7th Floor n. 10

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Funambolici italiani Come far diventare l’Italia un centro di eccellenza dell’Hi-Tech finanziato da soldi statunitensi. Il caso Funambol.

Fabrizio Capobianco è un giovane imprenditore italiano che vive e lavora a Silicon Valley. Ingegnere, sposato, tra i pochi che è riuscito a convincere dei venture capitalist a finanziare la sua impresa digitale, Funambol, che sviluppa e commercializza in tutto il mondo – più di un milione di utenti - un’applicazione capace di gestire le email su tutti i telefoni cellulari, dal più semplice all’iPhone. Sentiamo la sua storia. > Intervista a Fabrizio Capobianco, CEO di Funambol di Andrea Genovese

Intervista di Andrea Genovese Ho incontrato Fabrizio Capobianco una sera a Roma insieme all’amico Roberto Galoppini, entrambi si occupano di tecnologie Open Source. Poi ho avuto modo di conoscerlo meglio al primo Venture Camp, organizzato a Roma nel cuore di Trastevere, da Fabio Masetti. Quello che segue è un estratto della video-intervista che potete trovare estesa sul sito di 7thfloor.it nella sezione NetTV. Andrea Genovese (7th Floor) Chi è Fabrizio Capobianco e cosa fa Funambol? Fabrizio Capobianco (Funambol) Sono il CEO di Funambol, un’azienda della Silicon Valley che ha un centro di sviluppo in Italia, a Pavia, e la sede principale nella baia di San Francisco. La mia azienda ha 65 dipendenti di cui 35 in Italia. Sono partito dall’Italia per andare a prendere capitale di rischio negli Stati Uniti e sviluppare quello che è diventato il più grande progetto open source sul wireless al mondo!

utenti finali. Per l’utente finale c’è un portale gratuito – my.funambol.com - dove ti puoi registrare e, qualsiasi provider di posta elettronica tu abbia, puoi scaricare il software e utilizzare la mail.

F.C. Sono partito dalle montagne della Valtellina, sono andato a Pavia e mi sono laureato in ingegneria informatica, nel ’94 ho avviato la mia prima azienda, Internet Graffiti, sviluppavamo siti web quando ancora il web non esisteva. Poi ho fondato un’altra azienda che si chiamava Stigma Online e nel ’99 mi sono trasferito negli Stati Uniti. Mi sono trovato un lavoro per avere il permesso di soggiorno e dopo due anni con la carta verde ho aperto Funambol. Ho aperto il dizionario italiano alla voce fun, il divertimento è un po’ l’obiettivo aziendale; la prima cosa che è entrata in ufficio è un calcio balilla, poi sono entrati i dipendenti. L’azienda è nata in Italia però. Ho prima messo in piedi per un anno il centro di sviluppo a Pavia. Poi sono tornato in america e ho trovato capitale di rischio. A.G. Molti lettori sognano di aprire un’impresa in America, trovando finanziamenti di ventura. Raccontaci esattamente come fare, che consigli puoi dare a chi vuole fare un’impresa come la tua? Sviluppare software è la cosa migliore se si vuole fare un’impresa globale. Perché è trasportabile facilmente nel mondo, senza scatole o magazzini. Siamo partiti facendo un’azien-

da internazionale dal primo giorno. Abbiamo scelto l’open source come tecnologia di sviluppo e oggi abbiamo più di un milione di download, una comunità mondiale. Non abbiamo cercato di fare una piccola media azienda italiana. Certo, siamo partiti con capitale proprio, ci siamo autofinanziati. Avevo degli amici business angels in Silicon Valley, mi sono fatto dare un piccolo finanziamento iniziale da un fondo italiano di Venture Capital gestito da Value Partner. Sono tornato negli Stati Uniti a vendere software ad aziende americane e nel 2005 ho trovato capitale di ventura da un venture capitalist californiano. Non è facile, i venture capitalist ne vedono mille di aziende in start up all’anno e, in media, investono su una o due. Le probabilità sono basse: è inutile creare illusioni. Noi abbiamo avuto fortuna. Purtroppo l’Italia non è percepita come un paese avanzato sull’hi-tech ma sul design. Siamo percepiti ancora molto come il paese della pizza dove è bellissimo vivere. Io avevo già sviluppato il software, era diventato di successo, era disponibile e usato da migliaia di persone. Questa è la strada, partire da un progetto open source cercare di espanderlo, magari verso il mercato americano. Sappiate che gli investitori mettono i propri capitali sulle persone più che sui mercati o sui progetti! A.G. Tu sei in due tecnologie chiave: l’open source commerciale e il software mobile 2.0, ma da dove ti è venuta l’idea? Risate. Schiamazzi di motorini e ragazzi per le strade bellissime di Trastevere! (ndr) F.C. I miei genitori sono medici, ho avuto un’infanzia molto difficile! Scherzi a parte, i miei sono due psichiatri. I miei primi

F.C. Sono venuto su invito dall’ambasciata americana per parlare con gli imprenditori italiani e provare a riprodurre il modello Funambol in larga scala, creando altre aziende che abbiano tecnologia italiana, centri di sviluppo italiani e cerchino capitale di rischio straniero. Purtroppo oggi in italia il capitale non esiste. Mentre invece esiste la tecnologia e può essere esportata nel mondo. Cerco quindi società, che vogliano aprire una sede a Silicon Valley e tenere i centri di sviluppo qui. Ossia fare quello che si chiama “offshoring” in Italia, invece che in India o in Cina.

A.G. Di cosa si occupa esattamente Funambol? F.C. Si occupa di software per dispositivi cellulari. Sviluppa un programma per ricevere la posta elettronica sul proprio telefonino. Il nostro software è venduto direttamente agli operatori mobili – non in Italia in questo momento – e agli

Il software è creatività, è design, nonostante il nostro paese sia poco sviluppato ci sono tantissime persone estremamente in gamba. Loro devono avere la possibilità di accedere al mercato mondiale perché quello italiano è limitato.

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A.G. Raccontaci meglio come è iniziata la storia di un ingegnere di Sondrio di 36 anni che studia a Pavia e poi fonda un’azienda a Silicon Valley?

A.G. Sei in cerca di capitali di rischio in Italia?

Gli ingegneri italiani sono tra i più bravi, i costi di sviluppo sono molto ragionevoli – ahimè stiamo parlando degli stipendi (ndr) – e, il dipendente italiano è molto più fedele all’azienda di quanto non lo sia un indiano.

Una formula semplice: cervelli italiani, capitale americano.

Sviluppare software è la cosa migliore se si vuole fare un’impresa globale. Perché è trasportabile facilmente nel mondo, senza scatole o magazzini.

Fabrizio Capobianco CEO di Funambol, sul suo New Beettle per le strade di Mello Park digital a Silicon Valleymagazine 27 mindstyle


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