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NOVARTIS
from Economy Marzo 2022
by Economy
PRONTO SOCCORSO SULLE COMPETENZE
La carenza delle risorse umane è una delle principali sfide per la sanità italiana. Donato Scolozzi (Kpmg) indica la strategia d’uscita: digitalizzazione, attrazione, motivazione e progressione professionale dei migliori
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di Riccardo Venturi
LA PANDEMIA HA ACCESO UNA CRISI CHE GIÀ COVAVA SOTTO LA CENERE DA ANNI: QUELLA DEL PERSONALE SANITARIO. Nel 2021 le dimissioni sono aumentate del 44% rispetto al 2020 e 7 operatori su 10 impegnati nel fronteggiare l’emergenza Covid-19 hanno mostrato sintomi di burnout. Ma soprattutto, mancano migliaia di medici e infermieri. Quella della carenza delle risorse umane è dunque una delle principali sfide che la sanità deve affrontare per migliorare la qualità dei servizi. In questa intervista a Economy, Donato Scolozzi, partner Kpmg, esperto di sanità, spiega come nasce la crisi, con le tante difficoltà affrontate dai medici (ad esempio in pronto soccorso). E indica una via d’uscita in due parti: potenziamento delle competenze dei (pochi) medici grazie alla digitalizzazione; attrazione, motivazione e progressione professionale dei migliori talenti del Paese.
Scolozzi, mancano migliaia di medici. Che fare?
È uno dei grandi temi di cui oggi non si parla abbastanza. La vocazione di fare il medico riguarda una quota di ragazzi, sostanzialmente stabile nel tempo. Ma se i giovani diminuiscono (es. la fascia 20-29 è diminuita negli ultimi 10 anni di 360mila unità), il numero di chi ha questa vocazione diminuisce in termini assoluti. E non è che aumentando i posti disponibili alla facoltà di medicina aumenti la vocazione. Non mi aspetto aumenterà il numero di chi sceglierà di lavorare in pronto soccorso, ad esempio. È più probabile che aumenti il numero in altre specializzazioni che garantiscono una qualità della vita migliore a fronte di una remunerazione pari o superiore. Nei pronto soccorso il work-life balance è difficile da raggiungere, c’è il rischio di burnout, e la quantità di denunce è davvero elevata. Non credo
DONATO SCOLOZZI
sia sufficiente aumentare i posti a medicina e nemmeno pagare di più chi fa questo mestiere se queste manovre non vengono associate alla creazione delle condizioni per utilizzare al meglio quella risorsa scarsa, che probabilmente sarà sempre più scarsa, di ragazzi e futuri medici che hanno una vocazione per questo mestiere. In quest’ottica la digitalizzazione può essere una delle chiavi di volta.
Il lavoro del medico in trincea, nonostante le fiction in tv, non attrae più: perché?
Pensi alla giornata di lavoro di un medico in pronto soccorso. In tanti oggi iniziamo a lavorare appena prendiamo lo smartphone in mano. Lui invece, nonostante sia un super professionista, non può iniziare a lavorare a distanza. Deve raggiungere la struttura, cambiarsi, igienizzarsi, entrare in reparto, Prende le consegne dal turno precedente, deve capire la situazione del pronto soccorso, accedere al
sistema informativo, prendere informazioni sui pazienti in attesa e i livelli di priorità. Inizia le visite, e con sistemi spesso obsoleti richiede esami diagnostici e/o delle consulenze da parte di altri specialisti che devono liberarsi per raggiungere il pronto soccorso. Una volta che ha il referto da parte del radiologo, il consulto dello specialista, deve fare una diagnosi e decidere se dimettere a domicilio o ricoverare. Se decide di ricoverare, in molti ospedali, deve augurarsi che ci sia un posto libero. Tutto ciò con un rischio di denuncia, perché qualcosa magari non è andato per il verso giusto a causa del sovraffollamento. Penso sia davvero pesante questa vita, lo dico con il massimo rispetto. Se a questo aggiungiamo che oggi c’è un’assenza di vocazione, si capisce perché i nostri pronto soccorso sono e saranno sempre meno attrattivi per i nostri giovani.
Come se ne esce?
Da un lato certamente cerchiamo di aprire le porte il più possibile ai medici e agli infermieri. Ma sta anche a noi manager darci da fare per mettere a disposizione dei medici anche una logistica più intelligente: da questa considerazione nasce l’esigenza della digitalizzazione. Oggi abbiamo l’opportunità della vita, il Pnrr, da un lato per migliorare l’esperienza del paziente e dall’altro per creare le condizioni per prendersi cura di chi si prende cura di noi, affinché i professionisti a cui ci rivolgiamo possano essere meglio valorizzati. Si parla giustamente sempre dei pazienti, ma ci stiamo perdendo questo grande tema: come aiutare medici e operatori sanitari a fare il loro mestiere con dignità. Il settore della sanità è stato tra i più colpiti dal fenomeno della great resignation - grandi dimissioni, ndr – e le dimissioni nel secondo e nel terzo trimestre 2021 rispetto allo stesso periodo del 2019 sono aumentate del 28%.
Che aiuto può dare la digitalizzazione? Si va verso la medicina a distanza?
