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QUELLE LAVANDERIE CHE RIPULISCONO L’IMMAGINE
from Economy64 marzo 2023
by Economy
Il caso di Arcelor Mittal con Eliminalia accende i riflettori sul reputation-laundering, un fenomeno in crescita, che assottiglia sempre di più il confine tra diritto all’oblio e diritto di cronaca di Francesco Condoluci
Rimuovono articoli infamanti. Difendono la reputazione online. Tutelano l’immagine in Rete di singoli, enti, aziende, progetti, eventi. Trattano, con le buone e con le cattive, la deindicizzazione di contenuti lesivi. Fanno scivolare cioè verso l’alto o verso il basso, a seconda degli scopi da perseguire, i link su un determinato argomento che compaiono sui motori di ricerca. Rivendicano in tutti i modi “il diritto all’oblio” dei loro assistiti. In quel gigantesco continuum spazio-temporale che è il web, dove tutto è documentabile e in cui – in barba a ogni tentazione di damnatio memoriae – tutto lascia traccia per l’eternità, fanno insomma da sentinelle al nostro “buon nome”. Un lavoro spesso necessario e sacrosanto, almeno quando di mezzo ci sono ingiustizie e diffamazioni. Qualcuno però, con un’accezione non proprio edificante, le chiama “lavanderie” perché, in fin della fiera, non fanno altro che ripulire contenuti scomodi, poco graditi. E perché non sempre, i mezzi usati (e i fini) sono dei più ortodossi e dei più leciti. Di agenzie così, che hanno come core-business la web reputation, oggi nel mondo ce ne sono circa 2 mila, almeno secondo i calcoli della testata di giornalismo investigativo IrpiMedia che proprio di recente, nell’ambito del progetto #StoryKillers – un’inchiesta internazionale sui cosiddetti “mercenari della disinformazione” –
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L'IDENTITÀ DIGITALE VA COLTIVATA CON CURA
Andrea Barchiesi ha studiato da ingegnere elettronico ma da ormai più di vent’anni si è specializzato in un’altra branca dell’ingegneria: quella reputazionale, appunto. Diventandone un pioniere prima e uno dei massimi esperti che abbiamo in Italia, oggi. Oltre ad essere founder e Ceo di Reputation Manager, istituto tra i più importanti del settore, dal 2013, attraverso l’Osservatorio Top Manager Reputation, monitora e indaga come e perché la “reputation” sia diventata un asset sempre più centrale nella vita delle aziende e dei management.
Per lui, il “caso Ilva” «è l’effetto di un cambiamento sistemico».

«L’era digitale – dice – ha modificato radicalmente la comunicazione, per come sono strutturati la Rete e gli algoritmi dei social network essi tendono a dare alle informazioni negative maggior rilevanza, persistenza e viralità. Ecco perché sempre più manager, aziende e istituzioni stanno assumendo consapevolezza dei rischi e delle opportunità della presenza online. Il web non dimentica nulla, tutto esiste allo stesso tempo e può tornare a galla. Accade che nello stesso istante siano presenti informazioni si è imbattuta in una di loro, in particolare: la società Eliminalia (da poco ribattezzatasi iDataProtection), sede ufficiale in Spagna e uffici in mezzo mondo, dall’Italia alla Repubblica Dominicana, passando per Taiwan, Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti. Le mail che da un account di Eliminalia arrivavano sulla posta elettronica di alcuni giornalisti di IrpiMedia partivano da Kiev però, capitale dell’Ucraina. Messaggi nei quali ai cronisti veniva chiesto in maniera secca di “rimuovere l’articolo, oscurarlo agli occhi del motore di ricerca e togliere nomi e cognomi lasciando solo le iniziali”. Le ragioni? Il pezzo era vecchio, non più attuale e la sua permanenza online danneggiava il protagonista dell’articolo. Insomma, appellandosi ad una claudicante “violazione del Gdpr” e ad un non meglio specificato “diritto all’oblio”, Eliminalia pretendeva che sparissero dal web alcuni contenuti scomodi per il loro assistito, nella fattispecie l’ex avvocato dell’Eni, Piero Amara, accusato di aver cercato di influenzare anche discordanti tra loro e di periodi temporalmente lontani. Tutto questo, insieme, orienta la percezione del lettore.
Quindi è legittimo provare a migliorare la propria immagine pubblica?
Avvalersi del diritto all’oblio e cercare di orientare la propria immagine pubblica è sicuramente legittimo. Il discrimine però è il metodo: occorre seguire etica e trasparenza.
L’identità digitale, del resto, implica sfide normative complesse rispetto alle quali i policy-makers - e forse, ancora più di loro, le grandi platform - faticano ad adeguarsi, dal diritto all’oblio, appunto, alla tutela dei dati.
