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iscrizione in RDM e marcatura CE
from TEME 3-4/2021
by edicomsrl
Rosamaria Berloco - Andrea Di Leo - Co-founder Legal Team - Roma
Medical Device e procedure di gara. Iscrizione in RDM e marcatura CE: requisito di partecipazione o di esecuzione?
Alcune recenti sentenze del Giudice amministrativo attenuazione o compensazione di ferite o handicap, ma hanno, nuovamente, preso in esame una questio- anche di studio, sostituzione o modifica dell’anatomia ne assai dibattuta tra operatori e stazioni appaltan- o di un processo fisiologico, o di controllo del conceti nel settore delle forniture di dispositivi medicali, ossia pimento.1 L’immissione in commercio dei dispositivi se l’iscrizione nel RDM (repertorio dispositivi medici) medici è regolamentata su base europea, sicché in tutto il e la marcatura CE siano da mercato interno nonché nei considerarsi un requisito di Paesi EFTA vige un medepartecipazione (la cui assenza impedisce la presentazio- Il fabbricante può simo sistema. La normativa europea di riferimento in ne dell’offerta) o un requi- “autocertificare” un prodotto materia di commerciabilità sito attinente all’esecuzione del contratto (da soddisfare, con marcatura CE, dopo aver di prodotti sanitari è data dalla Direttiva 90/385/ quindi, al momento della verificato la rispondenza ai CEE, relativa ai dispositivi fornitura). In questo contri- medici impiantabili attivi, e buto, quindi, nel ripercor- requisiti di sicurezza richiesti dalla Direttiva 93/42/CEE rere il quadro regolatorio, cercheremo di ricostruire gli dalle Direttive; il marchio CE concernente le procedure di valutazione della conforattuali orientamenti giuri- deve essere apposto prima mità dei dispositivi medici. sprudenziali al fine di fornire, per quanto possibile, alcune che il prodotto sia immesso Nel nostro ordinamento, la Direttiva 93/42/CEE è stata indicazioni operative. sul mercato, salvo il caso recepita nel d.lgs. 46/1997. Commerciabilità dei medical Da un punto di vista genedevices: quadro normativo e che Direttive specifiche non rale, l’art. 1, comma 2, lett. regolatorio Per dispositivo medico si dispongano altrimenti h) e i) del d.lgs. 46/1997 sancisce che l’immissione intende, come noto, una in commercio e la messa in categoria di prodotti (stru- servizio di un prodotto che menti, apparecchi, impianti, sostanze, software o altro) rientri nella definizione di dispositivo medico può avvedestinati ad essere impiegati nell’uomo o sull’uomo nire solo previa marcatura CE, salvo alcune eccezioni2 . a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo o terapia, Per ottenere la relativa marcatura CE, il fabbricante del
1 In particolare, l’art. 1, d.lgs. n. 46/97, che recepisce pienamente la definizione contenuta nella Direttiva 93/42/CE, definisce il dispositivo medico come “qualunque strumento, apparecchio, impianto, software, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software destinato dal fabbricante ad essere impiegato specificamente con finalità diagnostiche o terapeutiche e necessario al corretto funzionamento del dispositivo, destinato dal fabbricante ad essere impiegato sull’uomo a fini di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l’azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici né mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi”. 2 Il decreto specifica che per messa in commercio si intende “la prima messa a disposizione a titolo oneroso o gratuito di dispositivi, esclusi quelli destinati alle indagini cliniche, in vista della distribuzione o utilizzazione sul mercato comunitario, indipendentemente dal fatto che si tratti di
dispositivo medico, al quale è imputabile la responsabilità della conformità legislativa, deve dimostrare di soddisfare i requisiti essenziali di sicurezza ed efficacia specificati nell’allegato I del d.lgs. 46/1997, ossia “i dispositivi devono essere progettati e fabbricati in modo che la loro utilizzazione non comprometta lo stato clinico e la sicurezza dei pazienti, né la sicurezza e la salute degli utilizzatori ed eventualmente di terzi, quando siano utilizzati alle condizioni e per i fini previsti, fermo restando che gli eventuali rischi debbono essere di livello accettabile, tenuto conto del beneficio apportato al paziente, e compatibili con un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza”. A sua volta, l’art. 3 prevede che “I dispositivi possono essere immessi in commercio o messi in servizio unicamente se rispondono ai requisiti prescritti dal presente decreto, sono correttamente forniti e installati, sono oggetto di un’adeguata manutenzione e sono utilizzati in conformità della loro destinazione”. Specifica poi l’art. 16, comma 1, d. lgs. 46/1997 che i dispositivi che soddisfano i requisiti essenziali previsti all’art. 3, al momento dell’immissione in commercio, devono possedere una marcatura di conformità CE. A seconda della classe di rischio del dispositivo, sono