aristotele_la_rettorica(versione toscana di annibal caro)

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valse Ificrate nella sua orazione contra Armodio, quando disse: se avanti al fatto domandandovi io che voi m'onoraste d'una statua, in caso che il facessi me l'avreste concesso; ora che il fatto è seguito non me la concederete? Non vogliate dunque, aspettando il benefizio, promettere, ed avendolo ricevuto, dinegare. Con questo medesimo luogo si persuaderebbe ai Tebani che lasciassero passar Filippo nell'Ateniese, così dicendo: se quando avevate bisogno del suo ajuto contra i Focensi, egli avanti che il mandasse vi avesse richiesto di questo passo, non glie n'avreste voi promesso? disdicevol cosa è adunque, che per aver trascurato di mandarlo, e confidato di ottenerlo, ora non lo lasciate passare. L'altro luogo è, di rivolger quel che si dice di noi contra al medesimo che il dice. E questo modo è di molta forza, e ne abbiamo esempio nel Teucro. Di questo si servì Ificrate contra Aristofonte che l'accusava d'aver tradite le navi per danari. Egli rivolgendosi a lui: faresti tu (disse) un tal tradimento? e rispondendogli di no, soggiunse: tu dunque, che sei Aristofonte no 'l faresti, e l'avrò fatto io che sono Ificrate? Bisogna però che colui che accusa sia tenuto più per uomo da far quel male, che l'accusato, perchè altramente sarebbe cosa da ridere: come se ciò si dicesse contra Aristide, quando egli fosse l'accusatore. Ma quando l'accusatore non è creduto, allora si deve usare, perchè ordinariamente chi accusa, deve esser miglior di colui che si difende. Onde che questo bisogna sempre che l'accusato riprovi, cioè, che l'accusatore sia miglior di lui. Ed universalmente grande impertinenza fa colui che riprende gli altri, di quel che egli fa, o di quel che farebbe; o quel che non fa, o non farebbe, egli esorta che facciano gli altri. Evvi un altro


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