Tesi

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CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE Classe XV - Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali Facoltà di Scienze Politiche Università di Cagliari

Il permanente stato di allarme nei media italiani: l’azione politica e la percezione sociale dell’effetto paura RELAZIONE FINALE di Andrea Deidda

Relatore: Prof.ssa Aide Esu

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Anno Accademico 2008-2009

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Indice Introduzione

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1. Modello di giornalismo italiano

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1.1 Il mercato della comunicazione

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1.2 Il grado di parallelismo politico: l‟integrazione tra èlite politica e

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dell‟informazione

2.

1.3 Lo sviluppo della professionalità giornalistica

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Costruzione della notizia:

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2.1 Agenda setting

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2.2 Agenda building

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3. Social Problems e il loro sviluppo: l‟interazione tra arene pubbliche

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4. Problem frame, infotainment e registri linguistici dei media

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5. Discourse of fear

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6. Moral Panic

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7. Ricerca sui quotidiani

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Conclusione

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Bibliografia

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Introduzione We experience more of our lives through a lens of fear. Concerns, risks, and dangers are magnified and even distorted by the lens. And the focus of media attention has taken a toll on our ability to see our way clearly. It is as though the lighthouse keeper and the ship’s captain cannot even see one another because of the out-of-control glare coming from a source of light that was once helpful.

David Altheide per spiegare il ruolo che gioca la paura nella vita dell‟uomo americano nel XXI secolo, utilizza un‟efficace metafora accostando i moderni mezzi di comunicazione di massa a una lente che Augustine Fresnel sviluppò nel 1822. Questa era composta da una candela racchiusa all‟interno di una serie di lenti che ne diffondevano e spandevano all‟esterno la luce prodotta dalla fiamma. L‟invenzione all‟epoca venne utilizzata soprattutto nei fari marittimi vicini alle coste, per segnalare la via maestra alle imbarcazioni durante la notte. Noi oggi, siamo circondati dai mass media: televisioni, radio, giornali, sono alla portata dei più, ci capita di ascoltarli o averli sotto mano quotidianamente. Sono le nostre finestre sul mondo, ci raccontano e descrivono fatti che accadono dall‟altra parte del pianeta, in terre e paesi lontani, ma ci parlano anche di ciò che accade vicino a noi e non possiamo esperirlo direttamente: campagne elettorali politiche, cronaca cittadina, estera, attualità, per citarne alcune, sono vissute da noi per la maggior parte del tempo tramite un‟esperienza mass mediatica, all‟interno della quale la società vive. Sono i media, intendendo il significato latino del termine, che ci fanno conoscere la realtà, il focus che orienta il nostro sapere sulla realtà che non possiamo toccare con mano. Vivendo un‟esperienza indiretta, anche le paure, da sempre una costante della vita dell‟uomo, in parte possono essere determinate, amplificate o create dalla stampa. Un problema sorge proprio a questo punto. Siamo noi in grado di conoscere la verità effettuale delle cose? Sappiamo tutto? In che modo i media trattano gli accadimenti della realtà e li trasformano in notizie? Riceviamo una visione distorta o no? La seguente relazione cercherà di fare chiarezza riguardo questi interrogativi. Sulla scorta del saggio Creating Fear si analizzerà l‟elemento della paura presente nei media italiani, il modo in cui questo viene trattato, se esiste ed in quali termini viene percepito il suo effetto nella società. Verrà infine condotta una ricerca sul tema riguardante i “respingimenti dei clandestini” avvenuti nelle coste italiane tra aprile e maggio 2009.

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1. Il modello di giornalismo italiano "La politica della paura è sostenuta dalle notizie e dalla cultura popolare, facendo emergere la paura e la minaccia come tratti tipici dell'intrattenimento che, sempre più, prendono piede nella vita privata come esperienza mass-mediatica, ed è questa una cornice di riferimento divenuta abituale per il pubblico e per gli individui. Simili alla propaganda, i messaggi sulla paura sono ripetitivi, come stereotipi di minacce esterne e soprattutto si riferiscono al sospetto e agli altri come "cattivi". Questi messaggi risuonano di panico morale, con la conseguenza che si deve far qualcosa non solo per sconfiggere un nemico specifico, ma anche per salvare la civiltà. Dato che tutto è a rischio, ne consegue che si devono prendere misure drastiche, che compromettono la libertà individuale e perfino le convinzioni sui "diritti", i limiti di legge e l'etica devono essere "giustificati" e tenuti in sospeso a causa della minaccia." (David Altheide, 1976, pag 9)

La “politica della paura”che D. Altheide attribuisce al sistema mediatico americano sembra caratterizzare ultimamente anche quello italiano. Prima di procedere a un‟analisi riguardante tale tematica, che prevede uno sguardo sinottico sul panorama del sistema giornalistico italiano, è necessario partire dall‟assunto che un tale approccio non può non tener conto del substrato storico e sociale proprio di ogni paese, nel nostro caso l‟Italia. Si vuole affermare con questo che se un sistema d‟informazione presenta oggi determinati caratteri peculiari, ciò non capita casualmente e in maniera accidentale, al contrario è la fase finale di un processo che ha sintetizzato empiricamente1 sistemi sociali e sistemi di stampa. In sintesi se la stampa è di un certo tipo bisogna guardare alla storia dalla quale è derivata, ai rapporti attuali e trascorsi con la sfera politica e, cosi come affermato da Siebert, Peterson e Schramm in “Four theories of the press” 2, anche a quelle che sono le supposizioni di base che la società possiede circa la natura umana, la natura della società e dello stato, la relazione tra uomo e stato e la natura della conoscenza e della verità. Tenendo ben saldo un tale presupposto di base, verrà preso in considerazione lo schema proposto da Hallin e Mancini, che distingue tre diversi modelli di giornalismo aventi ciascuno propri caratteri: un modello “liberale”, sviluppatosi per lo più in Gran Bretagna, Irlanda e Nord America; un modello cosi detto “democratico – corporativo” 1

Hallin - Mancini 2004, Modelli di giornalismo, Ed Laterza Bari, pag 13

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Siebert, Peterson e Schramm - Four Theories of the press – Ed University of Illinois Press 1956 - in Hallin - Mancini 2004,

Modelli di giornalismo, Ed Laterza Bari, pag 1

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che prevale nell‟Europa continentale; infine quello che fa al caso nostro, un modello “pluralista – polarizzato”. Una distinzione di questo tipo risponde a differenze che i tre modelli presentano in relazione a quattro parametri: a) lo sviluppo dei mercati della comunicazione; b) il grado di parallelismo politico: integrazione tra èlite politica e dell‟informazione; c) lo sviluppo della professionalità giornalistica; d) il grado e la natura dell‟intervento statale3. 1.1. Il mercato della comunicazione Una delle differenze sostanziali nell‟evoluzione dei mercati della comunicazione sta nello sviluppo di una stampa più o meno a circolazione di massa, la quale in alcuni paesi è nata e proseguita tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 mentre in altri questo processo non è avvenuto con la medesima intensità. Una differenza storica che ancora oggi permane: si va da un massimo di 720 copie vendute ogni giorno ogni mille abitanti in Norvegia alle 121 dell‟Italia4. Dunque circa un italiano su dieci oggi legge un quotidiano. Quali sono le ragioni di un risultato del genere? Un fattore certamente determinante va ricercato nella struttura dei quotidiani dell‟Europa meridionale, i quali, ab origine, rivolgendosi perlopiù a èlite urbane, educate e politicamente attive, si inseriscono a un livello orizzontale di negoziazione e dibattito tra fazioni elitarie, lasciando in un cono d‟ombra i restanti cittadini (nel 1870 l‟Italia aveva circa il 60% della popolazione analfabeta, e nel territorio esisteva una forte eterogeneità linguistica5). Ricuperati descrivendo la lettura dei giornali italiani del XIX secolo afferma: Troviamo un mondo di letterati, che è un pubblico di eruditi, teologi, professori universitari, membri di accademie scientifiche: una forte e importante presenza di clericali6.

Al contrario ad esempio di quanto avviene nei paesi nord europei nei quali la stampa si pone come intermediario ( a un livello verticale di comunicazione) tra centri del potere politico e normali cittadini. Ciò accadde in virtù del fatto che nell‟Europa settentrionale e nel nord America la borghesia commerciale, il cui successo dipendeva dal flusso 3

Hallin - Mancini 2004, Modelli di giornalismo, Ed Laterza Bari, pag 23

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Fonte: World Association of Newspapers (2001)

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Vincent, The rise of Mass Literacy: Reading and Writing in Modern Europe, Polity Press, Cambridge,2000, pag 39

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Ricuperati, I giornalisti italiani fra potere e cultura dalla origini all’Unità, in Storia d‟Italia. Annali vol.4, Ed Einaudi 1981

Torino, pag 1087

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costante di informazioni attendibili su commercio, navigazione, tecnologia e politica, ha svolto un ruolo chiave nella nascita dei primi giornali, che cominciarono a circolare rapidamente tra classi medie, operaie, agrarie7. Ovvio dunque che un tipo di comunicazione verticale si rivolga e raggiunga una ben più ampia fetta di popolazione, avendo così maggiore diffusione di massa. Non godendo di una simile diffusione invece, i quotidiani italiani storicamente non hanno dato vita a vere e proprie imprese economiche ma si sono affidate, e tuttora continuano a farlo, per la maggiore a sovvenzionamenti di attori politici, fatto questo che ha avuto importanti implicazioni sul grado di parallelismo politico e di professionalità giornalistica. La bassa circolazione dei quotidiani va fatta risalire anche ad una forte disparità di genere nei lettori italiani. Secondo uno studio condotto nel 1999 dalla “World Association of Newspapers” emerge che in Italia la percentuale di maschi che leggono quotidiani è pari al 50,2% mentre quella femminile si ferma solo al 29,8%. Un tale risultato riflette peraltro le differenze nelle funzioni dei media che, come citato in precedenza, nel modello mediterraneo sono strettamente legati al mondo politico e poiché le donne sono state storicamente escluse da questa sfera, l‟abitudine alla lettura dei quotidiani non si è mai marcatamente sviluppata8. Un altro fattore che incide sulla situazione del mercato della comunicazione può essere individuato tenendo conto di una variabile economica: il grado di concentrazione dei capitali. Si potrebbe ipotizzare che laddove il capitale è altamente concentrato, lì esisterà un rapporto più stringente tra Stato e proprietari dei mezzi di comunicazione, sia sotto forma di regolamenti e sussidi che sotto forma di alleanze o patti clientelari e, rimanendo inalterati altri fattori, sarà più facile che i media siano influenzati da interessi esterni ( es. L‟impero di Berlusconi in Italia)9. 1.2. Il grado di parallelismo politico: l’integrazione tra èlite politica e dell’informazione Lasciando da parte le variabili economiche, un ulteriore carattere di differenziazione dei diversi modelli di giornalismo va ricercato nel grado di affiliazione dei quotidiani alla 7

