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Pure il magazzino si può cartolarizzare
from Economy64 marzo 2023
by Economy
Si chiama “Inventory Monetisation” il modello lanciato dalla fintech italiana Supply@ME quotata a Londra, che di recente ha chiuso la prima operazione di trasformazione delle scorte di magazzino di un’azienda in liquidità di Francesco Condoluci
Immaginate un’azienda con scorte di magazzino in eccedenza (perché richieste dai propri clienti finali per assicurare la regolare fornitura e continuità operativa) ovvero in attesa di essere trasformate per soddisfare ordini già perfezionati. Merce che, per diverse ragioni, non è ancora stata venduta. E che, anche per via di questa stessa crisi, ingenera un bisogno impellente di liquidità all’imprenditore. Una situazione che moltissime aziende hanno vissuto sulla propria pelle, durante l’emergenza sanitaria da Covid19 e nel periodo post pandemico dove il trend è cambiato: meglio aumentare le scorte per garantire la resilienza operativa che subire uno stop del business a causa dell’assenza di materie prime o componentistica. Come se ne esce in questi casi? Banking tradizionale? Difficile e oneroso. Aiuti di Stato? Uhm. Finanza alternativa? Sì, ok, ma come? Magari partendo proprio dal “magazzino”, ad esempio. E cioè? Niente di innovativo, in realtà: cartolarizzare le scorte, emettere cioè titoli trasferibili sulla merce da vendere per ottenere liquidità immediata, è una tecnica che la finanza ha scoperto almeno 3 o 4 secoli addietro.
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Ma prima – e non è un dettaglio di poco conto se si pensa, ad esempio, alle fluttuazioni del mercato – non c’era la tecnologia a sostenere, sigillare e certificare queste sofisticate operazioni di cartolarizzazione, trasformandole, di fatto, in un business model d’avanguardia nell’ecosistema digitale. Benvenuti, insomma, nel mondo del cosiddetto “inventory monetisation” che in italiano suona come“monetizzazione dell’inventario”, un sistema cioè che permette alle aziende di vendere - per il tramite di una piattaforma blockchain - le proprie rimanenze di magazzino e smobilizzare il capitale circolante derivante da quelle rimanenze. Intendiamoci, non è una soluzione alla portata di tutti: le aziende che possono prendere in considerazione la possibilità di monetizzare il loro inventario devono avere una dimensione medio-grande, un fatturato intorno ai 10 milioni di euro ed eccedenze di magazzino non deperibili (come il vino, ad esempio, ma anche tanti altri settori dell’industria manufatturiera) e aventi un valore intorno ai 2-3 milioni. L’inventory monetisation, del resto, si basa sulla possibilità di utilizzare smart contract, anonimi e non violabili, sul sistema decentralizzato della blockchain e consta di una serie di servizi che possono gestire in maniera automatica tutte le transazioni. In buona sostanza, tutti i contatti e le trattative tra gli attori coinvolti in questa cartolarizzazione che utilizza il paradigma del web 3.0 – l’azienda che vuole ottenere liquidità dalle sue scorte di magazzino, il suo interlocutore bancario, gli investitori, le società di trading che comprano realmente il magazzino dell’azienda, la compagnia assicurativa – si svolgono nella “catena a blocchi” nella quale la grande novità, com’è noto, è che il registro, il Distributed Ledger, contenente dati e informazioni (in questo caso le transazioni) non ha un’entità centrale di controllo e di verifica ma è aperto, condiviso e viene distribuito in tante copie identiche che ne suggellano la sicurezza e l’inviolabilità, dal momento che qualunque modifica dev’essere validata da tutti i nodi della rete. Ad aver sperimentato con successo questo modello è stata la piattaforma fintech italiana Supply@ME Capital plc che, grazie al proprio prodotto e tecnologia proprietari di Inventory Monetisation©, è stata quotata al London
