqua derivata, o invece la sottrazione produce un effetto che comunque può essere tollerato o magari compensato attraverso altri generi d’intervento, per cui anche in questo caso l’uso che si fa dell’acqua può essere considerato solo in un’ottica di valutazione complessiva dell’impatto. E ancora, la Delibera prevede che ciascuna opera di captazione per uso idroelettrico deve sottendere un bacino idrografico di estensione almeno pari a dieci chilometri quadrati, e mai inferiore, salvo specifica deroga che la Giunta regionale può autorizzare per la realizzazione di impianti compatibili con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle comunità locali interessate (sono previsti altri casi di deroga a tale divieto che non sembrano però di alcun interesse in questa sede). Anche questo limite, però, appare discutibile sul piano della sua legittimità. Esso si dimostra assolutamente slegato dalle previsioni che la direttiva quadro dispone in materia di tutela dei corpi idrici. La direttiva 2000/60/CE (e il dlgs 152/2006, che ne costituisce attualmente la trasposizione nel diritto interno) impone infatti che l’Amministrazione effettui un’indagine conoscitiva sui singoli corsi d’acqua per valutarne lo stato di qualità e indicare quindi le attività da effettuare e quelle permesse al fine di mantenere o migliorare detto stato. Secondo il metodo imposto a livello comunitario, insomma, prima si studia il corso d’acqua, caso per caso, e poi si disciplinano gli interventi. Viceversa, nella delibera in argomento si procede assolutamente in senso inverso, asserendo che i prelievi peggiorano lo stato di qualità e quindi sono vietati a prescindere dal quantitativo di acqua prelevata ed estensione del tratto sotteso. In pratica l’Amministrazione abdica al suo compito di studiare i singoli corsi d’acqua perché probabilmente troppo oneroso e risolve bloccando tutto; ponendo in essere quella che assomiglia tanto a una moratoria incondizionata delle derivazioni idroelettriche. Si ricorda che la Corte costituzionale ha più volte avuto modo di dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che realizzino moratorie, anche di fatto, degli impianti di produzione di energia rinnovabile. Appare del resto evidente che l’Amministrazione stia erroneamente prendendo in considerazione soltanto l’effetto cumulato delle derivazioni idroelettriche e non delle derivazioni in genere, giungendo addirittura ad affermare “che a fronte dell’impatto ecologico di tali derivazioni è scarsa l’importanza per la collettività della produzione idroelettrica che deriva da piccoli impianti”. Secondo la Regione, dunque, solo i grandi impianti possono trovare una giustificazione alla loro realizzazione, mentre quelli di modeste dimensioni non integrano un interesse pubblico tutelato. Ebbene, è ormai chiaro come la normativa – prima di tutto comunitaria – sia diretta invece allo scopo opposto, e ciò è dimostrato anche dalla politica economica disposta su base nazionale che incentiva maggiormente l’energia prodotta in impianti piccoli, per cui non sembra assolutamente peregrino dubitare della legittimità delle limitazioni introdotte.

Impianti

idroelettrici, dal Veneto

nuove restrizioni

Nuova Energia 1-2016


dossier smartenergy Nell’era del dopo Carosello, il mondo della pubblicità fa prestissimo a bruciare anche gli slogan più riusciti. Alcuni, tuttavia, rimangono per sempre nel linguaggio comune, ad anni di distanza dalla scadenza dei contratti tra testimonial e brand. No Martini, no party è sicuramente uno di questi. Senza scomodare George Clooney, oggi come oggi nel mondo dell’energia sembra imperare un solo spot, programmato a tutte le ore e a reti unificate: no smart no energy. Che si parli di utility o di programmi elettorali, di reti o di mobilità, di sistemi urbani o tecnologie, tutto sembra rigorosamente convertito alla filosofia smart. OK: marketing a parte, che cosa c’è di reale?

Anche quest’anno Nuova Energia ha deciso di dedicare il numero 2 all’approfondimento di questa complessa tematica. Come di consueto, saranno coinvolti nel dibattito istituti e centri di ricerca, università, associazioni imprenditoriali e di categoria, istituzioni. Oltre a queste voci, il dossier raccoglierà le esperienze delle più innovative aziende di settore. A queste il numero 2 | 2016 offre una prestigiosa vetrina e la possibilità di portare una testimonianza sotto forma di articolo, mini dossier o intervista, in alternativa ai classici spazi ADV.

IL NUMERO 2 | 2016 SARÀ IN DISTRIBUZIONE DAL 10 APRILE 2016 Per ricevere informazioni dettagliate su tempi, modalità e opzioni di questa iniziativa editoriale, scrivi alla redazione rivista@nuova-energia.com


organizzato da / organised by

global comfort technology

heating

cooling

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40^ Mostra convegno expocomfort 15-18 Marzo/March 2016

in collaborazione con / in cooperation with

www.mcexpocomfort.it

energy


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