TEME 7-8/2023

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RICCARDO BOND

SPECIALE

NUOVO CODICE APPALTI

QUARTO APPUNTAMENTO

FORMAZIONE FARE

IX CORSO DI ALTA FORMAZIONE

VITTORIO MINIERO

NUOVO CODICE: I “TO DO”

DA PORRE IMMEDIATAMENTE IN PRIORITÀ

VINCENZA DI MARTINO

LA TRASFORMAZIONE DI CONTRATTI DI LAVORO PRECARIO IN RAPPORTI DI LAVORO A TEMPO

INDETERMINATO: RIPARTO DI COMPETENZE TRA STATO E REGIONI

ISSN 1723-9338 BIMESTRALE DI TECNICA ED ECONOMIA SANITARIA 07/08.23

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Tecnica e metodologia economale Bimestrale di tecnica ed economia sanitaria fondato nel 1962 per l’aggiornamento professionale degli economi e provveditori della Sanità.

ISSN 1723-9338

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Federazione delle Associazioni Regionali Economi e Provveditori della Sanità fare

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Direttore responsabile

Direttore editoriale

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e.mail: redazione.teme@gmail.com

In copertina: foto di Valentina Quarta

sommario

editoriale

3 Al passo della Sardegna e dell'Italia che cambia articoli nuovo codice appalti - IV° appuntamento

4 Gli affidamenti sottosoglia nel Dlgs 36/2023

le interviste di TEME

8 Nuovo Codice: i “to do” da porre immediatamente in priorità acquisto di medicinali

11 L’Acquisto di medicinali per terapie avanzate. Cenni ai profili contrattuali il payback

14 Proposta ad iniziativa privata ai sensi dell’art. 193 del D.Lgs. 36/2023

contratto di lavoro

18 La trasformazione di contratti di lavoro precario in rapporti di lavoro a tempo indeterminato: riparto di competenze tra Stato e Regioni intelligenza artificiale

22 I criteri di aggiudicazione nel nuovo codice: novità e conferme autorità nazionale anticorruzione

26 L’Autorità Nazionale Anticorruzione: alcune riflessioni su ruolo e funzioni verso le Aziende sanitarie pubbliche

subappalto

32 L’evoluzione della normativa del subappalto negli appalti pubblici e il rapporto con la normativa europea normazione

38 L’esecuzione dei lavori nel nuovo codice: un’incompiuta in cerca di riscrittura

IX Corso di formazione FARE

34 IX Corso di Alta Formazione 2022/23 per Funzionari e Dirigenti in Sanità

gli esperti rispondono

47 Sull’errore materiale

48 focus

Le foto all’interno sono di Andrea Leonardi

Andrea Leonardi vive e lavora a Roma, svolge da trent’anni attività di grafico, elaborazione fotografica e consulenza nelle arti grafiche. In questo numero una passeggiata al centro di Tivoli.

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luglio-agosto 2023
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Al passo della Sardegna e dell'Italia che cambia

Partiamo da una domanda secca: quale utilità hanno le Associazioni Regionali di buyer della Sanità pubblica e la stessa Federazione FARE cui le Associazioni Regionali hanno aderito? L’interrogativo, mi sembra utile chiarirlo, non è frutto di una crisi di identità di ARPES Sardegna e per essa del suo Presidente, ma della necessità  di fare una breve sosta nel cammino intrapreso per comprendere se stiamo andando nella direzione giusta e soprattutto  tutti nella stessa direzione. ARPES sta crescendo in maniera esponenziale nel dopo Covid. Siamo passati in 18 mesi da 33 a 90 soci e questo per una regione demograficamente piccola come la Sardegna, è un fatto assolutamente straordinario che va indagato e compreso. Durante il Convegno annuale dell’11 e 12 maggio scorsi, abbiamo avuto modo di discuterne e sono emerse le prime risposte.

Il primo riscontro è  quello della  partecipazione con il 94% dei soci presenti all’evento. Se ne trae la conclusione che l’attività di ARPES è molto gradita ai soci perché ritenuta interessante, utile e attuale. Quest’anno il Direttivo ha proposto 2 sessioni plenarie molto diverse tra loro ma con eguale partecipazione attiva. La prima era intitolata “Valorizzare il Talento “, argomento apparentemente estraneo ai dipendenti pubblici. Siamo infatti tutti cresciuti con l’asserzione che i dipendenti pubblici operano in un contesto formale in cui tutti sono uguali a parità di qualifica partendo dal dato stipendiale e l’organizzazione non ha strumenti per apprezzare formalmente un dipendente dall’altro. Per discuterne abbiamo invitato due relatori così diversi tra loro e singolari per esperienza personale da aver rischiato l’azzardo.  Hanno infatti portato la loro testimonianza un giovane Sacerdote Don Giovanni Cossu e un Magistrato Amministrativo, Marcello Faviere fino a qualche anno fa collega Provveditore e socio FARE. Il risultato finale è stato straordinario per partecipazione e livello delle riflessioni proposte. Partendo dai suoi soli 32 anni, don Giovanni ha offerto a tutti i partecipanti esempi pratici di come si possa valorizzare il Talento senza esasperare la competizione, di come si debba valorizzare il Talento per non mortificare il dono ricevuto, di come la somma dei Talenti in un gruppo consenta di creare una composizione armonica molto più efficace della semplice somma di profili tutti uguali. Dal canto suo Marcello Faviere, approfondendo le caratteristiche richieste al RUP ha evidenziato come la valorizzazione  del talento sia uno strumento utilissimo a disposizione  dei Dirigenti e non presenti  controindicazioni normative, a meno che dietro la valorizzazione  del  talento  di un dipendente  non si voglia nascondere un ingiustificato privilegio. Ecco allora che, a maggior  ragione  nel contesto che consente l’erogazione di incentivi alle funzioni tecniche, appare doveroso per ciascuno di noi mettere a patrimonio comune del gruppo i propri talenti e per i Dirigenti  apprezzarli  nel modo migliore.

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editoriale
Antonello Podda - Presidente ARPES

Gli affidamenti sottosoglia nel Dlgs 36/2023

Gli affidamenti sottosoglia sono una colonna importante nel sistema degli appalti pubblici italiani. Secondo i dati della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP), oltre l’80% delle procedure di acquisto attive rientra nella fascia di valore che va da 0,1 € a 215.000€ (valori simili li abbiamo per i lavori sino a 5.000.000€, mentre per le forniture poco meno del 75%). La centralità degli affidamenti sottosoglia nel sistema degli acquisti era già stata compresa dall’estensore nel Dlgs 163/2006, dove erano stati definiti i c.d. “acquisti in economia”. Si trattava di particolari acquisti sottosoglia, che potevano essere utilizzati o per far fronte ad affidamenti emergenziali, ovvero ricorrendo al regolamento acquisti in economia, strumento prezioso che la normativa consentiva ai provveditorati di accedere a procedure nazionali, molto più semplificate rispetto a quelle comunitarie. E’ dagli acquisti sottosoglia che concettualmente deriva la distinzione tra procedura negoziata e affidamento, nonché la creazione di una infrasoglia dedicata solo a quest’ultima tipologia di affidamento. Gli affidamenti in economia ebbero un grande successo perché disciplinati da una normativa semplice perché contenuta in un unico articolo, fatto di pochi commi che nei 10 anni in cui è rimasta in vigore (senza modifiche legislative!) ha creato la cultura degli acquisti sottosoglia. La logica degli acquisti in economia non si ritrova nel Dlgs 50/2016, che ha conservato alcuni elementi significativi (come le infrasoglie o la distinzione tra affidamento diretto e procedura negoziata), ma la normativa ha perso quella semplicità e immediatezza, che aveva caratterizzato il decennio normativo precedente. La critica più grande alla disciplina del sottosoglia nel Dlgs 50/2016 risiedeva nella mancanza di volontà di creare uno strumento che rendesse realmente più semplici gli acquisti di uso comune e non caratterizzati da una complessità tecnica tale da giustificare i formalismi di una procedura ordinaria. Invece di semplificare, il legislatore ha deciso (con più modifiche nel tempo) di aggravare gli affidamenti sottosoglia, introducendo anche la rotazione, talvolta definita criterio, ma troppo

spesso indicata come un principio (come se l’alternanza forzata degli appaltatori, magicamente, favorisse l’innalzamento della qualità delle esecuzioni). Con l’arrivo del Dlgs 36/2023 la situazione migliora, peggiora o resta identica?

Il nuovo approccio del Dlgs 36/2023

Guardando lo schema del nuovo Codice dei Contratti, salta subito agli occhi una differenza molto marcata rispetto al Dlgs 50/2016; il libro secondo si apre con 8 articoli dedicati esclusivamente agli affidamenti sottosoglia. Il gruppo di lavoro incaricato di rivedere l’impianto codicistico ha voluto creare delle norme speciali che derogano dalla normativa generale. L’idea è certamente valida e ricorda, in maniera attualizzata, l’approccio già adottato nel Dlgs 163/2006 per gli affidamenti in economia, dove il legislatore aveva creato uno strumento che permettesse di semplificare taluni affidamenti, specificando la non applicabilità di alcune norme contenute nel Codice. Qui si ritrova lo stesso approccio: un lavoro di sottrazione normativa, nel vero spirito della semplificazione, dove con poche disposizioni ordinate e mirate si deroga alla normativa ordinaria. Sotto questo aspetto, il cambio di passo è notevole e di pratico utilizzo. Gli ambiti presi in considerazione sono i seguenti:

Art. 48 – Disciplina comune: Specifica l’ambito applicativo (affidamenti sotto soglia comunitaria aventi carattere non transfrontaliero), richiamando anche gli obblighi di utilizzo dei mercati elettronici, così come introdotto dalle disposizioni in materia di contenimento della spesa.

Art. 49 - Principio di rotazione degli affidamenti: Articolo dedicato esclusivamente alla rotazione degli affidamenti (e non più degli inviti), con indicazione sia dei limiti che delle deroghe.

Art. 50 – Procedure di affidamento: Ripropone in maniera rivista il contenuto dell’art. 36 del Dlgs 50/2016. All’interno sono contenute sia le procedure utilizzabili, sia le infrasoglie collegate. Vengono anche individuati i metodi di scelta del contraente (con il

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nuovo codice appalti - IV appuntamento
Riccardo Bond - Avvocato Specialista in contrattualistica pubblica – Legal Specialist & Compliance presso IHS srl

nuovo codice appalti - IV appuntamento

richiamo al divieto di affidare a prezzo più basso nei casi previsti dall’art. 108, comma 2), nonché dell’avvio in forma anticipata dell’appalto.

Art. 51 – Commissione giudicatrice: Norma derogatoria che specifica la legittimità di utilizzo del RUP all’interno della Commissione giudicatrice, non solo come membro ma anche come presidente.

Art. 52 – Controllo sul possesso dei requisiti: Regola le modalità dei controlli negli affidamenti sottosoglia, con un’ulteriore semplificazione per i contratti fino a 40.000€.

Art. 53 – Garanzie: Viene specificato che in deroga alla normativa generale, per gli affidamenti diretti non si chiede alcuna garanzia provvisoria, mentre è possibile richiederla per le procedure negoziate, ma nel limite dell’1% della base d’asta. Viceversa, la garanzia definitiva viene richiesta nel limite del 5% dell’importo contrattuale, ma può essere non richiesta previa motivazione.

Art. 54 – Esclusione automatica delle offerte anomale: Viene prevista la possibilità, nel sottosoglia, di utilizzare questa evenienza, prevedendola espressamente nei documenti di gara e fatta eccezione per gli affidamenti diretti.

Art. 55 – Termini dilatori: Viene specificato che il c.d. “stand still period” non si applica agli affidamenti sottosoglia e, di conseguenza, il contratto deve essere sottoscritto entro 30 giorni dall’efficacia dell’aggiudicazione.

Nuova logica funzionale

Esaminando la normativa viene da chiedersi se la nuova logica organizzativa della normativa può semplificare gli affidamenti sottosoglia. A mio avviso la risposta è positiva, ma con alcune riserve. L’idea di prevedere una parte dedicata applicabile solo agli affidamenti sottosoglia, creando un corpus ristretto di norme che deroghino alla parte generale del Codice, è sicuramente più funzionale rispetto al passato. Se questa tipologia di appalti è più semplice da un punto di vista di progettazione e ha un mercato prettamente nazionale, è giusto dare alle stazioni appaltanti gli strumenti per semplificare l’avvio

delle procedure di scelta del contraente. La precedente normativa ha dimostrato nei fatti che un aumento degli oneri di burocrazia non diminuisce le procedure sottosoglia, ma le rende solo più lente, costringendo talvolta all’abuso di “contratti ponte” nelle more dell’esperimento delle successive procedure. E’ molto meglio permettere alle stazioni appaltanti di velocizzare il più possibile la fase di scelta del contraente, perché sotto certi importi è spesso controproducente (e oneroso) allungare i tempi di affidamento. Apprezzabile è quindi una normativa certa (e non più affidata all’interpretazione di ANAC o della giurisprudenza) sulla rotazione, ovvero sulle rilevazioni di mercato, ovvero sull’estensione a 140.000€ per gli affidamenti diretti (quest’ultima è in piena continuità con i DL 76/2020 e DL 77/2021), ovvero sulle modalità di controllo dei requisiti. Reputo, invece, un’occasione persa aver rinunciato a semplificare ulteriormente la negoziazione, estendendo l’affidamento diretto a tutto il sottosoglia (con obbligo di comparare più preventivi, come introdotto dal DL 32/2019), ovvero l’impossibilità di prevedere che nel sottosoglia il RUP possa valutare autonomamente nelle gare ad offerta economicamente più vantaggiosa, limitatamente ad elementi qualitativi con attribuzione automatica dei punteggi. Infine, anche la rotazione degli affidatari crea un’evidente discriminazione tra affidamento diretto e procedura negoziata. Nel primo caso, la rotazione si applica sempre, mentre nel secondo caso è possibile non applicarla se non si limita la partecipazione degli offerenti in maniera discrezionale. Sul punto preferisco fare un piccolo approfondimento nel prossimo paragrafo. Qualche perplessità mi resta ancora sul tema del carattere transfrontaliero dell’appalto sottosoglia. L’art. 48 specifica che il RUP deve verificare se l’appalto ha interesse transfrontaliero, con la conseguenza di rendere illegittimo l’utilizzo delle procedure dell’art. 50 (affidamento diretto e procedura negoziata). Resta il dubbio su come il RUP possa verificare se l’appalto abbia o meno tale interesse. E’ innegabile, infatti, che esistano produttori dello stesso bene con sede

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Reputo un'occasione persa aver rinunciato a semplificare ulteriormente la negoziazione, estendendo l'affidamento diretto a tutto il sottosoglia: ovvero l'impossibilità per il RUP di valutare autonomamente gli elementi qualitativi con attribuzione automatica dei punteggi

nuovo codice appalti - IV appuntamento

in uno stato UE limitrofo all’Italia, ma questa verifica basta a dire che gli stessi produttori siano interessati a partecipare a una procedura magari di modesto valore economico? La risposta, a mio avviso, deve essere ricercata ancora nella sentenza della Corte di Giustizia Europea del 20 marzo 2018 in causa C-187/16, che ritiene non comprovabile a priori quando l’appalto è sotto soglia comunitaria. Quindi il RUP deve essere pronto a motivare concretamente l’assenza di tale interesse transnazionale, incrociando i criteri oggettivi come l’importo, il luogo della prestazione e le caratteristiche tecniche dell’appalto o delle forniture.

Due parole finali sulla rotazione

Alla fine, il nuovo Codice sceglie di confermare la bontà dello strumento della rotazione degli affidamenti. Mi rammarico della scelta semplicemente perché non premia i RUP che sono capaci di mettere in concorrenza il mercato anche mediante l’utilizzo di procedure comparative, come è l’affidamento diretto. Le Linee Guida n. 4 ANAC, sotto questo aspetto, risultavano essere più

equilibrate esortando i RUP a precostituire degli elementi preferenziali di scelta, che dovevano essere resi noti al mercato nel momento in cui veniva pubblicata o inviata la richiesta d’offerta. Per fare ciò il RUP doveva metterci del suo, per trovare degli elementi di comparazione che potessero mettere in competizione gli offerenti. Il messaggio contenuto nell’art. 49, invece, dice chiaramente: potete chiedere anche solo un preventivo con tranquillità, perché tanto al prossimo appalto dovrete applicare la rotazione. Abolire la cultura della comparazione dei preventivi, sponsorizzando quella dell’alternanza meccanica e avulsa da qualsiasi elemento qualitativo, non credo migliorerà la qualità degli appalti sottosoglia. Purtroppo, il legislatore non ha ancora compreso che il mercato si regola sulla competizione e che qualsiasi meccanismo che prova ad evitarla viene inevitabilmente travolto e/o aggirato dal mercato stesso. Un’impresa che sa di non poter più ambire a più affidamenti diretti consecutivi per lo stesso committente potrebbe non essere interessata a dare offerte di qualità e addirittura potrebbe pensare di utilizzare il mecca -

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nismo per beneficiare dell’alternanza meccanica presso altre stazioni appaltanti. Questa è l’unica sbavatura che posso ravvisare in una normativa, quella dell’art. 49, che è certamente migliorativa rispetto a quella del Dlgs 50/2016. Basti solo pensare che questa volta la definizione di che cosa è la rotazione non è più affidata alla giurisprudenza o ad ANAC, ma alla responsabilità del legislatore che l’ha inserita nel Codice dei Contratti. E’ molto apprezzabile il fatto che si ritenga la rotazione non un principio, ma un correttivo volto a eliminare il rischio di consolidamento di rendite di posizione dominante, che, tuttavia, non si applica quando:

• la procedura non limita discrezionalmente l’accesso alla procedura (applicabile solo alle procedure negoziate)

• esista un mercato poco contendibile (o c’è assenza di alternative) e l’esecutore uscente abbia eseguito con piena soddisfazione della stazione appaltante

• per gli affidamenti di importo inferiore a 5000€

• quando si ricorre ad Albi fornitori suddivisi in fasce di prezzo.

nuovo codice appalti - IV appuntamento

Le considerazioni soprariportate mi fanno pensare che questa normativa non peggiorerà gli affidamenti sottosoglia, ma certamente non ha avuto il coraggio di distanziarsi in maniera radicale dalla logica del Dlgs 50/2016, che aveva aumentato considerevolmente i contenziosi.

Se l’obiettivo è quello di creare un Codice più “digitale” non sarebbe stato opportuno pensare ad un nuovo paradigma degli appalti sottosoglia?

La semplificazione dovrebbe mirare a superare la forma della procedura, mirando al risultato della procedura di selezione del contraente. In quest’ottica non è importante se il contratto viene stipulato con affidamento diretto o procedura negoziata, l’obiettivo dovrebbe essere quello di far sì che l’offerta migliore venga sempre scelta chiamando a raccolta il mercato, non applicando criteri meccanici di alternanza degli esecutori.

Di natura sono un ottimista, quindi voglio sperare che alcune di queste mie considerazioni particolarmente accaldate, vengano raffreddate con l’arrivo della stagione autunnale.

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Nuovo Codice: i “to do” da porre immediatamente in priorità

Il nuovo codice è vigente e, finalmente, efficace ed ora tocca a noi domarlo, cercando di sfruttarne le tante opportunità.

In questo approfondimento si intende riepilogare le prime cose che occorre ricordarsi di fare per goderne appieno delle sue potenzialità.

Definiamo il “campione”

L’articolo 52 del D.Lgs 36/23 dispone che: “Nelle procedure di affidamento di cui all’articolo 50, comma 1, lettere a) e b), di importo inferiore a 40.000 euro, gli operatori economici attestano con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà il possesso dei requisiti di partecipazione e di qualificazione richiesti. La stazione appaltante verifica le dichiarazioni, anche previo sorteggio di un campione individuato con modalità predeterminate ogni anno”.

La norma costruisce un’ottima notizia (forse la migliore di tutto il nuovo Codice).

Per 7 anni, dal 18 aprile 2016 al 30 giugno 2023, per la sottoscrizione di ogni contratto, da un euro in su, le amministrazioni hanno dovuto effettuare, sempre e comunque, delle verifiche sul possesso dei requisiti da parte dell’operatore economico aggiudicatario, senza poter godere della semplificazione disposta dal DPR 445/2000 che prevede il diritto all’autocertificazione a titolo definitivo salvo verifica a campione.

A gravare ulteriormente sull’assurda decisione del legislatore, la Linea Guida n.4 di Anac impose sotto i 40 mila euro verifiche impossibili per molte amministrazioni, prevedendo che sopra i 5 mila euro occorresse verificare sempre i casellari giudiziali, il certificato fallimentare, il certificato dell’agenzia delle entrate, oltre ovviamente al DURC ed al casellario informatico.

Finalmente dal 1 gennaio 2023 si torna, quanto meno per appalti fino a 40 mila euro, all’autocertificazione a titolo definitivo e non occorrerà fare più alcuna verifica, se non “a campione”.

A questo punto però, per godere della semplificazione offerta, occorre che ogni amministrazione definisca cosa si intende per “campione”.

