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WATCHDOG di marco onado I mercati che non pensano a figli e nipoti

I MERCATI COSÌ OTTIMISTI DI OGGI PENSANO MENO DI PRIMA A FIGLI E NIPOTI

a tragedia della guerra in Ucraina ha

Lavuto un immediato impatto negativo sui mercati, come era ovvio, visto che si tratta della più grave operazione militare in Europa dai tempi della seconda guerra mondiale. La correzione sui mercati azionari era del resto nell’aria, perché dopo l’eccezionale crescita seguita alle prime settimane della pandemia, le valutazioni erano al limite dei fondamentali, e anche oltre.

Dopo lo shock iniziale (la discesa dei corsi di borsa ha seguito più o meno lo stesso sentiero di febbraio 2020), la calma o addirittura l’ottimismo sembrano a poco a poco prevalere: i principali indici di borsa hanno addirittura messo a segno un aumento, nel mese di marzo. La tesi prevalente sembra essere che lo shock verrà assorbito; è vero che era in atto la ripresa più intensa del dopoguerra, è vero che ci sarà un’ulteriore pressione sui prezzi, ma alla fine i tassi di crescita rimarranno positivi con conseguenze favorevoli per i profitti. Anche l’impennata dei prezzi è destinata ad essere temporanea (nonostante che in certi scenari si arrivi a prevedere un +7 per cento in Europa nel2022) e quindi le banche centrali manterranno, magari con modesti aggiustamenti, il loro piano di graduale rialzo dei tassi di interesse.

E’ la prima volta che i mercati non aspettano le banche centrali come il Settimo Cavalleria, ma da un lato erano consapevoli che non si può vivere a lungo in un mondo con tassi a breve negativi e dall’altro lato, e soprattutto, un rialzo dei tassi è altrettanta manna per i bilanci delle banche, in particolare quelle più orientate all’attività retail.

C’è da augurarsi che tutto questo possa realizzarsi, ma è difficile sbarazzarsi del fastidioso sospetto che si tratti di una visione troppo simile a quella che avrebbe fornito Pangloss di Voltaire: tutto sommato, è sempre il migliore dei mondi possibili.

Per essere più precisi, è uno scenario realistico per quanto riguarda gli effetti a breve termine, mentre quelli a medio termine richiedono una serie di qualificazioni.

La prima è che l’impatto in Europa sarà ben più forte che negli Stati Uniti, perché la nostra dipendenza dal gas e dal petrolio russo è elevata e concentrata in due paesi importanti come Germania e Italia. La frenata europea sarà quindi più brusca, con tutta probabilità, soprattutto in Italia.

Dopo l’euforia del post-pandemia, tornare ad una situazione in cui l’Italia cresce meno della media europea, che cresce meno del resto del mondo, non è una grande notizia perché i nostri mali antichi covano ancora sotto la cenere. In primo luogo, il tema della sostenibilità di un debito pubblico che ha raggiunto il 150 per cento del pil tornerà alla ribalta. In secondo luogo, l’aumento dei tassi è sicuramente una buona notizia per le banche, soprattutto europee, la cui redditività langue da troppo tempo. In effetti le autorità, con in testa la Bce, hanno già detto che non prevedono restrizioni alla distribuzione di dividendi, al contrario di quanto era avvenuto nel 2021. Molti analisti sono andati ancora più in là e sostengono addirittura che siccome le banche hanno capitale in eccesso dovrebbero restituirlo agli azionisti sotto forma di buy-back. La grande crisi finanziaria è ormai dimenticata, le feste possono ricominciare e pazienza se quei brontoloni dell’Economist hanno definito queste operazioni “finance on steroids”. In ogni caso, anche qui la posizione italiana non è esattamente delle migliori. Certo, il progresso dai giorni bui della crisi europea è un fatto: i prestiti deteriorati sono oggi al 4 per cento degli impieghi totali, contro il 12 del 2017, ma è pur sempre più della Spagna e quasi il doppio della media dell’Eurozona. Soprattutto, c’è sempre il fastidioso sospetto di come alla fine si deciderà sul trattamento dei titoli pubblici nazionali detenuti dalle banche dei paesi periferici. Anche per effetto della generosa politica monetaria della Bce, queste ultime hanno ampliato considerevolmente i loro portafogli, che pesano sul capitale di miglior qualità (Cet1) per percentuali che vanno dal 150 al 280 per cento. L’ultimo dato si riferisce (ma non si vince nulla perché è troppo facile) all’Italia. Insomma, anche se i tassi di crescita dell’economia rimarranno positivi, lo scenario economico e finanziario sarà caratterizzato da non poche criticità e incertezze. Le preoccupazioni maggiori riguardano però il lungo termine. La guerra dà un altro colpo alla globalizzazione, dopo quello già grave della pandemia. La pretesa efficienza delle nuove catene di offerta non ha retto a questi due stress test. Credevamo di aver inventato un nuovo modo di produrre, ma quando le case automobilistiche si sono dovute fermare perché oggi i paesi avanzati producono solo il 20 per cento dei semiconduttori (era l’80 tempo fa) molti miti sono crollati. E ancora, che ne sarà degli ambiziosi programmi di riduzione delle emissioni (e quindi di uso del carbone) nel nuovo scenario del mercato energetico? I mercati ottimisti di oggi sembrano non preoccuparsi più di tanto dei loro figli e dei loro nipoti. Marco Onado

È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole 24Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

Il filosofo e scrittore francese Voltaire

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