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A CACCIA DI TALENTI IN UN MONDO DISCONTINUO

Nell'epoca dell'Intelligenza Artificiale, il fattore umano nella valutazione dei candidati è ancora più importante. Ce lo spiega Vittorio Veltroni, head hunter alla Heidrick & Struggles di Sergio Luciano

«SE DOVESSIMO CERCARE TALENTI PER POSIZIONI IMPORTANTI IN UN MONDO IN CONTINUITÀ, L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SAREBBE COMPETITIVA», DICE VITTORIO VELTRONI, E VA ASCOLTATO SIA PERCHÉ È UN HEAD-HUNTER SIA PERCHÉ È UN GRANDE ESPERTO DI DIGITALE: «In realtà, in un mondo in continuità, il top-management di oggi fa le stesse cose che faceva ieri. Ma il mondo reale, il mondo nuovo, vive una discontinuità fortissima col passato, e quindi…». Quindi?

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«Le decisioni si prendono, dopo un’accurata lettura del passato, attraverso una valutazione creativa discrezionale e orientata al futuro più importante di quanto sia mai stata in passato. Viviamo in un’epoca in cui è più importante di prima essere sincretici che analitici».

Vittorio Veltroni – 52 anni, laureato in filosofia alla Columbia, master in scienze sociali a Cambridge, capo dei contenuti a Vodafone e poi dell’area digital in Mondadori, oggi fa un lavoro da “boutique” umanistica: il cacciatore di teste alla Heidrick & Struggles, multinazionale quotata in Usa, specializzatissima superconsulente di grandi gruppi in cerca dell’uomo-goal. «Semplicemente, siamo un gruppo di consulenti caratterizzati, tutti, da una forte specializzazione verticale su settori specifici. Io, per esempio, mi occupo di tecnologia digitale e delle attività all’incrocio tra sport e private equity».

Dunque, Veltroni: nessun timore dall’avvento dell’Intelligenza Artificiale su larga scala?

Come spiegavo prima: no. E poi il termine AI è in questo momento ancora sovrastimato. Stiamo parlando in realtà di una grande capacità computazionale che permette di assimilare un accadimento in modo colossale, disporre su una curva statistica i risultati e poi sceglierne uno, in mezzo alla curva. Però è pur sempre un sistema di memoria, più che intelligenza.

Quindi, gli head hunter possono stare tranquilli…

Quello mai. Ma c’è un secondo ragionamento, sul tema. In pochi settori come in quello della selezione del personale è importante la qualità del dato da cui si parte. L’output dipende molto da quanto è buono l’input. Se la scheda è malfatta, incompleta o ingenua, anche l’output lo sarà. Nella selezione del personale è quindi importante avere un’analisi del candidato fatta bene, e l’Intelligenza Artificiale può aiutare lavorando presto e bene sullo storico, ma sul da farsi è meno affidabile. Peraltro, la qualità della selezione si basa su dati che provengono da un network di fonti e concetti diversi e la capacità di mettere a fattor comune dati di fonti diverse è nettamente superiore nell’essere umano.

Sarebbe bello se i prossimi manager pubblici della tornata di nomine che tocca al governo li scegliesse l’Intelligenza Artificiale? Oltretutto sembra che a certi incarichi non ambisca nessuno… Cercare top-manager per le aziende pubbliche è molto impegnativo. C’è un combinato disposto di tre fattori ostacolanti. Innanzitutto, per più di una generazione il lavoro nello Stato è meno attraente, sia per il tetto agli stipendi che per i pericoli inerenti all’attività: lacci a lacciuoli burocratici, rischio erariale eccetera. C’è una parte della nostra elite che si tiene lontana da quei ruoli. Poi: saper amministrare bene Amplifon è una cosa, saper amministrare bene l’Eni un’altra. Richiede una capacità caratteriale e psicologica che non è la stessa. E a volte il trapianto delle competenze dal privato al pubblico è difficile. Infine c’è il problema politico, per cui spesso i partiti fanno le loro scelte sulla base di una selezione inversa, per cui decidono chi escludere, più che chi preferire. A volte le selezioni sembrano subottimali per il combinato disposto di questi tre fattori. Detto questo, c’è molto da lavorare per migliorare il migliorabile, c’è tanto lavoro, tanta deontologia da applicare, anche perché le cordate di relazione a volte fanno la fortuna di qualcuno, ma a volte no.

In generale, l’Italia sembra soffrire di una penuria di talenti e competenze… Sì, il famoso skill shortage. Del resto, facciamo pochi figli, abbiamo pochi immigrati, lo shortage è non solo di skill ma anche di uomini. Poi abbiamo un sistema educativo che non ha mai imparato a gestire la complessità psicologica della modernità. Noi italiani siamo strutturati per difenderci dalla competitività, siamo gli inventori delle corporazioni, e invece il digitale ha divelto le barriere.

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