previste procedure più o meno complesse ai fini dell’ottenimento della marcatura CE. Per poter classificare il dispositivo medico, il fabbricante dovrà attenersi alle regole contenute nell’allegato IX del d.lgs. 46/97 per cui tanto più elevata è la classe di rischio, tanto maggiori saranno le garanzie di sicurezza che il fabbricante dovrà fornire per la produzione del dispositivo. Dalla lettura delle disposizioni emerge che la rispondenza dei dispositivi medici ai requisiti prescritti è condizione non solo per il rilascio della certificazione di conformità CE, ma anche per l’immissione in commercio, e dunque la vendita dei prodotti. Tra le ulteriori incombenze di cui è onerato il fabbricante, l’art. 13 del d.lgs. 46/1997 prevede la comunicazione al Ministero della Salute di tutti i dati, le caratteristiche, le proprietà e le istruzioni per l’uso del dispositivo messo in commercio nel territorio italiano. Parallelamente alla certificazione di conformità CE prevista dal d.lgs. 46/1997, il d.M. 21.12.2009 del Ministero della Salute prevede un ulteriore obbligo di registrazione presso il Repertorio nazionale dei dispositivi medici. L’adempimento di tale obbligo informativo è essenziale per poter commercializzare per la prima volta in Italia un dispositivo medico. A riprova di ciò, l’art. 5, comma 1, del d.M. 21.12.2020 prevede che i dispositivi medici che vengono per la prima volta commercializzati in Italia “possono essere acquistati, utilizzati o dispensati nell’ambito del Servizio sanitario nazionale dopo che il legale responsabile della struttura acquirente o un suo delegato ha verificato l’ottemperanza agli obblighi di comunicazione e informazione previsti dall’art. 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46”. Ai fini della rassegna normativa in esame risultano indispensabili due precisazioni. In primo luogo, occorre segnalare che l’attuale normativa sul sistema di registrazione dei dispositivi medicali è in corso di evoluzione. È stato infatti approvato un nuovo Regolamento europeo sui dispositivi medici, Reg. UE 2017/745 destinato ad abrogare le precedenti direttive e a divenire l’unico riferimento normativo per l’immissione sul mercato di dispositivi medici. A seguito della recente proroga, finalizzata ad evitare di porre ostacoli legislativi alla lotta al COVID-19 e a scongiurare una mancanza di scorte o ritardi nella produzione di essenziali dispositivi medici sul mercato, lo stesso sarà applicabile a partire dal 26 maggio 2021. In secondo luogo, è da segnalare che la rapida diffusione della pandemia di Covid-19 ha determinato l’adozione di atti normativi e regolatori a carattere derogatorio, con l’obiettivo fondamentale di facilitare la produzione e importazione di dispositivi di protezione individuale ed ogni altro tipo di fornitura medica necessaria per il contrasto al virus.3 La giurisprudenza amministrativa e l’incerta qualificazione di marcatura CE e registrazione in RDM quale requisito di partecipazione o di esecuzione, tra legge e lex specialis Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, in linea generale, è consentito offrire un dispositivo medicale privo della marcatura CE, ovvero dell’iscrizione al repertorio tenuto presso il Ministero della Salute, purché tali requisiti siano soddisfatti prima dell’esecuzione dell’appalto (ossia della consegna del bene). In sostanza, si ritiene che la marcatura CE e l’iscrizione al RDM siano requisiti di esecuzione dell’appalto di forniture. Tale orientamento si fonda sulla considerazione che le apparecchiature e i sistemi medici sono soggetti a una costante e progressiva innovazione delle relative componenti di prodotto. Rendere obbligatorio il possesso della certificazione al momento dell’offerta ostacolerebbe la ricerca delle stazioni appaltanti di una continua innovazione e aggiornamento dei dispositivi medici. Diversamente, altra parte della giurisprudenza ritiene che la marcatura CE o l’iscrizione al RDM vadano possedute al momento della partecipazione alla gara. Ciò, specie, ma non solo, nei casi in cui
dispositivi nuovi o rimessi a nuovo” (art. 1, comma 2, lett. h) d.lgs. 46/1997) mentre per messa in servizio “la fase in cui il dispositivo è stato reso disponibile all’utilizzatore finale in quanto pronto per la prima utilizzazione sul mercato comunitario secondo la sua destinazione d’uso”(art. 1, comma 2, lett. i) d.lgs. 46/1997). 3 Si tratta non solo di provvedimenti di natura nazionale (si pensi al c.d. decreto Cura Italia, d.l. 18/2020) ma anche di Raccomandazioni e Linee guida emanate a livello europeo che hanno consentito di derogare alla direttiva 92/42/CEE. In via meramente esemplificativa, la
Commissione ha autorizzato gli stati membri ad immettere nel mercato dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale privi della marcatura CE o che non hanno rispettato a pieno le procedure di valutazione di conformità, purché siano in linea con i requisiti essenziali di sicurezza richiesti.