Hallin - Mancini 2004, Modelli di giornalismo, Ed Laterza Bari, pag 80

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Ibidem pag 25

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Ibidem – pag 45

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sfera politica, in particolare partitica. Sin dall‟inizio dell‟era della stampa, la legittimazione politica ha giocato un ruolo cardine tant‟è che nel XVIII e XIX secolo i giornali emersero come una nuova forza nella vita politica italiana. Il giornalista politico aveva il compito di influenzare l‟opinione pubblica in nome di una fazione portatrice di una determinata ideologia. Prova ne sia il fatto che intorno agli inizi dell‟800 in Italia emerse una vigorosa stampa d‟opinione che esercitò una funzione importante nell‟istituzione dello Stato liberale durante il Risorgimento. Allora grandi leader quali Camillo Benso conte di Cavour e Giuseppe Mazzini erano giornalisti politici: usavano i giornali come strumenti per l‟organizzazione dei movimenti che guidavano10. Non a caso il 15 marzo del 1847 nacque, sotto la direzione di Cavour, il quotidiano liberale “Il Risorgimento” nella cui testata si definiva giornale politico, economico, scientifico e letterario11. Mutatis mutandis al giorno d‟oggi, si intravede la potente influenza del passato, quella che North nel 1990 ha definito “dipendenza di sentiero”: in molti casi i giornali italiani odierni sono stati fondati da partiti politici. Gettando uno sguardo al ventaglio delle testate italiane ora in circolazione possiamo averne qualche concreto esempio: L’unità dal 1921 organo del Partito Comunista Italiano, La Padania della Lega Nord, Il Manifesto il quale si dichiara apertamente come “quotidiano comunista”, Il giornale appartenente alla famiglia Berlusconi e apertamente schierato dal punto di vista politico, Liberazione sotto la direzione del partito di Rifondazione Comunista, Il Popolo all‟epoca dalla parte della Democrazia Cristiana, Il Secolo d’Italia dell‟ormai ex Msi, e per finire L’Avvenire, quotidiano della Chiesa cattolica. Queste le testate che più esplicitamente si dichiarano da una parte o dall‟altra dell‟arena politica. Ve ne sono altre poi che, nonostante non siano formalmente appoggiate ad uno specifico partito, hanno una loro identità e si fanno portatrici di determinati valori, scansando tutte, in un modo o nell‟altro, quel dogma, tanto caro al giornalismo anglosassone, che va sotto il nome di “obiettività”. Lo si legge chiaramente nell‟editoriale che Eugenio Scalfari, fondatore de “La Repubblica” scrisse il 14 gennaio 1976, giorno d‟uscita del primo numero:

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Hallin - Mancini 2004, Modelli di giornalismo, Ed Laterza Bari, pag 83

11

“Storia d‟Italia - Dal primo settecento all‟unità” vol 3– ed Luigi Einaudi 1973 – pag 695 sezione illustrazioni.

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“Questo è un giornale un po’ diverso dagli altri: è un giornale d’informazione che non pretende di inseguire una neutralità politica illusoria, ma dichiara che ha preso posto nella battaglia politica. E’ fatto da uomini che appartengono al vasto arco della sinistra italiana”.

Merita attenzione, a proposito, nel novero dei quotidiani citati, il caso dell‟ “Indipendente”, quotidiano nato per essere l‟esempio esportato in Italia dell‟imparzialità anglosassone: neutrale, con fredde titolazioni e un livello basso di drammatizzazione delle notizie. Non ebbe successo, il livello di diffusione rimase circoscritto (20.000 copie nel periodo peggiore) e il suo fondatore (Ricardo Franco Levi) fu costretto a dimettersi per lasciar spazio a Vittorio Feltri, giornalista impetuoso e pronto a prendere parte alla battaglia politica12. Presentare un esempio concreto del grado di partigianeria nei giornali italiani non è cosa ardua. Una notizia di un medesimo fatto viene presentata in maniera totalmente diversa da due quotidiani di sponda opposta: a seguito della morte dei sei militari italiani il 17 settembre 2009 in Afghanistan, la Padania

titola “STRAGE DELL‟ISLAM A

KABUL”, La Repubblica invece “Kabul, la strage degli italiani”. Soltanto scorgendo l‟affiliazione politica di questi cinque quotidiani, e leggendo i due esempi sopra citati è facile intuire come si caratterizzi il parallelismo politico (cioè il rapporto media-politica) italiano: è evidente che le notizie non descrivano fatti isolati, neutri e oggettivi, al contrario queste incorporano valori ideologici, influenze storicoculturali, interessi, elementi che assieme forgiano punti di vista sulla realtà. E non è un caso perché, ritornando all‟influsso che la storia ha sul presente, il modo italiano di fare giornalismo può essere spiegato anche da un punto di vista giuridico: come spiega Oliviero Bergamini in “La democrazia della stampa”13. I costituenti rivelano con l‟articolo 21, di concepire e tutelare i giornali più come strumenti di opinione che di diffusione di notizie oggettive e non si preoccupavano di assicurare un quadro normativo che favorisse l‟indipendenza dai poteri forti14.

12

Hallin - Mancini 2004, Modelli di giornalismo, Ed Laterza Bari, pag 90

13

Oliviero Bergamini 2006, La democrazia della stampa, Ed. Laterza. Da un‟analisi letterale dell‟articolo 21 della Costituzione

“emerge il retaggio di una stampa concepita come veicolo di opinione prima ancora che di informazione; manca un chiaro riferimento al diritto - appunto – all’informazione, cioè a una conoscenza dei fatti in sé, distinti dalle idee e dalle contrapposte interpretazioni”. 14

Beppe Lopez 2007, La casta dei giornali, Ed. Stampa alternativa, Roma, pag 39/40

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1.3. Lo sviluppo della professionalità giornalistica Come detto precedentemente, nei paesi mediterranei il giornalismo nacque quale emanazione diretta di politica e letteratura. Accadeva spesso che i giornali valorizzassero maggiormente politici, scrittori ed intellettuali. Con ciò dunque risultava difficile che si sviluppasse la figura del “Giornalista”, inteso come professionista dell‟informare, autonomo da altri scopi. Questo è uno dei motivi per i quali oggi si afferma che il livello di professionismo nel nostro caso italiano, è più basso rispetto a quello di altri paesi nord europei e nord americani: questo non vuol dire che i giornalisti dei paesi pluralisti – polarizzati siano meno preparati degli altri, ma significa che la preparazione formale si è delineata abbastanza tardi15. Nonostante l‟Italia si sia dotata dal 1963 per legge di un “Ordine dei Giornalisti”, quest‟ultimo non ha svolto una funzione decisiva nel promuovere standard comuni di condotta professionale “Per anni è stato possibile diventare giornalisti tramite amicizie o relazioni familiari16”. Fatti del genere testimoniano come il giornalismo non si sia sviluppato quale istituzione autonoma, ma anzi sia stato regolamentato da forze esterne, su tutti il mondo della politica e degli affari; è così accaduto che le regole del gioco del giornalismo si siano spesso sovrapposte a quelle della politica del momento, è capitato ( e capita) che siano parte delle trattative intraprese tra i vari attori politici o addirittura fungano da strumento per l‟azione politica. La forma di strumentalizzazione più significativa è l‟uso da parte di imprese sia pubbliche che private per intervenire nel mondo politico. Illustri esempi di questo fenomeno sono il “Corriere della Sera” per anni di proprietà di gruppi industriali, “La Stampa” molto vicino alla Fiat, “La Repubblica” e “L‟espresso” della Cir di De Benedetti, “Il Messaggero” appartenente a una grande impresa edile, “Il Giornale” della famiglia Berlusconi (Fininvest)17. Traendo le conclusioni, un corollario di questa “strumentalizzazione” dei quotidiani che porta ad un basso livello di autonomia professionale, può essere trovato nelle parole di Giampaolo Pansa in riferimento al giornalista italiano come “un giornalista dimezzato”,

15

Hallin - Mancini 2004, Modelli di giornalismo, Ed Laterza Bari, pag 100

16

Bechelloni 1995, Giornalismo o post-giornalismo? Studi per pensare il modello italiano, Ed. Liguori

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Hallin - Mancini 2004, Modelli di giornalismo, Ed Laterza Bari, pag 103

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appartenente per metà a se stesso e per l‟altra metà appannaggio dei proprietari dei media, politici e finanziatori. Sin qui sono state analizzate sostanzialmente tre caratteristiche del modello di giornalismo italiano, rimane l‟ultimo che si ricollega per diversi aspetti ai precedenti. Gli stati con un sistema pluralista – polarizzato presentano un intervento statale sulla stampa ed in generaliter sui media tradizionali, abbastanza forte. Un mercato che come abbiamo visto si presenta scarsamente sviluppato ha favorito politiche di sostegno alla stampa e tentativi di costituire il servizio pubblico televisivo quale arena aperta a tutti i gruppi politici. Dal momento però che lo Stato ha un‟importanza prevalente, molti attori sociali cercano di influenzarne la linea di condotta e uno dei mezzi principali adottati è il ricorso ai media – per accedere a contratti statali, sussidi e incentivi18.

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Hallin - Mancini 2004, Modelli di giornalismo, Ed Laterza Bari, pag 120

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2. Costruzione della notizia: agenda setting e agenda building Ogni persona può avere in mente ed esprimere, in un determinato momento, una sua idea circa le questioni o i problemi sociali che percepisce come prioritari e verso i quali dunque risulta essere maggiormente interessato. Vivendo in società, ognuno di noi è inserito sia in una dimensione privata, quella personale, sia in una dimensione politica – pubblica: al limite della linea di demarcazione tra queste aree si colloca una percezione di consapevolezza, preoccupazione e coinvolgimento verso determinate questioni, che in lingua anglosassone è sintetizzabile con il termine concern. Si capisce l‟enorme importanza che un simile concetto possa avere nella vita pubblica: la società sviluppa la politica a partire dai concerns, dovendoli ordinare, selezionare e trasformare in atti di governo19. 2.1. Agenda setting La teoria dell‟agenda setting, partendo dall‟assunto che nella vita pubblica esista sempre un certo numero di problemi e questioni di primaria rilevanza, sostiene che la percezione da parte dei cittadini di ciò che è più importante deriva direttamente dal modo in cui la realtà viene rappresentata dai mezzi d‟informazione. Definendo da un punto di vista descrittivo l‟agenda setting, si potrebbe dire che questa è in sostanza un ordine del giorno rispetto ai temi, issues, della vita pubblica: ovviamente, per poter stabilire un determinato ordine di ciò che in un preciso periodo è importante, occorre operare un lavoro di inclusione/esclusione degli accadimenti quotidiani, cioè selezionarli e gerarchizzare quelli inclusi entro un scala di rilievo. Ma cos‟è importante e chi decide la candidatura di un avvenimento a diventare notizia? Per avere una risposta ci si deve addentrare nel campo della notiziabilità o newsmaking, cioè quell‟insieme di linee guida che permette ai giornalisti a lavoro nelle redazioni, di valutare se gli accadimenti della realtà debbano essere trasformati in notizie da pubblicare. Ogni giorno accadono nel mondo un numero infinito di fatti, ma solo una parte minima di questi arriva alle redazioni perché qualcuno si è occupato di trasmetterli( fonti attive) oppure perché i giornalisti sono andati a scovarli( fonti passive). 19

Rolando Marini 2006, Mass media e discussione pubblica, Ed. Laterza, pag V introduzione

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I criteri di selezione dei fatti possono essere i più diversi, ad esempio valutati per il pubblico a cui il quotidiano si rivolge, oppure essere considerati rilevanti perché all‟editore interessa che circolino certe informazioni. Sicuramente rapine, omicidi, stupri, atti di pedofilia, attentati terroristici, calamità naturali e gravi incidenti al giorno d‟oggi hanno un‟elevatissima probabilità di assurgere al grado di notizia20. Uno dei criteri che sicuramente orientano la notiziabilità è la percezione ( o la costruzione) di una rottura della continuità: se si considera la realtà, cioè la vita di tutti i giorni come un continuum ogni volta che un evento infrange (per eccezionalità, novità, stranezza, gravità, imprevedibilità) una regola, cioè l‟equilibrio e la continuità di ciò che è prevedibile e “normale”, si crea notiziabilità. Per normale si intende ciò che l‟informazione dei media presenta come tale, cioè tutto quello che non presenta, che non tematizza più, che è assente dalla pagine perché non fa più notizia. Gli eventi diventano normali e spariscono dai giornali; restano sullo sfondo delle pagine, come orizzonti di attese infrante dagli eventi – notizia21.