Non ritengo sia indispensabile approvare un regolamento interno, ma occorre un atto che definisca come l’amministrazione intende gestire la scelta del campione e le verifiche sullo stesso.

Nel merito il mio suggerimento è:

• non scegliete il dato su base percentuale che potrebbe portare a numeri imprecisi ed alti, ma scegliete un numero assoluto;

• scegliete numeri di campione relativamente bassi. Meglio avere scelto un campione basso e riuscire a rispettarlo, piuttosto che alzare i numeri del proprio campione e non riuscire a rispettarlo;

• eviterei di individuare il campione “a sorteggio” come si è tradizionalmente fatto, poiché poi si porrebbe il problema di come poter effettuare tale sorteggio. Si potrebbe individuare il campione per esempio in tal modo: ogni terzo cig del mese diviene il nostro campione da verificare;

• quell’operatore economico che rappresenta il nostro campione e per il quale quindi occorrerà effettuare le verifiche potrebbe essere comunque verificato tramite il FVOE. L’importo dell’appalto è inferiore ai 40 mila euro e quindi potremmo essere in ambiente smart cig, ma questo non consentirebbe l’utilizzo del FVOE. Quindi chiedendo il CIG si potrebbe decidere di rinunciare al CIG semplificato, chiedendolo in ambiente SIMOG; per poi godere della possibilità di ottenere dall’operatore economico aggiudicatario il PASSOE ed effettuare le verifiche tramite il FVOE, evitando sempre e comunque le richieste di certificati pubblici agli enti certificanti che porterebbe via un’enormità di tempo (speso male).

Assicuriamoci tutti

Dal 1 luglio si deve applicare quanto disposto dall’art.2 del D.Lgs 36/23 secondo il quale: “Per promuovere la fiducia nell ’ azione legittima, trasparente e corretta dell ’ amministrazione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale”.

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nuovo codice contratti

Occorre quindi darsi da fare ( “adottare azioni” ) per acquistare queste nuove coperture assicurative che spettano di diritto a quel personale che svolge attività “nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti”.

Che l’onere della spesa spetti agli enti pubblici è indubbio e riconosciuto dall’art.45 comma 7, secondo il quale una parte dell’incentivo da dare ai dipendenti è riservato “c) per la copertura degli oneri di assicurazione obbligatoria del personale”.

Ma di quale assicurazione si sta parlando?

Una norma di tanti anni fa vietava alle amministrazioni di pagare ai dipendenti pubblici l’assicurazione a copertura della colpa grave, tuttavia non è pensabile che il legislatore nel codice degli appalti intendesse adottare azioni per pagare assicurazioni relative alla colpa lieve.

Infatti dal 1 luglio 2023 la colpa lieve negli appalti pubblici non potrà più esistere.

L’articolo 2 del Codice dispone che “Nell ’ ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonch é la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l ’ omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell ’ attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto”

Dunque qualunque errore commesso durante una gara d’appalto che comporti la violazione di una norma (salvo che l’errore avvenga avendo seguito un orientamento giurisprudenziale costante) comporta automaticamente colpa grave.

Non esisterà più il diritto del dipendente pubblico di giustificare la propria scelta sottolineando magari l’esistenza su quella fattispecie della presenza di orientamenti giurisprudenziali tra loro divergenti (situazione molto frequente).

O la gara risulterà non avere violato alcuna norma o qualunque violazione di legge comporterà automati -

camente il potenziale danno erariale in conseguenza dell’elemento psicologico imposto (inspiegabilmente) per legge.

L’assurdità della norma deve trovare, quanto meno, tutela assicurativa adeguata (a spese della pubblica amministrazione).

Occorre cercare risorse e sfruttare tutto quanto possibile

Le amministrazioni pubbliche non possono più permettersi di non sfruttare tutte le risorse che possiedono al cento per cento.

La programmazione enucleerà sempre di più bisogni per i quali non si sono trovate risorse economiche disponibili.

L’amministrazione potrebbe, dunque, pubblicare avvisi che elenchino i bisogni non messi in programmazione perché privi di copertura finanziaria, affiancandoli dalle risorse (beni mobili o immobili) che non si stanno sfruttando appieno, prevedendo la disponibilità a condividere tali risorse con il privato pur di ottenere in cambio la soddisfazione dei bisogni privi di copertura finanziaria. Questo potrebbe diventare per i privati la miccia che innesca idee per avanzare al pubblico proposte di concessione o partenariato pubblico privato. Il privato deve poter conoscere quali risorse mette a disposizione il pubblico per valutare quale sfruttamento imprenditoriale si può ottenere tramite quelle risorse e quanto questo sfruttamento può fruttare in termini di risorse finanziarie da girare all’amministrazione bisognosa.

Modificare di default i propri capitolati

Il comma 9 dell’art.120 del D.Lgs 36/23 dispone che:

“Nei documenti di gara iniziali può essere stabilito che, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, la stazione appaltante possa imporre all’appaltatore l’esecuzione alle condizioni originariamente previste. In tal caso l’appaltatore non può fare valere il diritto alla risoluzione del contratto”

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Dal 1 luglio si deve applicare quanto disposto dall’art.2 del D.Lgs 36/23
secondo il quale: “Per promuovere la fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale”
nuovo codice contratti

nuovo codice contratti

Dunque il cosiddetto “quinto d’obbligo” esiste d’ora in poi esclusivamente se previsto nei “documenti di gara iniziali”.

Nei capitolati speciali è importante inserire sempre, quindi, che: “Ai sensi di quanto disposto dal comma 9 dell’art.120 del d.lgs 36/23, l’amministrazione intende avvalersi del diritto di aumentare o diminuire le prestazioni fino alla concorrenza di un quinto dell’importo del contratto”

Una volta fatto questo resterà il problema: che differenza c’è ora tra il quinto d’obbligo e l’opzione?

Entrambi gli istituti prevedono la possibilità per l’amministrazione di aumentare o diminuire eventualmente le prestazioni acquistate.

Ma quale differenza tra loro?

Se si dicesse che il comma 9 dell’art.120 comporta che il quinto d’obbligo debba essere previsto, quantificato ai fini di decidere che gara effettuare e ciggato, esattamente come ogni opzione, allora ci staremmo dicendo che il legislatore ha abrogato il quindi d’obbligo.

E sarebbe un pezzo di tradizione italiana che verrebbe meno. Come se abrogassero il panettone.

Se non si vuole credere questo occorre a tutti i costi trovare una differenza tra i due istituti e io proporrei perciò:

• l’opzione la si prevede, quantifica e cigga e può avere qualunque dimensione economica si vuole (“a prescindere dal loro valore monetario”);

• il quinto d’obbligo, invece, non lo si prevede, non lo si quantifica per decidere che gara effettuare e non lo si cigga. Ci si riserva esclusivamente nel capitolato di poterlo utilizzare quando necessario.

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L’Acquisto di medicinali per terapie avanzate. Cenni ai profili contrattuali

L’acquisto di tali terapie è usualmente gestito tramite i c.d. MEAs – “Managed Entry Agreements”, e cioè con accordi che utilizzano meccanismi di gestione dell’incertezza della performance di una tecnologia. Tali accordi sono noti anche come “Risk Sharing Agreements” e sono finalizzati a vendere una tecnologia e generare ricavi anche quando i “soggetti pagatori” non sono disposti a riconoscere il prezzo pieno della tecnologia, o comunque ad assumere il rischio incondizionato del relativo pagamento. Si tratta dunque di accordi che presuppongono l’analisi dei dati delle performance del prodotto, con prezzo o rimborso legati alla raccolta dei dati e/o dei risultati raggiunti.

I MEAs hanno un evidente obiettivo di carattere finanziario, anche se non può non rilevarsi come tale obiettivo possa essere frustato ove non accompagnato da un corrispondente trattamento sotto il profilo contabile. La possibilità per la Pubblica Amministrazione di spalmare il costo di acquisto di tali, usualmente molto costosi, farmaci su più anni o su più esercizi finanziari trova infatti ostacolo soprattutto nelle regole contabili comunitarie, ed in particolare nell’European System of Accounts del 2010, a cui le regole contabili dei singoli paesi membri sono armonizzate.

Le possibilità ammesse per evitare una contabilizzazione immediata dell’intero costo di acquisto di una terapia avanzata possono individuarsi, in primo luogo, nei c.d. “pagamenti potenziali” (contingent paymen-

ts), la cui configurazione appare possibile solo laddove sussista una sufficiente incertezza sul risultato, e quindi sul pagamento, tendenzialmente in misura superiore al 50%; tale livello di incertezza si scontra però con le ragioni di scelta di utilizzazione del medicinale.

In alternativa tali acquisti si potrebbero inquadrare come spesa di investimento (Investment payment), su cui vi è però allo stato vivo dibattito. In considerazione dell’effetto barriera che le regole di contabilità possono determinare sulla messa a disposizione dei pazienti delle terapie avanzate, spesso le uniche potenzialmente idonee a curare efficacemente determinate patologie, alcuni stati membri – come, ad esempio, la Francia - stanno adottando soluzioni che consentano di superare il suddetto problema contabile.

In base ad una tassonomia internazionale, i MEAs sono distinguibili in due principali categorie, e cioè in accordi di condivisione del rischio basati sull’outcome (PerformanceBased Risk sharing schemes)

e in accordi di carattere prettamente finanziario (Financial based schemes).

Nella prima categoria rientrano il Payment by Result, il Risk Sharing, e la Success Fee. Nella seconda rientrano invece il Cost Sharing e il Capping.

Come indicato anche dalla Corte dei Conti, il Cost Sharing prevede uno sconto sul prezzo dei primi cicli di terapia per tutti i pazienti eleggibili al trattamento. Il Cost Sharing, generalmente, si adotta quando vi sono

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In base ad una tassonomia internazionale, i MEAs sono distinguibili in due principali categorie, e cioè in accordi di condivisione del rischio basati sull’outcome
(Performance-Based Risk sharing schemes) e in accordi di carattere prettamente finanziario
(Financial based schemes)

dati più certi sull’efficacia e sulla sicurezza del medicinale.

Il modello di Risk Sharing, rispetto al Cost Sharing, prevede uno sconto che si applica esclusivamente ai pazienti non rispondenti al trattamento.

La Success Fee prevede invece che il Servizio Sanitario Nazionale ottenga il medicinale dall’azienda titolare inizialmente a titolo gratuito e, successivamente, alla valutazione della risposta al trattamento, provveda a remunerare le corrispondenti confezioni dispensate esclusivamente nei casi di successo terapeutico. Infine, l’accordo denominato Capping prevede che sia posta a carico dell’azienda farmaceutica l’erogazione del farmaco al superamento delle quantità stabilite dall’accordo negoziale.

Il modello del Payment by Result, invece, estende le modalità del Risk Sharing prevedendo un rimborso totale da parte dell’azienda farmaceutica di tutti i pazienti che non rispondono al trattamento, tramite un meccanismo di payback. Solitamente si fa ricorso al Payment by Result nel caso di medicinali il cui rapporto beneficio/rischio presenti un grado di incertezza maggiore e richieda una definizione della mancata risposta sulla base delle evidenze disponibili dai trial clinici registrativi; si il metodo di maggiore utilizzazione – in varie declinazioni - per le terapie avanzate. I Payment by Result legati ai risultati su di un paziente, sono denominati anche “Patient-level payment by results”. In questi casi i soggetti pagatori possono trattenere il pagamento parzialmente o totalmente per ciascun risultato finché lo stesso non sia raggiunto, o ricevere la restituzione parziale o totale per i pazienti che non raggiungano il risultato. I relativi schemi contrattuali sono in corso di costante affinamento, anche da parte delle Agenzie regolatorie competenti (es. AIFA).

Sottesa a tali schemi contrattuali vi è la fissazione dei parametri di risultato, che occorre avvenga inizialmente, unitamente alle regole e modalità di monitoraggio. Inoltre occorre stabilire il tempo nel quale valutare tali parametri. Tanto più il pagamento è upfront quanto più il rischio potrebbe scaricarsi sul soggetto pagatore laddove i meccanismi di monitoraggio/risultato non siano certi, con effetto di potenziale disincentivo delle performance.

Tali accordi si esplicano su due livelli: il primo riguarda la contrattazione con AIFA, ed il secondo quello con il soggetto acquirente/pagatore, fermo restando che questo secondo contratto non potrà risultare in contrasto con il contenuto del primo. Inoltre il secondo contratto potrà essere bilaterale - tra l’azienda farmaceutica e l’ente pubblico - o anche trilaterale, laddove ad esempio sia coinvolto un soggetto privato accreditato.

Gli elementi contrattuali di particolare attenzione riguardano, da un lato, il prezzo e le modalità di pagamento, e dall’altro lato, la durata.

Sotto il primo profilo, gli accordi Payment by Result sono contratti nei quali è presente una condizione ai sensi dell’art. 1353 c.c. (“Le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto”).

Tale condizione, a seconda dello schema specifico, potrà essere sospensiva o risolutiva, ed in entrambe le ipotesi, anche parziale.

In armonia alle condizioni negoziate con AIFA, il prezzo sarà impattato da tale condizione.

Un esempio di pagamento soggetto a parziale condizione sospensiva è quello che prevede la fatturazione di una percentuale iniziale, ad esempio all’ordine o alla consegna, e quindi il pagamento di successive tranche al raggiungimento del risultato o dei risultati. Ovviamente, le percentuali potranno essere diverse a seconda dell’indicazione e/o del paziente target (es. pazienti adulti e pediatrici).

Il caso della condizione risolutiva è quello che prevede invece un pagamento all’ordine o alla consegna, e quindi la restituzione in caso di fallimento del trattamento, secondo lo schema del payback; anche in questo caso è possibile la variante della parziale condizione risolutiva in caso di fallimenti intermedi e non definitivi della terapia.

Nei casi in cui si preveda un pagamento alla consegna, andrà contrattualmente disciplinato il regime delle responsabilità tra le parti per il periodo intercorrente tra essa e la somministrazione. Nel caso di mancata o ritardata somministrazione, o di somministrazione impossibile, andranno disciplinati gli effetti e le responsabilità in merito alla mancata utilizzabilità del prodotto, ed i riflessi sui termini di pagamento.

Stante la decisività degli elementi che determinano l’avveramento della condizione sarà necessario disciplinare in maniera compiuta gli obblighi informativi tra le parti e stabilire con la maggiore esattezza e specificità possibile l’evento a cui è collegato l’avveramento o il mancato avveramento della condizione (es. permanenza in vita, raggiungimento del risultato atteso), il tutto con l’ovvio e necessario legame con i registri di monitoraggio. Poiché l’insuccesso è previsto, non vi è alcuna garanzia che il trattamento sia efficace, ferma restando la necessità di disciplinare il caso in cui l’inefficacia sia stata determinata da specifiche azioni e/o omissioni dei sanitari.

La fissazione e disciplina della durata del contratto andrà valutata tenuto conto, da un lato, dei tempi necessari per la conclusione della terapia e, dall’altro

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acquisto di medicinali

acquisto di medicinali

lato, della durata dell’accordo con AIFA. Idealmente sarebbe necessario che il contratto preveda una durata o un’efficacia commisurata alla terapia, o quantomeno che siano previsti meccanismi di proroga necessari per la conclusione della terapia, il che non sempre coincide con la durata dell’accordo con AIFA; ferma restando l’applicazione dei meccanismi di automatico adeguamento del prezzo ai provvedimenti autoritativi che dovessero intervenire nel corso del tempo (modifiche alle condizioni di rimborsabilità/prezzo), ciò non garantisce la fornitura per tutta la durata della terapia, ad esempio nel caso di mancato accordo sul prezzo, il

che pone rilevanti temi di garanzia per i pazienti che abbiano già iniziato il trattamento. Per analoghe ragioni andrà posta particolare attenzione alle clausole di recesso libero delle parti che, in questo tipo di accordi, è comunque solitamente previsto con congruo preavviso e con obbligo di evasione degli ordini ricevuti prima del momento concordato, sia essa la notifica del recesso o la fine del preavviso. Da ultimo si segnala che il contratto dovrà prevedere la somministrazione solo nei centri autorizzati, la necessità di acquisire il consenso del paziente previa informativa, e la disciplina degli aspetti privacy.

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Proposta ad iniziativa privata ai sensi dell’art. 193 del D.Lgs. 36/2023

Il D.Lgs. 36/2023 (Nuovo Codice) dedica il Libro IV° al contratto di concessione e al PPP, allineando la normativa italiana alla direttiva 23/2014 (Direttiva Concessioni) e superando - risolvendole - alcune delle incongruenze del D.Lgs. 50/2016 e ss.mm.ii. (Vecchio Codice). Tra queste, in particolare, l’infelice ripartizione tra il contratto di concessione - artt. 164 e ss. - ed il c.d. contratto di PPP - artt. 179 e ss. -, che, oltre ad aver creato un’enorme confusione operativa, non trovava alcuna ratio giuridica nelle Direttive UE, dal momento che i contratti ivi normati sono solo il contratto di appalto e quello di concessione. Una delle novità più significative introdotte dal Nuovo Codice è l’aver pienamente equiparato il contratto di concessione di servizi a quello di lavori, come previsto dalla Direttiva Concessioni. Infatti, il D.lgs. 36/2023 supera le ambiguità derivanti dalla definizione di contratto di PPP, contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. eee) del Vecchio Codice, secondo cui tale contratto prevedeva necessariamente l’affidamento della “realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connessa all’utilizzo dell’opera stessa”. Di converso, l’art. 174 del Nuovo Codice non menziona più la necessità di un’opera, ma riconduce la nozione di PPP ad un complesso di caratteristiche, la principale delle quali attinente al trasferimento del rischio operativo.

La PF mira a stimolare l’innovazione e l’iniziativa da parte degli operatori economici, offrendo loro, come contropartita economica a fronte dello sforzo di produrre tutta la documentazione, il diritto di prelazione, che tutela gli enti concedenti dall’accusa di arricchimento senza

giusta causa

193 mantiene il precedente impianto procedurale della PF, semplificandolo, ossia consentendo solo l’ipotesi procedurale dell’iniziativa privata (Proposta). Tale scelta evidenzia una serie di vantaggi pratici della PF e della sua - ormai unica - manifestazione, ossia la Proposta. Innanzitutto, la PF mira a stimolare l’innovazione e l’iniziativa da parte degli operatori economici (OE), offrendo loro, come contropartita economica a fronte dello sforzo di produrre tutta la documentazione di cui si compone la Proposta (vedi infra), il diritto di prelazione (Prelazione), che tutela gli enti concedenti (EC) dall’accusa di arricchimento senza giusta causa afferente alla messa a base di gara della documentazione tecnica, economico-finanziaria e giuridica prodotta dall’OE che presenta la Proposta (Promotore) nella c.d. gara a valle (vedi infra). Inoltre, uno dei maggiori vantaggi della PF è la possibilità di prevenire il rischio della c.d. “gara deserta”, dal momento che l’investimento incorso dal Promotore per la predisposizione della Proposta costituisce un incentivo sufficiente affinché lo stesso partecipi, comunque, alla procedura di gara c.d. a valle, sebbene non sia più richiesta una garanzia provvisoria a copertura del rischio di mancata partecipazione del Promotore.

A livello procedurale, spicca la c.d. finanza di progetto (PF), inserita negli artt. 193-195 del Nuovo Codice, che disciplinano la sua genesi e peculiarità. In specifico, l’art.

Venendo agli aspetti operativi, secondo l’art. 193, gli OE possono presentare proposte agli EC per la realizzazione in concessione di lavori o servizi. Non ci sono requisiti soggettivi specifici richiesti per il Promotore e la distinzione tra proponente e promotore è stata eliminata. Al momento della scelta dei requisiti speciali, gli EC devono verificare che gli stessi siano correlati e proporzionali a dimostrare

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la capacità del concessionario di eseguire la concessione, tenendo conto dell’oggetto della stessa e dell’obiettivo di assicurare una concorrenza effettiva. L’Allegato II.12 del Nuovo Codice, all’art. 33, prevede requisiti – solo per i concessionari di lavori – che sono, infatti, quelli già previsti dall’art. 95 del DPR 207/2010 e ss.mm.ii. (Regolamento Appalti). Pertanto, nelle concessioni di servizi, la declinazione dei requisiti potrebbe non coincidere con quella di cui al predetto Allegato.