tali adempimenti siano espressamente richiesti dalla lex specialis di gara. Si tratterebbe, dunque, di requisiti minimi di partecipazione la cui assenza determina l’esclusione dalla gara. Secondo quest’ultima giurisprudenza, la cui emblematica pronuncia è rappresentata da Cons. St., Sez. III, 26 maggio 2017, n. 2514, l’omologazione e l’iscrizione nei relativi elenchi tenuti dal Ministero della Salute costituiscono “un requisito legale dei prodotti medici in difetto del quale gli stessi non sono commerciabili, con la conseguente inammissibilità di un’offerta in gara che abbia a oggetto prodotti non regolarmente certificati e registrati”. Oltre che nei casi in cui i suddetti requisiti siano espressamente previsti dal disciplinare di gara, una simile conclusione sarebbe giustificata dalla stessa normativa statale, che impone importanti sanzioni per chi commercia prodotti medici irregolari. In sostanza, un prodotto privo di certificazione di conformità CE e/o della relativa registrazione presso il RDM non potrebbe essere legittimamente offerto in gara (e ciò, a maggior ragione, se a richiederlo è la stessa lex specialis di gara, con previsione, per così dire, ricognitiva di un obbligo direttamente derivante dalla legge). In tal senso, secondo TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 14 gennaio 2019, n. 52, è da dubitare che “l’immissione in commercio di un prodotto coincida con la sottoscrizione del contratto per la fornitura del prodotto stesso, potendo invece ragionevolmente sostenersi che la partecipazione a una pubblica gara mediante offerta del prodotto costituisca un’ipotesi di commercializzazione, intesa come presentazione al mercato di un bene avente tutte le caratteristiche essenziali per il suo utilizzo, compresa la marchiatura CE ”. A sostegno della diversa tesi, che oggi sembra maggioritaria, si schierano invece due recentissime pronunce del Giudice amministrativo. Partiamo dalla sentenza del TAR Basilicata, Sez. I, 27 gennaio 2020, n. 108 secondo cui, la registrazione nel RDM costituisce mero requisito di esecuzione del contratto, da possedere al momento della stipula del contratto/ricezione degli ordinativi e non già di partecipazione alla gara. Conformemente a Cons. St., Sez. III, 27 giugno 2017, n. 3145 (che conferma TAR Basilicata, Sez. I, 13 gennaio 2017, n. 18), la pronuncia in esame sostiene che la normativa richiede il possesso della certificazione CE e l’iscrizione al repertorio ministeriale solo ai fini della messa in commercio che, nel caso di appalti pubblici, è “identificata con il momento della stipula del contratto; ovvero con il momento dell’ordinazione dei dispositivi con-
templati in contratto qualora intervengano successivi ulteriori aggiornamenti dei dispositivi medici dedotti nell’obbligazione contrattuale originaria”. Il momento dell’offerta si pone fisiologicamente, secondo tale ricostruzione giurisprudenziale, in una fase pre-negoziale, che precede la commercializzazione vera e propria, la distribuzione e il concreto scambio. Sicché, l’anticipazione del possesso della certificazione al momento dell’offerta, secondo il TAR Basilicata, è irragionevole poiché penalizza l’interesse delle stazioni appaltanti ad una continua ricerca di dispositivi medici più tecnologici ed efficienti. Tale interpretazione viene ribadita anche da TAR Sardegna, Sez. I, 18 settembre 2017, n. 587 secondo cui “il prodotto deve essere, solo al momento del contratto, dotato del “numero”, oltre che del marchio CE (rispetto ad una procedura che si era già perfezionata, e che si è completata nel corso della gara); con necessario distinguo tra fase della partecipazione (ove è sufficiente il perfezionamento nascente dall’informativa eseguita) rispetto a quella di esecuzione (stipula del contratto)”. In tale logica sembrerebbe da escludersi la legittimità di una lex specialis