Se un tema è considerato importante i media gli dedicheranno molte notizie ed a maggior ragione potrebbero dare a queste un carattere di particolare evidenza o enfasi22. Se in un determinato momento l‟immigrazione si afferma come un tema importante a partire ad esempio da un omicidio compiuto da uno straniero irregolare, allora molti fatti riconducibili a questo tema verranno inclusi nei notiziari e nei quotidiani: sbarchi di clandestini, prese di posizione sul problema da parte dei politici, scoperta di laboratori pieni di operai clandestini, incidenti stradali nei quali sono coinvolti immigrati. 2.2 Agenda building Giunti a questo punto, potrebbe essere opportuno introdurre l‟altra faccia della medaglia riguardo al concetto di agenda setting finora esposto. Si tratta esattamente del modo in cui vengono selezionati alcuni temi, questioni di interesse generale, per poi consegnarli alle istituzioni affinché queste prendano decisioni in merito. Tramite un procedimento di questo tipo un sistema democratico arriva a produrre leggi e riforme, attua interventi in campo sociale, istituisce servizi. Un approccio del genere si identifica in una visione 20

Bagnasco - Barbagli - Cavalli 2004, Elementi di sociologia, Ed. il Mulino Bologna, pag 99

21

Lorusso – Violi 2004, Semiotica del testo giornalistico, Ed. Laterza, Roma, pag XII Introduzione

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Rolando Marini 2006, Mass media e discussione pubblica, Ed. Laterza, pag 6

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della democrazia che non è solo quella delle elezioni e della delega rappresentativa, ma si concentra sull‟attività di quelli che possono essere definiti come enti intermedi, cuore del movimento politico. Il campo si allarga ad una sfera pubblica, un ambito astratto di discussione nel quale i problemi acquistano rilevanza generale. Storicamente gli Stati Uniti possono essere considerati un esempio di questo tipo di approccio, nel senso che non essendoci stata un forte connotazione partitica della politica, tanto meno uno scontro tra parti tanto acceso quanto ad esempio in Italia, si sono fatte strada associazioni, movimenti, ciascuno dei quali rientra rispettivamente tra i gruppi d’interesse e i gruppi di pressione. Hanno fatto si che il processo decisionale fosse improntato sull‟interazione in forma competitiva tra di loro e dunque tra gli interessi materiali e le finalità messe in gioco.23 I gruppi di pressione cercheranno di far valere ognuno le proprie tematiche (secondo il proprio interesse), dando vita così ad una dinamica conflittuale, come la definisce Rolando Marini, per vederle tra quelle indicizzate nell‟agenda politica. Ovviamente, su questo la maggior parte degli studiosi è d‟accordo, non tutte le tematiche messe sul tavolo divengono parte dell‟agenda politica, la quale difficilmente può farsi carico di tutte le istanze della società:24 Avrà luogo quindi una selettività che farà avanzare certe issues mentre altre le metterà da parte, emarginandole. Avvenuta la fase di gatekeeping, i concerns cioè quelle preoccupazioni che prima erano relegate in una sfera privata e le grievances (denunce), travalicano questa per passare in una dimensione pubblica e diventare problemi sociali (social problems), cioè temi di controversia politica (issues), che vengono poi assunti nella sfera di azione delle istituzioni (policy issues). Rimane tuttavia una domanda: chi in concreto ed in quale modo determina l‟agenda building? Se si passano in rassegna le funzioni finora esaminate si può dire che i media sono visti come strumenti per la comunicazione tra le istituzioni e tra le parti della società, come selezionatori e interpreti delle informazioni e infine anche come agenti della definizione dei cosiddetti eventi di svolta, di quegli accadimenti cioè che risaltano dalla linearità della realtà. Però la questione di chi alla fine sia più decisivamente influente, all‟interno di un sistema sistemico mediatico, può apparire inopportuna, tant‟è

23

Rolando Marini 2006, Mass media e discussione pubblica, Ed. Laterza, pag 84

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Ibidem pag 87

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vero che la risposta, che si può trarre dai modelli di agenda building è che la stampa non ha una posizione dominante, benché importante ruolo, tra i diversi attori in gioco Ragionando sull‟argomento del gatekeeping probabilmente il quesito può giungere ad una soluzione. Al suo interno - così come le descrive Rolando Marini - sono andate formandosi due correnti, l‟una che propone il sistema dei mezzi d‟informazione e gli apparati redazionali come auto-centrati, produttori cioè di una cultura e di prassi professionali, soprattutto per il fatto di essere imperniati sulla routinizzazione del lavoro; l‟altra vede il lavoro giornalistico come tentativo di combinare le proprie logiche e comportamenti con l‟insieme delle relazioni in cui è immerso: dunque un approccio di tipo strategico nel quale i media vivono in rapporto alle mosse degli altri attori. Tra i due approcci tuttavia si è fatta largo una terza via la quale tende ad esautorare la funzione di gatekeeping e di subordinazione dei media alle fonti. Quest‟ultimo riguarda il rapporto tra i media ed i detentori del potere politico ed economico, ai quali è collegata una credibilità ed una notiziabilità scontata come fonti che tra l‟altro si rafforza ulteriormente nel caso in cui l‟attore politico o economico sia proprietario degli stessi mezzi d‟informazione o comunque sia in grado di svolgere un‟influenza tale verso di loro da condizionarne il comportamento. Tra media e fonti di potere si instaura quindi un rapporto di scambio strutturato, basato su reciproche convenienze. Una definizione di questo tipo si concretizza nel fatto che i giornali spesso hanno bisogno di una fonte costante di materiale che necessiti di pochi controlli, del resto il giornale va riempito in tutti i suoi spazi e necessita di essere pubblicato quotidianamente. Un materiale di questo tipo viene spesso fornito da un governo, da un gruppo d‟interesse o, supponiamo, da una grande azienda in cerca di visibilità ed è attrezzata professionalmente con uffici stampa per fornire informazioni agli apparati giornalistici le informazione in un determinato modo che sia “commestibile” con le logiche redazionali. Così accade che i giornalisti, non essendo portati ad esaminare eventi o problemi attingendo da altre fonti, scelgano il punto di vista della fonte “monopolista” il quale finisce per determinare il frame di un determinato tema. A tal proposito si può esaminare il rapporto tra poteri politici forti, ad esempio il presidente degli Stati Uniti, e i mezzi d‟informazione. Anche in tale prospettiva la vulnerabilità dei media dipenderebbe dalla loro necessità di subsidies, cui corrisponde una professionalizzazione del cosiddetto news management, della capacità cioè di offrire notizie adatte alla logica dei media. (personalizzate, spettacolarizzate o drammatizzate), così come di instaurare rapporti di fiducia con 15


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determinati giornalisti o con settori del giornalismo. Qui è diffusa l‟idea che i detentori del potere politico, di fronte allo strutturarsi dei media come sottosistema autonomo, si debbono impegnare costantemente nel rapporto con i mezzi d‟informazione affinché questi pubblichino almeno parte delle notizie che loro vorrebbero venissero pubblicate. Questa negoziazione e costante tensione spiega anche quelli che vengono definiti tentativi di manipolazione dei media stessi ad opera, ad esempio del presidente degli Stati Uniti, da chi cioè ne riconosce l’indipendenza sul piano organizzativo, economico, culturale - professionale. Ma senza andare oltre oceano, è sufficiente dare uno sguardo al sistema televisivo pubblico italiano, le cui reti da decenni vengono spartite dai maggiori partiti politici presenti in Parlamento. Nella loro logica una divisione di tal fatta garantisce pluralismo e autonomia dell‟informazione, ma di fatto nasconde pressioni, parzialità e nella maggior parte dei casi tende a riflettere in maniera ossequiosa le prese di posizione degli attori politici. Un esempio è ravvisabile dall‟uso ripetitivo nei Tg di quello che in gergo giornalistico viene definito panino: cioè un servizio di argomento politico nel quale la voce dell'opposizione è preceduta da quella del governo e seguita da quella della maggioranza che lo sostiene. In generale le strategie per condizionare i media possono essere le più diverse: ci sono quelle strutturate in maniera formale come incontri, viaggi, cerimonie da offrire ai media con una scenografia adeguata ai codici dello spettacolo e che si possono definire di influenza dall’esterno delle routine informative; vi sono poi strategie di vero e proprio “scavalcamento delle intermediazioni”, incentrate sull‟individuazione e sullo sfruttamento di quei mezzi che in un dato momento possono offrire il minore grado di resistenza, come può avvenire con la stampa locale o con la televisione ad esempio con i discorsi alla nazione. Tale tentativo di controllare i media, attraverso la costruzione di interazioni strategiche, talvolta messe in atto in arene interne ai mass media stessi e diverse di volta in volta, mostra che laddove i politici vogliono governare “con le notizie”, questo comporta, altalenando tra cooperazione e conflitto, un costante processo di negoziazione sugli eventi e sulle issues. I politici premono sui media per ottenere visibilità, pubblicità a costo zero e buona immagine di sé. Mazzoleni25 descrive le tecniche di news management durante le campagne elettorali: affidare la gestione dei rapporti con i media a portavoce o addetti stampa (preferibilmente noti ai più in modo

25

Gianpietro Mazzoleni, 2004, La comunicazione politica, Ed. Il Mulino, Bologna, pag 180

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che siano in grado di tessere numerosi rapporti) che svolgeranno la funzione di spin doctor; tenere numerose conferenze stampa elevando così la possibilità di attirare l‟attenzione dei media; organizzare incontri e manifestazioni in tempo utile per la confezione di giornali e telegiornali: ovviamente una conferenza stampa realizzata alle prime ore del mattino avrà maggiore possibilità di essere riportata nelle news lungo tutto l‟arco della giornata.