Una significativa novità introdotta dal Nuovo Codice è il ruolo ivi riconosciuto agli investitori istituzionali (Investitori), definiti tali dalla legge, che possono formulare proposte autonomamente, ma potrebbero doversi associare, o consorziare, con OE che possiedono i requisiti operativi richiesti nel bando di gara successivo, per poter eseguire il contratto. In tal caso, è espressamente prevista la possibilità di avvalimento e/o di subappalto totale, altrimenti vietato ex art. 119 del Nuovo Codice. L’obiettivo di questa disposizione è favorire una migliore “bancabilità” delle Proposte, consentendo agli Investitori di agire come aggregatori o “sponsor” nella composizione del Promotore. Questo approccio è simile a quello adottato nell’esperienza del Private Finance Initiative - PFI nel Regno Unito. I contenuti della Proposta, secondo l’art. 193, comma 1 del Nuovo Codice, sono i seguenti:

1) progetto di fattibilità (Progetto) - per i lavori, è richiesto il progetto di fattibilità tecnico economica (PFTE), secondo le prescrizioni dell’art. 41 e dell’Allegato I.7 del Nuovo Codice. Per i servizi, il livello progettuale richiesto è unico (PT), ma l’Allegato I.7 non specifica la documentazione necessaria. Anche in assenza di lavori, il PT deve evidenziare una fase di investimento iniziale e le sue specifiche tecniche;

2) specificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione - il c.d. gestionale di servizi (Gestionale), che deve comprendere una descrizione dettagliata delle caratteristiche del servizio e delle modalità di gestione, inclusa la specificazione dei livelli di servizio da conseguire e gli indicatori (KPI) che consentano il monitoraggio in fase di esecuzione del contratto di concessione;

3) bozza di convenzione (BdC) - che disciplina il trasferimento del rischio operativo, come previsto dall’art. 177 del Nuovo Codice. Il trasferimento del rischio può riguardare la realizzazione dei lavori o la gestione dei servizi e deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato. Deve essere valutato il valore attuale netto (VAN) degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario. Il rischio operativo deriva da fattori al di fuori del controllo delle parti, ma deve essere valutabile ex ante, e non copre rischi legati a cattiva gestione, inadempimenti contrattuali o eventi di forza maggiore. Se il rischio è solo dal lato dell’offerta, il contratto deve

prevedere che il corrispettivo sia erogato solo a fronte della disponibilità dell’opera - rectius degli asset derivanti dalla realizzazione dell’investimento -, nonché un sistema di penali/decurtazioni in caso di ridotta o mancata disponibilità degli stessi o dei servizi, in particolare per il caso di mancato raggiungimento dei livelli quali-quantitativi prefissati, identificati mediante i KPI;

4) piano economico finanziario (PEF) asseverato - che esplicita i presupposti e le condizioni di base per determinare l’equilibrio degli investimenti e della gestione per l’intero periodo concessorio. Il PEF deve dimostrare che l’operazione è - inizialmente - in equilibrio e permette di valutarne la convenienza economica, nonché la capacità di rimborsare il debito e di remunerare il capitale di rischio. Il PEF deve anche giustificare l’entità delle tariffe o dei canoni proposti e l’eventuale necessità di contributi pubblici. L’asseverazione del PEF deve essere effettuata da un istituto di credito, oppure una società di servizi costituita dallo stesso o da una società di revisione;

5) requisiti del Promotore/concessionario - non è richiesta, espressamente, nessuna dichiarazione dei requisiti del Promotore o del concessionario. Tuttavia, nulla vieta di presentare tali dichiarazioni con riferimento ai requisiti generali (artt. 94-98 del Nuovo Codice) e speciali (cfr. art. 33 dell’Allegato II.12 al Nuovo Codice);

6) matrice dei rischi - la matrice dei rischi non è ricompresa tra i documenti richiesti ex lege. Tale documento non era richiesto neanche dall’art. 183, comma 15 del Vecchio Codice, ma la sua necessità era stata propugnata dalle Linee guida ANAC n. 9 sul monitoraggio dei PPP, come allegato di sintesi alla BdC. Tuttavia, l’efficacia di tali Linee guida è venuta meno (cfr. art. 225, comma 16 del Nuovo Codice). Pertanto, le Proposte saranno legittime anche ove la matrice non sia stata predisposta;

7) cauzione provvisoria - non è più richiesta la cauzione provvisoria, a garanzia della Proposta, né l’impegno a presentare, in fase di gara, una cauzione per la copertura delle spese della Proposta. La cauzione provvisoria è necessaria solo in fase di offerta, come per qualsiasi altra gara. Ciò rappresenta una semplificazione e un’accelerazione per gli OE che, sotto il regime del Vecchio Codice, avevano spesso difficoltà a dotarsi celermente di una cauzione adeguata.

Sulla scorta della legislazione emergenziale afferente al COVID-19, è stata mantenuta, in continuità con le ultime modifiche al Vecchio Codice, la possibilità di presentare una Proposta per concessioni di lavori e servizi, che abbiano ad oggetto anche interventi già presenti in programmazione. L’art. 193 del Nuovo Codice prevede espressamente che l’EC possa - facoltà non obbligo - sollecitare gli OE a presentare Proposte solo relativamente ad interventi già inclusi negli strumenti di programmazione dell’ente stesso,

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finanza di progetto

ed indicati come suscettibili di essere realizzati con modalità di PPP (cfr. art. 175, comma 1 del Nuovo Codice). Non è prevista una forma particolare di sollecitazione al mercato, ma si deve tener presente che tale modus operandi non corrisponde all’indizione di una procedura di affidamento. In particolare, la sollecitazione può essere anche rappresentata dalla semplice pubblicazione in evidenza di un estratto della programmazione.

In ogni caso, indipendentemente dalla sollecitazione, l’EC può, comunque, avere interlocuzioni preliminari con gli OE interessati alla presentazione della Proposta. Queste interlocuzioni servono per valutare, preliminarmente, l’interesse dell’EC riguardo al perimetro della Proposta, fornire accesso alle informazioni rilevanti (ad esempio: i dati storici), consentire eventuali sopralluoghi e verificare la presenza - o meno - di elementi di particolare problematicità. Non vi sono limiti espressi a queste interlocuzioni, ma si applica il principio di fiducia (art. 2 del Nuovo Codice), insieme ai tradizionali principi di trasparenza, parità di trattamento e concorrenza.

Nel Nuovo Codice, il procedimento relativo alla valutazione della Proposta è disciplinato dall’art. 193, commi 2 e 3. Di seguito, sono riportati i principali elementi e principi applicabili a questa fase:

1) va lutazione preliminare di convenienza e fattibilità

l’EC deve effettuare una valutazione preliminare di convenienza e fattibilità secondo l’art. 175 del Nuovo Codice. Questa valutazione, di natura quali-quantitativa, è effettuata dopo la ricezione di una Proposta e prima della dichiarazione di fattibilità. È necessaria per l’inserimento del progetto in programmazione;

2) valutazione della fattibilità della Proposta – l’EC valuta la fattibilità della Proposta entro 90 giorni, che non è più un termine perentorio, anche se lo stesso deve essere interpretato in funzione del principio del risultato (art. 1 del Nuovo Codice), il quale impone alle amministrazioni di agire “con la massima tempestività”. Se necessario, l’EC può richiedere al Promotore di apportare le modifiche necessarie per l’approvazione del Progetto, accluso alla Proposta. Se il Promotore non apporta le modifiche richieste, eventualmente anche proponendo soluzioni alternative, la Proposta è respinta;

3) valutazione multidisciplinare - la Proposta deve essere valutata secondo un’analisi tecnica, economica e giuridica. Queste verifiche riguardano il profilo tecnico-architettonico, progettuale e gestionale, la sostenibilità e congruità del PEF, la correttezza, completezza e coerenza della BdC e degli eventuali documenti amministrativi presentati dal Promotore;

4) dichiarazione di fattibilità - svolte tutte le opportune verifiche ed eventuali negoziazioni con il Promotore, l’EC emette una dichiarazione di fattibilità, che com-

prende la valutazione della fattibilità tecnica ed economico-finanziaria, nonché quella afferente al pubblico interesse.

Tale dichiarazione, che è un provvedimento amministrativo, può essere soggetta a sindacato giurisdizionale sotto il profilo della manifesta illogicità, irrazionalità, contraddittorietà e degli errori di fatto.

La fase della gara relativa alla Proposta è disciplinata dall’art. 193, commi 3-9 del Nuovo Codice. Di seguito, sono riportati i principali punti relativi alla gara:

1) inserimento del Progetto nella programmazione dell’EC - una volta approvato, il Progetto (PFTE o PT) è inserito tra gli strumenti di programmazione dell’EC. Il PFTE dei lavori deve essere sottoposto a verifica, validazione e approvazione tramite conferenza di servizi, come prescritto dagli artt. 37, 38 e 42 del Nuovo Codice;

2) decisione di contrarre - prima dell’avvio della procedura di affidamento, l’EC adotta una decisione di contrarre - ex art. 17 del Nuovo Codice -, in cui sono indicati gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli OE e delle offerte;

3) gara ad evidenza pubblica - la gara per aggiudicare la concessione preconizzata nella Proposta è una gara ad evidenza pubblica a tutti gli effetti. Non è prevista una procedura specifica, ma si applicano tutti i principi derivanti dalla Direttiva Concessioni e declinati nel Libro IV° (cfr. artt. 182-185) del Nuovo Codice, tra cui il termine minimo per la presentazione delle offerte che, in caso di gara aperta, non può essere inferiore a 30 giorni e, comunque, commisurato alla complessità dell’offerta da predisporre;

4) documentazione di gara – l’EC deve redigere la documentazione di gara, che si limita a comprendere il bando (o l’avviso) di gara - nonché, ove occorra, la lettera d’invito (nel caso di procedure ristrette o negoziate) - e il disciplinare di gara, che stabilisce le regole della procedura. Tutta la restante documentazione posta a base di gara, ossia Progetto, Gestionale, BdC e PEF - quest’ultimo in forma sintetica, ossia priva degli elementi rientranti nella configurazione propria del Promotore - sono rappresentati dai documenti, originariamente facenti parte della Proposta, nella versione dichiarata fattibile dall’EC;

5) criteri di aggiudicazione - a base di gara è posto il Progetto inserito in programmazione, rispetto al quale possono essere chieste varianti migliorative, mentre, per i lavori, l’elaborazione del (solo) progetto esecutivo (considerato che il Nuovo Codice ha eliminato il livello del progetto definitivo) sarà svolta in fase di esecuzione del contratto di concessione. I criteri di aggiudicazione devono essere elencati in ordine decrescente di importanza ed essere connessi all’oggetto della concessione, senza attribuire una libertà di scelta incondizionata all’EC.

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Possono includere criteri ambientali, sociali o relativi all’innovazione, accompagnati da requisiti che consentano di verificare efficacemente le informazioni fornite dagli offerenti. Prima di valutare l’offerta economica, la commissione aggiudicatrice verifica l’adeguatezza e la sostenibilità del PEF, attività che sostituisce la verifica dell’offerta anomala;

6) contenuto delle offerte - le offerte devono includere il PEF asseverato, le specifiche delle caratteristiche del servizio e della gestione, eventuali varianti migliorative al Progetto, la garanzia provvisoria e - ove richiesto - gli eventuali adeguamenti alla BdC rispetto alle - eventuali - varianti migliorative richieste, o offerte in gara;

7) svolgimento della procedura - l’EC prende in esame le offerte pervenute nei termini indicati nel bando, redige una graduatoria e nomina aggiudicatario l’OE che ha presentato la migliore offerta;

8) prelazione del Promotore - se il Promotore non risulta aggiudicatario, può esercitare il diritto di Prelazione entro 15 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione - che avviene in conformità con l’art. 90 del Nuovo Codice - e diventare aggiudicatario, con l’obbligo di eseguire il contratto alle stesse condizioni offerte dall’aggiudicatario originario. In tal caso, quest’ultimo ha diritto al rimborso delle spese documentate ed effettivamente sostenute per la predisposizione dell’offerta, entro il limite massimo del 2,5% dell’importo dell’investimento (capex) posto a base di gara. Se il Promotore non risulta aggiudicatario e non esercita la Prelazione, ha diritto al rimborso - da parte dell’aggiudicatario - delle spese sostenute per l’elaborazione della Proposta, quali indicate nel PEF della Proposta ed entro il limite massimo del 2,5% dell’importo dell’investimento.

In conclusione, si può affermare che, come già nel Vecchio Codice e ancor più con le modifiche introdotte dall’art.

193 del Nuovo Codice, la PF si conferma uno strumen-

to pienamente legittimo ed in linea con l’approccio delle Direttive UE, che promuovono un maggiore dialogo tra gli OE e gli EC, senza compromettere la concorrenza o violare i principi del diritto UE. Originariamente, si ricorda, la PF ad iniziativa privata era stata ideata per colmare una carenza di programmazione da parte degli EC, ossia gli OE potevano presentare delle proposte solo per interventi non compendiati in programmazione. Tuttavia, la legislazione emergenziale, a fini acceleratori, ha consentito - con previsione rimasta inalterata anche nel Nuovo Codice - la presentazione di Proposte anche su interventi già presenti in programmazione, a riprova dell’utilità, oltre che della piena legittimità di questo strumento. Ma non solo. Come dimostrato dai dati ANAC, la PF rappresenta il primario strumento di accelerazione degli investimenti pubblici, anche nell’ottica della realizzazione del PNRR. Ciò in quanto la Proposta deve contenere documenti tecnici, economico-finanziari e contrattuali, tali da costituire il nucleo fondamentale della documentazione necessaria all’EC per lanciare la c.d. gara a valle. Considerando che, mediamente, i tempi di elaborazione dei suddetti documenti, in particolare quelli tecnici, da parte delle amministrazioni, vanno dai 12 mesi in su, a seconda che siano coinvolti lavori pubblici o meno, appare evidente che, con la PF, tali tempistiche possono essere sensibilmente ridotte. Infatti, mediante la PF, dopo che la documentazione di cui si compone la Proposta sia stata valutata, eventualmente modificata, e dichiarata fattibile - entro 90 giorni -, l’EC potrà, con uno sforzo contenuto, predisporre velocemente la documentazione di gara. In tal modo si favorisce, certamente, una maggiore efficienza e rapidità nell’attuazione dei progetti di interesse pubblico, senza che sia necessario ricorrere a strumenti eccezionali, o derogatori, come spesso, di converso, accade, per garantire risultati e tempistiche certe.

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finanza di progetto

contratto di lavoro

La trasformazione di contratti di lavoro precario in rapporti di lavoro a tempo indeterminato: riparto di competenze tra Stato e Regioni

CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 99/2023 (Decisione del 05/04/2023; Deposito del 18/05/2023).

Presidente: Silvana SCIARRA; Redattore: Angelo BUSCEMA.

Deve ritenersi integrata la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., quando la disciplina regionale, consentendo la trasformazione di contratti precari di lavoratori in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, incide sulla regolamentazione del rapporto precario già in atto e, in particolare, sugli aspetti connessi alla durata del rapporto, e determina, al contempo, la costituzione di altro rapporto giuridico, ovvero il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio per effetto della stabilizzazione.

Il punto di equilibrio fra queste opposte esigenze è stato individuato dal legislatore statale tramite la fissazione di quattro criteri: 1) la coerenza con il piano triennale dei fabbisogni del personale; 2) un limite formale (solo lavoratori precedentemente reclutati con contratti a tempo determinato); 3) un limite soggettivo (i ruoli sanitario e socio-sanitario); e 4) un limite temporale (quest’ultimo, peraltro, oggetto di successive modifiche).

Il ricorso introduttivo del giudizio di legittimità costituzionale deciso con la sentenza n. 99/2023 della Corte Costituzionale.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugnava dinanzi alla Corte Costituzionale l’art. 1 della legge regionale Molise 4 agosto 2022, n. 13 (Stabilizzazione del personale sanitario precario, in attuazione della legge 30 dicembre 2021, n. 234), nella parte in cui prevedeva, ai fini dell’attuazione della procedura di stabilizzazione prevista dall’art. 1, comma 268, lettera b), della legge di bilancio n. 234 del 2021, derogando a quest’ultima, quale norma interposta (ripetutamente modificata dopo il promovimento delle questioni de quibus):

i) la possibilità di derogare al piano triennale dei fabbisogni del personale;

ii) la possibilità di stabilizzare personale contrattualizzato con qualunque forma di contratto flessibile;

iii)l’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione anche al personale dei ruoli tecnico e amministrativo;

iv) l’estensione al 31 dicembre 2022 della finestra temporale utile ai fini della maturazione dei diciotto mesi di servizio (prevista, nel testo originario della normativa statale, al 30 giugno 2022).

Secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la disciplina regionale impugnata sarebbe stata in contrasto con:

- l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile, poiché la normativa impugnata introduceva una forma di stabilizzazione del personale in questione, estranea al quadro normativo statale di riferimento;

- l’art. 117, terzo comma e l’art. 81, terzo comma, Cost., in quanto il sopracitato art. 1, comma 268, lettere b e c, della legge n. 234 del 2021 ha fissato principi nella materia «coordinamento della finanza pubblica», nel rispetto dei quali la disciplina molisana avrebbe dovuto espressamente prevedere i mezzi finanziari (viceversa, da essa non previsti) per fronteggiare gli oneri da sé derivanti;

- l’art. 117, terzo comma, Cost. anche in relazione all’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009, in quanto le disposizioni regionali impugnate, nel prevedere nuove assunzioni del personale, contrastavano con gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, stabiliti dal piano di rientro a cui era vincolata la Regione;

- l’art. 120, secondo comma, Cost., per asserita interferenza, da parte delle norme regionali con i poteri costituzionalmente ascritti al Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari;

- l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. stante la possibilità di avviare procedure selettive del perso-

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nale in deroga ai piani triennali dei fabbisogni, ex art. 1, comma 268, lettera c), della legge n. 234 del 2021, estendendo tali procedure anche al personale tecnico-amministrativo, senza rispettare i requisiti di anzianità di servizio stabiliti dalla legge statale.

La normativa di riferimento secondo la ricostruzione della Corte Costituzionale.

Con la decisione in evidenza, la Corte Costituzionale ha inquadrato la normativa di riferimento. In primis , la disposizione statale di cui alla lettera b) del comma 268 dell’art. 1 della legge n. 234 del 2021 stabiliva l’assunzione a tempo indeterminato del personale del ruolo sanitario e del ruolo sociosanitario, che era stato reclutato a tempo determinato con procedure concorsuali, purché avesse maturato i requisiti dal medesimo comma prescritti. Quest’ultima previsione, richiamata dal ricorrente, secondo il Giudice delle Leggi, nel limitare le stabilizzazioni solo ai lavoratori così precedentemente reclutati mediante contratti a tempo determinato, inseriva un limite in materia di ordinamento civile in conformità all’art. 20, comma 1, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 [« Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche »], permettendo entrambe le discipline, sino al 31 dicembre 2023, l’assunzione a tempo indeterminato del personale non dirigenziale in possesso dei requisiti stabiliti ex lege.

Per giunta, il Giudice delle Leggi si era già pronunciato sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 75 del 2017 (sentenza n. 250 del 2021), chiarendo la ratio dell’esclusione dei lavoratori utilizzati mediante contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni dalle procedure di “stabilizzazione” oggetto di scrutinio.

Tale questione, con la sentenza del 2021, era stata giudicata non irragionevole in riferimento all’art. 3 Cost., poiché la previsione dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a seguito di concorso pubblico, « prevista con riferimento alla fattispecie del contratto a termine, non è ipotizzabile anche per la parallela fattispecie del contratto di somministrazione a tempo determinato, poiché quest’ultimo non comporta l’instaurazione di un rapporto di lavoro diretto tra lavoratore somministrato ed ente utilizzatore».

La disciplina sulla stabilizzazione del personale della pubblica amministrazione derogava, perciò, temporaneamente al principio del pubblico concorso che coinvolgeva «un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti»: quelle della norma generale e quelle della norma di deroga. Siffatto giudizio, ad avviso della Corte, spettava innanzitutto al legislatore ed era censurabile in sede di legittimità costituzionale solo nei casi di manifesta irragionevolezza.

Orbene, «l’art. 1, comma 268, lettera b), della legge n. 234 del 2021, nel delimitare la possibilità di stabilizzare solo i lavoratori preliminarmente reclutati con contratto a tempo determinato (e che abbiano superato un concorso), non comporta una irragionevole disparità di trattamento, poiché difetta la condizione di sostanziale identità delle situazioni messe a confronto ». In dettaglio, i lavoratori assunti con contratti di lavoro a tempo determinato, a differenza di quelli reclutati con altre forme contrattuali flessibili, venivano inseriti, mediante procedure selettive, nell’organizzazione dell’ente.

La scelta precedentemente decisa, dunque, inserendo una procedura di stabilizzazione in deroga alla regola del pubblico concorso, secondo la Corte Costituzionale, rispettava le condizioni stabilite dalla norma di cui al comma 1 dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017 e superava, pertanto, il vaglio di non manifesta irragionevolezza.

La decisione n. 99/2023 qui segnalata Richiamata la precedente decisione n. 250 del 2021, sopra sintetizzata, il Giudice delle leggi ha così valutato

19 contratto di lavoro
I limiti introdotti dal legislatore statale sono finalizzati a impedire una indiscriminata stabilizzazione del personale e a contemperare l’esigenza di rafforzamento strutturale del personale sanitario regionale con l’esigenza di contenere la spesa conseguente e rispettare il principio del pubblico concorso

contratto di lavoro

le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Molise n. 13 del 2022, giudicandole fondate per violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost., in relazione all’art. 1, comma 268, lettera b), della legge n. 234 del 2021.

Le norme impugnate, infatti, attenevano:

• alla possibilità di derogare al piano triennale dei fabbisogni del personale (quale piano desunto come norma interposta);

• all’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione della procedura di stabilizzazione (ricomprendendo anche il personale del ruolo tecnico e amministrativo e previamente reclutato con qualunque forma contrattuale);

• e, infine, all’estensione al 31 dicembre 2022 della finestra temporale, utile alla maturazione dei diciotto mesi di servizio (prevista nel testo originario della normativa statale al 30 giugno 2022).