che espressamente preveda la marcatura CE o l’iscrizione nel RDM in fase di presentazione delle offerte, essendo le suddette condizioni necessarie solo per la messa in commercio, ossia al momento dell’aggiudicazione o della stipula del contratto. Un chiarimento al riguardo è fornito dalla seconda sentenza cui si accennava, ossia Cons. St., Sez. III, 30 luglio 2020 n. 4849. Qui il Giudice amministrativo rileva che da una lettura complessiva della normativa in materia di dispositivi medici non discende che, già al momento delle offerte, debba essere perfezionata la procedura di registrazione di cui al d.M. del 2009. Tuttavia, precisa sempre la sentenza n. 4849/2020, non è da ritenersi a priori illegittima la richiesta di una stazione appaltante di prodotti già muniti di registrazione al momento della presentazione dell’offerta. Una simile richiesta, infatti, permette all’amministrazione, in un’ottica anche di efficienza, di sottrarsi “all’alea di aggiudicare ad un soggetto con il quale, in seguito all’eventuale esito negativo della richiesta di registrazione del prodotto offerto”, possa successivamente rivelarsi impossibile stipulare il contratto. In sostanza, laddove la stazione appaltante decida di configurare l’iscrizione a repertorio o la certificazione CE come requisito di partecipazione, deve renderlo espresso (ossia immediatamente percepibile da parte degli operatori economici, in ossequio al noto principio del clare loqui) nella lex specialis di gara. Diversamente, laddove l’ammi-

nistrazione non abbia specificato nulla, o si sia limitata a rinviare alla normativa nazionale in materia, l’esclusione di una società in attesa di registrazione è da ritenersi illegittima, posto che la disciplina ex d. lgs. 46/97 – d.M. 21.12.2009 non impone l’iscrizione nel repertorio dei dispositivi medici o la marcatura CE prima della messa in servizio o della immissione in commercio. Considerazioni generali sulla rilevanza, quale requisito di partecipazione/esecuzione, del parametro della “commerciabilità” del bene offerto in gara Dalla giurisprudenza presa in esame è possibile trarre il principio per cui la lex specialis di gara può legittimamente imporre dei requisiti diversi e ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge statale, se del caso elevando taluni requisiti previsti dalla normativa ai fini della commerciabilità a requisiti di partecipazione. Tale principio pare potersi estendere a tutte le “certificazioni” concernenti la “commerciabilità” di un prodotto. Si pensi ai materiali utilizzati da un’impresa edilizia tenuta ad eseguire un lavoro o alla fornitura di particolari apparecchiature informatiche. È bene tuttavia precisare che il marchio CE è obbligatorio solo per i prodotti per i quali esistono specifiche direttive a livello europeo, che ai fini della circolazione nel mercato dei beni richiedono l’apposizione del marchio CE. Si tratta delle c.d. direttive del “Nuovo approccio” (es. giocattoli, tutti i prodotti elettrici, occhiali da sole e da vista, apparecchi a gas o a pressione). La marcatura viene apposta dal fabbricante, se risiede nell’Unione Europea, o da un suo rappresentante, da lui autorizzato, stabilito nel territorio dell’UE. In mancanza anche di quest’ultimo, la responsabilità della marcatura CE ricade sul soggetto che effettua la prima immissione del prodotto nel mercato comunitario. Tra gli obblighi del fabbricante, vi è la redazione di una “Dichiarazione di Conformità”, in cui è tenuto ad indicare la Direttiva applicata e le norme tecniche utilizzate. Inoltre, il fabbricante è tenuto a predisporre e custodire un “Fascicolo Tecnico” descrittivo delle caratteristiche tecniche del prodotto e delle prove da lui effettuate comprovanti la sicurezza del prodotto stesso. Tale documentazione deve essere resa disponibile a richiesta delle Autorità tenute alla