3. Social Problems e il loro sviluppo: l’interazione tra arene pubbliche Una data condizione in cui ci possiamo trovare, per quanto possa essere percepita come ingiusta, non rappresenta un problema. Un problema sociale è tale quando “cominciamo a pensare che dovremmo fare qualcosa a riguardo”: ad esempio la povertà, le malattie, l‟immigrazione di massa. E‟ la definizione collettiva all‟interno della società, tramite i fenomeni di interazione e competizione, di uno stato nel quale ci si trova o una condizione, che evidenzia la natura di un problema come costrutto sociale, una forma di categorizzazione della realtà26 e non “semplici specchi di condizioni oggettive”. A tal proposito, sulla scia di quanto affermato precedentemente discorrendo di agenda setting, per dare significato all‟approccio “costruzionista” della realtà può essere utile adottare il modello proposto da Hilgartner e Bosk nel 1988, definito “modello delle arene pubbliche”, ripreso da Marini27. Alla base della loro teoria, il processo di competizione dei problemi che ha per oggetto la conquista dell‟attenzione sociale, si svolge all‟interno di ambienti sociali definiti appunto arene pubbliche. Queste sono spazi comunicativi istituzionali nei quali si attua il discorso pubblico nel senso che da ciascuna viene ricevuto e veicolato: mezzi d‟informazione come giornali o tv, cinema, fiction televisive, il Parlamento, il Governo, campagne elettorali, per citarne i principali. Il discorso pubblico dunque vive e si muove in ogni arena e passa dall‟una all‟altra rimanendo comunque nel grande cerchio di un modello sistemico. Ognuna di queste possiede propri criteri di selezione dei temi, ma tra questi i due autori danno principale importanza a quelli relativi alle arene con un grande pubblico, ovvero sia le arene dei mass media: drammatizzazione del problema e tendenza alla saturazione. Il primo

26

27

Herbert Blumer 1971, Social problems as collective behavior, pag 300/303 Rolando Marini 2006, Mass media e discussione pubblica, Ed. Laterza, Roma

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criterio segna il maggiore successo di definizioni dei problemi come sociali basate sull‟urgenza e sull‟emotività (spesso i problemi “si aggravano” e le minacce sono “incombenti”, le polemiche “esplodono”); il secondo invece provoca un senso di noia e conseguente perdita di appeal di un argomento a causa della sovrabbondanza di determinate informazioni. La prospettiva sistemica del modello, cruciale per l‟accreditamento di un problema sociale, si completa tramite l‟interazione tra arene: qui il passaggio di un tema dall‟una all‟altra si compie attraverso cicli di retroazione, i quali non sono altro che la risposta che una da all‟altra, sono cioè feedbacks. Questi Amplificano o deprimono l’attenzione concessa ai problemi nelle arene pubbliche. Attraverso un complesso sistema di collegamenti, le attività in ciascuna arena si propagano alle altre. Se un problema sociale cresce all’interno di una istituzione, è probabile che si diffonda nelle altre28.

Tutti i passaggi in cui un problema viene accolto da un‟arena rappresentano casi di feedback positivo, cosicché una sequenza di più feedbacks positivi produrrà un‟espansione di una specifica issue; al contrario la retroazione negativa ne bloccherà il passaggio, contraendone l‟espansione. Lo schema di Hilgartner e Bosk fin qui proposto si avvicina per certi versi all‟orientamento dell‟agenda building, in quanto prende in considerazione il sistema delle arene nel suo complesso non riconoscendo centralità ad una in particolare anche se vengono privilegiati i sentimenti ed il giudizio del grande pubblico (arena dei mass media)29. Tuttavia meriterebbe un‟importanza maggiore il ruolo della comunicazione in senso lato, così come viene intesa da Cobb e Elder in Communication and Public Policy30 che la intendono quale essenza della politica in quanto viene concepita come un “incessante processo di comunicazione e feedback”, in cui si realizza la mutua modificazione delle immagini e degli attori della realtà31.

28

Hilgartner, Bosk, The rise and fall of Social Problems: a Public Arenas Model, American Journal of Sociology, 1988, pag 67

29

Rolando Marini 2006, Mass media e discussione pubblica, Ed. Laterza, Roma, pag 113

30

Cobb - Elder 1981, Communication and Public Policy, Ed Nimmo, pag 393

31

Rolando Marini 2006, Mass media e discussione pubblica, Ed. Laterza

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I media infatti, essendo intermediari imprimono, volontariamente o involontariamente, alterazioni al contenuto delle informazioni che veicolano e queste si ripercuotono nell‟intero sistema: si viene così a parlare dei biases (lett. pregiudizi), le distorsioni dovute agli interventi selettivi alle curvature di significato che i giornalisti danno alle notizie. David Altheide nel 1976 spiegò questo elemento partendo da due aspetti del lavoro giornalistico che sono in primis la tendenza a standardizzare le procedure di trattamento delle informazioni (routinizzare), in secundis l‟adesione a stereotipi riguardanti l‟immagine della società e ciò che è importante per il pubblico. La notizia che viene pubblicata dunque è il prodotto di un lavoro di decontestualizzazione dei fatti e ricontestualizzazione di questi all‟interno di un menabò o di altro formato comunicativo che predefinisce i contenuti32. Accanto ai biases giornalistici e ad integrazione di questi secondo alcuni studiosi (Baumgartner e Jones) vi sono delle consuetudini in linea di massa ricorrenti nei mezzi d‟informazione, come ad esempio la tendenza a semplificare i temi più complessi focalizzandosi solo su un solo aspetto del tema che per sua natura sarebbe sfaccettato, l‟attrazione verso il conflitto, l‟inclinazione ad usare un tono enfatico ed emotivo, e ancora l‟omogeneità tra diversi media nel coverage dello stesso tema. Questo tipo di consuetudini, secondo Baumgartner e Jones, è il presupposto di un altro meccanismo detto dell‟infatuazione, che si verifica quando i media focalizzano un‟intensa attenzione verso un tema, più precisamente ad un aspetto del tema, trattandolo con un registro emotivo o del tutto positivo o completamente negativo. Così i media svolgono la loro funzione di gatekeepers, scegliendo un unico focus d‟interesse all‟interno di un dibattito sociale che però rimane multiforme, e assecondando la tendenza dei sistemi politici a focalizzare di volta in volta l‟attenzione in modo selettivo verso un numero ristretto di temi33.

32

David Altheide 1976, Creating reality. How TV news distorts events, Beverly Hills, CA

33

Rolando Marini 2006, Mass media e discussione pubblica, Ed. Laterza, pag 118

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4. Problem frame, infotainment e registri linguistici dei media David Altheide nella sua analisi sull‟effetto paura creato dai media americani negli anni novanta34 pone un accento particolare riguardo quello che egli stesso definisce il problem frame: Frames are the focus, a parameter or boundary, for discussing a particular event. Frames focus on what will be discussed, how it will be discussed, and above all, how it will not be discussed. It is helpful to think about “frames” as very broad thematic emphases or definitions of a report, like the border around a picture, that separates it from the wall and from other possibilities35 .

Il frame viene in questo caso definito come una cornice di un quadro appeso su un muro. Nella maggior parte dei casi l‟occhio umano sarà attirato da ciò che sta all‟interno della cornice cioè dall‟immagine, tralasciando quello che invece sta intorno, ad esempio il muro sul quale è appeso il quadro e lo regge. Allo stesso modo, anche secondo quanto precedentemente affermato, i media siano essi quotidiani, riviste, televisioni o radio circoscrivono la realtà entro certi confini al di fuori dei quali non esiste che il buio più assoluto. In televisione esiste soltanto quello che appare, quanto viene trasmesso, cioè l‟oggetto che la telecamera inquadra, tutto il resto lo spettatore non lo vede e di conseguenza non può sapere cosa sia; nei quotidiani può accadere che la realtà venga racchiusa in un titolo oppure in una fotografia fatta da un particolare punto di vista e che voglia sottolineare un certo aspetto. Il frame dunque richiama l‟attenzione del lettore verso particolari eventi o problemi sociali, verso le loro cause e conseguenze, sottraendola da altri, cause e conseguenze che inevitabilmente nella realtà quotidianamente accadono. Ma il frame non è da intendersi soltanto come cornice di un problema, possiede un‟ulteriore accezione complementare, quella di struttura: come in una costruzione è lo scheletro, la struttura che dà supporto e forma all‟insieme. Questa è invisibile agli occhi del lettore il quale vede la costruzione completa di un giornale o di un Tg, eppure può dedurne la presenza. In questo secondo aspetto il framing organizza e rende coerente un 34

35

David Altheide 2002, Creating Fear: News and the construction of crisis, Ed De Grutier, New York Ibidem, pag 45

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insieme di argomenti, immagini e simboli apparentemente scoordinati ma che invece vengono collegati da un‟idea organizzante che suggerisce cosa è in gioco nella issue in questione (What is at stake)36. Esemplificando, si può pensare al problema dei respingimenti degli immigrati in termini di violazione di diritti umani oppure in termini di politiche per salvaguardare la sicurezza dei confini italiani e quindi quella dei cittadini italiani. In entrambi i casi i media e i membri del pubblico saranno portati a privilegiare certi accadimenti, che verranno letti secondo quel principio organizzante.

Si vuole dunque affermare che se si esce dal confine delle singole notizie, il frame può essere considerato il risultato dell‟insieme delle modalità di trattamento di un evento, di una sequenza di eventi collegati ad uno stesso tema. Rolando Marini cita a proposito Entman(1989) il quale evidenzia come le notizie possano avere un‟inclinazione negativa o positiva determinata dalla valutazione che a queste si da. Tale caratteristica della produzione informativa può essere ricostruita secondo quattro aspetti: a) Importance cioè l‟importanza data dalla quantità di notizie relative al tema e dal rilievo (posizione) assegnato loro; b) criticism, la valutazione critica dei comportamenti e delle idee degli attori principali; c) perspective ovvero la scelta della prospettiva e del punto di vista con cui guardare il problema; d) linkage, la connessione tra gli eventi. Da quanto ora 36

Cit. Feree et al.,2002 in Rolando Marini 2006, Mass media e discussione pubblica, Ed. Laterza, pag 70

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descritto, il framing viene configurato come un processo discorsivo di una issue, teso a inquadrare il problema, nel quale appaiono particolarmente significativi la definizione dei nessi logici tra i vari elementi, la valutazione sugli eventi e sui punti di vista degli attori in gioco. Le notizie non sono mai giustapposte, accostate semplicemente le une alle altre, ma dal punto di vista semiotico si può affermare che vengano topicalizzate37, cioè inserite all‟interno di una più ampia cornice (la struttura del frame) che incorpora notizie collegate tra loro da un file rouge che è un tema comune a tutte grazie al quale queste vengono accostate. Il topic è la scelta pragmatica con cui si stabilisce di cosa si vuole parlare, con cui quindi si orientano e determinano i percorsi semantici attivati da un testo. Prendiamo il caso di due notizie che riguardano l‟una l‟intervento dell‟Onu in merito ai respingimenti di immigrati sulle coste italiane, l‟altra il terrorismo islamico. I due eventi possono essere problematizzati come due questioni differenti aventi specifiche ragioni e dinamiche differenti, oppure possono essere appunto topicalizzate. A proposito il Giornale del 13 maggio 2009 alle pagine di apertura 2 e 3 si presenta in questo modo: Le pagine in questione non vengono prese distintamente, ma rappresentano un unicum grafico che tratta l‟ emergenza immigrazione. Sono presenti due titoli, da una parte “L‟Onu è preoccupata per i rimpatri ma se ne lava le mani” e dall‟altra le parole del presidente del consiglio Silvio Berlusconi “Sui barconi gente reclutata da criminali. Maroni? Esegue i miei accordi”, entrambi uniti da una foto dello sbarco a Bari dei 20.000 profughi albanesi della «Vlora» nel 1991 nella quale innumerevoli persone

37

Lorusso – Violi 2004, Semiotica del testo giornalistico, Ed. Laterza, Roma, pag 30