In proposito, la giurisprudenza costituzionale, con la sentenza n. 194 del 2020 (che, a sua volta, richiamava la sentenza n. 51 del 2012), aveva, già, rilevato che «deve ritenersi integrata la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., quando la disciplina regionale, consentendo la trasformazione di contratti precari di lavoratori in rapporti di lavoro a tempo

indeterminato, incide sulla regolamentazione del rapporto precario già in atto e, in particolare, sugli aspetti connessi alla durata del rapporto, e determina, al contempo, la costituzione di altro rapporto giuridico, ovvero il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio per effetto della stabilizzazione».

Con la sentenza in analisi la Corte ha, così, rimarcato che i limiti introdotti dal legislatore statale sono finalizzati a impedire una indiscriminata stabilizzazione del personale e a contemperare l’esigenza di rafforzamento strutturale del personale sanitario regionale con l’esigenza di contenere la spesa conseguente e rispettare il principio del pubblico concorso.

Secondo il Giudice di legittimità: «il punto di equilibrio fra queste opposte esigenze è stato individuato dal legislatore statale tramite la fissazione di quattro criteri: 1) la coerenza con il piano triennale dei fabbisogni del personale; 2) un limite formale (solo lavoratori precedentemente reclutati con contratti a tempo determinato); 3) un limite soggettivo (i ruoli sanitario e socio-sanitario); e 4) un limite temporale (quest’ultimo, peraltro, oggetto di successive modifiche) (in questo senso, sentenza n.76 del 2023).

La Corte Costituzionale ha, perciò, precisato che quelle in materia di stabilizzazione di personale cosiddetto precario dei ruoli sanitario e socio sanitario sono di

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competenza esclusiva statale (ordinamento civile) e concorrente (coordinamento della finanza pubblica), in quanto finalizzate a contenere la spesa pubblica entro limiti ragionevoli ed in quanto tali espressive di principi fondamentali nella materia “coordinamento della finanza pubblica”.

Conclusioni

In conclusione, con la sentenza in esame la Corte Costituzionale:

«

1) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Molise 4 agosto 2022, n. 13 (Stabilizzazione del personale sanitario precario, in attuazione della legge 30 dicembre 2021, n. 234), nella parte in cui prevede che la procedura di stabilizzazione ivi delineata possa avvenire «anche in deroga», anziché «in coerenza» con il piano triennale di fabbisogno del personale; nella parte in cui consente la stabilizzazione di personale anche al personale «contrattualizzato a qualunque titolo», anziché del personale che sia stato reclutato «con contratti a tempo determinato», diverso da quello sanitario e socio-sanitario, e quindi limitatamente alle parole «tecnico ed amministrativo»; infine, nella parte in cui prevede che i diciotto mesi di servizio debbano essere maturati alla data del 31 dicembre 2022,

anziché nel diverso termine previsto dalla normativa statale vigente ratione temporis;

2) ha, altresì, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Molise n. 13 del 2022, nella parte in cui prevede di avviare procedure selettive riservate, «in deroga», anziché «in coerenza» con il piano triennale di fabbisogno del personale; nella parte in cui consente la stabilizzazione di personale diverso da quello sanitario e socio-sanitario, quindi limitatamente alle parole «tecnico e amministrativo»; infine, nella parte in cui prevede che i diciotto mesi di servizio debbano essere maturati alla data del 31 dicembre 2022, anziché nel diverso termine previsto dalla normativa statale vigente ratione temporis».

Si noti, da ultimo, che sulla disciplina della materia è sopravvenuto il D.L. n. 34/2023, convertito con modificazioni dalla L. n. 56/2023.

Giurisprudenza conforme:

- Corte Costituzionale, sentenza n. 76 del 2023;

- Corte Costituzionale, sentenza n. 195 del 2021;

- Corte Costituzionale, sentenza n. 194 del 2020;

- Corte Costituzionale, sentenza n. 207 del 2017;

- Corte Costituzionale, sentenza n. 51 del 2012;

- Corte Costituzionale, sentenza n. 140 del 2009.

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contratto di lavoro

I criteri di aggiudicazione nel nuovo codice: novità e conferme

Il nuovo codice degli appalti ha ridefinito le regole d’uso dei criteri di aggiudicazione, con alcune conferme rispetto all’impianto codicistico precedente ma anche significative novità. Prima di entrare nel dettaglio delle nuove norme, tuttavia, va rilevato come nel d.lgs. n. 36/23 le norme che si occupano dei criteri di aggiudicazione siano molte e sparse nell’intero articolato del codice. Perciò appare semplicistico riferirsi esclusivamente all’art. 108 come norma generale, che certamente rappresenta il punto di riferimento in questo tema, ma al contempo richiede sempre un coordinamento con altre disposizioni del codice. In effetti, va almeno (1 ricordata anche la pari importanza dell’art. 185, che per i criteri di aggiudicazione è la norma generale in tema di concessioni. Si tratta di norma naturalmente molto simile all’art. 108 sull’aggiudicazione degli appalti eppure allo stesso tempo con rilevanti e significative differenze, che impongono una riflessione anche di sistema.

Sotto questo profilo, l’art. 185 per le concessioni contiene una disposizione (i primi due commi) che ricorda il primo comma dell’art. 95 del vecchio codice: l’amministrazione non gode di una incondizionata libertà di scelta del contraente; i criteri di aggiudicazione devono

assicurare una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva; essi, inoltre, devono essere accompagnati da requisiti che consentono di verificare efficacemente le informazioni fornite dagli offerenti. Queste regole non sono state introdotte nell’art. 108 per l’affidamento di appalti e compaiono soltanto nell’art. 185 per l’affidamento di concessioni. Cosa significa questa differenza? Perché nel nuovo codice, per gli appalti queste regole non sono state (più) previste? Le domande sono significative e non è facile dare una risposta: certamente non si tratta di una svista del legislatore, considerando da un lato la forte simmetria tra l’art. 108 del nuovo codice e l’art. 95 del precedente e, dall’altro, la circostanza che per le concessioni, come detto, queste regole invece sono state scritte. L’unica spiegazione plausibile è la volontà di semplificare l’affidamento delle procedure per l’aggiudicazione degli appalti (ma non delle concessioni) e di facilitare il raggiungimento del risultato (art. 1) e il rispetto dei tempi massimi per l’affidamento, previsti dall’allegato I.3.

Ma davvero in nome del risultato e della celerità i criteri di aggiudicazione degli appalti possono anche essere meno concorrenziali e meno verificabili? Davvero essi

1 Le norme nel codice che si occupano di criteri di aggiudicazione, oltre all’art. 108 e all’art. 185, sono per la precisione: l’art. 33, in tema di aste elettroniche, l’art. 44 per l’appalto integrato, l’art. 50 per il sottosoglia, l’art. 57 che disciplina i criteri ambientali minimi; e poi gli artt. 129, 130 e 131 per particolari categorie di servizi (sociali, di ristorazione e di mensa) che richiedono una specifica garanzia di qualità. Nella parte speciale del codice, infine, troviamo l’art. 170, che prevede la possibilità di introdurre criteri premiali in ordine alla provenienza dei materiali dal mercato UE anziché da paesi terzi; l’art. 193, per la finanza di progetto; l’art. 205 in tema di contraente generale e l’art. 208 per gli appalti di global service per la manutenzione del patrimonio immobiliare pubblico.

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Roberto Bonatti - Studio Legale Russo Valentini - Professore aggregato dell’Università di Bologna
Il nuovo codice conferma la preferenza di legge per il criterio di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa. Il prezzo può essere il criterio di aggiudicazione soltanto nei casi previsti dall’art.
108, comma 3, e cioè, nel caso di servizi standardizzati o con caratteristiche definite dal mercato

possono attribuire una maggiore discrezionalità per l’amministrazione? Non credo: la concorrenza, sebbene non sia uno dei principi cardine del nuovo codice, è tuttavia principio trasversale di essi (compare infatti sia nell’art. 1 che nell’art. 3) ed è soprattutto principio cardine delle direttive europee di cui il nuovo codice rappresenta pur sempre trasposizione. La verificabilità delle dichiarazioni è essa stessa garanzia di trasparenza e concorrenza: certo, avremo fiducia (art. 2) nelle dichiarazioni tecniche del concorrente e che egli non esalterà oltremodo la bontà del proprio prodotto o della propria prestazione (potendo, tra l’altro, essere escluso e segnalato per dichiarazioni non veritiere o tali da influenzare indebitamente il processo decisionale dell’amministrazione sull’ammissione delle offerte o sull’aggiudicazione). Però una verifica delle dichiarazioni tecniche andrà pur sempre compiuta da parte della commissione di gara.

In sostanza, anche se per l’affidamento degli appalti pubblici non sono state ripetute nel nuovo codice, queste regole appaiono regole di buon senso procedimentale, funzionali all’ottenimento di un miglior risultato, e cioè la selezione dell’offerta effettivamente migliore per l’interesse pubblico, senza appesantire più del necessario la procedura selettiva. A patto, naturalmente, che i requisiti di aggiudicazione siano chiari, oggettivi e consentano di effettuare un reale confronto tra le offerte.

2. – Il nuovo codice conferma la preferenza di legge per il criterio di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa ( 2). Il prezzo può essere il criterio di aggiudicazione soltanto nei casi previsti dall’art. 108, comma 3, e cioè, come già in passato, nel caso di servizi standardizzati o con caratteristiche definite dal mercato (3). Questo rapporto tra regola ed eccezione è confermato dall’esame complessivo di tutte le norme del codice che si occupano di criteri di aggiudicazione: l’offerta economicamente più vantaggiosa è l’unico criterio di aggiudicazione consentito, in particolare, per gli appalti integrati, per gli appalti di servizi alla persona, per gli appalti di ristorazione e di mensa, per la finanza di

progetto, per il global service. E non pare scalfito dalla mancanza nel nuovo art. 108 di una norma corrispondente all’art. 95, comma 5, del codice precedente, in base al quale l’amministrazione deve motivare il ricorso al criterio del prezzo più basso. Si tratta di norma superflua perché, una volta chiarito che la regola è la valutazione qualità-prezzo e l’eccezione è il prezzo più basso, il ricorso al criterio di aggiudicazione eccezionale deve necessariamente essere motivato dalla stazione appaltante.

Anche nel nuovo codice, la valutazione qualità-prezzo è obbligatoria in alcuni casi specifici, tra i quali – oltre ai già ricordati servizi sociali e di ristorazione – vanno ricordati soprattutto i servizi ad alta intensità di manodopera, ossia quelli per i quali il costo della componente lavorativa è maggiore o uguale al costo totale dei corrispettivi pagabili dalla stazione appaltante (art. 2, comma 1, allegato I.1.). Per questi ultimi, nel nuovo codice opportunamente si prevede che, se i servizi sono contemporaneamente standardizzati e ad alta intensità di manodopera, la regola che prevale è quella dell’obbligo di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa e non è possibile utilizzare il prezzo più basso. Si tratta di regola che codifica quanto già stabilito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella vigenza del precedente codice (4). Ciò conferma ancora una volta che la regola prevalente è la valutazione qualità-prezzo.

A questi casi si aggiungono poi i contratti aventi ad oggetto prestazioni a notevole contenuto tecnologico o con carattere innovativo (5), gli affidamenti di importo superiore a € 140.000,00 di servizi di architettura e di ingegneria e, in generale, di prestazioni di tipo tecnico e professionale, nelle quali la componente intellettuale rende variabile la qualità della prestazione, che deve perciò essere apprezzata in sede di valutazione delle offerte; gli affidamenti effettuati mediante procedure di dialogo competitivo o partenariato per l’innovazione, nelle quali è insita la compartecipazione dell’operatore economico alla formazione qualitativa della prestazione richiesta.

2 Si tratta di regola ormai sempre più consolidata, a partire dalla sentenza della Corte Giust. UE del 7 ottobre 2004, causa Sintesi SpA C-247/02.

3 Secondo T.A.R. Lazio, n. 3201 del 24.2.2023 rientrano tra le caratteristiche standardizzate non quelle già definite dal produttore e non modificabili su richiesta della stazione appaltante ovvero rispondenti a determinate norme nazionali, europee o internazionali ma anche quelle puntualmente definite dal capitolato tecnico Più puntualmente, secondo Cons. Stato, sez. V, n. 782 del 24.1.2023, si tratta di prestazioni che, per loro natura ovvero per la prestazione richiesta dalla stazione appaltante all’affidatario negli atti di gara, non possano essere espletate che in unica modalità, per le quali di conseguenza la comparazione qualitativa non ha alcuna utilità concreta.

4 Cons. Stato, Ad. Plen. n. 8 del 21 maggio 2019, in Foro it., 2019, II, c. 365 ss. con nota di Travi.

5 Sopra il valore di € 140.000,00 se di forniture o servizi, per coordinarlo con le modalità di affidamento degli appalti sottosoglia: sotto tale valore, infatti, la procedura da seguire è normalmente l’affidamento diretto, che non è compatibile con una valutazione qualitativa effettuata in via preventiva mediante criteri di aggiudicazione, e viene invece effettuata ex post nella comparazione dei preventivi richiesti. Per i lavori, invece, non vi è alcuna soglia ed essi seguono sempre il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa se aventi carattere innovativo o siano tecnologicamente avanzati. Qui il coordinamento con il sottosoglia è meno rilevante, perché la soglia di affidamento diretto per i lavori è soltanto di € 150.000,00 ed è ben improbabile che un appalto di lavori con notevole contenuto tecnologico o carattere innovativo abbia un valore inferiore a tale somma.

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La valutazione complessiva di questi casi porta senza dubbio a definire il nuovo codice come un codice improntato alla qualità, più che quanto lo fosse il codice precedente.

3. – Questo giudizio non è scalfito da una rilevante novità del nuovo codice, ossia la caduta della barriera massima di 30 punti su 100 per la componente prezzo nel caso di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa. Sarà dunque la stazione appaltante in sede di progettazione della gara a determinare quanto vale la componente tecnica rispetto al peso del prezzo e saranno di nuovo possibili, per esempio, gare in cui qualità e prezzo sono perfettamente bilanciate (50 punti per la qualità e 50 per il prezzo).

La novità appare molto importante soprattutto per alcune categorie di beni per le quali la componente di prezzo è determinante e che, nel codice previgente, per tale ragione venivano ricondotte alle ipotesi di eccezionale aggiudicazione al prezzo più basso. Si pensi, ad esempio, ai farmaci, tradizionalmente ritenuti prodotti con caratteristiche standardizzate in quanto definite dall’AIC (6), proprio per consentire alla stazione appaltante di aggiudicare al prezzo più basso ed evitare di doversi letteralmente inventare una pluralità di caratteristiche tecniche tali da arrivare addirittura a 70 punti su 100 per la qualità. Certo, anche i farmaci possono essere (e forse effettivamente saranno) valutati anche per la loro qualità; si vuol dire, però, che per questo tipo di prodotto il prezzo rappresenta pur sempre l’elemento principale di valutazione e dunque anche in caso di offerta economicamente più vantaggiosa esso peserà comunque più degli aspetti qualitativi. La legge mantiene soltanto in due casi una ponderazione tra qualità e prezzo predeterminata: ancora una volta gli appalti ad elevata intensità della manodopera, in cui il punteggio per l’elemento prezzo non può essere superiore a 30 punti su 100 e i servizi informatici per interessi nazionali strategici i quali, oltre a dover tenere conto tra i requisiti tecnici oggetto di valutazione, delle caratteristiche di cybersicurezza verranno aggiudicati quasi soltanto con valutazione qualitativa, non potendo la componente prezzo superare 10 punti su 100.

4. – Il nuovo codice conferma poi i criteri premiali relativi alla parità di genere, già introdotti in via temporanea dall’art. 47, comma 5, del d.l. n. 77/21 ed ora riorganizzati e stabilizzati nell’art. 108, comma 7, del codice. La modifica introdotta prima dal d.l. n. 57 del 2023 e poi con la legge 3 luglio 2023 n. 87 ha chiarito

che questi criteri premiali non sono autocertificabili ma devono essere ancorati alla produzione del certificato di cui all’art. 46 bis d.lgs. n. 198/2006 (codice per la parità di genere).

Avevamo già rilevato in altra occasione come un criterio di questo tipo possa scontrarsi con la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, secondo la quale non è legittimo attribuire punteggi qualità ad un’offerta connessi a caratteristiche soggettive dell’operatore economico anziché al prodotto o servizio offerto. Di conseguenza, se ne deve concludere che criteri premiali di questo tipo sono validi se il possesso della certificazione di parità effettivamente produce vantaggi di tipo qualitativo nella prestazione richiesta oppure se effettivamente serve a compensare i costi che l’operatore economico ha sostenuto per attuare le politiche attive per il sostegno della parità di genere che gli hanno consentito di ottenere la certificazione di cui all’art. 46 bis.

In questa sede, però, è utile rimarcare anche alcuni ulteriori inconvenienti che questa scelta legislativa può comportare, in termini di disparità di trattamento tra gli operatori economici concorrenti alla gara. Una prima distorsione è rappresentata dal fatto che le imprese che occupano più di cinquanta dipendenti hanno affrontato il tema della parità di genere nei luoghi di lavoro già dal novembre 2021, con l’obbligo dal 1 gennaio 2022 di redigere il rapporto di cui all’art. 46. Verosimilmente, dunque, quelle imprese avranno già anche adottato le misure necessarie per ottenere la certificazione di cui all’art. 46 bis. Le imprese più piccole, invece, non erano e non sono soggette agli obblighi comunicativi previsti dall’art. 46 ed è presumibile che non abbiano ancora adottato le misure di sostegno per ottenere la certificazione di cui all’art. 46 bis, o comunque non abbiano completato il percorso per ottenerla. Ciò può provocare una possibile disparità di trattamento a svantaggio delle imprese medio-piccole a vantaggio invece di quelle più grandi.

Una seconda distorsione può essere rappresentata dal fatto che l’art. 46 bis del codice delle pari opportunità è applicabile soltanto alle imprese e non ai singoli. In una gara d’appalto, invece, è ben possibile che a presentare offerta sia una persona fisica, per esempio un libero professionista. Immaginiamo una gara per servizi di ingegneria e architettura, alla quale concorrano due operatori economici: un professionista singolo e una società di ingegneria. Il primo non potrà ottenere il punteggio premiale per la certificazione di parità semplicemente perché non gli si applica l’art. 46 bis,

6 Sotto questo aspetto, però, recentemente Palazzo Spada ha chiarito che non tutte le gare farmaci possono essere aggiudicate secondo il criterio del prezzo più basso, dal momento che ciò è possibile a condizione che il confronto tra le caratteristiche tecniche dei due (o più) farmaci siano oggettivamente confrontabili senza ricorrere ad alcun tipo di discrezionalità (Cons. Stato, V, n. 7000/2020). Ciò che è stato escluso nel caso di farmaci posti in concorrenza sulla base del criterio dell’equivalenza terapeutica (Cons. Stato, III, n. 2797/2023).

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mentre la seconda potrà avvantaggiarsi se possiede la certificazione in questione.

5. – Sempre nel comma 7 dell’art. 108 è poi prevista la possibilità di inserire nei bandi e nei capitolati la c.d. clausola di territorialità, volta cioè a prevedere criteri premiali volti a favorire l’affidamento ad operatori economici con sede operativa nell’ambito territoriale di riferimento, qualora la prestazione dipenda dal principio di prossimità. La questione ha in passato dato luogo ad alcune incertezze applicative, risolte perlopiù nel senso che: tale tipo di preferenza territoriale è certamente illegittimo se si tratta di requisito di partecipazione alla gara o di requisito tecnico a pena di esclusione (7); che la territorialità è invece legittima come mero criterio di esecuzione dell’appalto, ossia sotto forma di impegno del concorrente all’apertura di una sede operativa nel territorio interessato ma solo in caso di aggiudicazione, quindi, di esecuzione del contratto; che, infine, nell’ipotesi di requisito tecnico premiale attributivo di punteggio tecnico in gara, essa è comunque normalmente illegittima perché discriminatoria ma la valutazione va operata caso per caso (8).

Va comunque evidenziato che questa giurisprudenza si è formata sotto la vigenza di norme di natura emergenziale, emanate durante la pandemia sanitaria, che consentivano tale valorizzazione territoriale ma al fine di evitare che l’esecuzione del contratto potesse essere fonte di spostamenti non necessari di persone o comunque veicolo per la diffusione degli agenti patogeni. Il nuovo codice sembra però aprire a quest’ultima possibilità, rendendola ora stabile e non più ancorata ad esigenze di contenimento della pandemia; proprio per questo, però si tratta di scelta che difficilmente trova una ratio specifica anche se il legislatore l’ha subordinata a due condizioni. Anzitutto, che il requisito premiale legato alla territorialità sia giustificato dalla più efficiente gestione della prestazione appaltata; in secondo luogo, che esso sia compatibile con i principi europei di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità.