L’esperienza del medico in pronto soccorso è condizionata da numerosi fattori, a partire dall’appropriatezza dei casi che tratta e, dunque, da accessi che, spesso, potrebbero essere evitati. La prevenzione è il futuro (e la salvezza) della nostra sanità, soprattutto considerando le opportunità che stanno emergendo: telemedicina, teleconsulto, strumenti di monitoraggio da remoto e tante altre possibilità che la digitalizzazione ci sta offrendo per creare i presupposti per diminuire ospedalizzazioni e urgenze. Ma torniamo all’attività del medico day by day: iniziare mettendolo, per esempio, nelle condizioni di fare il passaggio di consegne in modo più rapido e di prendere le informazioni necessarie in modo più agile, potrebbe agevolare il suo lavoro. Oggi usiamo gli audiolibri per leggere di più. Con un po’ di fantasia potremmo applicare qualcosa di simile al mondo della medicina. Con i sistemi di voice recognition il medico potrebbe essere informato mentre si reca in struttura, senza dover necessariamente parlare con qualcuno. Intendiamoci, è fondamentale che la gente continui a parlarsi, ma meglio farlo per sviscerare casistiche complesse e non solo perché non c’è altro modo per comunicare. Grazie a questi sistemi di voice recognition il passaggio di consegne resterebbe registrato e scritto da qualche parte, quindi potrebbe essere letto da un robot, in modo che il medico mentre si dirige verso la struttura sappia già cosa lo aspetta. Una gestione dei dati di questo tipo, poi, potrebbe aprire un’altra interessante opportunità.
Quale?
Dietro la possibilità di mettere le informazioni “in ordine” abbiamo gli strumenti di intelligenza artificiale. Non stiamo parlando di nulla che miri a sostituire gli esseri umani. Questi strumenti possono, però, dire velocemente al
ANCHE L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE PUÒ DIVENTARE UN VALIDO SUPPORTO AL MEDICO NEL SUGGERIRE DIAGNOSI E PERCORSI
medico che il caso che sta trattando assomiglia a una quota di casi simili, con caratteristiche analoghe e che hanno avuto nella prevalenza dei casi una determinata diagnosi, percorso ed esito. Questo supporto agevolerebbe il medico e ridurrebbe errori evitabili causati dalla fretta e/o dalla disponibilità parziale di informazioni. Tutte le attività che si caratterizzano per essere routinarie e cognitive possono esser sostituite da un “robot”, perché non iniziamo ad approfittarne? Non aiuta sopravvalutare le potenzialità di questi strumenti, non possiamo certamente mettere la medicina e la cura delle persone sullo stesso livello di altri settori industriali, qui la posta in gioco è la vita delle persone, ma esiste comunque la possibilità di supportare i medici nel loro lavoro. Resta il fatto che sebbene un aumento in competenze digitali da parte dei clinici sia desiderabile, è anche vero che la tecnologia deve essere concepita per facilitare non per appesantire l’attività dei clinici consentendogli di approfondire ciò che oggi non riescono a fare per prendere decisioni sempre più consapevoli ed essere tutelati.
La carenza di medici è un problema internazionale o italiano?
Il tema è internazionale, ma noi siamo un po’ indietro, perché con un decremento annuo medio delle nascite del 2,8% più di altri Paesi dobbiamo affrontare il tema dell’invecchiamento della popolazione. A questo dobbiamo aggiungere il fatto che il nostro non è riconosciuto come un Paese per giovani. Tanti tra i nostri giovani cercano e andranno a cercare luoghi più adatti rispetto alle loro esigenze. Non è solo una questione retributiva, credo che ci sia un tema di prospettive, di investimento sul singolo e di crescita professionale. Faccio un esempio: se io sono l’aiuto primario del reparto di oncologia più importante in Italia, non posso farlo per tutta la vita, in attesa che il primario vada in pensione. Quindi? Cosa faccio? Qual è il mio percorso professionale? Me la dovrò cavare da solo o posso contare su qualcuno che si prende cura di me? Quando iniziamo a fare questi ragionamenti capiamo che esiste un altro grande problema da affrontare.
Prego.
Il futuro del sistema sanitario camminerà sulle gambe dei talenti che sapremo attrarre nel settore. Non solo medici, ma anche economisti, ingegneri, informatici e legali. Questo dovrebbe essere un tema al centro delle organizzazioni regionali: talent acquisition e talent engagement. Come facciamo ad attrarre i migliori, a dargli una prospettiva di crescita coerente con le loro ambizioni? È un tema troppo poco affrontato dalla PA, e dalle nostre regioni. La prova si trova nel rapporto Oasi 2020 della Bocconi che mostra il dimensionamento medio e i mestieri degli uffici del personale delle regioni e delle Asl: questi uffici svolgono prevalentemente pratiche amministrative, tutte attività routinarie e cognitive. Pochi svolgono funzioni da Hr business partner, cioè un servizio di risorse umane capace di affiancare coloro che fanno la strategia per attrarre i migliori talenti, trattenerli, creare le condizioni perché possano esprimersi al meglio. C’è troppa disattenzione nei confronti dei percorsi di carriera del personale (sanitario, tecnico, amministrativo e professionale). C’è bisogno di qualcuno che sia responsabile di attrarre, reclutare, valorizzare e trattenere i talenti. Una migliore gestione dei talenti deve tornare al centro degli obiettivi gestionali delle istituzioni sanitarie.