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aspettano di scendere davanti ad una grande nave. Nel taglio basso però le due pagine sono attraversate da un riquadro “inchiesta” all‟interno del quale sono presenti due titoli a carattere più piccolo: “A Bari Cellula di Al Qaida dietro il traffico di clandestini. Il progetto: un attentato all‟aeroporto De Gaulle di Parigi”; “Colpiremo quando c‟è tanta gente”. Tra il taglio medio e il taglio alto viene pubblicata una foto che immortala Raphael Gendron, l’ingegnere convertito all’islam coinvolto nell’inchiesta sulla cellula di al Qaida scoperta a Bari, foto che quindi riguarda l‟inchiesta. Dalla composizione delle due pagine del quotidiano si può scorgere la topicalizzazione di due (in verità tre) notizie differenti che vengono racchiuse in un unico frame grafico e concettuale. Ne deriverà un senso complessivo che è qualcosa di più della somma semplice degli articoli e delle immagini che compongono le due pagine: in virtù della messa in relazione si costituiscono significati aggiuntivi, i quali non stanno in nessun luogo testuale ma emergono dall’insieme38. Il frame come abbiamo visto non è solo una cornice grafica o video ma esplica maggiormente un suo aspetto problematico allorquando si passi al piano dei contenuti, pensiamo ai titoli di apertura: un titolo del genere “Rischio invasione fino al 15 maggio, Maroni: ora abbiamo le mani legate” riguardante gli sbarchi di cittadini libici sulle coste italiane, apparso su Libero a pagina 19 del 1 aprile 2009, sottolinea un determinato aspetto della vicenda. L‟uso del termine invasione, che tra i suoi significati ha quelli di entrare con impeto o con violenza e usurpare, non è difficile che nella mente di un lettore (che magari non si sofferma oltre nella lettura) provochi uno stato d‟animo di poca sicurezza perché di solito coloro che invadono sono, e sono stati nel corso della storia e nell‟immaginario collettivo, nemici, che sicuramente mai lo fanno con buone intenzioni. In apertura del periodo inoltre compare la parola rischio, che dal punto di vista sintattico è un rafforzativo del sostantivo invasione, mentre a livello semantico è ricollegato ad un pericolo imminente. Diverso il caso di quest‟altro titolo pubblicato lo stesso giorno sul medesimo argomento però da La Stampa a pagina 15 “In Libia non c‟è più lavoro: i barconi sono centinaia”. Qui viene dato risalto a una delle possibili cause che stanno a monte dell‟emigrazione dalla Libia, ovvero la mancanza di lavoro. Si potrebbe dire che siamo in presenza di un approccio più ragionato, interpretativo, in quanto si chiede i perché, rispetto al titolo proposto da Libero che invece tende ad agire

38

Lorusso, Violi 2004, Semiotica del testo giornalistico, Ed. Laterza, Roma, pag 121

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su un aspetto maggiormente emotivo. In quello stesso titolo viene citato il parere del ministro degli Interni Roberto Maroni che afferma “abbiamo le mani legate”, cioè non possiamo fare nulla di fronte alla situazione, al nemico, ma accenna al fatto che in futuro verranno prese dure posizioni. I due quotidiani citati, come si può notare, adottano un diverso inquadramento della stessa vicenda, intagliano il tema in due modi specifici aprendo così, ciascuno dei due, la strada a differenti termini di discussione del problema. Il framing, cioè l‟inquadratura, incorpora più dimensioni: rappresenta il modo in cui l‟autore dell‟articolo o lo stesso giornale conferiscono al tema un significato, tramite l‟articolazione di un discorso o di un ragionamento che lo rende comprensibile secondo un certo punto di vista. Per fare un esempio l‟arrivo di migranti in un paese può essere trattato come un evento favorevole per il mercato del lavoro, oppure ancora una volta come una minaccia alla pubblica sicurezza. Tornando alla prospettiva di Altheide il tema e il discorso sono legati a formati comunicativi che nel caso dei mass media si riferiscono alla selezione, organizzazione e presentazione dell‟informazione39. I temi sono fondamentalmente ancorati al formato utilizzato dai giornalisti che si devono attenere a tempi e schemi testuali per “raccontare una storia” che il lettore possa riconoscere,

della

probabilmente

ha

quale

già

sentito

parlare. La nascita del problem frame

dunque

connessa

con

comunicativo

è

strettamente il

formato utilizzato:

l‟infotainment è uno di questi. Con questo termine viene indicato un genere televisivo che in realtà è un meta-genere, essendo un ibrido

39

David Altheide 1997, The news media, the problem frame, and the production of fear, The Sociological Quarterly, Volume 38,

Number 4, pag 651 – “Frame, theme, and discourse are also related to communication formats, which in the case of mass media, refer to the selection, organization and presentation of information. Formats pertain to the underlying organization and assumptions of time (temporal flow, rhythm), space (place and visual editing), and manner (style) of experience (Snow 1983)”.

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tra information ed entertainment (intrattenimento). Un genere che nasce nel campo televisivo e non è proprio del giornalismo della carta stampata ma che quest‟ultimo negli ultimi tempi tende a fare proprio. Non di rado anche i quotidiani e i settimanali tendono alla spettacolarizzazione di un tema, presentando questo come se fosse un racconto, attraverso l‟uso di tecniche narrative ed estetiche che ne amplificano il sensazionalismo40, nel tentativo di attirare l‟attenzione del lettore. Un quotidiano che si è prodigato in tal senso è Libero, nella cui copertina di prima pagina spesso presenta una foto modificata a centro pagina, nella quale le persone sono rese con un effetto grafico caricaturale quasi fossero personaggi. Affianco viene presentato Silvio Berlusconi – si legge nella didascalia – come Jack Nicholson nel film Shining. Il fenomeno di spettacolarizzazione va di pari passo con la componente affettiva del discorso e più in generale dell‟informazione quotidiana, il giornale del resto E’ un dispositivo passionale particolarmente potente, in quanto con passione parla di passioni: una tonalità passionale è presente in tutto il suo discorso, come una dimensione trasversale che trova le sue ragioni a livello profondo, nella disposizione(positiva o negativa) che assume nei confronti delle cose.41

In molti casi emozioni e passioni costituiscono in sé la notizia, diventando il vero oggetto dell‟informazione fornita (“tensione nel governo”, “strage di civili”, “attacco a Milano”), ma in molti casi anche quando passioni ed emozioni non sono rese esplicite tramite l‟adozione di determinati vocaboli, l‟articolarsi di queste si presenta con un livello pervasivo di senso che attraversa tutte le notizie, un leitmotiv che crea un discorso patemico.

Lo stralcio qui sopra rappresenta titolo e sommario tratti dalla pagina 13 de la Repubblica di sabato 25 aprile 2009. I termini Virus mortale, paura, morti, il contagio arriva, emergenza instaurano a livello semiotico un‟isotopia, ovvero un‟omogeneità di senso, fortemente patemico e di angoscia che si focalizza su possibili conseguenze ed 40

Lorusso, Violi 2004, Semiotica del testo giornalistico, Ed. Laterza, Bari, pag IX Introduzione

41

Lorusso, Violi 2004, Semiotica del testo giornalistico, Ed. Laterza, Bari, pag 118

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aspettative ansiogene per un possibile disastro futuro. Infatti l‟elemento minaccioso del virus che ha colpito il Messico viene ripreso e amplificato nel sommario, il quale presagisce effetti catastrofici. Nel fondo della stessa pagina poi la Repubblica presenta un riquadro nel quale viene spiegato che i decessi da febbre suina accertati sono 24 (non oltre sessanta dunque), mentre le morti per cause sospette ammontano a 68; si afferma inoltre che per quanto riguarda il contagio negli Usa, nessun caso è preoccupante. Il titolo in confronto a quanto poi viene spiegato nel riquadro provoca un effetto distorsivo in chi legge. Considerando poi l‟incipit dell‟articolo in questione: AVEVAMO paura dell’influenza aviaria. E invece il virus ha scelto il maiale per lanciare il suo attacco all’uomo. Un’epidemia di febbre suina è uscita dagli allevamenti e ha contagiato centinaia di persone in Messico, uccidendone 68 da marzo a oggi. Poi il virus – che appartiene alla famiglia H1N1 ed è simile a quello della spagnola del 1918 – ha varcato la frontiera blindata con gli Usa, infettando anche otto americani. L’organizzazione mondiale della sanità ieri ha convocato la “commissione per le emergenze”, che forse già oggi dovrà stabilire le contromisure adeguate.

si hanno ulteriori elementi, infatti vengono usati i termini epidemia, pandemia, che prefigurano per il loro stesso significato un contagio globale verso tutti (AVEVAMO paura dell’influenza aviaria. E invece il virus ha scelto il maiale per lanciare il suo attacco all’uomo), inoltre viene fatto un chiaro riferimento all‟influenza spagnola, quella “Grande influenza” che nel 1918 uccise circa 50 milioni di persone in tutto il mondo. L‟analisi di questo articolo è sufficiente per capire la quantità e la pervasività passionale presente nel discorso giornalistico. L‟effetto che produce è quello di alimentare un generale stato di ansia e incertezza di fronte all‟imprevedibilità del corso futuro degli eventi. Lo stato d‟ansia non viene creato soltanto con l‟utilizzo di termini o meglio lessemi particolarmente pregnanti e che dunque hanno un significato autonomo anche se slegati dal testo. Infatti anche la ridondanza di aggettivi e avverbi, le loro connessioni, il ritmo della narrazione oppure la descrizione di un comportamento, l‟uso di segni grafici, contribuiscono alla produzione dell‟effetto finale.

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5. Discourse of fear David Altheide sostiene che la paura sia la fondamentale fonte d‟intrattenimento della cultura popolare negli Stati Uniti I suggest that fear has become a more pervasive component of American life because of the problem frame that dominates many media messages. This frame is tied to the entertainment format that now dominates news production42.