Per la verità, appare alquanto difficile immaginare una clausola di territorialità che, sotto forma di requisito tecnico premiale, sia al contempo compatibile con questi principi e, in particolare, non si traduca in una discriminazione verso imprese di altri territori. Si trat-

ta allora di clausola che ben difficilmente reggerà un vaglio di legittimità di fronte al giudice amministrativo, a meno che il vantaggio tecnico non sia assolutamente contenuto e dunque di fatto non decisivo.

Anzi, a ben vedere su questa parte della norma incombe una scura nube di incostituzionalità, sol che si consideri come la giurisprudenza costituzionale abbia già avuto modo di intervenire chiaramente in questa materia. La Consulta non si è limitata a rimarcare la competenza del legislatore statale, avendo questo tipo di clausole impatto diretto nella tutela della concorrenza, ma ha anche chiarito che il legislatore statale può esercitare questa competenza ricercando un equilibrio tra la tutela della concorrenza e la tutela di altri interessi pubblici con essa interferenti (9).

Dal momento che la tutela della concorrenza è principio costituzionale ed eurounitario, la conclusione del ragionamento condotto dalla Corte Costituzionale non può che essere nel senso dell’illegittimità costituzionale di questa norma, se essa non persegue un interesse contrario alla concorrenza, che abbia però rango di principio costituzionale. Posta in questi termini la questione, pare davvero difficile scorgere quale possa essere l’interesse costituzionale protetto dalla clausola di territorialità, tale da interferire con il principio costituzionale ed europeo di concorrenza.

7 Secondo la sentenza Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3147 del 15 maggio 2019 la clausola di territorialità, se preclusiva della partecipazione alla gara, è discriminatoria e perciò illegittima, anche in rapporto al diritto europeo ed all’esigenza di evitare ogni discriminazione tra imprese europee in ragione della loro localizzazione, nazionale o locale.

8 Il riferimento, pressoché unico in giurisprudenza, è alla sentenza del T.A.R. per la Calabria, Reggio Calabria, n. 901 del 30 novembre 2021, non impugnata, che ha ritenuto legittimo un requisito tecnico premiale che attribuiva ben dieci punti tecnici all’impresa radicata nel territorio, in relazione ad un affidamento di servizi per richiedenti asilo e rifugiati, motivata sulla maggiore integrazione con le amministrazioni locali e con le associazioni del terzo settore attivi nel territorio ove il contratto avrebbe dovuto essere eseguito, garantendone dunque una più facile e completa esecuzione.

9 Corte Cost., sentenza n. 4 del 14 gennaio 2022; sentenza n. 98 del 27 maggio 2020.

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autorità nazionale anticorruzione

L’Autorità Nazionale Anticorruzione: alcune riflessioni su ruolo e funzioni verso le Aziende sanitarie pubbliche

Il panorama istituzionale italiano è stato caratterizzato, a partire dagli anni settanta, dall’istituzione di Autorità Amministrative Indipendenti, derivanti dall’esperienza delle “indipendent regulatory agencies”, basate su un modello statunitense di “secolare” tradizione che si è successivamente sviluppato anche nella legislazione europea. Le autorità indipendenti furono introdotte nel Regno Unito, come “independent commission”, e in Francia come “autorités administratives indépendantes”; mentre in Italia la prima autorità indipendente è stata la CONSOB (Commissione nazionale per le società e la borsa) nata nel 1974, ma la vera e propria esplosione del fenomeno si ha a partire dagli anni ottanta.

Nel nostro Paese, sono state così progressivamente istituite, l’Autorità Garante per l’editoria nel 1981 e l’ISVAP (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private) nel 1982 proseguendo poi negli anni novanta con una discreta proliferazione delle Autorità in argomento, molto spesso su impulso dell’ordinamento comunitario.

Fioriscono infatti in quel decennio importantissime Autorità Amministrative, costituite per l’attuazione di principi e direttive comunitarie, quali:

• l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), istituita con l. 10.10.1990, n. 287;

• l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali (l. 31.12.1996, n. 675, c.d. legge sulla privacy); ed Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, ovvero:

• l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (AEEG – l. 11.11.1995, n. 481);

• l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM – l. 31.7.1997, n. 249).

Sempre a quel periodo risale l’istituzione:

• della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sull’esercizio del diritto di sciopero (art. 12, l. 12.6.1990, n. 46);

• della Commissione di vigilanza sui fondi pensioni (COVIP – d.lgs. 21.4.1993, n.24);

• dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici (l.

11.2.1994, n. 109), che diventerà poi “Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture” (AVCP - artt. 6-8, d. lgs. 12.4.2006, n. 163).

Anche queste ultime sono state annoverate – non senza qualche incertezza - tra le autorità amministrative indipendenti.

Infine, da ricordare l’istituzione, sul finire del primo decennio degli anni 2000, della “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche” (CIVIT) (d.lgs. 27.10.2009, n. 150), che, come si vedrà più avanti, costituirà il nucleo originario dell’attuale Autorità nazionale anticorruzione. È possibile affermare che le Autorità Indipendenti si caratterizzano per la tutela di determinati settori sensibili, sono dotate di particolari cognizioni tecniche e di sostanziale indipendenza dal potere esecutivo e godono di autonomia organizzativa, finanziaria, contabile e normativa. In particolare, esse beneficiano infatti di una autonomia organizzativa, che si esprime nei rapporti di lavoro con i propri dipendenti, disciplinati autonomamente rispetto alle leggi generali dello Stato in materia con accesso tramite concorso e di autonomia contabile, nel senso che non sono sottoposte al controllo della Corte dei Conti. Ulteriormente, hanno autonomia finanziaria, in quanto non sono sottoposte a vincoli di bilancio statale: devono infatti presentare un bilancio, ma non sono finanziate dallo Stato. Va da sé infatti che se tali Autorità fossero finanziate dallo Stato, verrebbe meno il fondamentale requisito dell’autonomia, perché sarebbero finanziate dallo stesso soggetto che dovrebbero controllare. Alla luce delle sopra citate riflessioni è possibile dunque affermare che l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), per come è stata la sua evoluzione fino ai giorni nostri, può essere certamente annoverata fra le autorità amministrative indipendenti a pieno titolo, dotata di un apparato amministrativo di supporto adeguato allo svolgimento di funzioni e all’esercizio di poteri che, successivamente alla sua istituzione, sono stati ben circoscritti e

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Paola Bardasi - Direttore Generale Azienda Usl di Piacenza Alberto Fabbri - Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza Azienda Usl di Ferrara

identificati tramite diversi interventi normativi susseguitisi nel corso del tempo.

L’Autorità Nazionale Anticorruzione

L’ANAC, come è noto, e come in precedenza richiamato, nasce dalla trasformazione di un altro organismo pubblico: la “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche” (CIVIT) costituita e disciplinata dal d.lgs. n. 150 del 20091 ed in particolare all’art. 13 con il precipuo compito di migliorare le performance della pubblica amministrazione e di favorire la trasparenza in ottica di prevenzione della corruzione.

La legge Severino ha – di fatto - ampliato i poteri della CIVIT e ha cambiato la sua denominazione in “Autorità nazionale anticorruzione” come si evince dal disposto dell’art. 1, co. 2 della legge n. 190/2012 che recita: “La Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT), di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, e successive modificazioni, di seguito denominata «Commissione», opera quale Autorità nazionale anticorruzione, ai sensi del comma 1 del presente articolo. In particolare, la Commissione:

a) collabora con i paritetici organismi stranieri, con le organizzazioni regionali ed internazionali competenti;

b) adotta il Piano nazionale anticorruzione;

c) analizza le cause e i fattori della corruzione e individua gli interventi che ne possono favorire la prevenzione e il contrasto.

L’individuazione della CIVIT come “Autorità Nazionale Anticorruzione” fu attuata inoltre per adempiere ad un obbligo internazionale in quanto molte delle convenzioni sottoscritte (e solo successivamente ratificate) dall’Italia in materia di contrasto alla corruzione imponevano al nostro Paese di costituire un’autorità specifica in tal senso.

A seguito dell’emanazione della più volte citata L. 190/12, le competenze in materia di anticorruzione e trasparenza affidate all’organismo di cui trattasi, non risultano ancora ben definite ed in particolare l’architettura istituzionale venutasi a creare a quel tempo, presentava limiti in ordine alle competenze assegnate al Dipartimento della Funzione Pubblica: ad esempio, basti pensare al fatto che il primo “Piano Nazionale Anticorruzione” risalente all’anno 2013 è stato predisposto dal Dipartimento della Funzione Pubblica e successivamente ratificato dalla CIVIT con propria delibera n. 72 dell’11 settembre 2013.

Con la successiva legge n. 125 del 2013 le competenze dell’Autorità in argomento vengono più dettagliatamente definite, assumendo la denominazione di “Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni” (A.N.AC.) (art. 5, co. 3) che viene così definita: “organo collegiale composto dal presidente e da quattro componenti scelti tra esperti di elevata professionalità, anche estranei all’amministrazione, con comprovate competenze in Italia e all’estero, sia nel settore pubblico che in quello privato, di notoria indipendenza e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione, di management e misurazione della performance, nonché di gestione e valutazione del personale. Il presidente e i componenti sono nominati, tenuto conto del principio delle pari opportunità di genere, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti. Il presidente è nominato su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro della giustizia e il Ministro dell’interno; i componenti sono nominati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Il presidente e i componenti dell’Autorità non possono essere scelti tra persone che rivestono incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbia-

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1 Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 - Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
autorità nazionale anticorruzione
Il principale carattere dell’ANAC, che costituisce un “unicum” nel nostro ordinamento, è l’indipendenza che la preserva dall’indirizzo politico governativo al fine di consentirle di intervenire con autorevolezza anche per proporre, al Parlamento e al Governo, ulteriori innovazioni e modifiche normative e organizzative

autorità nazionale anticorruzione

no rivestito tali incarichi e cariche nei tre anni precedenti la nomina e, in ogni caso, non devono avere interessi di qualsiasi natura in conflitto con le funzioni dell’Autorità. I componenti sono nominati per un periodo di sei anni e non possono essere confermati nella carica”. Con il successivo DL 24 giugno 2014, n. 90, recante “Misure urgenti per la semplificazione e la traspa renza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”, convertito, con modificazioni in legge 11 agosto 2014, n. 1142 il ruolo dell’Autorità viene ulteriormente definito in quanto in essa vengono concentrate tutte funzioni in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza. Si evidenzia inoltre che il sopra citato provvedimento dispose inoltre la soppressione di un importante organismo quale l’Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici (AVCP) promuovendo in tal modo una più netta divisione dei compiti tra l’Autorità Nazionale Anticorruzione e il Dipartimento della funzione pubblica.

La soppressione dell’Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici non ha però comportato affatto l’abolizione delle sue funzioni ed in particolar modo dell’apparato organizzativo a suppor to dell’esercizio di queste funzioni: il DL 90 è chiaro nel suo intento di creare una Autorità unificata, nei compiti e nell’organizzazione per mezzo della predisposizione, da parte del Presidente dell’Autorità, di un “piano di riordino” da approvarsi con un d.p.c.m. entro il 31 dicembre 2014.

Nel provvedimento vengono comunque confermate in capo al Dipartimento della Funzione Pubblica le competenze in materia di valutazione e misurazione della performance (comma 9 dell’art. 193).

E’ possibile inoltre affermare che il principale carattere dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, che costituisce un “unicum” nel nostro ordinamento, sia l’indipendenza che risulta notevolmente rafforzata e che la preserva dall’indirizzo politico governativo al fine di consentirle di intervenire con autorevolezza anche per proporre, al Parlamento e al Governo, ulteriori innovazioni e modifiche normative e organizzative volte a dare maggiore efficacia alle politiche in materia di prevenzione della corruzione.

L’Autorità è un organo collegiale composto da un presidente e da quattro componenti eletti tra persone di spiccata professionalità ed esperienza.

2 L. 114/2014

Tutte queste figure vengono nominate con decreto dal Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti.

Le competenze dell’ANAC riguardano principalmente tre ambiti:

• la prevenzione alla corruzione,

• la trasparenza amministrativa

• i contratti pubblici.

In quest’ultimo campo ha poteri di regolamentazione, i quali implicano la possibilità per l’Autorità di intervenire direttamente, superando in questo modo un limite che gli era sempre stato riconosciuto in passato.

Altre funzioni attribuite all’Autorità sono di promozione dell’efficienza, di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti e di vigilanza nel settore degli appalti pubblici con poteri anche di controllo, raccomandazione ed infine di tipo sanzionatorio.

L’ANAC dunque si pone al fianco delle Pubbliche Amministrazioni chiamate, sempre con maggiore insistenza, ad esercitare un ruolo di controllo sulle risorse messe a disposizione sia in termini di oculata gestione sia in termini di soddisfacimento dei bisogni della collettività.

In particolare, l’illegalità e la corruzione possono infatti potenzialmente sottrarre risorse significative al sistema sanitario e sovente sono correlate ad altri fattori quali l’inappropriatezza, gli sprechi e il mancato controllo dei consumi contribuendo peraltro a “minare” la fiducia dei cittadini nei confronti del SSN.

Elio Borgonovi nel suo sempre attualissimo saggio “Scomporre problemi complessi per curare il SSN”, suddivide la spesa sanitaria in quattro componenti:

• bisogni di salute reali;

• prestazioni inappropriate;

• sprechi / inefficienze;

• fenomeni illeciti.

In relazione all’ultimo punto emerge che il contrasto all’illegalità nel settore sanitario deve costituire un impegno prioritario da parte dei responsabili delle politiche pubbliche sviluppando sempre più il concetto dell’”accountability” e puntando così su un’azione preventiva di monitoraggio delle azioni soprattutto in termini di trasparenza amministrativa.

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 - Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari

3 Art. 19, co, 9 L. 114/2014 - Al fine di concentrare l’attività dell’Autorità nazionale anticorruzione sui compiti di trasparenza e di prevenzione della corruzione nelle pubbliche amministrazioni, le funzioni della predetta Autorità in materia di misurazione e valutazione della performance, di cui agli articoli 7, 8, 9, 10, 12, 13 e 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, sono trasferite al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Con riguardo al solo trasferimento delle funzioni di cui all’articolo 13, comma 6, lettere m) e p), del decreto legislativo n. 150 del 2009, relativamente ai progetti sperimentali e al Portale della trasparenza, detto trasferimento di funzioni deve avvenire previo accordo tra il Dipartimento della funzione pubblica e l’Autorità nazionale anticorruzione, anche al fine di individuare i progetti che possono più opportunamente rimanere nell’ambito della medesima Autorità nazionale anticorruzione.

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Durante il drammatico periodo della pandemia, ove è stato dimostrato come la carente valutazione al diritto primario della salute, interessata da progressivi tagli di spesa da destinare alla sanità, si è rivelato fondamento delle gravi criticità che possono colpire la collettività, cogliendola di sorpresa allorché quest’ultima si trova costretta ad affrontare calamità naturali, quali ad esempio gli eventi pandemici4, il ruolo dell’Autorità è stato fondamentale per “guidare” l’attività delle Aziende sanitarie che rapidamente dovevano procurarsi servizi e beni.

Come è noto, il periodo dell’emergenza sanitaria, iniziato con la Delibera del Consiglio dei Ministri del 31.01.2020, è stato caratterizzato dall’emanazione di una moltitudine di provvedimenti governativi inciden-

ti, in particolar modo, sulle modalità di affidamento dei contratti pubblici.

La necessità di fronteggiare in maniera adeguata l’emergenza sanitaria, consentendo ai soggetti pubblici di procedere all’acquisto di lavori, servizi e forniture con celerità, ha comportato l’adozione di interventi normativi in materia, con modifiche al Codice dei contratti pubblici, mediante decretazione d’urgenza e altri strumenti straordinari, quali le ordinanze adottate dal Capo della Protezione Civile.

Gli interventi in parte rivestono natura sostanziale, con deroghe e modifiche alle disposizioni in materia di contrattualistica pubblica, e in parte natura procedurale, finalizzati a perseguire esigenze di snellimento e di acce-

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4 Francesco Capriglione in Covid 19 Emergenza sanitaria ed economica – Cacucci Editore

autorità nazionale anticorruzione

lerazione più idonee a fronteggiare l’emergenza in atto rispetto alle tempistiche imposte dal ricorso alle procedure ordinarie.

Tali interventi (es. DL 18/2020, DL 34/2020, DL 75/2020, oltre a diverse ordinanze della Protezione Civile), necessari per garantire rapidità di intervento soprattutto per le amministrazioni maggiormente coinvolte dalla pandemia, come ad esempio le strutture sanitarie, hanno introdotto deroghe rilevanti al sistema degli approvvigionamenti pubblici. È stato per esempio potenziato l’utilizzo della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, prevista dall’articolo 63 del Codice dei contratti pubblici. Ampliate inoltre le ipotesi di affidamento diretto disciplinate dall’articolo 36 comma 2 del Codice e sono state ridotte inoltre tempistiche e adempimenti burocratici connessi all’aggiudicazione.

L’emergenza sanitaria ci mostra come la trasparenza, intesa come conoscibilità e possibilità di comprendere, è condizione necessaria per la garanzia dei diritti e su tale principio l’Autorità ha sempre dimostrato attenzione. Valga per tutti quanto previsto dal d.l. 17 marzo 2020, n. 18 e s.m.i., convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” che introduce un obbligo di trasparenza in merito all’apposita rendicontazione separata, attuata da ciascuna pubblica amministrazione beneficiaria, per le erogazioni liberali a sostegno del contrasto all’emergenza del Coronavirus, per la quale è autorizzata l’apertura di un conto corrente dedicato presso il proprio tesoriere, assicurandone la completa tracciabilità; nello specifico, tale separata rendicontazione, al termine dello stato di emergenza nazionale da COVID-19, dovrà essere pubblicata da ciascuna pubblica amministrazione beneficiaria sul proprio sito internet o, in assenza, su altro idoneo sito internet, al fine di garantire la trasparenza della fonte e dell’impiego delle predette liberalità; Concluso lo stato di emergenza Covid, Anac ha ripristinato le scadenze per gli obblighi di comunicazione dei dati sugli appalti pubblici e i termini dei procedimenti di competenza dell’Autorità che erano stati temporaneamente sospesi o modificati in seguito ai provvedimenti presi dal governo per la pandemia.

Se ci soffermiamo in particolare sull’impatto delle normative rispetto alle aziende sanitarie pubbliche, di più stretta pertinenza di questa trattazione, si possono proporre alcune considerazioni e prime riflessioni.

Il tema del rigore, della legalità e della prevenzione alla corruzione e della trasparenza ha avuto, in un periodo storico che lo richiedeva, un grande impulso dalla legge

190 del 2012 e dal D. Lgs 33/2013: l’istituzione dell’ ANAC come unico organo terzo, indipendente e con ampi poteri di vigilanza controllo e erogazione di sanzioni ha consolidato questa tensione alla legalità.

Nelle aziende sanitarie infatti si è proceduto, alla redazione dei primi piani per la prevenzione alla corruzione, alla nomina del Responsabile per la prevenzione alla corruzione e alla diffusione di una cultura nuova, di una sensibilità diversa, forse un po’ “forzata” e burocratica” negli strumenti”, ma necessaria per i tempi e per le problematiche da affrontare.

La trasparenza delle azioni della pubblica amministrazione, insieme alla accountability sulle azioni e sugli atti delle aziende sanitarie ha costituito una pietra miliare nella gestione del percorso di rinnovamento della PA, e quindi delle aziende sanitarie pubbliche e loro partecipate e collegate, al quale si è accompagnato un totale rinnovamento della Funzione pubblica e delle sue articolazioni Dipartimentali.

ANAC è stato il presidio a verifiche della realizzazione di questo piano di rinnovamento. Di questo certamente va dato atto che i processi di cambiamento spesso richiedono anche una spinta “normativa”, della quale ANAC e’ stato il motore. Anche rispetto a due tematiche collaterali::

• contrattualistica;

• sistemi di valutazione delle performance.

Nella progressione temporale dal 2012, su ANAC sono convogliati sempre maggiori poteri, di vigilanza e controllo, anche su tematiche in precedenza affidate ad altri organismi, poi soppressi, come abbiamo visto nella sezione normativa di cui sopra.

La ratio è certamente la creazione di un punto unico di riferimento per la vigilanza, che agisce spinto dalle due leve della verifica sulle azioni e atti “trasparenti” e sui piani e attualizzazioni della prevenzione alla corruzione nei diversi settori, per queste ragioni, quasi con naturalezza, ad ANAC è stata affidato il controllo sui contratti e sulle segnalazioni per irregolarità da parte delle imprese, con la possibilità di erogare pesanti sanzioni rispetto alla partecipazione alle gare pubbliche.

Infine, in un unico sentiero sulla gestione trasparente, i percorsi di valutazione delle risorse umane e di verifica della prevenzione alla corruzione sono stati concentrati negli organismi di valutazione indipendenti, assoggettati alla unica verifica di ANAC;

Il periodo post-pandemia e le sfide del futuro

Come in precedenza rappresentato, l’emergenza sanitaria ha comportato una cesura, una frattura di modelli organizzativi e degli strumenti, dei meccanismi operativi delle Aziende sanitarie ma soprattutto hanno provocato anche

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una fase di sospensione di tante norme sulla trasparenza, sulla pubblicità, sulla vita organizzativa in generale. Di conseguenza, tale condizione ha portato le organizzazioni ad interrogarsi sul valore delle attività, ormai numerose, forse eccessive ed un po’ scoordinate, rispetto alla prevenzione alla corruzione ed alla trasparenza.