Stock Exchange (SYME:LN), il principale listino della borsa britannica, collocandosi sul più importante mercato del Regno Unito con una capitalizzazione iniziale di 227 milioni di sterline. E qualche mese fa, per la piattaforma ideata e fondata da Alessandro Zamboni, è arrivato anche il completamento della prima operazione ufficiale di Inventory Monetisation. Il deal, del valore di 1,6 milioni di euro, ha avuto come oggetto una società italiana attiva nella progettazione e realizzazione di veicoli industriali e speciali, sistemi elettronici, cablaggi elettrici e componentistica per vari settori e presente sui mercati Usa e Africa. Ed è arrivato dopo l’alleanza strategica stipulata tra Supply@ME e VeChain Foundation, un operatore primario nei servizi blockchain specializzato su supply chain e sostenibilità. L’accordo punta al lancio di un programma “Web3” per l’impiego di circa 10 milioni di dollari di transazioni di Inventory Monetisation basate sugli “Nft”, i token non fungibili che rappresentano la proprietà delle scorte di magazzino dell’azienda e che quindi possono essere cartolarizzati digitalmente. Ma sul piano empirico, come è stata messa a terra questa prima operazione ufficiale di monetizzazione dell’inventario con l’azienda di veicoli e sistemi elettronici? Il principio, almeno quello, è semplice: Supply@ME ha consentito al cliente, per il tramite del Global Inventory Fund (fondo alternativo di investimento di cui la fintech è sponsor), di generare flussi di cassa, senza contrarre debiti, monetizzando le scorte di magazzino esistenti. Ancora prima cioè che l’azienda abbia trovato un cliente finale per i suoi prodotti, la piattaforma Supply@ME le permetterà di vendere, cioè di “monetizzare”, il proprio magazzino, a società commerciali di “inventory trading” di emanazione del Global InventoryFund, ricevendo immediatamente danaro sonante per migliorare il proprio capitale circolante.
È il sistema che invece è molto più complesso, proprio perché deve necessariamente coinvolgere più attori: a cominciare da una delle società dedicate al trading degli inventory (“Stock Company”), appartenenti al fondo alternativo di investimento, per passare alle società operative italiane controllate dalla stessa piattaforma fintech e cioè: Supply@ME S.r.l., come originator del magazzino e fornitore del servizio e Supply@ ME Technologies S.r.l., in qualità di Platform provider. A quest’ultima spetterà di essere utilizzata dalla società cliente per caricare il magazzino da monetizzare (e, di conseguenza, coniare l'Nft), integrare e trasferire i dati di Enterprise-Resource-Planning per consentire le necessarie attività di monitoraggio e ispezione degli inventory. L’ultimo anello – anzi, visto che parliamo di blockchain, l’ultimo “nodo” – di questa innovativa filiera finanziaria è rappresentato quindi dal fornitore di servizi sulla catena a blocchi, ovvero quel VeChain Foundation che fa anche da sottoscrittore degli Nft che incorporano i diritti sul magazzino, inclusa la possibilità di ottenere profitti mensili generati dalle attività di trading dell’inventory svolte dalla Stock
Company e il diritto del titolare degli stessi “token non fungibili” di richiedere, a certe condizioni, la consegna fisica dei beni compresi nell’operazione di Inventory Monetization.
«La tecnicità e l'innovazione apportate dal nostro servizio sono davvero uniche sul mercato e siamo lieti di supportare l’azienda cliente in una nuova fase di strategia di gestione del magazzino» ha dichiarato il Ceo di Supply@ME Alessandro Zamboni «siamo anche consapevoli che la complessità del modello ha richiesto più tempo di quanto previsto, ma penso che questa prima operazione di Inventory Monetisation aiuterà la nostra platea di investitori, tipicamente parte della finanza tradizionale, a comprendere, nel dettaglio, le caratteristiche del servizio e a riconoscerne, definitivamente, la sua fattibilità. Il track record positivo che questa prima operazione ha già creato, ne è un concreto esempio».
Per il 2023, Supply@ME, anche in virtù della recente emanazione della nuova regolamentazione sul pegno non-possessorio, si aspetta di poter «co-progettare nuove soluzioni inventory-based, insieme a specifici partner dell’industria finanziaria». Ma soprattutto di utilizzare sempre più i protocolli di Finanza Decentrata, combinati con il servizio di Inventory Monetisation, per supportare le supply chain globali e l'economia reale.