Questa accentuazione avrebbe prodotto appunto il “discorso di paura”: la comunicazione pervasiva, la consapevolezza simbolica e l’aspettativa che il pericolo ed il rischio siano un aspetto centrale della vita di ogni giorno. Un discorso di tal genere – secondo l‟autore - non è neutro da importanti conseguenze per la politica, per la percezione che il pubblico ha delle questioni sociali, per l‟eliminazione degli spazi pubblici, per le blindature cui i cittadini sempre più ricorrono e per la promozione di una nuova identità sociale, la vittima, che è stata sfruttata da numerosi agitatori, tra cui politici che cercano di farsi pubblicità sulle scene nazionali ed internazionali. Tramite una ricerca condotta sui principali quotidiani americani dal 1987 al 1996 l‟autore ha esaminato la modalità e l‟ampiezza della parola “paura” arrivando al risultato che l‟uso di questo termine nel 1994 ha toccato l‟apice arrivando ad aumentare del 100% nelle notizie e nei titoli. Nel corso del tempo il termine “paura” è stato associato a diversi argomenti come AIDS, criminalità organizzata, droga e violenza. L‟esito di tali associazioni suggerisce che parole usate frequentemente insieme possono combinarsi in modo sensato, come significato e significante, come connotazione e denotazione cosicché, a lungo andare diventa ridondante e superfluo aggiungere la parola “paura” a “violenza”, “droga”, “banda”, “crimine”: la parola evoca di per se stessa già paura. Altheide nota come la paura sia nella maggior parte dei casi presente nei report riguardanti fatti di cronaca, specificamente in quelli che trattano il crimine. Nel suo uso associato il termine crimine ha incorporato la violenza nel suo significato e quindi non c‟è più bisogno di utilizzare il termine “violenza” quando si parla di crimine. Ciò accade perché quando il pubblico acquisisce familiarità con il significato del termine e con il contesto nel quale è usato, diviene superfluo dire “crimine violento”, 42

David Altheide 1997, The news media, the problem frame, and the production of fear, The Sociological Quarterly, Volume 38, Number 4, pag 652

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dal momento che l‟esperienza mass mediatica suggerisce che il crimine è violento, nonostante il fatto che la maggior parte dei crimini non siano di natura violenta ma al contrario riguardino crimini contro il patrimonio. Lo spazio dedicato dai media al crimine contribuisce alla percezione del pericolo e all‟emersione del discorso di paura: Vivendo in uno spazio pubblico mediatizzato, per la maggior parte della gente i notiziari dei mass media in generale rappresentano una finestra sul mondo. Il modo in cui il pubblico vede i temi ed i problemi, dei quali non può avere

esperienza

diretta,

deriva dai mass media. A questo punto diviene cruciale chiedersi: in che modo i media trattano la paura? Ci sono momenti nei quali, come ondate, si ha una Trend complessivo di notizie trasmesse nei Tg nel prime time da Rai1, Rai2, Rai3, Rete4, Canale5, Italia1 dal 1° gennaio 2005 al 30 giugno 2009. Estratto da indagine Sicurezza e media (gennaio 2005 - giugno 2009) dell‟Osservatorio di Pavia.

grande quantità di notizie che

riguardano

criminalità, spesso a prescindere dal reale loro accadimento. Il grafico

43

reati

e

qui presentato

raffigura il numero di notizie mandate in onda dai notiziari nazionali in un arco di tempo di tre anni (2005-2009). Si nota che in un determinato periodo (secondo semestre 2007 ) si ha il maggiore picco di notizie che trattano reati quando invece nel periodo preso in considerazione questi non crescono in maniera proporzionale, al contrario vanno in diminuzione. Uno scollamento di questo genere tra ciò che appare nei media e la realtà effettuale, dilata la percezione che i cittadini hanno dei reati credendo di vivere in situazioni di pericolo e rischio per la propria incolumità. In Italia nel periodo che va dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre dello stesso anno, tutti i Tg nazionali hanno dato al macroargomento della cronaca in media uno spazio pari al 27,2% sul totale delle notizie, assieme alla “politica” l‟argomento più trattato44. Nei 43

Antonio Nizzoli 2009, La percezione della sicurezza tra comunicazione e realtà, all‟interno dell‟indagine Sicurezza e media

(gennaio 2005 - giugno 2009) dell‟Osservatorio di Pavia. Dato tratto da Videopolitica, l‟offerte tematica dei Tg nel 2008: similitudini e differenze “I fatti di cronaca che generano insicurezza nei cittadini fanno audience, e quindi attirano facilmente l’attenzione della televisione. La criminalità e i vari fatti di cronaca, insomma, vengono considerati molto appetibili, perché suscitano curiosità ed emozioni violente e quindi rientrano tra gli eventi notiziabili” 44

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quotidiani cartacei invece il 61,7% del totale delle notizie riguarda la cronaca45 Inoltre un approfondimento del rapporto Caritas/Migrante uscito a ottobre 2009 definisce La paura della criminalità alimenta tra gli italiani il senso di insicurezza e impedisce loro di considerare gli immigrati come una risorsa (.. )ricorrenti sono i fatti di cronaca a sostegno di chi si preoccupa dell’impatto degli immigrati sulla criminalità. Si parla di lucciole, spacciatori, tossicodipendenti, ubriachi, sbandati che picchiano anche per pochi euro, ladri che si infiltrano in tutti i modi per svaligiare le case, borseggi, stupri e, cosa che lascia sgomenti, si constata che gli imputati sono messi in libertà in attesa del processo. Viene così messo a dura prova il senso di legalità. A essere maggiormente turbati sono i semplici cittadini e, su loro pressione, gli amministratori locali sollevano sempre più la questione sicurezza46

Altheide per spiegare il modo in cui il pubblico vede i temi e i problemi, ricorre al modello proposto da Surette47 definito “Ecologia sociale del crimine”, il quale presenta “il mondo della televisione d‟intrattenimento” come se le “pecore: i cittadini” dovessero essere protette contro i “lupi famelici: i criminali” da “cani pastore: lo Stato”. Per scovare un esempio concreto di questo modello si può attingere dal caso italiano: nello stesso rapporto Caritas viene sottolineato che all’incirca sei italiani su dieci sono convinti che la presenza degli immigrati in Italia abbia determinato direttamente un aumento del tasso di criminalità48(…) La gente si dice preoccupata perché considera gli immigrati una minaccia per l’incolumità personale e i propri beni. Dall‟indagine citata gli italiani si auto considerano vittime e definiscono lo straniero, o meglio l‟outsider, come oggetto delle loro paure, il nemico. L‟insicurezza generata negli italiani, secondo uno studio a cura del sociologo Ilvo Diamanti49, dipende da quattro fattori, uno dei quali è l’eccessiva esposizione ai media, Ricerca “Cattive notizie. Sicurezza e immigrazione nei media italiani”, effettuata dalla facoltà di Scienze della comunicazione della Sapienza è stata realizzata una settimana al mese per 6 mesi da gennaio a giugno 2008 su cinque testate nazionali (Repubblica, Corriere della Sera, Il Giornale, Avvenire, L'Unità) e una free press (Metro) . 45

Dossier Caritas/Migrantes – Agenzia Redattore Sociale, 2009, La criminalità degli immigrati: dati, interpretazioni, pregiudizi, IDOS, Roma 46

47

R.Surette 1998, Media, Crime and criminal Justice: Images and Realities, Belmont (CA)

In realtà lo stesso rapporto Caritas/Migrantes smentisce ciò affermando “Nel 2001-2005 le denunce riguardanti gli stranieri sono aumentate del 45,9%, a fronte però di un aumento del 100% della popolazione regolarmente residente. Per giunta le statistiche si riferiscono agli stranieri presenti regolarmente e non ancora registrati in anagrafe e a quelli presenti in maniera irregolare(numero difficile da stimare, anche se attualmente si parla di circa 1 milione di persone in tale situazione): ciò consente di affermare che non sussiste un collegamento diretto e automatico tra aumento della popolazione e aumento della criminalità”. 48

49

Ilvo Diamanti 2008, Rapporto Demos-Unipolis, La sicurezza in Italia: Significati, immagine e realtà, Seconda indagine sulla rappresentazione sociale e mediatica della sicurezza, pag 3

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in particolare alla televisione, la quale genera angoscia. Non solo la televisione. Infatti non sono pochi gli articoli di giornale che innalzano una barricata dallo spirito manicheo tra vittime (buoni) da una parte e criminali (cattivi) dall‟altra, il rapporto Caritas cita “Sequestrata e stuprata a Castelvolturno da parte di romeni”; “tentato stupro a una quattordicenne a Milano da parte di minori nomadi”; “borseggiatore romeno minorenne fermato sedici volte in sei mesi a Milano”; “aggressione al regista Giuseppe Tornatore per strada a Roma da parte di due ragazzi sui 18 anni che sembravano romeni”; “stupro di una giovane studentessa a Milano da parte di cinque romeni”;”rimasta incinta ad Ancona dopo lo stupro da parte di tre extracomunitari nordafricani”; “coniugi uccisi a Treviso per un bottino di 20 euro, arrestati due albanesi e un romeno”; “sgominata a Bergamo una banda di nordafricani che spacciava droga”; “a Pinerolo una coppia di senzatetto trentenni aggredita da tre romeni”; “irruzione di un gruppo di cinesi con machete in una discoteca milanese con un morto e cinque feriti tra i loro connazionali”.

In una realtà sociale mediaticamente definita come scontro, la vita sociale cambia ed è cosi che – come lo descrive Beck50 – l‟uomo diventa corazzato, più persone vivono barricate dietro muri, assoldano guardie del corpo, girano con mazze e pistole o frequentano corsi di arti marziali. Questo nella società americana, ma anche quella italiana non è immune da tale tipo di comportamenti: non di rado nei Tg nazionali si vedono servizi che parlano di donne intente a frequentare corsi di auto difesa personale, a Padova si costruisce un muro per delimitare le zone della città, in Lombardia e Veneto circolano le “ronde” notturne armate di bastoni per controllare l‟ordine pubblico. Questo modo di comportarsi conferma e diffonde un clima di disordine. Si finisce, allora per fare sempre più affidamento sugli agenti del controllo sociale formale perché ci salvino, garantendo l’ordine contro gli altri, che hanno messo in discussione la nostra fiducia51. Così le remore da parte degli italiani a livello sociale, hanno trovato una sponda nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” previsto dalla legge 94/2009 che si è occupato dell‟immigrazione solo con misure di carattere restrittivo. Il maggiore effetto del “discorso di paura”, nella visione di Altheide, è di favorire un senso di disordine, la convinzione che le cose siano fuori controllo, così il discorso 50

David Altheide 1997, The News Media, The problem frame and the production of fear, The sociological quarterly pag 646-648,

51

Ibidem

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viene dato per scontato come descrizione della realtà: quelli che sono fatti piuttosto rari vengono considerati avvenimenti comuni. Ad esempio la gente è portata a pensare che la maniera di vivere degli immigrati sia difficilmente conciliabile con la nostra e nei loro confronti, anche quando il colpevole non viene colto in flagrante, è forte la reazione immediata, quando non addirittura il ricorso alla vendetta, anche se talvolta, più che di criminalità si tratta delle difficoltà tipiche della convivenza interetnica. In sostanza la gente associa l‟essere immigrato all‟essere delinquente (sei italiani su dieci credono che l‟aumento della criminalità sia dovuto all‟aumento della presenza straniera) il che con certa frequenza porta ad addebitare in maniera infondata agli immigrati determinate colpe: il Corriere della Sera del 12 dicembre 2006 titolava in grande evidenza “Strage in famiglia: era fuori per indulto. Sotto accusa un immigrato”; il Giornale, “Cinque sgozzati in casa: giallo a Erba, ricercato maghrebino uscito per indulto”, alla fine si scoprì che l‟immigrato non era l‟autore del delitto. Si possono addurre altri esempi andando al 2001 quando nel delitto di Novi Ligure (21 marzo) una ragazza italiana, dopo aver assassinato madre e fratellino, trovò una comoda giustificazione nell‟accusare una banda di albanesi. Un altro caso clamoroso fu anche lo stupro avvenuto nel parco della Caffarella a Roma il 14 febbraio 2009, di cui venne ritenuto colpevole un romeno dalla faccia da pugile e “dai tratti tipici del delinquente”: sembrava che la stampa avesse d‟improvviso riscoperto le tesi di Cesare Lombroso sui tratti somatici del delinquente tipo. Alla fine il mostro gettato in prima pagina da quasi tutti i giornali, nel corso delle indagini venne definitivamente scagionato. In tutti i casi citati si accostano informazioni che tendono a costruire immagini che modellano lo stigma, che tendono ad etichettare un determinato gruppo sociale in un determinato modo, andando a formare quello che Goffman, definisce “un genere speciale di rapporto tra l‟attributo e lo stereotipo”52. Messaggi di tal fatta risuonano simili alla propaganda, sono ripetitivi, come stereotipi di minacce esterne e soprattutto si riferiscono al sospetto e agli altri come "cattivi" […] si deve far qualcosa non solo per sconfiggere un nemico specifico, ma anche per salvare la civiltà.53.