Dal rapporto OASI 2020 emerge questo in sintesi: l’eccessiva quantità di documenti, forse la burocratizzazione dei controlli, ne penalizza il valore, valore che però è profondamente riconosciuto, così come il ruolo di ANAC.

La ripresa post COVID e, soprattutto la gestione delle risorse del PNRR; next Generation EU, ha dato una ulteriore spinta propulsiva al cambiamento, sia in termini di semplificazione, sia rispetto alle verifiche di ANAC. Riportiamo a titolo di esempio una riflessione relativa alla contrattualistica. Il Consiglio dei ministri del 29 marzo 2023, ha approvato il decreto legislativo recante il Codice dei contratti pubblici, in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78. Nell’ambito dell’attuazione del Pnrr, la riforma del codice degli appalti rappresenta una delle scadenze di rilevanza europea del primo trimestre 2023, ossia una scadenza vincolante per la ricezione dei fondi da parte dell’Europa. I principi cardine sono la semplificazione, la rapidità e la digitalizzazione. Sono aspetti fondamentali, per una gestione efficace delle imponenti risorse del PNRR, da coniugare con i valori della trasparenza, controllabilità e rendicontazione, che si sono consolidati nella pubblica amministrazione in generale, ma anche nelle aziende sanitarie.

In effetti, la digitalizzazione porta a piena maturazione quanto Anac ha già fatto con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici: tutte le informazioni e le attività riguardanti l’appalto dovranno passare attraverso piattaforme telematiche interoperabili e confluiscono sul portale dell’Autorità, con l’acquisizione diretta dei dati”.

autorità nazionale anticorruzione

Si nota quindi, una spinta sempre più veloce ed irrefrenabile verso una semplificazione delle procedure, delle documentazioni da produrre, dei controlli sistematici; lo strumento più evidente di ricondurre a sintesi i percorsi è la previsione del Piano Integrato di Attività e di Organizzazione la cui definizione ha comportato diversi e laboriosi interventi legislativi (soprattutto in ordine al termine per la sua adozione) come di seguito riassunti:

Il Piano Integrato di Attività e di Organizzazione è destinato ad aggregare i seguenti provvedimenti (come indicati nel DPR 24 giugno 2021, n.81 recante “Regolamento recante individuazione degli adempimenti relativi ai Piani assorbiti dal Piano integrato di attività e organizzazione):

• Piano dei fabbisogni (articolo 6, D.Lgs.165/2021);

• Piano della performance (articolo 10, D.Lgs.150/2009);

• Piano di prevenzione della corruzione (articolo 1, commi 5, lettera a) e 60, lettera a), L.190/2012);

• P iano organizzativo del lavoro agile (articolo 14, L.124/2015);

• Piani di azioni positive (articolo 48, D.Lgs.198/2006). che andrà via via verificato nella sua sistematicità. Le organizzazioni sanitarie dovranno pertanto modificare, di conseguenza, i loro modelli organizzativi.

In sintesi, si ritiene che il ruolo e le funzioni di ANAC, così come si sono riconfigurate alla luce della nuova normativa che interessa anche le Aziende sanitarie, vadano nella naturale logica di valorizzare la cultura del cambiamento, che si è radicata nelle organizzazioni e che può proseguire, sistematizzando e riducendo il lavoro formale ed amministrativo degli uffici, per fare emergere la sensibilità alle tematiche di tutto il personale dedicato alla assistenza.

“Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle PP.AA. funzionale all’attuazione del Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia”

Dispone che le PP.AA. con più di cinquanta dipendenti, con esclusione delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative, adottino il P.I.A.O. entro il 31 gennaio di ogni anno

DL n. 228 del 30 dicembre 2021

“Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi”

Differisce, in sede di prima applicazione, l’originario termine del 31/1 previsto dal D.L. 80/21 al 30/04/2022

DL n. 36 del 30 aprile 2022

Ulteriori misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)

L’adozione del PIAO viene differita al 30/06/2022. Il termine potrebbe essere differito di quattro mesi dall’approvazione del bilancio di previsione se venisse approvato senza modifiche lo schema di decreto ministeriale esaminato in Conferenza Unificata il 2 dicembre 2021

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Provvedimento Titolo del provvedimento Termine adozione P.I.A.O. D. L. 80/2021 convertito in L. n. 113/2021

L’evoluzione della normativa del subappalto negli appalti pubblici e il rapporto con la

Sulla disciplina del subappalto, nel tempo, è stata attuata una vera e propria metamorfosi soprattutto in seguito all’influenza cha ha subìto da parte dell’ordinamento comunitario.

La sua origine va rinvenuta nell’art. 339 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, dove il subappalto era vietato in linea di principio e dunque “sanzionato” con il rimedio risolutorio ad iniziativa della stazione appaltante. L’eccezione era costituita da episodi sporadici di ricorso all’istituto che dovevano essere esplicitamente autorizzati dalla stazione appaltante; il tutto entro limiti e a condizioni particolarmente stringenti.

Tuttavia, a causa dell’eccessiva esposizione di tale strumento ai fenomeni corruttivi, il legislatore è stato indotto a operare diverse modifiche sull’istituto del subappalto, che di conseguenza fu completamente ridisegnato dall’art. 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55. Ed è proprio in questa legge che si può rinvenire l’introduzione dei “criticatissimi” limiti quantitativi al subappalto, introdotti al fine di combattere eventuali fenomeni corruttivi. Venne

così per la prima volta introdotto il limite quantitativo del 30% per il subappalto delle lavorazioni relative alla categoria prevalente, oltreché condizioni specifiche per il ricorso a tale istituto.

Lo scoppio del caso “Tangentopoli”, attraverso il quale fu resa pubblica l’enorme corruzione perpetrata nel sistema delle commesse ad evidenza pubblica, mise

in risalto l’esigenza di una riforma dell’intero sistema degli appalti pubblici. Il progetto di riforma culminò nella Legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici o legge Merloni), la quale, anche se sospesa quasi immediatamente, venne successivamente ripresa dalle Leggi n. 216 del 1995 (“Merloni bis”), n. 415 del 1998 (“Merloni ter”) e n. 166 del 2002 (“Merloni quater”). Il subappalto era qui rubricato all’art. 34 che, non solo provvedeva a confermare la previsione di un limite quantitativo al subappalto, ma disponeva una disciplina in materia ancor più stringente. Infatti il legislatore, maggiormente attento al rischio di infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, proprio a seguito di quanto stabilito con la legge n. 55/1990, ha disciplinato puntualmente il procedimento autorizzatorio che l’amministrazione doveva porre in essere al fine di affidare le opere in subappalto, introducendo un regime particolare in relazione alle lavorazioni o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica; nonché sanciva, in caso di subappalto non autorizzato, una sanzione penale in aggiunta a quella civilistica della risoluzione contrattuale.

Il subappalto è stato poi, nuovamente, oggetto di dibattito con l’emanazione delle Direttive comunitarie, prima quelle del 2004 (2004/17/CE, 2004/18/ CE) e poi quelle del 2014 (23/2014/UE, 24/2014/UE, 25/2014/UE) hanno sollevato molti interrogativi sulla

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Claudia Baldino - Asl 2 Napoli Nord
normativa europea
subappalto
Mentre l’Unione Europea cerca di favorire la libera concorrenza e la crescita delle medie imprese, il legislatore italiano, tenuto conto del ridotto potere di controllo in capo alla stazione appaltante sul subappaltatore ha cercato di imporre puntuali limiti e controlli

disciplina prevista nel nostro paese. Il Legislatore ha risposto a tali input comunitari con due diversi Codici dei contratti pubblici, il primo approvato con il d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, che disciplinava il subappalto all’art. 118 e che dava attuazione alle precedenti direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE; e il secondo approvato con il d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016, attualmente in vigore, che ha abrogato il precedente codice. Con l’introduzione del Dlgs 50/2016 viene disciplinato all’art 105 il subappalto pubblico. Già dalla formulazione del primo comma emerge l’ostilità del legislatore italiano nei confronti di tale istituto: infatti, è ammesso l’utilizzo del subappalto solo a determinate e stringenti condizioni, in modo tale da limitarne quanto più possibile il suo impiego. Il primo limite è infatti stabilito nel successivo comma, il comma 2, dove viene fornita la definizione di subappalto e ne vengono stabiliti i limiti quantitativi al suo utilizzo, introducendo il divieto di utilizzo del subappalto in misura superiore al 30% dell’importo complessivo del contratto, con eccezione di quanto previsto dall’art. 89 comma 11, per le opere ad alto contenuto tecnologico. Tale limite è stato introdotto soprattutto al fine di rispondere a due esigenze: in primo luogo, tutelare l’interesse dell’Amministrazione all’immutabilità dell’affidatario e, in secondo luogo, impedire le occasioni di infiltrazioni criminali o mafiose. Tutte le condizioni affinché l’appaltatore possa procedere all’affidamento in subappalto di opere o lavori sono stabilite dal comma 4.

Qualora l’appalto sia cd. sopra soglia1o, indipendentemente dall’importo, le prestazioni subappaltate rientrino nel novero delle attività maggiormente esposte al rischio di infiltrazioni mafiose2, l’operatore economico è tenuto a indicare una terna di subappaltatori di cui potrà avvalersi: quest’ultima ha rappresentato una novità introdotta nel Codice dei contratti pubblici al comma 6 art 105, che ha però subìto notevoli cambiamenti in seguito alle problematiche riscontrate conseguenti al suo utilizzo. Per quel che attiene l’esecuzione del contratto di subappalto, l’art 105 ai commi 8 e 9 prevedeva che l’affidatario è l’unico responsabile anche della parte di prestazioni rimesse al subappaltatore. In questo rapporto interno viene quindi ad applicarsi la disciplina codicistica per la quale ogni mancanza del subappaltatore costituisce una mancanza dell’appaltatore per effetto di una sua culpa in eligendo ed in vigilando, della quale risponderà nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice. In caso, invece, di violazioni di obblighi retributivi o contributivi - salva l’ipotesi di pagamento diretto - sono responsabili in solido appaltatore e subappaltatore. Incombe dunque

sull’appaltatore l’onere di verificare che il subappaltatore rispetti tutte le prescrizioni sul trattamento economico, previdenziale e normativo dei lavoratori, avendo cura di trasmettere alla stazione appaltante la relativa documentazione.

Ulteriore disciplina inerente il rapporto interno al subappalto, concerne il trattamento economico che l’appaltatore applica nei confronti del subappaltatore, in quanto esso non può prevedere un ribasso oltre il 20% rispetto ai prezzi unitari d’appalto, ribasso che invece non può applicarsi sui costi della sicurezza e della manodopera3. L’inserimento di tale disposizione all’interno del contesto normativo, trova ragione in virtù del fatto che il rapporto di subappalto è di per sé subalterno e quindi facilmente suscettibile di comportamenti speculativi da parte degli appaltatori, che andrebbero a discapito dei lavoratori, dei costi della sicurezza nonché più in generale inficerebbero la qualità delle prestazioni.

Tra i limiti stabiliti dal legislatore in materia di subappalto inoltre figura il divieto del subappalto cd. a cascata, individuato nel comma 19, ai sensi del quale le prestazioni affidate in subappalto non possono a loro volta essere ulteriormente subappaltate.

Fermo quanto premesso, è necessario però precisare che la disciplina nazionale dei contratti pubblici ha da sempre dovuto fare i conti con quella europea con la quale va coordinata attraverso la Legge europea, che rappresenta, insieme alla legge di delegazione europea, uno dei due strumenti di adeguamento all’ordinamento dell’Unione Europea. Durante gli anni l’Italia è stata soggetta a procedure di infrazione da parte dell’Unione Europea, la quale, attraverso la Commissione Europea ha contestato duramente alcune norme dell’ordinamento interno incompatibili con le norme comunitarie.

In particolare, la nuova disciplina del subappalto di cui all’art 105 D.lgs. 50/2016, data la sua portata profondamente limitatrice, ha provocato una reazione piuttosto dura da parte dell’Unione Europea, la quale ha sempre visto con favore l’istituto del subappalto, a differenza del legislatore Italiano, in quanto è considerato un istituto che permette di dare attuazione ai principi di favor partecipationis per le piccole e medie imprese, non discriminazione, parità di trattamento, garantendo e tutelando la concorrenza.

Per questo motivo, la Commissione europea, con una lettera di messa in mora, il 24 gennaio 2019 ha avviato la procedura di Infrazione n. 2018/2273, con la quale ha contestato la non conformità di alcune disposizioni del D.lgs 55/2016, soprattutto in materia di subappalto, alle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE.

1 Importo contrattuale superiore alle soglie comunitarie definite dall’art 35, D.Lgs 50/2016

2 Elenco individuato dall’art 1, comma 53, L. 190/2012

3 Art 105, comma 14 d.lgs. 50/2016

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Sulla scia di quanto stabilito dalla Commissione europea con la procedura di infrazione, allo stesso modo e sugli stessi limiti si è pronunciata nel 2019 anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con due sentenze particolarmente importanti in quanto hanno rappresentato per il legislatore italiano un’esortazione al fine di apportare una modifica alla disciplina italiana, cercando quanto più possibile di adeguarsi a quella europea. La prima delle due è stata la sentenza del 26 settembre 2019 causa C-63/18, Caso Vitali S.p.a., che prende le mosse dal rinvio pregiudiziale fatto dal TAR Lombardia, ponendo alla CGUE la questione riguardante la violazione dei principi dell’Unione Europea ad opera della disciplina italiana sul subappalto ammissibile nella misura massima del 30%. Il governo italiano giustificava la propria disciplina così restrittiva sulla base del fatto che questo era l’unico modo per prevenire ed evitare infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti pubblici e conseguentemente tutelare l’ordine pubblico. Ma queste argomentazioni non reggevano: infatti, secondo la Corte, siffatta disciplina, limitativa in maniera generale e astratta in quanto veniva applicata in qualunque caso, senza operare una valutazione della tipologia dei lavori da subappaltare o dell’identità dei subappaltatori, con

una percentuale fissata a monte, era eccessiva rispetto all’obiettivo da perseguire. Tutt’al più lo stesso obiettivo, si sarebbe potuto perseguire in maniera differente, con una disciplina meno restrittiva.

Appena due mesi dopo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 27 novembre 2019, causa C-402/18, caso Tedeschi s.r.l., ha avuto modo di pronunciarsi su un’altra questione, che poneva due interrogativi, il primo dei quali era lo stesso affrontato nella causa Vitali s.p.a. (e quindi ribadiva quanto affermato nella sentenza), mentre il secondo riguardava il dubbio circa la compatibilità della norma del D.lgs 50/2016 n. 105 nella parte in cui veniva imposto all’impresa subappaltante di applicare ai subappaltatori gli stessi prezzi risultanti dall’aggiudicazione con un ribasso non superiore al 20%. Tale limite del 20% veniva posto in modo imperativo, a pena di esclusione dell’offerente dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto; il limite era però definito in maniera generale e astratta senza alcuna verifica o valutazione della sua effettiva necessità ma solo al fine di assicurare ai lavoratori di un subappaltatore interessati, una tutela salariale minima. Esso, si applicava, inoltre, a prescindere dal settore economico o dall’attività interessata ma soprattutto senza prendere

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in considerazione le leggi, i regolamenti o i contratti collettivi nazionali e dell’UE, in vigore in materia di condizioni di lavoro, che sarebbero normalmente applicabili ai lavoratori. Inoltre, tale limitazione rendeva il ricorso al subappalto meno allettante in quanto limitava il vantaggio concorrenziale in termini di costi che i dipendenti dei subappaltatori presentano, così contrastando con l’obiettivo di favorire la concorrenza e di consentire l’accesso alle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.

Conseguentemente a quanto stabilito dalla Commissione europea e dalla Corte di Giustizia dell’UE, il legislatore è intervenuto sulla disciplina nazionale al fine di apportare modifiche in modo da allineare quanto più possibile la disciplina nazionale a quella comunitaria, anche in un’ottica di garanzia per la partecipazione degli operatori economici e delle piccole e medie imprese.

Ed infatti, con il decreto legge 32 del 18 aprile 2019 (Decreto Sblocca Cantieri, poi convertito con legge n. 55/2019), sono state introdotte molte modifiche riguardanti anche la disciplina del subappalto, in particolare: è stata innalzata la percentuale subappaltabile dal 30% al 50% dell’importo complessivo del contratto, con l’unica eccezione del limite previsto per le categorie Superspecialistiche, nel caso degli appalti di lavori,; è stato stabilito che il subappalto dovesse essere previsto dal bando di gara, è stata abolita la terna dei subappaltatori, il divieto di subappaltare ad un operatore che aveva partecipato alla stessa procedura di gara dell’impresa subappaltante e l’obbligo di pagamento diretto per le microimprese e piccole imprese; ed è stato, infine, generalizzato il dovere di pagamento diretto su semplice richiesta da parte del subappaltatore e non più in base alla natura dell’appalto.

Tuttavia, dal testo della legge 55/2019 si può facilmente notare come le modifiche proposte non sono state recepite dal legislatore in sede di conversione, il quale ha invece preferito apportare modifiche minori che non stravolgessero l’istituto rispetto a quanto formulato nell’articolo 105 D.lgs 50/2016.

Essendosi quindi il decreto Sblocca Cantieri rivelato piuttosto fallimentare, si è nuovamente e ripetutamente intervenuti sulla disciplina del subappalto, sempre al fine di cercare quanto più possibile di allineare la disciplina nazionale con quella comunitaria, con il d.l. n. 183/2020 (cd. decreto “Milleproroghe) ed infine con il d.l. n. 77/2021 (Decreto Semplificazioni-bis), il quale ha sì apportato sostanziali novità, ma allo stesso tempo ha prodotto molte perplessità.

Con l’art 49 del d.l. 77/2021, il cd. Decreto Semplificazioni bis, convertito con modificazioni dalla

legge n. 108/2021, il legislatore nazionale ha apportato significative modifiche: è stato abrogato il limite massimo di sconto praticabile, nella misura del 20% dei prezzi contrattuali, nei rapporti tra appaltatore e subappaltatore; è stato disposto che il subappaltatore debba garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto, e debba riconoscere ai propri lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito loro il contraente principale inclusa l’applicazione dei medesimi CCNL : tale obbligo opera solo qualora le prestazioni subappaltate coincidano con l’oggetto dell’appalto o riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale; inizialmente è stato previsto l’innalzamento al 50% della quota massima dell’importo complessivo del contratto principale subappaltabile, e successivamente è venuto meno anche il limite del 50%, fermo restando il divieto - a pena di nullità - di integrale affidamento a terzi delle prestazioni oggetto del contratto di appalto, ciò al fine di preservare quanto più possibile la natura personale della prestazione; con l’eliminazione dei limiti percentuali alle quote subappaltabili, è onere delle stazioni appaltanti indicare negli atti di gara le prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto che dovranno essere eseguite direttamente dall’aggiudicatario. Le indicazioni dovranno essere specificamente motivate e quindi la stazione appaltante dovrà indicare adeguatamente le ragioni che limitano l’affidabilità della prestazione a terzi. Lo stesso art. 49 indica tra le motivazioni: la natura dell’appalto e la sua complessità; la finalità consiste nel rafforzare il controllo delle attività di cantiere, dei luoghi di lavoro, garantire la migliore tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e soprattutto prevenire infiltrazioni criminali; è stata inoltre prevista la responsabilità solidale del subappaltatore nei confronti della Stazione Appaltante per le prestazioni oggetto del contratto di subappalto; Infine, è stata prorogata fino al 31 giugno 2023 la sospensione dell’obbligo di indicazione della terna dei subappaltatori. Le novità introdotte con il decreto Semplificazioni bis all’istituto del subappalto hanno avuto l’effetto da un lato, di liberalizzare il subappalto, eliminando gradualmente i limiti imposti dalla normativa nazionale, in particolare quelli previsti sulla quota di prestazioni subappaltabili e sul ribasso praticabile nei confronti del subappaltatore, così cercando di avvicinare e riallineare la normativa nazionale a quella europea, almeno per quanto riguarda i limiti quantitativi; dall’altro però, introducendo nuove limitazioni all’istituto, potrebbero aver comportato un significativo disincentivo al suo utilizzo, il che crea nuovamente un’enorme distanza dalla

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lettura dello strumento fornita dalla Corte di Giustizia, che nell’ottica pre-concorrenziale, intende invece favorirlo.

