Ecoscienza 5/2017

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RIGENERAZIONE URBANA

ECOSCIENZA Numero 5 • Anno 2017

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del piano. In questo senso, all’inizio si generano alternative di visione da cui partire: sono alternative in cui si condivide la direzione verso cui si vuole andare, come ci si immagina che debbano essere gli esiti, lo scenario che dovrebbe emergere dal piano. Dunque, verso quale direzione si vuole andare per l’agricoltura, il turismo, il manifatturiero, il commercio, ma anche il consumo del suolo, la mobilità, l’energia e così via. Ad esempio, un piano espansivo o un piano basato sulla rigenerazione urbana danno esiti diversi. Così come un piano, pur basato sulla rigenerazione urbana, che assegni un ruolo forte di coordinamento, gestione e controllo al soggetto pubblico, rispetto a un piano si limiti a inseguire le opportunità offerte dal mercato, attraverso accordi di programma non inquadrati in una visione strategica. Man mano che si procede con l’elaborazione, una volta che si è scelta la visione, si definiranno via via gli obiettivi specifici con le loro azioni. E si incontrano alternative che riguardano sia azioni fisiche che norme, indirizzi, criteri attuativi ecc. Ogni decisione che si inserisce nel piano può essere sottoposta al processo di generazione/valutazione di alternative. Il piano è l’insieme delle scelte che si sono operate. È ovvio che quando si prospettano le diverse soluzioni e le si discutono e condividono nell’ambito dei sistemi funzionali, si tiene già conto delle relazioni tra i sistemi e degli effetti incrociati. Tuttavia, quando si prende in considerazione l’insieme delle azioni che formano il piano – cioè lo scenario di piano – si possono valutare sia la coerenza tra le azioni che gli effetti cumulati. Per rendere più efficace questa valutazione, è utile ricondurla a macro-obiettivi o chiavi tematiche di piano, quali ad esempio la qualità dell’abitare, la salute, l’accessibilità ai servizi, l’adattamento ai cambiamenti climatici ecc. Ci si può così accorgere

che alcune azioni sono in conflitto con altre (ad es. due localizzazioni troppo vicine) o che gli effetti cumulati creano situazioni critiche o insostenibili (ad es. una zona risulta fortemente squilibrata rispetto ad un’altra). È cioè necessario modificare l’insieme delle scelte di piano, eliminandone alcune e inserendone nuove: si tratta, a tutti gli effetti, di generare e valutare varianti o alternative rispetto al piano che si era costruito. Infine, anche in fase attuativa le scelte di piano devono essere realizzate: anche qui ci sono margini decisionali che richiedono alternative a livello di piano attuativo o di progetto. La proposta è dunque quella di basare fortemente il piano su un continuo ed esplicito processo partecipato di generazione e valutazione di alternative lungo tutto il suo ciclo di vita, sia in fase di elaborazione (alternative strategiche o di visione, alternative sulle scelte di piano, alternative di scenario o di piano) che in fase di attuazione. Perché la valutazione nelle diverse fasi, inclusa quella attuativa, sia omogenea e coerente con la visione e gli obiettivi, è necessario che, a partire dal piano strategico, il processo decisionale si doti di strumenti che garantiscano l’accesso alle informazioni a tutti gli attori, di metodi e criteri di valutazione condivisi, trasparenti, adattabili ai diversi contesti e alle diverse scale, di strumenti per il supporto alla negoziazione: il sistema di supporto alle decisioni e la sua “cassetta degli attrezzi”.

Definire il monitoraggio del piano È necessario definire che cosa si intende per monitoraggio di un piano. Monitorare il piano vuol dire valutare periodicamente se le condizioni che si sono create, sia per effetto di fattori esterni sia per effetto dell’avanzamento del piano, sono tali da consentire di raggiungere gli obiettivi che ci si era prefissati e, in

caso di risposta (anche parzialmente) negativa, indicare come e in che direzione è necessario riorientare il piano. Il monitoraggio del piano consiste pertanto in un aggiornamento delle previsioni di piano e in una valutazione in itinere (ed ex post a fine vita del piano) in grado di indirizzare il riorientamento. Si tratta quindi di una procedura che va formalizzata e istituzionalizzata. Oggi il monitoraggio è spesso assente per diversi motivi, strutturali e/o congiunturali: ad es. perché non si prevedono le risorse (interne ed esterne) necessarie e il piano termina di fatto con la sua approvazione. Il monitoraggio muore lì, magari con un elenco di indicatori da popolare; nei casi particolarmente fortunati gli indicatori vengono popolati, ma senza alcuna attività formalizzata di valutazione e riorientamento.

Condivisione e partecipazione Nel corso del testo e del ragionamento ricorre spesso il termine condiviso: la partecipazione si estende lungo l’intero processo-percorso, dall’elaborazione del piano strategico alla sua attuazione alle diverse scale. Ottenere una partecipazione reale ed efficace è difficile; va finalizzata, organizzata, ma soprattutto resa credibile. I processi partecipativi degli ultimi anni si sono spesso svuotati di senso e contenuti, perché più tesi all’acquisizione del consenso che a un reale ascolto; non c’era una reale disponibilità a mettere in discussione decisioni di fatto già prese. La partecipazione va motivata sulla base del fatto che non ci sono soluzioni preconfezionate, che il processo partecipativo serve sia a orientare il piano che a generare ed esaminare alternative lungo il percorso di elaborazione e attuazione e che le decisioni terranno effettivamente conto degli esiti della partecipazione (indipendentemente dal fatto che questa sia deliberativa o meno). È necessario quindi organizzare un sistema integrato di partecipazione, che raggiunga e coinvolga lungo l’intero processo decisionale, sia pure con forme e in momenti che possono essere diversi, tutti gli attori potenzialmente interessati o rappresentativi. Intesa in questo modo, la partecipazione diventa parte integrante di ogni piano ed è un elemento strutturale di costruzione e verifica dei suoi contenuti. Eliot Laniado1, Gabriele Bollini2 1. Politecnico di Milano Presidente Poliedra 2. Università di Modena e Reggio Emilia


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