In uno stato di apparente disordine sociale, nel quale la paura pervade il discorso giornalistico si è portati a cercare una valvola di sfogo, come abbiamo visto è più semplice cercare un capro espiatorio verso il quale addossare le colpe piuttosto che

52

Cit. Erving Goffman 1970 in Bovone-Rovati 1992, L‟ordine dell‟interazione: la sociologia di Erving Goffman, pag 218, ed. Vita e pensiero, Milano 53

David Altheide 2002, Creating Fear: News and the construction of crisis, Ed De Grutier, New York

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trovare soluzioni ragionate. Il giornalismo in questa direzione gioca un ruolo sempre più importante, semplicemente riportando i fatti può generare preoccupazioni, ansia e panico.

6. Moral Panic. Un elemento strettamente correlato al “discorso della paura” generato in Italia nei confronti della popolazione immigrata è quello del cosiddetto Panico Morale. Il termine venne introdotto per la prima volta in sociologia da Stanley Cohen nel 197254, il quale definì il Moral Panic come un‟intensità emotiva espressa all‟interno di una popolazione verso una persona, uno specifico gruppo di persone, che in un determinato periodo di tempo appare come un pericolo per l‟ordine sociale, perché accusato di porre in discussione i valori e gli interessi dominanti della società. Cohen ha utilizzato il concetto di panico morale per spiegare come alcuni problemi sociali siano ipercostruiti e generino paure esagerate. I panici morali sono stati definiti come problemi socialmente costruiti caratterizzati da una reazione sproporzionata all‟effettivo pericolo, sia nella rappresentazione mediatica sia nella discussione politica, spesso basata su statistiche folcloristiche che, benché non confermate da studi accademici, sono ripetute da un mezzo di comunicazione all‟altro e possono ispirare misure politiche. Secondo Philip Jenkins55

"La reazione di panico non avviene a causa di una valutazione razionale della scala di una particolare minaccia". Ma è "un risultato di timori non ben definiti che, alla fine, trovano un centro drammatico e semplificato in un singolo incidente o stereotipo, che quindi funge da simbolo visibile per la discussione e il dibattito".

Il panico morale così come viene descritto necessita di un suo scapegoat, il capro espiatorio, cioè l‟ oggetto verso il quale le pubbliche paure si orientano: il folk devil, ovvero il diavolo popolare. Nel corso della storia ogni società è apparsa esposta a periodi di moral panic, si pensi alla caccia alla streghe durante il Rinascimento europeo, alle persecuzioni anti-semite del „900, al Maccartismo durante gli anni ‟50 negli Stati Uniti contro chi veniva accusato di essere “comunista”, agli italiani del sud emigrati in 54

Stanley Cohen 1972, Folks Devils and Moral Panic: the creation of the Mods and Rockers, London, ed. MacGibbon and Kee

55

Philip Jenkins, 1996, Pedophiles and Priests. Anatomy of a Contemporary Crisis, Oxford University Press, pag. 170, New York 32


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America ai primi del XX secolo “Avidi accaparratori delle ricchezze nazionali 56”, “La scienza ci insegna che insieme col carattere intraprendente, intelligente, libero, inventivo e artistico degli italiani c‟è il residuo di un alta criminalità di sangue” 57, così dicevano di noi in America. Essendoci da un lato il folk devil, dall‟altro è indubbio che ci debba essere chi lo definisce tale, chi cioè etichetta in una determinata maniera il gruppo sociale pericoloso per i valori della società. Un‟azione di questo tipo viene svolta da quelli che vengono definiti da Becker “Moral Entrepreneurs”, quegli “imprenditori morali” che si mobilitano per circoscrivere il nemico da osteggiare. Questi sono, nella definizione che da Cohen

The mass media, the moral barricades are manned by editors, bishops, politicians and other right-thinking people; socially accredited experts pronounce their diagnoses and solutions; ways of coping are evolved or (more often) resorted to; the condition then disappears, submerges or deteriorates and becomes more visible.

Dunque imprenditori morali sono mass media che con il loro linguaggio tendono a presentare la natura del gruppo pericoloso in modo stereotipico facile da immagazzinare e associare, sono commentatori, i cosiddetti ben pensanti, politici e altre autorità che erigono barricate morali e si pronunciano in diagnosi e rimedi finché l‟episodio scompare o ritorna ad occupare la posizione precedentemente ricoperta nelle preoccupazioni collettive. I panici morali stando a quest‟ultima affermazione si sviluppano quando determinati fenomeni sono presentati come nuovi, in crescita o incombenti, mentre al contrario esistevano già, magari da decenni. Tuttavia non esiste una formula univoca che descrive il concetto di Moral panic nelle sue specifiche implicazioni per quanto riguardo chi e come agiscono gli imprenditori morali. A tal proposito può essere utile prendere in considerazione la distinzione, ripresa da Arnold Hunt58, ma proposta da Goode e Ben-Yehuda59 riguardo tra tre 56

Gian Antonio Stella, 2002, Quando immigrato «criminale» era il marchio affibbiato agli italiani, dal Corriere della Sera del 22 febbraio 2002 57

Gian Antonio Stella, 2002, Quando immigrato «criminale» era il marchio affibbiato agli italiani, dal Corriere della Sera del 22 febbraio 2002 58

Arnold Hunt,1997, Moral panic and moral language in the media, The British Journal of Sociology, Vol 48, No 4, pag 629-648, Ed. Blackwell 59

Goode and Nachman Ben-Yehuda, 1994, Moral Panics: The social construction of Deviance, ed Wiley-Blackwell

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differenti teorie di panico morale: “Interest-group”, “Elite-Engineered” e “Grassroots” theories. La teoria dei “Gruppi d‟interesse” sottolinea il fatto che il moral panic sia generato in maniera massiccia da media oppure da gruppi d‟interesse particolari i quali si avvalgono dei media per dare ampia pubblicità ai loro concerns, intendendo in questo caso il termine come ciò a cui tengono, i propri obiettivi. Cohen in Folks devils and moral panic descrive il conflitto avvenuto negli anni settanta in Inghilterra tra le due subculture giovani di Mods e Rockers: questo conflitto focalizzò enormemente l‟attenzione dei mass media e di determinati gruppi di pressione presenti nella società britannica, i quali sottolinearono che in quel momento stava avvenendo un cambiamento sociale definito come cultural strain and ambiguity. In questo senso si evidenzia la sfumatura che il folk devil non sarebbe percepito come problema se non ci fosse il panico morale, inteso come l‟azione di determinati gruppi, ad alimentarlo come tale. Un altro esempio di questo approccio viene anche espresso da Philip Jenkins60 il quale descrisse come diversi gruppi d‟interesse quali associazioni ecclesiastiche, la polizia e i lavoratori sociali agli inizi degli anni „70 protestarono contro gli abusi sessuali sui bambini, cosa che la stampa poi riprese a gran voce e presentò come fattuali. In sostanza si afferma che vi è una precondizione sine qua non il moral panic può svilupparsi, e questa è l‟esistenza di media in grado di trasmetterlo.

Cohen nella sua analisi ha sottointeso il fatto che i panici morali sono originati nei media, tramite il loro modo di parlare del crimine, e attraverso gli strumenti che hanno i giornalisti per raccontare un “buona storia”, o semplicemente per la totale assenza di altre notizie. In breve i media avrebbero creato le notizie e le immagini con le quali hanno conferito la base conoscitiva per il panico. Siamo ora entrati nel campo della “Elite-Engineered theory”: queste affermazioni sono state a lungo riprese da Stuart Hall61, che ha centrato le sue argomentazioni sul fatto che i media nella società inglese degli anni ‟70 erano tra le forze più potenti di formazione della coscienza del pubblico per quanto riguarda tematiche attuali e controverse. Ma allo stesso tempo argomentava che i panici morali riguardanti Legge e ordine pubblico si originavano tipicamente dalle 60

61

Philip Jenkins, 1992, Intimate Enemies: Moral panic in contemporary Great Britain, Aldine The Grutier, NY Stuart Hall, 1978, Policing the crisis: Mugging, the State, and Law and Order, Macmillan, London

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dichiarazioni della polizia e degli esponenti del sistema giudiziario, le quali venivano poi amplificate dai media. I media in questo caso fungono da cassa di risonanza del potere formale costituito, possono essere definiti come strumenti del controllo statale, e consapevolmente o no sono funzionali alle scelte dei gruppi dirigenti. Così può avvenire che le classi al potere avendo dalla loro parte i media, siano in grado di creare deliberately and consciously un panico morale riguardo un determinato tema che le stesse magari non riconoscono come particolarmente dannoso per la società, ma in realtà lo fanno per distogliere l‟attenzione da altri più seri problemi. Infine viene descritta un‟ultima teoria detta “Grassroots theory”, per certi versi in contrasto con le due precedenti. Secondo questa i politici ed i media non sono in grado di creare concern, laddove non esistano già inizialmente ed il moral panic perciò deve essere fondato su una preoccupazione naturale del pubblico, che forse potrà essere riflessa o amplificata dai media, ma che nasce spontaneamente. Un approccio di questo tipo è l‟esatto contrario della Elite-Engineered theory proprio perché si caratterizza per essere bottom up cioè partire dal basso verso l‟alto. Il punto di vista da cui parte è quello dei cosiddetti criminologi realisti62 i quali suggeriscono che le percezioni della gente sul crimine non sono basate sul un panico morale o su un rigurgito degli stereotipi proposti dai media, al contrario tengono presente una più stretta relazione ai fatti reali che accadono nelle zone in cui la gente vive. Tuttavia, malgrado le tre teorie esposte partano da punti di vista differenti e arrivino ad altrettante conclusioni, un filo conduttore comune del moral panic può rinvenirsi: la presenza dei media, oggi più che in ogni altra epoca storica intermediari di moral panic.