Successivamente, con la legge n. 238 del 23 dicembre 2021, recante le “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea – Legge europea 2019-2020”, entrata in vigore il primo febbraio 2022, sono state apportate ulteriori modifiche al Codice dei Contratti Pubblici e, in particolare, con riferimento al subappalto è stato eliminato definitivamente l’obbligo di indicazione della terna dei subappaltatori; il concorrente non sarà più tenuto a dimostrare l’assenza dei motivi di esclusione in capo ai subappaltatori: la verifica di tali motivi graverà ora sulla stazione appaltante; è confermato l’obbligo per l’affidatario di sostituire i subappaltatori nel caso in cui venga dimostrato nei loro confronti, la sussistenza di motivi di esclusione; infine è adesso prevista la possibilità di affidare in subappalto ad un operatore economico che abbia partecipato alla stessa gara, previa autorizzazione della stazione appaltante, e purché l’operatore economico sia in possesso dei requisiti di cui all’art 80 e sia qualificato nella categoria che sia stata indicata, all’atto di offerta, nelle intenzioni di subappalto del DGUE. Infine, con l’entrata in vigore del Dlgs n. 36/2023, cd. Nuovo Codice Appalti, sono state apportate poche ma relative modifiche all’istituto del subappalto, previsto all’art. 119 del suddetto codice 4. In buona sostanza, infatti, il testo dell’art. 105 Dlgs n. 50/2016 sembra essere stato interamente riprodotto nel nuovo art. 119 che conferma l’attuale quadro normativo apportando però delle novità. In particolare, recependo la giurisprudenza attuale, il comma 3 del nuovo art. 119 inserisce tra le attività che non si configurano come subappalto, l’affidamento di attività “secondarie, accessorie o sussidiarie” rese da lavoratori autonomi5 o in forza di contratti continuativi di cooperazione6.

La grande novità del nuovo codice in tema di subappalto è però rappresentata dal subappalto “a cascata”: infatti, il comma 19 dell’art. 105 d.lgs. n. 50/2016 pone espressamente il divieto di subappalto “a cascata”, per cui l’esecuzione delle prestazioni non possono formare oggetto di ulteriore subappalto.

Invece il comma 17 dell’art. 119 del nuovo codice prevede che la Stazione Appaltante è tenuta ad individuare la categoria di lavori o le prestazioni che, sebbene subappaltabili, non possono formare oggetto di ulteriore subappalto. Anche per il subappalto a cascata (così come per quello ordinario) sembra essere stato affidato

alle stazioni appaltanti il compito di individuare i casi in cui ritenere ammissibile per il subappaltatore affidare una parte delle lavorazioni ad esso affidate ad altra impresa e, dunque, di individuare per ogni appalto, i casi in cui è ammesso il subappalto a cascata, tenuto conto della natura e della complessità delle lavorazioni. Ciononostante, manca però il riferimento alle opere di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, presente invece al comma 2 dell’art. 119. Tuttavia, l’apertura al subappalto a cascata lascia ancora numerose perplessità. Sembrerebbe mancare, infatti, una disciplina specifica di tali tipi di affidamenti, oltre a mancare un esplicito rinvio alle norme proprie sul subappalto: infatti, ad una normativa di principio non sembra esser stata affiancata una disciplina operativa, che permetta di inquadrare, nello specifico, i procedimenti da seguire per autorizzare e per monitorare le esecuzioni così affidate. Sarebbe dunque auspicabile una precisazione in tal senso, così da rendere “applicativa” la norma sul subappalto a cascata.

Conclusioni

L’impostazione adottata in tema di rapporto di subappalto dai due legislatori comunitario e nazionale è da subito apparsa notevolmente diversa anche in termini di concezione generale dell’istituto e d’inquadramento nel contesto normativo. L’ordinamento comunitario, favorevole alla massima subappaltabilità delle opere dedotte in contratto, vede il subappalto semplicemente come un mezzo di cui l’appaltatore può avvalersi per realizzare l’appalto e con il quale, oltretutto, può favorirsi la crescita delle piccole e medie imprese, obiettivo molto caro alla comunità europea in considerazione del tessuto economico comunitario che si compone di un ampio numero di piccole e medie imprese.

Può stupire come il legislatore italiano, nel recepire la direttiva europea, abbia inizialmente mantenuto in punto subappalto una connessione ancora molto forte alla disciplina nazionale previgente rispetto a quanto invece disposto dal legislatore europeo. Tale atteggiamento è in realtà coerente con le peculiarità della fenomenologia concreta degli appalti pubblici nel nostro Paese. Le maggiori cautele nell’adozione del meccanismo del subappalto si spiegano in ragione del contrasto a fenomeni illeciti sia di sfruttamento del lavoro irregolare, sia più in generale del contrasto alla criminalità organizzata.

Il discostarsi dalla normativa comunitaria, quindi, ha trovato inizialmente giustificazione nelle peculiarità del

4 Il Dlgs 36/2023 è entrato in vigore il 1 aprile 2023 e sarà efficace dal 1 luglio 2023. È previsto un periodo transitorio durante il quale si verificherà la vigenza di alcune disposizioni del Dlgs 50/2016 fino al 31 dicembre. Di fatto, quindi, i due codici coesisteranno.

5 Lett. a), comma 3

6 Lett. d) comma 3

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mercato dei contratti pubblici in Italia e nella necessità di dare prioritaria attenzione a valori fondamentali diversi da quelli che emergono dalla disciplina europea: da un lato l’Unione Europea cerca di favorire la libera concorrenza e la crescita delle medie imprese mentre dall’altro il legislatore italiano, tenuto conto del ridotto potere di controllo in capo alla stazione appaltante sul subappaltatore e al contempo considerata l’incidenza della criminalità organizzata sul territorio nazionale, ha cercato di imporre puntuali limiti e controlli per evitare il diffondersi di pratiche speculative nonché di infiltrazioni mafiose all’interno del tessuto economico italiano. Tuttavia, le procedure di infrazione da parte dell’Unione Europea a cui è stata sottoposta l’Italia per la propria disciplina estremamente restrittiva hanno fatto sì che volente o nolente la stessa si sia dovuta adattare prevedendo una liberalizzazione dell’istituto del subappalto, così come concepito e voluto dall’Unione Europea.

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dei lavori nel nuovo codice: un’incompiuta in cerca

L’adozione del nuovo Codice degli appalti è stata da tutti salutati con grande giubilo più per la eliminazione delle famose o famigerate linee guida di ANAC che per un reale apprezzamento dell’intero impianto. Al momento siamo in presenza di un testo che lascia presagire il codice che sarà, in quanto le norme presente nell’articolato si attuano con disposizione in alcuni casi contenute. La materia dei lavori è sicuramente quella che risente maggiormente di una reale riforma per l’ennesima volta rimandata ad ulteriore regolamento concertato, che verrà. Nel frattempo però ci ricordano che le norme che si applicano per la qualificazione delle imprese e quindi per i bandi di gara e via via a ritroso per la progettazione sono quelle di 3 codici fa, cioè il dlgs.163/2006 che a sua volta nel suo transitorio mai definito, neanche a seguito dell’entrata in vigore del d.P.R. 207/2010 a sua volta con un suo proprio transitorio, rinviava alle disposizioni del d.P.R.554/99 e del d.P.R.34/2000 e del D.M. 145/2000 cioè il cd pacchetto Merloni. Ebbene tutto torna all’origine alla Legge del 1994 come se anni e anni di sperimentazione prove tentativi non avessero prodotto nulla rispetto alla conservazione della normativa del 1865, perché i più attenti ricorderanno che relativamente alla fase di esecuzione il pacchetto Merloni ha eliminati l’ingegnere capo e fatto nascere il RUP,

eliminato il deliberamento e sostituito con determinazione, ma ha lasciato invariato l’impianto ottocentesco con buona pace di istituti come l’accordo bonario, istituto di composizione stragiudiziale che avrebbe dovuto sostituire la risoluzione in via amministrativa delle riserve e, invece, ha riproposto la disciplina delle riserve che dal 1800 ad oggi si applica. All’indomani del primo lockdown un movimento di pensiero aveva prospettato il superamento della legislazione Merloni, ma di fatto questo per il momento non è stato, con l’aggravante che nella legislazione Merloni gli istituti giuridici erano trattati in modo conseguenziale e completo, non trovavi la disciplina del collaudo al quarto articolo della fase esecutiva, nell’attuale codice in 13 articolo si definisce la disciplina dell’esecuzione del contratto rinviando ad un allegato II.14 nel quale nell’eseguire un “copia taglia incolla” si sono tralasciati elementi determinanti proprio per la gestione delle riserve, ma soprattutto ci siamo persi alcuni elementi delle categorie di esecuzione dei lavori necessarie per qualificare ed eseguire. Ma andiamo con ordine con qualche esempio lasciando volutamente fuori la questione dello scorporo della manodopera perché merita autonomo approfondimento e la questione dell’equo compenso, due problematiche orecchiate non affrontate dal codice, che riportano al passato e costringeranno tutti a ricorrere alle vecchie

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normazione
L’esecuzione
di riscrittura
Se si vuole che questo Codice sia vincente si deve porre al centro del procedimento non gli atti di gara, di cui ormai da 20 anni abbiamo la nausea, ma l’esecuzione della prestazione, unica fase del procedimento che merita di esser presidiata con norme e disposizioni che tutelino il nostro interesse

esperienze ormai cadute nel dimenticatoio della memoria ( si pensi alla L. 143/1949 e il dm 4 aprile 2001 e la L. 155/89 con le quali affidavamo gli incarichi di progettazione o a quanto ha stigmatizzato brillantemente il Consiglio di Stato sez. V nella sentenza del 6 giugno 2023 n. 5665 sullo scorporo della manodopera ) .

Le categorie di esecuzione che compongono l’opera e i lavori

Dove trova il progettista la norma per l’indicazione delle categorie prevalenti o scorporabili? Non c’è. Non vi è una specifica norma. La prima volta che nell’all. 1.7 dedicato alla progettazione si parla di categorie è all’.art. 40 punto 9) dedicato alla verifica della documentazione in sede di validazione, ove si precisa che il computo metrico e lo schema di contratto individuano la categoria prevalente ,le categorie scorporabili e subappaltabili a scelta dell’affidatario, le categorie con obbligo di qualificazione e le categorie con obbligo di qualificazione e le categorie cd sios e qualora una di queste o più superi il 15 % dell’importo totale dei lavori.

Ebbene nel nuovo codice non vi sono più le categorie omogenee che assommano a 150 mila euro o il cui importo eguagli o superi il 10% dell’importo complessivo dei lavori.

Per poter ricostruire il regime giuridico delle categorie occorre fare un doppio salto mortale carpiato e ritornare attraverso il dlgs. 163/2006 e il combinato disposto dell’art. 90 e 92 del d.P.R. 207/2010 e l’art. 12 della  legge 80/2014, allo stato vigenti in ragione del regime transitorio del dlgs. 36/2023 che mantengono fermo il transitorio del dlgs 50/2016 di cui agli artt. 83, comma 2, e 216, comma 14, del d. lgs.  50/2016, i quali dispongono che, fino all’entrata in vigore del nuovo sistema di qualificazione, trovano applicazione le disposizioni di cui alla parte II, titolo III, nonché gli allegati e le parti di allegati ivi richiamate del dPR 207/2010. L’articolo 12,  comma 2 della legge 80/2014 prevede che:  «In tema di affidamento di  contratti pubblici di lavori, si applicano  altresì le seguenti  disposizioni: a)  l’affidatario, in possesso della qualificazione nella  categoria di opere  generali ovvero nella categoria di opere specializzate indicate nel bando di gara o  nell’avviso di gara o nella lettera di invito come categoria prevalente può, fatto salvo quanto previsto alla  lettera b), eseguire direttamente tutte

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le lavorazioni di cui si compone  l’opera o il lavoro, anche se non è in possesso  delle relative qualificazioni, oppure subappaltare dette lavorazioni  specializzate  esclusivamente ad imprese in possesso delle relative  qualificazioni; b) non possono essere eseguite direttamente dall’affidatario in  possesso  della qualificazione per la sola categoria prevalente, se privo delle   relative adeguate qualificazioni, le lavorazioni, indicate nel bando di  gara o  nell’avviso di gara o nella lettera di invito, di importo  superiore ai limiti  indicati dall’articolo 108, comma 3, del regolamento  di cui al d.P.R. 5 maggio 2010, n.  207, relative alle categorie di   opere generali individuate nell’allegato A al predetto decreto, nonché le categorie individuate nel medesimo allegato A con l’acronimo OS, di seguito elencate: OS 2-A, OS 2-B, OS 3, OS 4, OS 5, OS 8, OS 10, OS 11, OS 12-A, OS 13, OS 14, OS 18-A, OS 18-B, OS 20-A, OS  20-B, OS 21, OS 24,  OS 25, OS 28, OS 30, OS 33, OS 34, OS 35. Le predette lavorazioni sono comunque subappaltabili ad imprese in possesso delle relative   qualificazioni. Esse sono altresì scorporabili e sono indicate nei bandi di gara ai fini della costituzione di associazioni temporanee di tipo   verticale. Resta fermo, ai sensi dell’articolo 37, comma 11, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, il limite di   cui all’articolo 170, comma 1, del regolamento di cui al d.P.R. n. 207 del 2010 per le categorie di cui al comma 1 del presente articolo, di

importo singolarmente superiore al 15 per cento; si applica l’articolo 92, comma 7, del  predetto regolamento».”. Orbene questa operazione di rinvio la si potrà effettuare dando applicazione al 5 comma dell’art. 225 comma che sicuramente è frutto della celerità con cui il testo del codice è stato licenziato e sicuramento non riletto da giuristi linguisti “5. Ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 del 2016, o al codice dei contratti pubblici vigente alla data di entrata in vigore del codice, si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del codice o, in mancanza, ai principi desumibili dal codice stesso.”

La disciplina delle riserve

All’art. 115 del codice si detta la disciplina del controllo tecnico amministrativo contabile del contratto, disciplina che viene estesa anche a forniture e servizi con particolare riferimento al regime delle riserve di cui all’art. 7 dell’all.II.14 ove si legge “1. In linea di principio, l’iscrizione delle riserve è finalizzata ad assicurare alla stazione appaltante, durante l’intera fase di esecuzione del contratto, il continuo ed efficace controllo della spesa pubblica, la tempestiva conoscenza e valutazione, sulla base delle risultanze contenute nel registro di contabilità, delle eventuali pretese economiche avanzate dall’appaltatore e l’adozione di ogni

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misura e iniziativa volte a evitare che i fondi impegnati si rivelino insufficienti. “

In realtà la Corte Suprema di Cassazione ci ha insegnato che le riserve sono atti di messa in mora con cui l’appaltatore fa presente alla stazione appaltante che durante l’esecuzione sta subendo maggiori oneri e danni che incideranno sul corrispettivo dovuto. Ma quello che più sorprende è quanto si prevede nel proseguo e, cioè cosa non costituisce oggetto di riserva e precisamente: “ a) le contestazioni e le pretese economiche che siano estranee all’oggetto dell’appalto o al contenuto del registro di contabilità; b) le richieste di rimborso delle imposte corrisposte in esecuzione del contratto di appalto; c) il pagamento degli interessi moratori per ritardo nei pagamenti; d) le contestazioni circa la validità del contratto; e) le domande di risarcimento motivate da comportamenti della stazione appaltante o da circostanza a quest’ultima riferibili; f) il ritardo nell’esecuzione del collaudo motivato da comportamento colposo della stazione appaltante.” Ferme restando le voci sub a) b),c),d), prendiamo atto che da ora le restanti voci che sinora hanno costituito le naturali richieste tipiche da riserve perché il comportamento della stazione appaltante come del collaudatore sono fonti di maggiori oneri e danni per l’appaltatore tutte le volte in cui venga violato il contratto e il principio di buona fede e fiducia su cui regge questo codice. Ed ancora, si

resta sorpresi se si cerca di capire quali siano i termini di iscrizione delle riserve: 2. Le riserve sono iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’esecutore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve sono iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole, nonché all’atto della sottoscrizione del certificato di collaudo mediante precisa esplicitazione delle contestazioni circa le relative operazioni. Le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono rinunciate.” Chi opera nel settore dei lavori immediatamente si è reso conto che non è prevista la prescrizione a pena di decadenza nei 15 giorni successivi nel registro di contabilità, come pure non sono previste le controdeduzioni del Direttore dei lavori nei successivi 15 giorni, direttore che comunque ai fini dell’accordo bonario dovrà procedere alla redazione e consegna al RUP di una relazione riservata.Unica soluzione è rinviare alle disposizioni del capitolato speciale in cui in via suppletiva si potranno indicare le modalità di esplicazione delle riserve. Ergo, il tentativo di colmare le lacune del DM. 49/2018 è fallito perché l’allegato è un ingorgo di disposizioni di cui non si riesce a rintracciare la provenienza giuridica e senza una logica sistematica dell’articolato. Ma è l’istituto della riserva che ormai

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ha segnato il passo ha fatto il suo tempo: come si fa a pensare alla digitalizzazione degli appalti, alle procedure interamente automatizzate da un canto e dall’altro conservare un istituto, quello della riserva che andava bene, quando l’appaltatore era suddito. Spero che il nuovo codice voglia recuperare una visione differente del contratto di appalto, valorizzando la componente risultato altrimenti verrà smentito il principio prioritario del codice stesso, perché se si vuole che questo codice sia vincente e non l’ennesimo tentativo fallito si deve porre al centro del procedimento non gli atti di gara di cui ormai da 20 anni abbiamo la nausea ma l’esecuzione della prestazione unico fase del procedimento che merita di esser presidiata con norme e disposizioni che tutelino il nostro interesse a veder eseguito un contratto che coinvolge tutti noi, la collettività.

La disciplina della contabilità Anche per le disposizione dedicate alla contabilità vi è una palese antinomia tra ciò che è riportato nell’all. II.14 in cui il brogliaccio delle misure è sostituito dal verbale delle misure e ciò che si prescrive in relazione alla digitalizzazione (art. 19 e ss). Sul registro di contabilità tenuto non in formato elettronico degna di nota è la novità che si deve motivare l’utilizzo dello stesso, ma soprattutto se ne deve dare comunicazione ad ANAC e non si capisce il perché (???), quale corrispondete potere di Anac , la stessa deve attivare per la tenuta dei registri di contabilità in formato non elettronico.

La disciplina della rinegoziazione e della revisione dei prezzi

L’incompiuta!

Purtroppo il nuovo codice ha introdotto un magnifico principio di rinegoziazione già noto al nostro ordinamento ma piegandolo alle esigenze di cassa, nulla di quanto disposto corrisponde ad una rinegoziazione con aumento di spesa e meno che mai revisione del prezzo.

Rimpiangiamo tutti i meccanismi, cioè il prezzo chiuso e il meccanismo di revisione compensativo di cui all’art 133 del dlgs. 163/2006. Le disposizioni introdotte prevedono che forse si potrà procedere con il riconoscimento di una revisione del prezzo se per circostanze eccezionali ISTAT avrà registrato e rilevato l’aumento del prezzo e se nel quadro economico vi è la disponibilità, disponibilità che stando all’art. 31 dell’all. 1.7 dovrebbe esservi perché la revisione del prezzo è stata considerata come voce autonoma del quadro economico quindi non incide sugli imprevisti o sui ribassi d’asta: l’articolato vede indicati gli imprevisti e i ribassi e nell’allegato vi è una voce autonoma, e quindi si deve ragionare secondo una scala gerarchica dei due testi? Chi prevale l’artico-

lato o l’allegato? Ebbene, per riconoscersi la revisione del prezzo occorrerà pure superare questo interrogativo, sempre che non si sia in modo completo ed esaustivo scritta una clausola capitolare che non lasci più spazio all’esercizio di potere discrezionale e faccia si che la revisione del prezzo altro non sia, come è auspicabile, una mero adempimento contrattuale.

Il successo della sperimentazione dei CCT e il potenziamento del precontenziso

Al netto delle mancanze e inesattezze si segnala l’introduzione a regime del Collegio Consultivo Tecnico confermato nel proprio ruolo di “facilitatore” dell’esecuzione dell’opera, cioè soggetto interno all’esecuzione che ha come finalità un mandato: far eseguire l’opera eliminando sul nascere tutte le possibili contestazioni e criticità che possano rallentare l’esecuzione. Da qui, il potenziamento della presenza del CCT nelle ipotesi di sospensione dei lavori e di risoluzione del contratto. Del pari del CCT si segnala l’introduzione del parere precontenzioso di Anac anche nella fase di esecuzione, su cui Anac ha già adottato il 20 giugno una propria deliberazione (n.267/2023); previsione importantissima su cui investire seriamente dando ad Anac la possibilità di istituire un proprio servizio che con tempestività sia in grado di dare risposte alle part richiedenti. Entrambe istituti giuridici volti a dare una reale supporto alle parti in corso di esecuzione, con un particolare occhio di riguardo al RUP che addirittura nell’eseguire le determinazioni del CCT va esente da responsabilità contabile. Entrambe istituti volti ad annientare il contenzioso che faticosamente le parti contrattuali sono chiamate a gestire con dispendio di risorse umane in primo luogo che economiche ed esiti spesso lontani nel tempo e incerti.

