aristotele_la_rettorica(versione toscana di annibal caro)

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in tal tempo, o in tal loco. E per segno che non ci abbiano voluto gratificare in questo sarà che non ci abbiano voluto compiacere di minor cosa, e che abbiano serviti i nemici o di cose medesime, o di pari, o di maggiori. Onde si vede manifestamente, che nè anco queste si fanno per conto nostro, ovvero si sapevano di conceder cose che non fossero buone; perchè nessuno confesserà d'aver bisogno di cose cattive. Ora avendo detto del far grazia, e di non la fare, seguitiamo a dir della misericordia: quali sieno le cose miserabili, di chi abbiamo misericordia, e come son fatti i misericordiosi. CAPITOLO VIII. DICIAMO adunquee che la misericordia sia una certa passione di cosa che ne s'appresenti un male, o pernizioso o doloroso in persona che non meriti di riscontrarsi in esso male; e che chi lo vede potesse aspettar d'averlo a patir ancor esso, o qualcuno de' suoi; e questo s'intende quando sia vicino. Onde è manifesto che colui che deve esser compassionevole, sia necessariamente tale: cioè che s'immagini d'aver a patire qualche male, o esso, o qualcuno de' suoi; e di tal sorte è il male, quale abbiamo detto nella diffinizione, o simile, o presso che quello; e per questo non hanno misericordia coloro che sono in estrema perdizione; perchè avendo già sofferto non s'immaginano d'aver più oltre a soffrire. Nè anco coloro che si pensano d'essere in estrema felicità; anzi che questi sono ingiuriosi; perchè presumendosi di abbondare di tutti i beni, è chiaro che si credono anco di non poter patir 191


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