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Chi ha paura del rialzo dei tassi
from Economy64 marzo 2023
by Economy
Per le banche i rendimenti sul capitale investito sono insoddisfacenti e in prospettiva lo scenario è meno positivo di quanto non fosse in passato, anche perché le moratorie stanno esaurendo il loro effetto
di Gian Emilio Osculati
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Con percentuali di inflazione rampanti, anche nell'ordine di due cifre, era scontato che Fed e Bce prima o poi si muovessero. L'hanno fatto ed è stata una sequenza ravvicinata di aumenti dei tassi di riferimento. Il sistema bancario, dopo qualche incertezza iniziale, si è poi rapidamente adeguato e le aziende si sono ritrovate a dover gestire costi per interessi passivisignificativamente più elevati di quelli del passato. Guardando al futuro non si può non porsi tre domande importanti:
• i tassi di riferimento saliranno ancora? E di quanto?
• lo spread che la banca prestatrice di denaro applicherà sui prestiti alla clientela aumenterà o si stabilizzerà? O, al limite, diminuirà?
• indipendentemente dal tasso e dello spread richiesto, in prospettiva quanto sarà facile (o difficile) l'accesso al credito da parte delle nostre aziende, in gran parte di dimensioni piccole o medie?
Le righe che seguono espongono un punto di vista personale e, come ogni previsione, sono gravate dalla difficoltà di predire il futuro. Innanzitutto la prima domanda: Fed e Bce continueranno nella loro politica di aumento dei tassi di riferimento? È una million dollar question, alla quale nessuno sa rispondere. Per ovvi motivi prudenziali è opportuno mettere a budget e a piano ulteriori, significativi aumenti di tasso. Per una azienda sana un aumento del tasso di riferimento di 100 o anche 200 bp non è un grande problema. Se i debiti onerosi sono nell'ordine del cinquanta per cento dell'attivo di bilancio e l'aumento del costo del denaro (in ipotesi 100 bp) non viene trasferito sui prezzi, si tratta di rinunciare ad una redditività sul fatturato dello 0,30%. Se i debiti sono pari all'ottanta per cento dell'attivo di bilancio e l'aumento di tassi di riferimento fosse di 200 bp la redditività persa è più elevata (l’1.10% sul fatturato), ma sempre all'interno di ipotesi di trasferimento sui prezzi pari a zero. Perdere 1,10% di redditività sul fatturato fa male, ma in condizioni normali si può sopravvivere. Qualcuno anche bene.
Ben peggiori sono le prospettive in tema di spread applicati dalle banche nelle operazioni di creditoprossime venture con la clientela.
Per rimanere vitali ed attive le banche hanno, ovviamente, bisogno di conti economici in ordine e di buoni rendimenti sul capitale investito. Questi ultimi, in Europa, si situano su livelli insoddisfacenti, con le banche in migliore salute che hanno ritorni sui mezzi propri investiti nell'ordine del 6,7 e 8 per cento. Troppo poco per un settore che ha costantemente bisogno di capitali freschi per finanziare l'economia. Al 7% di Roe (poche banche lo hanno) se si vuole offrire un payout del 50 per cento qualsiasi crescita oltre il 3,5% richiede prima o poi nuovi mezzi propri... Il punto di partenza, quindi, è uno che richiede già oggi maggiore redditività. La brutta notizia è che in prospettiva lo scenario è meno positivo di quanto non fosse in passato. Questo, sostanzialmente, perché l'effetto delle moratorie degli ultimi anni, che tanto hanno aiutato a preservare, almeno contabilmente, i mezzi propri del sistema bancario stanno esaurendo il loro effetto. Il conto da pagare per il sistema bancario è ignoto, ma certamente elevato. È difficile che questa impellente necessità non si traduca in un significativo aumento degli spread applicati alla clientela.
La terza domanda (quanto sarà facile o difficile in prospettiva l'accesso al credito, indipendentemente dal livello dei tassi di riferimento e degli spread pagati), nuovamente, non riserva buone sorprese. Le banche commerciali, almeno quelle di una certa dimensione, innanzitutto sono poche. L'azienda in Lombardia che abbia bisogno di 5 - 10 milioni di denaro fresco non ha poi nella sua regione tanti indirizzi ai quali rivolgersi se i plafond sulle due banche grandi sono già molto utilizzati. Si aggiunga che il sistema bancario ha una crescente impossibilità di svincolarsi dai dettami del proprio sistema di rating, che normalmente impone restrizioni creditizie quando l'economia va male e creano quindi un forte effetto prociclico.
Su tutto, infine, grava plumbea la domanda sul fino a quando lo stato garantirà con percentuali importanti le erogazioni a favore delle Pmi. È meglio non pensarci.
Se tutto quanto sopra è vero, anche fosse solo in parte, si può ancora fare impresa in Italia? E a quali condizioni? Questo il tema del prossimo numero. La risposta, comunque, è sì, si può fare.
Una anticipazione? I tassi reali sono tuttora molto negativi ed hanno anche generato, negli ultimi 5 e più anni, un colossale trasferimento di ricchezza dal mondo dei risparmiatori retail al mondo delle aziende. Un buon punto di partenza per chi ne ha saputo approfittare.