Conclusioni

La fase di esecuzione del contratto è quella che tantissimi anni fa ispiro all’epoca presidente Garri (AVCLLPP) nel delineare il sistema SIMOG e il sistema di comunicazione delle schede all’Osservatorio centrale/regionale, perché attraverso la disamina delle schede si sarebbero potuti verificar e le criticità realizzative anche legate a comportamenti delle imprese. Ebbene dalla lettura dei dati in possesso di Anac si deve ripartire per riscrivere ex novo la disciplina giuridica dell’esecuzione del contratto di appalt . I migliori interpreti sono le amministrazioni e le imprese e se vogliamo chi con loro gestiscono le criticità tecnici ed avvocati. Sarebbe auspicabile che in sede Commissioni di accordi bonari e contenziosi civili , professionisti dotati del giusto pragmatismo e la reale conoscenza del settore e delle norme poche che servono per reggere l’intero mercato.

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normazione

Alta Formazione

Area Provveditorato - Economato - Patrimonio - Centrali Regionali 43
IX Corso di
2022/23 per Funzionari e Dirigenti in Sanità

IX° Corso FARE edizione 2022 - 2023

Il IX° Corso FARE di Alta Formazione 2022-2023 per Funzionari e Dirigenti in Sanità è senza dubbio stato caratterizzato da una “coppia” di situazioni dalle quali è opportuno partire per rappresentare e delineare l’impegno e la fattiva partecipazione di coloro che di fatto ne sono stati protagonisti.

Partiamo subito dai numeri, o meglio dal numero degli iscritti, mai stato così elevato: 48 partecipanti che hanno seguito tutti e cinque i moduli con interesse e una crescente capacità di fare gruppo dentro e fuori dall’aula; persone giunte da ogni capo d’Italia (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Sardegna, Toscana, Sicilia, Puglia, Lazio, Campania).

Il secondo elemento è stata la pubblicazione e la sua entrata in vigore del nuovo Codice degli Appalti.

L’affiatamento tra i partecipanti è divenuto subito “virale”, i sistemi di comunicazione (whatsapp in particolare) hanno contribuito a fare rete. Uno scambio all’inizio di conoscenze, divenuto mano a mano qualcosa di più: le persone hanno capito il messaggio lanciato già nelle prime ore del corso: sentirsi a casa, non temere di esprimersi, aprirsi gli uni con gli altri, aiutarsi per risolvere problemi (forse) comuni presenti in contesti molto distinti fra loro, insomma cercare di stare bene insieme. Ed ecco allora che sono cominciate le domande, le possibili soluzioni, le segnalazioni di lavori, pubblicazioni, circolari, note, in un crescendo che la diceva lunga sull’effettiva capacità delle persone di fare gruppo, lavorare ma divertendosi.

Una soddisfazione per noi organizzatori, per i tutors, per tutti i docenti che ancora una volta hanno saputo dedicarsi con passione ai compiti assegnati: ed ecco allora che le materie proposte e le ore d’aula sono scivolate via fra domande ed osservazioni, fra un esercizio e l’attenzione anche per argomenti complementari a quelli tradizionali vissuti tutti i giorni nell’ambito di lavoro. Il programma del corso prevedeva ore dedicate sì alla norma ed al Codice, alle articolazioni delle leggi e delle sentenze ma anche alla conoscenza della logistica, dell’economia sanitaria, dei mercati (servizi e forniture), della capacità negoziale, al project management, all’organizzazione, ai processi di acquisto, alla comunicazione, al mondo del regolatorio in campo farmaceutico. Il 16 giugno si è svolta la giornata conclusiva del Corso, presso l’auditorium dell’ASST G. Pini-CTO a Milano: ognuno dei partecipanti ai sette gruppi di lavoro costituiti ha avuto modo di svolgere una propria presentazione; una fatica portata a termine con il prezioso contributo dei tutors che hanno assistito, consigliato tutti i discenti.

Siamo usciti da questa esperienza arricchiti per quanto ricevuto da tutti i partecipanti, che hanno saputo trasmetterci determinazione, voglia di imparare, di confrontarsi e quella dose di forza ed energia per proseguire in questo, ormai lungo, cammino di Formazione continua.

44 IX corso di formazione FARE

Identikit del rup: ruolo formazione ed evoluzione tra vecchio e nuovo codice.

Chi sono i rup oggi e domani nelle aziende e nelle centrali

Gruppo di lavoro:

Elisa Rolando Perino ASL BI - S.S. Logistica e Acquisti - Regione Piemonte

Giulia De Chirico ASL BI - S.S. Logistica e Acquisti - Regione Piemonte

Pamela Cassandra ASL Latina - UOC Procedure di Acquisto e Contratti Ausl Latina -Regione Lazio

Giorgia Ceccano ASL Latina - UOC Procedure di Acquisto e Contratti Ausl Latina -Regione Lazio

Simona Contenta ASL Latina - UOC Procedure di Acquisto e Contratti Ausl Latina -Regione Lazio

Eleonora Gargiulo ASL Latina - UOC Procedure di Acquisto e Contratti Ausl Latina -Regione Lazio

Deborah Gordini AST Pesaro e Urbino – UOC Acquisti e Logistica sede Fano – Regione Marche

Chiara Iacucci AST Pesaro e Urbino – UOC Acquisti e Logistica sede Fano – Regione Marche

Il progetto “Identikit del RUP: ruolo formazione ed evoluzione tra vecchio e nuovo codice”, riunisce i diversi contributi al fine di definire la figura del RUP, seguendo quelle fasi che ne hanno contraddistinto l’evoluzione nel corso degli anni, dalla sua nascita come responsabile del procedimento a project manager, osservando il ruolo giocato dall’evoluzione del codice dei contratti pubblici ed in particolare dal d.lgs. 36/2023 di recente istituzione. Per comprendere appieno l’evoluzione di questa figura e come le sue funzioni si siano arricchite e valorizzate è necessario partire dalla sua introduzione avvenuta con la L. 241/90 per soddisfare due diversi ordini di esigenze, afferenti sia all’efficienza dell’azione amministrativa che alla trasparenza della medesima di fronte a tutti coloro i cui interessi siano coinvolti da attività amministrative aventi carattere autoritativo.

Nella figura del RUP, infatti, è possibile individuare in maniera più immediata la persona fisica a cui è affidato il compito di gestire le connessioni tra le varie fasi del procedimento amministrativo ed allo stesso tempo ha permesso al cittadino di conoscere il nominativo di colui al quale potrà rivolgersi per chiedere conto dell’operato svolto dalla pubblica amministrazione competente così da incoraggiarlo a instaurare un dialogo con la P.A. In questa fase, che si potrebbe definire come una fase embrionale nella definizione di tale figura professionale, al RUP non spettavano poteri decisionali; la legge, infatti, lo investiva solamente di poteri istruttori e propositivi e, solo eventualmente, decisori. Bisognerà attendere la legge Merloni (1994) per vedere l’inizio di un processo atto a definire i tratti essenziali del RUP limitatamente agli affidamenti di lavori, processo che avrebbe visto la sua conclusione con l’introduzione del primo Codice degli Appalti (d.lgs 163/2006) che generalizza le competenze del RUP previste dalla L. Merloni estendendole ai contratti pubblici relativi a servizi e forniture e ufficializza il principio della “unicità” del RUP che assume la responsabilità di tutte le fasi del procedimento che afferiscono al medesimo intervento e che coinvolgono diverse risorse e figure professionali appartenenti a strutture organizzative o addirittura ad enti differenti; pertanto il RUP non puo che essere una persona fisica, dotata delle competenze necessarie a svolgere tali compiti e – a seguito dell’introduzione di due successivi Codici Appalti, il primo con il d.lgs 50/2016 e il secondo con il d.lgs 36/2023 – di coordinare le attività per la risoluzione delle fasi delle procedure amministrative.

È nominato dalle Stazioni Appaltanti, le quali, secondo il Codice dei Contratti Pubblici del 2023, sono tenute a nominarlo tra i dipendenti di ruolo della S.A., tenendo conto dell’incompatibilità della mansione che tale figura andrà a svolgere con quello del Direttore della Stazione Appaltante e che posseggano i requisiti necessari riportati nelle linee guida ANAC n.3, le quali non escludono la possibilità, qualora tra i dipendenti di ruolo non vi fossero persone le cui competenze rispondano a tali requisiti, di nominare dipendenti di servizio, senza alcun discrimine per quanto riguarda la forma di contratto con la quale sono stati assunti; infine è possibile nominare il RUP tra soggetti esterni, nel caso in cui si verificasse una carenza d’organico, dunque di personale preposto a ricoprire tale incarico, alla cui attività sono stati istituiti in supporto dei “responsabili di fase” come affiancamento, istituzione che permette di snellire la concentrazione di compiti in capo al RUP che però non è sollevato dalla centralità e unicità che esso assume durante il complesso procedimento di gara; tale centralità porta al configurarsi di una responsabilità a contenuto patrimoniale, connessa all’attività degli amministratori o dipendenti pubblici e relativa ai danni causati all’ente nell’ambito del rapporto d’ufficio, che può comportare la condanna al risarcimento del danno in favore dell’amministrazione danneggiata, che può verificarsi nel caso si evidenzi una relazione diretta tra il comportamento del RUP e il danno cagionato che può comportare danni di rilevanza civile, penale o contabile. In quest’ottica, si rivela fondamentale mettere a disposizione di tale figura professionale un programma di formazione ben strutturato e mirato, finalizzato alla “professionalizzazione” delle stazioni appaltanti, elaborando una “strategia di professionalizzazione” la quale tiene conto della Raccomandazione (UE) 2017/1805 della Commissione Europea, varata il 3 ottobre 2017, per cui è stato adottato uno specifico strumento per la definizione di trenta competenze chiave per i buyer pubblici, per adattare la matrice europea al contesto italiano, a cui succede un’indagine tesa a

45 IX corso di formazione FARE

IX corso di formazione FARE

individuare i gap formativi degli operatori. Essa segue almeno quattro direttive principali:

- Formazione correlata alla qualificazione delle stazioni appaltanti, attraverso l’analisi dei fabbisogni formativi;

- Formazione declinata verso percorsi diversificati, con riguardo al ciclo dell’appalto pubblico;

- Valorizzazione della sede della formazione;

- Specificità dell’offerta formativa concernente alcuni profili di particolare rilievo, quali ad esempio la gestione degli incidenti di corruzione (onde prevenirli), l’attenzione alle questioni di genere e di sviluppo sostenibile. Al fine di valorizzare e premiare tale professionalità ed incrementarne la produttività sono stati disposti degli incentivi al RUP. Gli incentivi per funzioni tecniche sono compensi previsti in favore dei dipendenti delle amministrazioni aggiudicatrici per lo svolgimento di determinate attività finalizzate alla conclusione di appalti di lavori, servizi e forniture, che operano in deroga al principio di onnicomprensività della retribuzione enunciato all’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. A partire dalla legge n. 109 del 11 febbraio del 1994, legge quadro in materia di Lavori pubblici, istitutiva dell’istituto degli incentivi si è sviluppata la disciplina degli incentivi a riconoscimento della posizione di centralità del RUP nelle complesse procedure d’acquisto in ambito sanitario. Con il successivo d.lgs 163/2006 e la L.114/2014 istituiva del fondo per la progettazione e l’innovazione per il finanziamento degli incentivi esclude la partecipazione dei dirigenti agli incentivi. Con il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) si passa al fondo che incentiva le funzioni tecniche stabilendo che le amministrazioni aggiudicatrici destinino agli incentivi un apposito fondo di risorse finanziarie in misura non superiore al 2% dell’importo a base di gara. Con il decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 (correttivo al Codice dei contratti pubblici) gli incentivi si estendono agli appalti per la fornitura di beni e servizi, rispetto alla formulazione originaria che li prevedeva esclusivamente per gli appalti di lavori. Il d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 “Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici” individua nell’articolo 45 la fonte per la disciplina degli incentivi; l’articolo ne conferma il tetto massimo al 2% e la sua susseguente ripartizione. Prevede inoltre che l’ammontare dell’incentivo maturato dal RUP non possa essere superiore al 100% (rispetto al 50% precedente) all’importo lordo annuo, con l’aggiunta di un incentivo del 15% per le strutture che adottano i metodi e gli strumenti digitali per la gestione informativa dell’appalto. Infine con la Legge del 21 aprile 2023, n. 41 relativa alla conversione del dl 13/2023 recante disposizioni urgenti per il PNRR, attesta un’ulteriore valorizzazione del RUP con la disposizione di incentivi per le funzioni tecniche al RUP con qualifica dirigenziale. Appurata l’importanza per tale figura professionale di ampie competenze manageriali, si rivela doveroso per il progetto in questione declinarla all’ambito sanitario che presuppone, nella definizione delle competenze generali richieste al RUP, anche delle competenze specifiche, connesse al settore di riferimento dell’appalto, poiché il suo operato sarà principalmente connesso all’acquisto di beni e servizi indispensabili al corretto svolgimento delle prestazioni mediche tanto da assumere responsabilità attigue a quella medico-legale tipica dell’azienda sanitaria e dei dirigenti medici. In questa prospettiva appare chiaro il necessario supporto di un DEC, della cui nomina la stessa ANAC si dimostra concorde in tutte quelle occasioni in cui è richiesta una pluralità di competenze. In questa prospettiva, le principali difficoltà in cui incorre il RUP in sanità attengono ai rapporti interpersonali e alla gestione dei rapporti con le altre funzioni aziendale, in primis quelle sanitarie, che spesso fanno mancare il loro fondamentale supporto. Un cambio di tendenza potrebbe risultare possibile con l’avvio di percorsi di formazione specifica anche di quei collaboratori che si troveranno a supportare il RUP, affinché siano pronti ad affiancarlo in qualunque situazione,. Il nuovo codice dei contratti pubblici ridisegna la portata e la figura del RUP che diventa Responsabile Unico del Progetto dalla cui disciplina, contenuta nell’art. 15 e nell’Allegato I.2(in sostituzione delle Linee Guida Anac), si evince che il nuovo RUP diventa Responsabile di una serie di fasi tutte preordinate alla realizzazione del progetto inteso quale serie coordinata di procedimenti amministrativi attuativi delle singole fasi di programmazione progettazione affidamento ed esecuzione che a loro volta si estrinsecano in atti ed operazioni da concludersi con un provvedimento entro un termine stabilito. Fermo restando l’unicità del RUP, al quale è assegnata la funzione di supervisore, le P.A. possono, quindi, individuare modelli organizzativi diversi nominando più responsabili di procedimento con competenze specifiche cosi ad esempio, nell’ipotesi di affidamento di beni e servizi complessi, affiancando al RUP, nominarsi tra il personale dell’area giuridica, il responsabile del procedimento della progettazione ed esecuzione da nominarsi tra il personale dell’area tecnica. La trasversalità e centralità del ruolo ridisegnata il RUP in termini di project managerla cui funzione di coordinamento e verifica è finalizzato ad assicurare il corretto svolgimento delle procedure, il rispetto dei tempi, dei costi preventivati ed il conseguimento della qualità richiesta, direttrici fondamentali ed il modo in cui questi vincoli vengono bilanciati influenzerà la qualità del progetto , la gestione dei rischi ed il “clima” delle relazioni tra i membri del project team perché il successo di un progetto non può dipendere dalla sola persona del RUP, ma implica una più generale attitudine degli organi decisionali a sostenerne ed assumere il ruolo di referente di più alto livello quale ”sponsor di progetto” L’individuazione della fasi di progetto, la possibilità di nominare responsabili di singoli procedimenti, la definizioni di vincoli di progetto può sicuramente leggersi come progressivo allineamento del legislatore alle tecniche e metodologie del project management. Il legislatore non manca di raccomandare che le stazioni appaltanti adottino un piano di formazione per il personale inquadrato in modo specifico nelle attività di programmazione di lavori e acquisiti di beni e servizi in tema di project management: la strategia di professionalizzazione deve cioè individuare i gap formativi per elaborare programmi formativi specifici. In conclusione per creare “buoni frutti oggi e per il futuro, occorre curare lo stato di salute della P.A. intesa come un albero i cui buoni servizi sono i frutti e la vera risorsa della P.A è costituita dal personale, dalle sue competenze e dalla sua motivazione”.

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Sull’errore materiale

Un nostro lettore chiede di sapere cosa si intende per errore materiale secondo la giurisprudenza alla luce del rilievo che ciò assume in conseguenza dell’entrata in vigore dell’art. 101, comma 4, del D.Lgs. n. 36 del 2023.

Anzitutto per errore materiale, nel contesto delle pubbliche commesse, si intende un errore di calcolo o di scritturazione che rivela ictu oculi la presenza di un contrasto tra il contenuto della dichiarazione (c.d. volontà esternata) e l’effettiva volontà del concorrente (c.d. volontà sostanziale) obiettivamente riconoscibile dall’atto medesimo.

Ad esempio, nella sentenza n. 1034/2023 il Consiglio di Stato ha esaminato il caso riguardante l’esclusione di un concorrente che aveva commesso un errore nel presentare il ribasso percentuale offerto. Invece di separare le cifre decimali con la virgola, il concorrente le aveva indicate con il punto. Il TAR aveva valutato la situazione e non aveva ravvisato immediatamente l’errore materiale prospettato dal ricorrente, il quale affermava che l’errore avsse reso il ribasso irrealistico. Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha riaperto la questione e, seguendo una consolidata giurisprudenza, ha stabilito che alcuni errori materiali non inficiano l’offerta del concorrente e possono essere corretti se riconoscibili ed emendabili senza bisogno di chiarimenti aggiuntivi. Riguardo alla riconoscibilità dell’errore, il Consiglio di Stato ha aggiunto che non è necessario che l’errore sia immediatamente evidente, ma è sufficiente che possa essere corretto con una minima attività interpretativa volta a correggere errori di scrittura o calcolo.

Inoltre, riguardo all’esclusione di offerte contenenti errori materiali e alla minima attività interpretativa per correggerli, anche nel caso in cui l’esclusione fosse stata automatizzata dal sistema informatico, il Consiglio di Stato ha affermato che l’automatismo del sistema non deve prevalere sul dovere della stazione appaltante di correggere gli errori materiali evidenti a prima vista, anche se non segnalati dal sistema. Tale correzione, infatti, mira a garantire una parità di trattamento tra i partecipanti, assicurando che tutte le offerte siano valutate secondo la reale volontà dei concorrenti.

Pertanto, si sottolinea il dovere della Stazione Appaltante di verificare e correggere eventuali errori materiali evidenti, anche se non segnalati dal sistema informatico. L’errore materiale rilevante — che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, può verificarsi sia per gli errori che caratterizzano l’offerta che quelli relativi ai requisiti di partecipazione — si caratterizza, dunque, per la sua evidente percepibilità da parte dell’interprete dell’atto attraverso un’analisi che deve concernere il solo documento recante l’errore e non anche elementi ad esso esterni o collaterali a quelli offerti in gara. Si intende dire che l’emendabilità dell’errore postula la necessaria presenza di elementi univoci per ricondurlo immediatamente ed inequivocabilmente ad un vizio di trascrizione o di compilazione. Se, viceversa, l’esegesi ricostruttiva della volontà negoziale imponesse una considerazione sistematica degli elementi contenutistici dei diversi atti di gara, essa comporterebbe una ricostruzione di tipo logico-deduttivo non più coerente con i canoni della immediata evidenza e del mero errore materiale. Orbene, la rettifica dell’errore materiale, che passa per il tramite del c.d. “soccorso procedimentale”, ossia un istituto di derivazione giurisprudenziale, oggi codificato all’art. 101 co. 3 del d.lgs. 36/2023, pare ancorata a stringenti e oltremodo rigorosi presupposti applicativi. Sennonché preme, sul punto, rilevare come il Legislatore del d.lgs. 36/2023 abbia di fatto introdotto una rilevante novità, riconoscendo la possibilità agli operatori di chiedere la rettifica dell’errore materiale contenuto nell’offerta tecnica o in quella economica sino all’apertura delle stesse, a condizione che la rettifica non comporti la presentazione di una nuova offerta e comunque la sua modifica sostanziale, e purché sia garantito l’anonimato dell’offerta. In conclusione la norma codicistica, dimostrando un importante favor verso il concorrente, amplia notevolmente l’ambito di rimediabilità dell’errore commesso dal partecipante nella predisposizione della documentazione di gara.

47 gli esperti rispondono

L’entrata in vigore del Nuovo Codice degli appalti (d.lgs. 36/2023) ha introdotto diverse importanti novità. Alcune di esse riguardano il “Principio di rotazione degli affidamenti” (art. 49) e le “Procedure per l’affidamento” (art. 50 e, nella fattispecie:

ALLEGATO II.1 Elenchi degli operatori economici e indagini di mercato per gli affidamenti di contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea).

Le Stazioni Appaltanti, dunque, hanno sempre più necessità di potersi avvalere di piattaforme affidabili e semplici nell’utilizzo, per gestire con tranquillità la rotazione e l’estrazione degli inviti nel rispetto delle norme precedentemente citate. Inoltre, la fase di ricerca, gestione e valutazione dei fornitori è una parte fondamentale per l’ottimizzazione dei processi di approvvigionamento.

Per questi motivi, Net4market offre l’albo fornitori digitale, tramite cui creare un punto d’incontro con i fornitori e raccogliere i loro dati in modo dinamico e strutturato.

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