GSA Igiene Urbana 03-19

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DOSSIER CLIMA

del report delle Nazioni Unite, nel corso del suo programma ha chiesto ad alcuni passanti se fossero preoccupati per l’eventuale estinzione dell’Homo sapiens. Un’eventualità che dovrebbe preoccupare tutti, dato che parliamo della nostra specie. Ma a essere davvero preoccupanti sono state le risposte, tra chi afferma di non sapere cosa sia un Homo sapiens, chi pensa che, dal momento che non abbiamo mai vissuto con Homo sapiens, non cambia molto se si estingue o meno e chi si dichiara convinto di averlo visto una volta in uno zoo. Intanto la popolazione umana ha superato la quota di sette miliardi, con il conseguente aumento delle attività che hanno un impatto sull’ambiente, come l’agricoltura, il taglio di legname e la pesca, solo per citarne alcune. La crisi della biodiversità dipende principalmente da noi per una serie di fattori diversi, a partire dall’incremento dell’uso del suolo e delle risorse marine. Le aree in cui è del tutto assente l’intervento dell’uomo, infatti, sono in continua riduzione. Attualmente circa un terzo delle terre emerse è occupato da attività agricole o zootecniche, che tra il 1980 e il 2000 hanno causato la scomparsa di circa cento milioni di ettari di foresta tropicale e della sua fauna caratteristica. Altre specie scompaiono per via dello sfruttamento diretto come la caccia non regolamentata, il bracconaggio e l’abbattimento di alberi. Anche il cambiamento climatico impatta a vari livelli sulla sopravvivenza delle specie. Il rapporto dell’Onu fa notare che,

dal 1980 a oggi, le emissioni di gas serra sono raddoppiate e la temperatura media globale è aumentata di almeno 0,7 gradi, con effetti disastrosi sull’ambiente e sulle specie che vi abitano. Pensiamo agli orsi polari che, per vivere e nutrirsi, dipendono dallo stato delle banchise polari la cui estensione è in costante riduzione, o alla ridotta ossigenazione delle acque dovuta al surriscaldamento globale, che provoca danni alle specie acquatiche, già minacciate dalla presenza sempre più massiccia della plastica. In Italia e nel mondo sono sempre più frequenti, infatti, i casi di animali marini trovati morti con diversi chili di plastica nello stomaco. Plastica che entra nella catena alimentare, diventando un rischio per la nostra stessa salute. La biodiversità è minacciata anche dalle specie aliene invasive che, per azione dell’uomo, riescono a colonizzare un territorio diverso dal loro areale storico (ovvero la superficie abitata da una specie), con gravi ripercussioni sul nuovo ambiente. Possono infatti diventare invasive per l’assenza di predatori naturali, competere con le specie autoctone o cacciarle, portandole gradualmente all’estinzione. Ne sono esempi noti la zanzara tigre (Aedes albopictus), una specie originaria dell’Asia arrivata in Europa e negli Stati Uniti grazie al commercio di copertoni usati, o la tartaruga palustre americana (Trachemys scripta), che ha quasi portato all’estinzione la specie europea autoctona Emys orbicularis. Allo stato attuale, nonostante le politiche di conservazione già in atto, secondo il report non verranno rispettati gli obiettivi Onu di salvaguardia della biodiversità fissati per il 2020. I trend negativi in termini di

biodiversità e di ecosistema, inoltre, rallenteranno dell’80% i progressi relativi agli Obiettivi delle Nazioni Unite di sviluppo sostenibile per il 2030, relativi alla povertà, alla fame, alla salute, all’acqua, alle città, al clima, agli oceani e al suolo. La perdita di biodiversità, quindi, non è solo un problema ambientale, ma anche economico, sociale, di sviluppo e di sicurezza. Ma non tutto è perduto. Secondo Sir Robert Watson: “Non è troppo tardi per cambiare le cose, ma solo se cominciamo da ora, a tutti i livelli, dal locale al globale. Attraverso una riorganizzazione radicale dei fattori economici, sociali e tecnologici la natura può ancora essere preservata, salvaguardata e utilizzata in modo sostenibile”. Già da qualche anno gli scienziati affermano che siamo ormai entrati nella fase della sesta estinzione di massa. Il nostro pianeta ne ha già vissute altre cinque, scatenate da catastrofi geologiche, come eruzioni vulcaniche o caduta di asteroidi, oppure da fattori biologici, come la competizione tra specie, le epidemie o la mancanza di risorse. Questa sarebbe la prima nella storia della Terra a essere causata dall’azione di una singola specie, la nostra. Uno studio pubblicato sulla rivista statunitense Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) nel 2018 mostra che ci vogliono dai tre ai sette milioni di anni perché, dopo un’estinzione di massa, l’evoluzione permetta la formazione di nuove specie. La specie umana abita il pianeta da circa 200mila anni, un lasso di tempo insignificante se paragonato all’età della Terra. Nonostante questo, siamo riusciti a causare danni che, sicuramente, sopravviveranno alla nostra specie.

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29 igiene urbana igiene urbana luglio-settembre 2019


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