L’identità digitale è un elemento relativamente nuovo, dato dall’insieme dei contenuti che si trovano in Rete. Esiste in ogni momento ed è diventata primaria per ogni relazione, un processo e finito al centro di una vicenda giudiziaria controversa che ancora oggi è oggetto di indagine. Partendo da quella strana mail partita dall’Ucraina, IrpiMedia ha imbastito un’inchiesta giornalistica che ha aperto un vaso di Pandora: Eliminalia è una società con parecchi aspetti in chiaroscuro, a cominciare dal suo fondatore, Didac Sanchez, uno spagnolo che dietro uno storytelling da self-made-man si porta dietro precedenti giudiziari e soci discutibili, per finire alla holding con quartiere generale a Kiev che la controlla e che tra i suoi business, oltre a banche, studi legali, investigazioni private, ha perfino una clinica per madri surrogate. Da questa azienda di web reputation sono passati, a quanto si è scoperto, clienti facoltosi e bisognosi di rifarsi una verginità in Rete: l’ultimo in ordine di tempo è Arcelor Mittal Italy Spa che ha pagato 80 mila euro (alla società Reputation Up a sua volta cliente di Eliminalia) per far finire sotto al tappeto, nei meandri del web, la polvere accumulata dalla manager Lucia Morselli nella gestione dell’ex Ilva di Taranto e ben visibile tra le pagine di Google. Ma nel portafoglio di Eliminalia, Arcelor Mittal è in buona compagnia assieme a Piero Amara e a ma il diritto e i policy maker lavorano su una scala temporale lunga, per cui si sono trovati in difficoltà a recepirne la portata e a normarla. Idem per le piattaforme, che sono il terreno in cui si sviluppa questa identità digitale. Ma c’è in gioco molto di più: gli ultimi eventi –la pandemia e la guerra, per citarne due – ci hanno messo davanti a una realtà diversa, con l’esplosione di fake news e l’inquinamento dell’informazione portato avanti, ad esempio, da bot e sistemi automatizzati, ci si è resi conto che la questione riguarda tutti. Ed è sistemica. Ecco perché mi auguro che il
“bancarottieri, personaggi accusati di riciclaggio, frode e sfruttamento della prostituzione”.
LADDOVE NON È POSSIBILE RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO CON MEZZI LECITI LE TECNICHE UTILIZZATE SCONFINANO NEL FRAUDOLENTO
Il punto è che la società di Didac Sanchez non è che la punta dell’iceberg di un business (borderline) che sta dilagando a macchia d’olio: la cosiddetta reputation laundering, il lavaggio della reputazione attraverso la deindicizzazione di articoli lesivi o sgradevoli, la richiesta (non di rado) con toni minatori alle testate di cancellare i pezzi o modificare i contenuti, persino la manipolazione degli url per abbassarne il posizionamento sui motori di ricerca. E le tecniche utilizzate, laddove non è possibile raggiungere l’obiettivo con mezzi leciti, sconfinano nel fraudolento. Il confine tra la liceità del contestare gli articoli lesivi e chiedere che vengano corretti in caso di errore e l’abuso del farli rimuovere in maniera coattiva o con escamotage tecnici è sempre molto labile.
E il rischio è che con l’acqua sporca si getti via anche il bambino, accostando agenzie di web reputation che lavorano con finalità e strumenti eticamente ineccepibili alle lavanderie online più spregiudicate. Come si fa a conciliare diritto all’oblio e tutela dell’identità digitale con diritto di cronaca e libertà d’informazio- tema venga affrontato ad ogni livello: istituzionale, normativo, economico. Serve la sinergia di tutti gli attori coinvolti, dagli utenti alle istituzioni, passando ovviamente per le piattaforme.
Oggi la “reputation” quanto incide sul mercato e sui consumi?
La reputazione è percezione. Per cui riguarda tutto quello che è nella sfera della persona, dalla scelta della località delle vacanze al partito politico che guiderà il Paese nei prossimi anni. Ogni decisione, nella società in Rete, è basata sulla percezione e non sulla ne? «Il riconoscimento del diritto all'oblio ha fatto passi in avanti assai importanti grazie alla legislazione europea e alla giurisprudenza europea e nazionale. È un diritto dei cittadini la coincidenza tra identità reale e identità virtuale» spiega Ruben Razzante, docente di Diritto dell'informazione all'Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma, «quello che di noi si dice in Rete deve corrispondere a quello che siamo davvero. Ma questo non c'entra nulla con le lavanderie on-line, che a volte alterano la memoria storica della Rete e altre volte arrivano perfino a commettere attività illecite che andrebbero perseguite sul piano giudiziario. Non è possibile che soggetti privati, cioè aziende che lo fanno per business, modifichino i contenuti in Rete e pretendano di mettere equilibrio tra diritto di cronaca e privacy/ oblio dei protagonisti dei fatti sulla base dei desideri di qualche ex corrotto o malfattore che cerca di rifarsi una verginità on-line – è l’opinione del prof. Razzante – Se passa il concetto che basta pagare per ottenere la rimozione di contenuti scomodi, il web diventa un regno di discriminazioni tra chi può permettersi di pagare e chi no. Invece la concessione del diritto all'oblio deve avvenire solo sulla base di presupposti giuridici e deve puntare a raccontare il vero, non le verità di comodo». realtà. In questo senso oggi la reputazione è un asset centrale e abilitante. Penso al tema dell’accesso al credito per le aziende, alle opportunità di carriera lanciate o bloccate, ai prodotti di successo, o i conti bancari congelati a causa di una cattiva reputazione online. Essa arriva ad essere anche un driver che muove gli indici in Borsa. Anche tra Russia e Ucraina non c’è in atto solo una guerra tradizionale, ma comunicativa: vediamo ad esempio l’ondata di disinformazione che ha colpito l’Europa. Oggi non si può più pensare di affidare al caso la propria identità digitale, che deve essere invece presidiata e tutelata con capacità.
Reputation Manager, con il suo osservatorio, si occupa della reputazione online di personaggi di vertice dell’economia da anni ormai. Come è nata l’idea?
La reputazione è diventato un asset primario, non solo per i manager ma anche per i brand...