sorveglianza del mercato. Per alcune tipologie di prodotto, le Direttive impongono il ricorso ad un c.d. ON, ossia ad un istituto tecnico riconosciuto dalle Autorità competenti di uno Stato membro dell’UE e notificato alla Commissione europea. L’Organismo, sulla base di prove di laboratorio, accerta la conformità dei prodotti ai requisiti essenziali di sicurezza prescritti dalla/e Direttiva/e che li riguardano. Negli altri casi il fabbricante può “autocertificare” il prodotto apponendo la marcatura CE, dopo aver proceduto egli stesso alle verifiche di rispondenza ai requisiti di sicurezza richiesti dalle Direttive stesse. Il marchio CE deve essere apposto prima che il prodotto sia immesso sul mercato, salvo il caso che Direttive specifiche non dispongano altrimenti. La giurisprudenza appare orientata nell’interpretare clausole richiedenti certificazioni ai fini partecipativi secondo il principio del favor partecipationis, evitando restrizioni alla concorrenza non correlate ad effettive esigenze della stazione appaltante. La discrezionalità di cui godono le stazioni appaltanti fa sì che queste possano fissare nella lex specialis parametri di capacità tecnica dei partecipanti e requisiti specifici dei beni da offrire, fermi restando i limiti imposti dai principi di ragionevolezza e proporzionalità, i quali consentono il sindacato giurisdizionale sull’idoneità e adeguatezza delle clausole del bando rispetto alla tipologia e all’oggetto dello specifico appalto. Di conseguenza, l’Amministrazione è legittimata a introdurre disposizioni atte a limitare la platea dei concorrenti al fine di consentire la partecipazione di soggetti particolarmente qualificati o all’acquisizione di beni dotati di determinate caratteristiche solo quando tale scelta non determini un effetto distorsivo della concorrenza, arrecando un immotivato pregiudizio alle chance competitive delle imprese che non posseggono il requisito (in tal senso, si veda ad esempio la disciplina ex art. 68 del d.lgs. 50/2016 relativa al noto “principio di equivalenza”)4. Così, ad esempio, restando sul tema delle certificazioni, è stata ritenuta illegittima la clausola della lex specialis che, a pena di esclusione, richiede ai concorrenti l’offerta di prodotti dotati della marcatura CE, in assenza di particolari esigenze che giustifichino tale richiesta (TAR Toscana, Sez. III, 20 gennaio 2018, n. 76).5 Conclusioni A ben vedere, la questione esaminata benché senz’altro suscettibile di oscillazioni giurisprudenziali, sembra suggerire l’assenza di una regola valida a priori, ponendosi, piuttosto, l’accento sul tenore letterale della lex specialis, con la necessità che la stessa qualifichi in maniera chiara (in ossequio al fondamentale principio del clare loqui) il requisito della iscrizione in RDM (e della marcatura CE) come attinente alla partecipazione ovvero alla esecuzione della commessa.
4 Ex multis: Cons. St., Sez. V, 23 settembre 2015, n. 4440; TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 27 dicembre 2016, n. 3133; TAR Campania, Napoli,
Sez. V, 3 maggio 2016, n. 2185. 5 Nel caso di specie si trattava della fornitura di filtri antibatterici per impianti idrici di distribuzione dell’acqua destinata a uso umano per l’A-
SL e ospedali locali. Si tratta di beni che non appartengono alla categoria dei dispositivi medici e, dunque, secondo il TAR, non necessitano della marcatura CE per essere commercializzati. Sicchè, in assenza di particolari esigenze specificate nella legge di gara, il TAR fiorentino ha annullato la clausola del bando di gara che richiedeva la marcatura CE a pena di esclusione perché, benchè antieconomica e comportante
“intuibili maggiori oneri”, determinava “un inaccettabile effetto distorsivo della concorrenza, pregiudicando immotivatamente le chance competitive delle imprese che non posseggono il requisiti richiesto”.