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Jones - Maclean – Young, 1986, The Islington Crime Survey

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6. Ricerca sui quotidiani Al fine di saggiare concretamente il giornalismo italiano, è stata condotta una ricerca sulle prime pagine di sei quotidiani esaminate in un determinato lasso temporale. Si è scelto di soffermare il focus sulla prima pagina perché questa rappresenta l‟abito del giornale, è il primo impatto con il quale esso si presenta agli occhi del lettore. Il periodo preso in considerazione va dal 31 marzo 2009 al 12 maggio 2009, per comprendere il volume dell‟offerta informativa ed in che modo è stato trattata l‟informazione relativa ai numerosi tentativi di sbarchi di persone migranti provenienti dal nord africa, sulle coste italiane. Dovendo enucleare un tema comune a queste vicende lo si potrebbe definire, così come hanno fatto i giornali “Respingimenti clandestini”, si capirà in seguito il perché. L‟analisi è stata condotta su quotidiani che solitamente presentano diverse posizioni, così suddivisi: L’Unità organo del Partito Democratico, La Repubblica che si rivolge all‟area politica e culturale del centrosinistra, Il Corriere della Sera che potrebbe sembrare il meno schierato tra i quotidiani italiani, Il Giornale e Libero apertamente allineati sul versante del Pdl e dunque dell‟attuale Governo in carica, infine L’Avvenire, giornale della Chiesa cattolica. Inoltre si è tenuto conto di diverse variabili sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo. Per quanto riguarda le variabili quantitative è stato conteggiato il numero di informazioni dedicate da ciascuna testata al tema, il genere giornalistico più utilizzato per trattarle, la posizione dei titoli e la loro dimensione nello spazio della pagina. Per quanto concerne invece l‟aspetto qualitativo, l‟indagine si è concentrata sul contenuto presentato da ogni titolo, nel senso che ha preso in considerazione le cosiddette policy issues; e verificando la presenza di determinati termini e connessioni sintattiche all‟interno di occhiello, titolo e sommario. Cominciando l‟esposizione va subito detto che nonostante gli eventi siano stati oggetto di una polemica diplomatica tra lo Stato italiano e quello di Malta, siano stati al centro del dibattito politico, stando al periodo preso in considerazione emerge un dato riguardante la copertura dell‟evento: in 43 giorni di monitoraggio i sei quotidiani presi in considerazione hanno pubblicato in prima pagina un totale di 66 notizie sul tema, quasi ininterrottamente visto che ci sono stati sette giorni (non continui ma in totale) nei quali nessuno dei sei quotidiani ha trattato il tema in prima pagina. Dunque il tema non è stato ogni giorno presente in tutte le testate (bisogna considerare che in concomitanza con quest‟evento ci sono state due settimane nelle quali l‟agenda setting era interamente 36


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dominata dai fatti riguardanti il terremoto dell‟Aquila, oltre che da un ritorno del tema della crisi economica mondiale). Il quotidiano della Chiesa cattolica è stato quello che ha trattato maggiormente l‟argomento, dedicando un totale di 17 notizie ripartite omogeneamente nelle cinque settimane, seguono il Corriere e la Repubblica con lo stesso numero di notizie (12), poi vi sono Giornale e Libero rispettivamente con 10 e 9 notizie, infine l‟Unità con sole 6. Il fatto che l‟Unità abbia pubblicato 6 notizie si può in parte spiegare col fatto che solitamente il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, si è presentato in prima pagina con una foto-notizia che occupava gran parte dello spazio, sotto la quale o al fianco trovavano spazio gli altri (pochi) fatti. (Figura 1) Figura 1

L‟andamento delle notizie (figura 2) non è stato costante lungo l‟arco di tempo complessivo ma è al contrario suddivisibile in due tronconi. Il trend iniziale costituito della prima settimana, nella quale il problema respingimenti si è realmente verificato e ha iniziato a farsi sentire nella stampa, consisteva di 10 notizie, 7 delle quali pubblicate da Avvenire e Corriere, 1 da Repubblica e le altre due dall‟Unità. In questa settimana i quotidiani di centrodestra non hanno menzionato i fatti in prima pagina. Crescendo durante la seconda, nella terza settimana la issue respingimenti contava un totale di 19 notizie, prima di calare drasticamente a 9 nella quarta, quando l‟attenzione sul tema è calata. L‟intervento dell‟Onu riguardo la violazione dei diritti umani causati dai respingimenti e la condanna da parte della Chiesa nei riguardi dell‟operato del Governo("Immigrati. La condanna della Chiesa. Violati i diritti umani" Repubblica del 37


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9 maggio) hanno alimentato nuovamente il dibattito, infatti nella quarta settimana le notizie risalgono a 14.

Figura 2

Per quanto riguarda invece i generi utilizzati (figura 3) per trattare la notizia emerge la cronaca con il 62% del totale, sintomo che la maggior parte dei resoconti era dedicata al racconto delle vicende; l‟articolo di commento con il 17% e l‟intervista (a politici per la maggior parte o a sopravvissuti) con il 7%. Visualizzando invece la posizione dei titoli nelle diverse parti della prima pagina (Taglio alto, medio, basso o spalla), da un‟analisi incrociata con i dati riguardanti il coverage dell‟evento, si nota come (figura 4) le 23 notizie pubblicate nel taglio alto, cioè nel punto di maggior impatto visivo, lo siano soprattutto nella terza e quinta settimana, nelle quali come si è visto in precedenza si è avuta la maggiore attenzione dei giornali sotto esame alla vicenda.

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Figura 4 Figura 3

Esaminando invece la dimensione dei titoli(figura 5) va detto che, lasciando da parte la terza e la quinta settimana nelle quali i titoli oltre che essere posti in alto occupavano anche più di 2/3 delle colonne, nel complesso 32 titoli su 66 avevano un‟ampiezza inferiore o pari a 1/3 delle colonne dei giornali. Ciò evidenzia il fatto che lo spazio concesso al tema nei periodi di normale copertura era ridotto a piccoli trafiletti o riquadri.

Figura 5

Passando alle variabili qualitative si entra più nello specifico nell‟approccio assunto da ciascun quotidiano rispetto al tema. In sostanza sono stati tre i frame utilizzati nella copertura, così sintetizzabili: diritti umani, Sicurezza e lotta alla criminalità, immigrazione extracomunitaria e razzismo (figura 6). Del fenomeno dei respingimenti e della figura degli immigrati si è parlato soprattutto in termini di Immigrazione 39


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extracomunitaria e razzismo (34 notizie totali), delle quali 8 del Corriere, 7 de la Repubblica, 6 di Avvenire per citare chi ha dato maggior spazio. Come prevedibile l‟inquadramento Sicurezza e lotta alla criminalità è stato utilizzato per la maggiore dal Giornale che da solo ha pubblicato un terzo delle19 notizie totali. Invece l‟Avvenire ha avuto un ruolo notevole nel trattare il tema sotto la luce della violazione dei diritti umani, nei titoli infatti spesso si leggevano riferimenti alla condizione degli immigrati che venivano respinti (presenti frasi come vite perdute nel mediterraneo; morti di stenti;

polemica sui diritti umani; chiesta sanatoria umanitaria per migranti).

I temi sono stati affrontati in termini diversi, ma vi è stata una costante comune nei registri linguistici adoperati: nei titoli era ripetitivo l‟uso della parola clandestini, al plurale, nel 47% dei casi senza altra specificazione. L‟immigrato viene visto come un estraneo, diverso, non meritevole di attenzione e accoglienza. Non sono rare frasi del tipo “Basta immigrati: vogliono farci sparare”di Libero, “Immigrati, sgombero e scontri” del Corriere, “Basta navi dei clandestini. Fermatele. Anche l'Italia deve imitare la linea dura dei governi europei” il Giornale, Fassino "è legittimo respingere i clandestini" il Giornale; “No all'Italia multietnica. Berlusconi legittimo respingere clandestini” il Corriere. Inoltre sono numerose le associazioni sintattiche: immigratoFigura 6 guerra, non resta che il modello Zapatero: fare fuoco sugli sbarchi; immigrato -

scontro-polizia (apparsa in quattro titoli diversi); evitare - islamico; clandestini– respingere.

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Figura 7

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Conclusione Alla fine, alla luce di quanto finora esposto, dovendo tirare le somme del lavoro svolto, si deve sottolineare la validità della tesi di Altheide anche per quanto riguarda il panorama della comunicazione giornalistica italiana, in base a diversi motivi. Un‟informazione nella quale si fa pesantemente sentire la “dipendenza di sentiero” della storia passata, il cui risultato presenta una posizione rispetto ai fatti che scansa il dogma dell‟obiettività a vantaggio dell‟interpretazione dal proprio punto di vista. I quotidiani italiani spesso sono nati da partiti o elite culturali, che si facevano portatori di determinati valori se non di ideologie. Spesso i fatti di cui parlano sono i medesimi, in uno stesso giorno l‟agenda è quasi identica per tutti, perché ogni redazione giornalistica affronta gli stessi criteri e dinamiche di notiziabilità degli eventi: routinizzazione del lavoro, pubblicazione di eventi che infrangono il continuum dell‟ordinarietà, negoziazione dei temi con poteri forti politici ed economici. Un‟omogeneità generale, seppur con specifiche differenze, si nota nell‟utilizzo del frame utilizzato per inquadrare il problema che si vuole trattare. Consapevolmente o no, al lettore l‟informazione che arriva rispetto a determinati temi, risulta essere distorta o fuorviante rispetto alla realtà: crimini, malattie influenzali, fatti riguardanti gli stranieri vengono amplificati e artificiati. D‟improvviso pare che gli immigrati siano tutti clandestini e delinquenti; le influenze che realmente hanno mietuto un numero relativamente circoscritto di vittime, sembra siano pandemie mondiali da accostare all‟influenza Spagnola del 1918: così si moltiplicano foto in prima pagina di uomini con la mascherina sanitaria intitolate con termini quali “panico” “emergenza”, titoli cubitali nei quali è scritta la parola “immigrato” e sotto la quale una fotografia ricorrente che ritrae barconi carichi di uomini di colore, oppure la scritta “rom” accostata a termini quali “omicidio”, “stupro”, “furto” e con sotto la foto di un poliziotto che arresta un uomo nero o dell‟est. Di determinati fatti si tende a parlare in un determinato modo, anche quando questi non accadono. Durante il periodo preso in esame per la ricerca, raramente si è parlato di immigrati come risorsa. Così rimangono i termini paura - emergenza - clandestino 42


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immigrazione: “Se le notizie fanno paura, le parole che le raccontano ne fanno ancor di più. In fondo è la parola che si conficca nella memoria e aiuta a ricordare questo o quel fatto, richiamandolo come il sibilo agli ultrasuoni che fa scattare il cane. Così – l'abbiamo visto per la guerra e per la pace – le parole diventano più importanti dei fatti. Perché, giocando con le parole, si possono manipolare i fatti, e, alla fine della catena, tutta la memoria collettiva”.63

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Marco Travaglio 2006, La scomparsa dei fatti, Ed. il saggiatore

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Bibliografia Testi consultati 

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Hallin - Mancini 2004, Modelli di giornalismo, Ed Laterza Bari

Storia d‟Italia - Dal primo settecento all‟unità”

Oliviero Bergamini 2006, La democrazia della stampa, Ed. Laterza

Beppe Lopez 2007, La casta dei giornali, Ed. Stampa alternativa, Roma

Rolando Marini 2006, Mass media e discussione pubblica, Ed. Laterza

Bagnasco - Barbagli - Cavalli 2004, Elementi di sociologia, Ed. il Mulino Bologna, pag 99

Lorusso-Violi 2004, Semiotica del testo giornalistico, Ed. Laterza,Roma

Gianpietro Mazzoleni, 2004, La comunicazione politica, Ed. Il Mulino, Bologna

Bovone-Rovati 1992, L‟ordine dell‟interazione: la sociologia di Erving Goffman, ed. Vita e pensiero, Milano

Stanley Cohen 1972, Folks Devils and Moral Panic: the creation of the Mods and Rockers, London, ed. MacGibbon and Kee

Philip Jenkins, 1992, Intimate Enemies: Moral panic in contemporary Great Britain

Marco Travaglio 2006, La scomparsa dei fatti, Ed. il saggiatore

Articoli accademici 

Ricuperati, I giornalisti italiani fra potere e cultura dalla origini all’Unità, in Storia d‟Italia. Annali vol.4, Ed Einaudi 1981 Torino, pag 1087

Herbert Blumer 1971, Social problems as collective behavior, pag 300/303

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Questa è una copia della tesi di laurea di Andrea Deidda, scaricata dal suo blog ecitizens.it

Hilgartner, Bosk, The rise and fall of Social Problems: a Public Arenas Model, American Journal of Sociology, pag 67

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